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Autore: AriiiC_    25/11/2012    7 recensioni
Clove era solo una bambina.
Aveva sette anni, un padre cattivo e una madre morta. Una passione per i coltelli.
Cato era un mostro.
Aveva già dieci anni, ma si comportava come uno di quei favoriti pronti all'arena.
La bambina si nascondeva le sere in Accademia, quando non voleva tornare a casa.
Il favorito rimaneva nella grande palestra finchè diventava buio per essere il più forte.
Semplicemente, si ignoravano a vicenda.
Quando, una sera, il destino volle farli incontrare.

{Song-fic; Clato; Probabile - ma non certo - OOC}
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cato, Clove
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Nonostante non sia da me, consiglio vivamente di leggere con, come sottofondo, Skyfall di Adele.



 





Clove era solo una bambina.
 Aveva sette anni, un padre cattivo e una madre morta. Una passione per i coltelli.



Cato era un mostro.
Aveva già dieci anni, ma si comportava come uno di quei favoriti pronti all'arena.


 

 La bambina si nascondeva le sere in Accademia, quando non voleva tornare a casa.

 

Il favorito rimaneva nella grande palestra finchè diventava buio per essere il più forte.


 

Semplicemente, si ignoravano a vicenda.
Quando, una sera, il destino volle farli incontrare.



~

 

La sera era calda e muta, la luna filtrava timida dalle finestre, come per non disturbare.
 Il biondo teneva in mano una spada più grossa di lui, facendola volteggiare agilmente in modo che tagliasse la testa ai manichini. Lo faceva sentire importante, come suo fratello voleva. Cato era quello «che si abbassa», che si nascondeva per paura dello scontro. Axel, invece, aveva di per sè il nome di un'arma. Ogni qual volta qualcuno lo chiamava, diceva ascia, forza, distruzione. Axel aveva vinto i giochi e voleva che il fratellino seguisse le sue impronte. Forse per una voglia di ulteriore gloria, forse solo per vederlo morire. Axel non aveva mai voluto bene a Cato, dava a lui la colpa della morte della madre. E il fratellino taceva, e subiva.
 Si sfogava con quelle lame, grandi e taglienti. Lame che fanno male, che ti distruggono ogni volta che le tocchi.
 La bimba coi capelli scuri e gli occhi marroni aveva lanciato un ultimo coltello ed era andata a nascondersi nel ripostiglio, come faceva sempre. Aspettava lì che tutti se ne andassero e il custode chiudesse la porta principale a chiave per uscire fuori e tirare qualche altro pugnale. La maglietta bianca le andava stretta, ma suo padre non poteva permettersi di comprarne un'altra. Certo, i soldi non mancavano, ma Clove non meritava una nuova T-shirt. Clove non meritava neppure di vivere, se fosse stato per lui. Clove era solo un peso in più, ciò che non gli permetteva di trovarsi un'altra moglie, da quando la prima era morta di infarto. Era stata lei a dare quel nome così stupido alla figlia: Clove, come i trifogli.
 Senza fortuna, proprio come loro.
 Non aveva, però, fatto i conti con quel teppista che non se ne voleva andare mai.
 Lo stesso che aveva chiesto a quel custode, suo zio, di lasciarlo ad allenarsi un altro po'. Poi avrebbe chiuso lui.
 Così, quando la piccola uscì dal suo nascondiglio caldo e sicuro, si trovò davanti questo corpo, allenato e sudato, che le impediva di fare come ogni sera. Non poteva starsene tranquilla, se c'era anche lui. Non voleva, però, che la vedesse: le piaceva essere invisibile. Cato amava catturare ogni rumore, ogni movimento sospetto accanto a sè era una minaccia, un tributo da abbattere proprio come nell'arena. E quella creaturina dai capelli neri legati in uno chignon sopra il capo non faceva certo eccezione. Non aveva sbagliato nulla di grosso: solo un passo falso che aveva portato l'avversario a notarla. E allora aveva iniziato a correre, scavalcando i vari tavoli dove erano adagiate le armi. Non sapeva dove andare: erano le gambe a muoversi e lei, semplicemente, le seguiva. Quando si trovò davanti alla porta, capì che non poteva continuare a scappare. Si voltò verso il biondo che ancora correva, aspettandosi chi sa quale fine.
 Ma Cato non poteva - non voleva - ucciderla: non erano agli Hunger Games, e lei non era la sua compagna di distretto: era solo una piattola spaurita, una di quelle che ti rompono tanto ma, alla fine, ti fanno anche tenerezza.
 - Che ci fai qua? - il suo tono non era inquisitorio, ma spaventava Clove, come se le avrebbe fatto male.
 - La stessa cosa che fai tu. - rispose calma, nascondendo le sue emozioni. Non era un allenatore, non l'avrebbe frustata.
 I loro occhi dissero ciò che le voci non avevano il coraggio di esprimere: quelli di lui erano azzurro ghiaccio, un colore freddo, distante, austero. I suoi erano di un marrone scuro, come la terra dopo che la pioggia l'ha bagnata, caldi, piccoli, giovani. Volevano annullarsi, mostrare che erano più forti dell'altro. Invece riuscirono solo a sostenersi a vicenda, come la luce che, per esistere, ha bisogno del buio e viceversa. Si tenevano testa, come l'uragano fa con la tempesta. Il tempo passava e loro erano lì, in quella stanza gelida mentre fuori la luna aveva lasciato il posto alla pioggia.
 - Sono Cato. - sussurrò semplicemente quando tutto diventava troppo buio per vedere qualcosa che non fossero le sue iridi brune.
 - Clove. - disse, senza aggiungere altro.
 - Quindi, hai voglia di allenarti un po'? -
 E lei accettò.
 Passarono la notte lì, mentre fuori il mondo dormiva loro lottavano con manichini innocui immaginando di essere i vincitori di un'edizione imprecisata dei Giochi degli Affamati.
 Quando la luce del sole si fece viva, scapparono fuori, cercando un posto dove andare.
 Cato e Clove erano amici.





