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Autore: confidentina    12/06/2007    9 recensioni
“Sai, Light, a volte non ti capisco.”
“Non ti ho mai chiesto di capirmi.”
[storia classificatasi al terzo posto nel concorso per il ripopolamento fandom di Death Note]
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: L, Light/Raito, Misa Amane, Near, Ryuuk
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Titolo: Epitaph
Autore: Tina
Rating: PG13 o giallo
Genere: Angst e drammatico
Personaggi: Light, Misa, Ryuk, Near, L
Riassunto: “Sai, Light, a volte non ti capisco.”
“Non ti ho mai chiesto di capirmi.”
Disclaimer: I personaggi presenti in questa storia appartengono a chi ne detiene i diritti. Non scrivo a scopro di lucro e nessuna violazione del copyright è intesa.
Le canzoni citate, a inizio testo o nel racconto, non sono mie, ovviamente, ma appartengono ai rispettivi proprietari.



Epitaph.

The wall on which the prophets wrote
Is cracking at the seams.
Upon the instruments of death
The sunlight brightly gleams.
When every man is torn apart
With nightmares and with dreams,
Will no one lay the laurel wreath
As silence drowns the screams.

Between the iron gates of fate,
The seeds of time were sown,
And watered by the deeds of those
Who know and who are known;
Knowledge is a deadly friend
When no one sets the rules.
The fate of all mankind I see
Is in the hands of fools.

Confusion will be my epitaph.
As I crawl a cracked and broken path
If we make it we can all sit back
and laugh.
But I fear tomorrow I'll be crying,
Yes I fear tomorrow I'll be crying.

(King Crimson, Epitaph)