~
 

This is the end. Hold your breath and count to ten.
Feel the heart move and then, hear my heart burst again.





La mietitura, nel Distretto 2, è l'occasione che i ragazzi hanno per far vedere quanto valgono. Per far vedere che c'è un vincitore in ognuno di loro.
 Cato aveva diciotto anni. Non voleva offrirsi; non voleva dare ad Axel la soddisfazione di vedergli fare ciò che aveva da sempre programmato per lui. Cato non era un burattino nelle mani del vento.
 Clove aveva ormai quindici anni. Era brava, tanto brava. Tutti la conoscevano come "la ragazza coi coltelli", ma lei era di più. S'era messa in fila in mezzo alle sue coetanee che la guardavano con ammirazione.
 La temevano.
 Li temevano.
 Quando la capitolina dai capelli color senape si trovò ad estrarre il nome femminile, Cato fermò il tempo. Esistevano solo lui e la sua amica.La sua unica amica- Conta fino a dieci, Cato, e poi decidi cosa fare. - 
 Uno, due, tre.
 Era innaturale che la estraessero: aveva solo tre biglietti col suo nome in quel mare di fogliettini. Era forte, scaltra, ma non voleva che andasse a rischiare la vita.
 Quattro, cinque, sei, sette.
 Per lui era l'ultimo anno, poi sarebbe stato salvo. Non aveva tessere in più. Era tranquillo per sè. Ma non per la bambina indisponente che aveva incontrato in Accademia.
 Otto, nove.
 Non poteva essere estratta: l'avrebbe impedito.
 Ma come?
 Dieci...
 - Clove Emerald! -
 E il mondo gli era caduto addosso. La terra tremava mentre tutti, dagli adulti ai ragazzi, applaudivano facendo il tifo per la nuova vincitrice del secondo distretto.
 Tutti tranne lui.
 Guardò il suo piccolo trifoglio salire mesto sul palco, con lo sguardo fisso e irrimovibile. Lui era in prima fila e, conoscendola, capì che sperava fosse un incubo. E non si voltava neppure verso di lui. Sapeva cosa il contatto tra i loro occhi avrebbe causato. Il sole alle sue spalle le illuminava la coda di cavallo scura. Avrebbe accontentato Axel, così. Ma non importava. Non sarebbe andata da sola.
 - Cato Brimstone. - annunciava mesto, il diciottenne che s'era appena offerto volontario come tributo per i 74esimi Hunger Games.





For this is the end.

~
 

We will stand tall, face it all togheter.
Let the sky fall, and it croumbles.


 

 I giochi erano iniziati. La prima notte nell'arena si preannunciava lunga e limpida.
 Cato non guardava Clove, per paura della domanda che cercava di rimandare da troppo tempo ormai. Sapeva che la ragazzina non avrebbe mai accettato la sua morte. Cato meritava una famiglia, dei bambini da far combattere, una vita normale. Mentre puliva il suo coltello dal sangue di chi sa quale sciagurato, lo guardava di sottecchi. Non voleva essere notata, come la prima volta che s'erano incontrati - o meglio, scontrati. La volpe e il leone, loro. Lei calcolatrice: pensava sempre alle conseguenze delle sue azioni e cercava il modo migliore per attutirle. Lui era impulsivo, non rifletteva prima di agire. Faceva le cose di getto, correva forte per uccidere. Lei semplicemente aspettava che la preda le venisse tra le braccia.
 La preda, questa volta, era Cato.
 Glimmer e Marvel - i tipi dell'1 che prima o poi avrebbero ucciso - dormivano tranquilli e a loro due spettava il primo turno di guardia. Lui si nascondeva all'ombra di quella luna piena che aveva illuminato le loro prime parole. Lei semplicemente lo osservava, studiandolo e decidendo come intervenire. Limava un legnetto con la sua spada mentre sapeva che sarebbe successo e aspettava. Era giusto che volesse spiegazioni tanto quanto era giusto che lui non volesse dargliene: non c'era un vero perchè, una causa che l'aveva spinto a comportarsi come aveva fatto. O magari sì, ed era lui che tentava di nasconderlo.
 - Avanti, perchè ti sei offerto? - Clove aveva parlato. Anzi, sussurrato. Si era limitata a chiedere come le bambine, come aveva fatto lui la sera in Accademia quando erano diventati amici. C'era sempre chi domandava e chi rispondeva nel loro rapporto. Sempre così schematico, mai nessuno che provasse ad evadere.
 - Per vincere. Per cosa mi sarei dovuto offrire? -Bugiardo.
 - Bugiardo... - ringhia lei, come leggendo i suoi pensieri. - Avevi detto che non lo avresti mai fatto, che non avresti dato ad Axel questa soddisfazione. Allora, perchè lo hai fatto? -  e l'innocenza andava a quel paese. Aveva colto il doppio fine, anche se non aveva colto precisamente quale fosse: perchè, Cato, perchè?
 - Perchè siamo amici, no? - chiese allora lui. Lo erano? Non si sa, ma alla ragazza quella risposta parve bastare: si raggomitolò sulle gambe del ragazzo e si mise a dormire. - Buonanotte, trifoglio. - le disse lui. Un sorriso le dipinse il volto.
 - Non affezionarti, Cato. - rimurginò tra sè e sè. - Gli Hunger Games hanno un solo vincitore...-
 Erano davvero solo amici?




 
~

Skyfall is where we start; 
a thousand miles and poles apart 

when worlds collide, and days are dark.






- Tributi, il regolamento che prevedeva un solo vincitore è stato, diciamo, revocato: ci potranno essere due vincitori, purchè provenienti dallo stesso distretto. L'annuncio non verrà ripetuto. -