*serafica* “Lo sapevi, vero? *pausa* Lo hai sempre saputo.”
*sgranocchiando una mela* “Cambierebbe qualcosa se ti rispondessi affermativamente?”
*sbuffo* “No, ma mi piacerebbe saperlo.”
“No. Non ho potuto prevederlo. Né tu l’hai fatto, comunque.”
*pausa* *esita* “Già.”
“È morto, Misa.”
“Lo so. Lo vedo. C’è la sua bara, qui davanti a noi. È difficile non rendersi conto del suo bell’epitaffio.”
“E tu, molto probabilmente, verrai presa per folle. *ride* Non è che si veda spesso una bella ragazza come te parlare da sola.”
*ricambia la risatina sommessa* “Direi proprio di sì. *malinconica* Mi manca, Ryuk. Tantissimo.”
“Sai una cosa? Manca anche a me. *pausa* *sibilo di vento* Non lo avrei creduto possibile.”

~~~

Nelle sue dita nodose c’è qualcosa di terribilmente strano.
Non le ricorda così. L’ultima volta – che le aveva viste, le aveva toccate, e le aveva bagnate di lacrime – gli sarebbero potute sembrare, più che altro, fragili – dolore, tanto dolore. E sangue, sangue sulle sue mani umide. E dopo il sangue, melma scura che gli aveva sporcato le unghie curate e i graffi sul suo palmo steso. E dopo la melma, nulla. Non c’era più stata nemmeno la sua mano. Le sue mani. Aveva visto sparire, con una punta di stupore indefinito, le sue falangi. Le dita. Poi le nocche, e dopo ancora il palmo, e a seguire il polso, l’avambraccio, tutto. Di lui non era rimasto nulla.
Così capisce che quel qualcosa di strano è il niente, e ciò che potrebbe definirsi terribile è il suo poter vedere con esattezza il nulla inglobare tutto, le case distrutte, il sangue a terra, le mura crollate, tutto spezzato da una folata di vento (forse una voce sibilante?); e riesce a vederlo nonostante sia già diventato nulla.

“Sai, Light, a volte non ti capisco.”
“Non ti ho mai chiesto di capirmi.”

Ora cerca di immaginarsi i propri polpastrelli. Una volta erano morbidi e solidi allo stesso modo. Misa usava spesso massaggiarglieli – subito prima di andare a dormire. Ora che non esistono più, e può solo cercarne all’infinito la consistenza, tastando il nulla, sente la mancanza del chiacchierio di Misa. Solo alla fine aveva capito che, forse, solo forse, ne avrebbe sentito la scomparsa più di quanto avesse potuto volere.

“Ti odio.”
“Io ti amo.”

E cammina, e passeggia lentamente sulla sabbia invisibile che potrebbe avere solo immaginato; ricordato con talmente tanta forza e desiderio da essersi veramente materializzata lì, sotto le piante dei suoi piedi, provocandogli un pizzico di solletico – ma nulla di più. E potrebbe anche avere immaginato l’acqua, sopra la sabbia, acqua che continua a salire e salire, senza fermarsi, inghiottendolo in un mare infinito – senza affogare. E mentre si bagnano le sue gambe, e poi i fianchi… Proprio mentre realizza che il sole è alto nel cielo, ricorda qualcos’altro – forse pioggia. Pioggia, senza questa luce accecante che lo disturba. E qualcun altro.

“Mi piacerebbe sapere se sei Kira.”
“A me piacerebbe sapere che non sei davvero L.”

Ecco, ora il sole gli sta asciugando i capelli fradici. Peccato. L’acqua salmastra e la salsedine gli piacevano tanto. Purtroppo erano solo un’illusione – come tutto il resto.
Un brivido, sicuramente non per il freddo, gli scorre lungo la schiena. Pioggia. Freddo. Una capigliatura scura. Uno sguardo indecifrabile.
C’è qualcosa che ha dimenticato.

Era dolore o semplicemente senso di colpa?
Qualcosa era finito senza essere cominciato.

A volte si chiede come sia finito così. Così come? Così… Nulla.
Non si pone domande sul perché o cosa o quando, ma gli piacerebbe molto sapere come ha potuto lasciare che il mondo si abbandonasse a se stesso. Nello stesso modo in cui lui stesso aveva cercato di spezzare qualcosa, che aveva creduto essere il male in terra – ma che avrebbe potuto portare un nome diverso e a lui inconcepibile.
A tutt’oggi non sa cosa fosse quel qualcosa che non era il male in terra.
È da quando la consapevolezza del nulla ha fatto strada in lui che se lo chiede – come? e cos’era?.

C’è qualcosa che ha dimenticato.
Non sa se gli piacerebbe ricordarlo.

Oramai non sa più cosa è reale o cosa è fittizio, e cosa può tormentarlo sul serio o è solo frutto della sua psiche; odia la luce del sole ma quello che brucia talmente tanto da voler scoppiare, lassù in cielo, non può davvero essere reale, perché non è normale. È relativamente certo di una sottile differenza fra il vero e il falso – normale e non normale, o qualcosa del genere. Non si fida di se stesso e del proprio giudizio, da quando lo hanno portato alla rovina – e visto che non sa classificare bene il nulla, non può ancora etichettare tutto ciò che lo circonda, perché tutto è relativo alla sua rovina - il niente. Non può sapere cos’è realmente tutto. E questo lo lascia con un vago senso d’incompletezza, sempre presente, sempre assillante, tranne quando un fuggevole ricordo gli attraversa la mente tormentata – un viso pallido e occhiaie pronunciate.

Qualcuno.

~~~

La parte più difficile di ciò è lasciarti, lo sai.
Lo so. Ma non ci credo.

~~~

“La nostra partita è finita, Kira. O preferisci che ti chiami… Light?”
Uno dei colori che ha sempre detestato è il bianco. Il bianco lo innervosiva in un modo disturbante, come gli altri colori non sapevano fare; non gli è mai piaciuto. Attualmente non sa perché: conserva sprazzi di ricordi nebulosi, che assomigliano incredibilmente a neve di montagna. Oltre a ciò, non trova ancora un motivo sincero e non necessariamente logico – sia al ricordo in sé, sia alla sua avversione per quel dannato colore.
Per questo, quando Near gli bisbiglia quelle manciate di parole, si ritrova spiazzato e ad odiare con un’intensità che non aveva mai provato prima – né con L, né con chiunque ne valesse la pena – i capelli candidi dell’altro.
Perché la sua maglietta era troppo simile a quella di L per poterla detestare.

  
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