 Prima di riuscire a trattenersi, la quindicenne si lancia al collo del diciottenne. - Cato, Cato! Potremo vincere insieme, Cato! –
- Calma, trifoglio. Ho sentito, nel caso non l'avessi notato. - rise forte. S'era offerto per riportarla a casa, ma ora sarebbe potuto tornare con lei. Tutto prendeva senso: nero e bianco, vita e morte, sorriso e pianto. Tutto sembrava unirsi davanti ai due ragazzi del distretto 2. Gli era stato insegnato a non avere un cuore, ad ammazzare le emozioni come manichini ed esseri umani. Gli esseri umani non vanno amati, vanno uccisi. Loro sono nemici, non compagni. Loro sono ostacoli da abbattere per riuscire a coronare la gloria che si aspetta da una vita. Loro sono sassi da prendere a calci per non inciampare, alberi da abbattere per alimentare il fuoco. Così loro: amici, nulla di più. Ma era così davvero?
 - Piantala di fare il moralista per una volta! Sii allegro!  -
 - Sicura di stare bene, Clove? - chiese ridendo di nuovo. Non era da lei dire a qualcuno di essere allegro: lei era la ragazza dei coltelli, non era allegra. Lui era il ragazzo con la spada e non si innamorava mai. Ma qualcosa era cambiato, in quell’arena, da quando lui aveva coraggiosamente deciso di difenderla o di morire con lei. I vecchi Cato e Clove erano solo stereotipi, usati dai loro concittadini per definirli. Cato e Clove, gli assassini. Quelli privi di emozioni, il cui cuore batteva solo per pompare sangue al resto del corpo. Quelli che fremevano solo quando si trattava di uccidere.
Ma in quella foresta buia una luce nuova era nata: la luce di un sorriso dipinto su quelle labbra dal miglior pittore dell’Universo. Trifoglio, certo, ma fortunato come non mai perché avrebbe avuto l’opportunità di tornare a casa con l’unico che contava. Colui che si abbassa, certo, ma solo per raggiungere la bocca immacolata di Clove e poggiarci la sua.
Era un bacio atteso, desiderato.
Un bacio al momento sbagliato nel posto sbagliato.

Un bacio che li ha uccisi perché, da quel momento, nessuno dei due sarebbe uscito da lì senza l’altro.
 - Perché? – chiese lei, con una sola lacrima a solcarle il viso. Era una domanda da bambina, ingenua, stupida. Ma l’aveva fatta comunque. Ecco l’abisso che separava la Clove che era dalla Clove che era diventata.
 - Hai davvero bisogno di chiedermelo? –e un altro bacio. – Penso tu sappia già la risposta. –
 Ma lei tacque.
 Si alzò e se ne andò.
 Cato rimase lì, solo, mentre la sua compagna era seduta a venti metri di distanza contro un albero. Vicini, ma troppo lontani per abbattere quella distanza che stava spegnendo il suo fuoco. Voleva abbracciarla, stringerla, dille che era tutto ciò che contava.
 Ma non disse nulla, mentre la luna iniziava a scendere verso il lato buio del cielo.

 
 
 

You may have my number, you can take my name.
 But you’ll never have my heart.

~
Let the sky fall,
when it crumbles.
 We will stand tall or face it all togheter.

 
 
 
- Cato! –
 Clove urla al centro di quello spiazzo nel bosco. La Cornucopia la sovrasta, così come il gigante del Distretto 11, Thresh, lo stesso che ha rifiutato di unirsi ai favoriti. Quello che vuole vincere alle sue condizioni, ma uccidendo Clove. Il terrore nella sua voce è inconfondibile, irreparabile. Clove è solo un burattino, la sua vita è in balia del volere di quel gigante scuro.
 - Clove! –
 Lo stesso sentimento colora la voce di Cato. La colora di nero, di rosso. La colora di morte e di dolore. Le sue gambe corrono veloci, mentre ci ha messo un attimo di troppo a capire ciò che stava accadendo, a capire che Clove stava scappando. Provava ad inseguire la ragazza col viso volpino del Distretto 5, quella che aveva osato prendersi gioco di loro pensando di essere più astuta.
In effetti, lo è. Ma ora tutto il mondo sparisce e resta solo Clove, ridotta ad una bambola nelle mani del destino crudele che il ragazzo vorrà donarle.
 - Cato! –
È la fine, se lo sente. La fine che colorava i suoi incubi, quella tanto attesa prima e tanto temuta adesso. Adesso che il piccolo trifoglio aveva trovato qualcuno a cui volere bene davvero, che la accettava per quello che era: Clove, e non la ragazza coi coltelli. Qualcuno che non la temesse per la sua reputazione di assassina, ma che la affiancasse, diventando assassino con lei. Un qualcuno che la capisse, che riuscisse ad esplorare i suoi occhi bui alla ricerca del segreto da rivelare.
Cato. Era lui la metà che mancava a Clove per non avere più bisogno del resto del mondo. Era quella quarta foglia che avrebbe reso il piccolo trifoglio insicuro e comune un quadrifoglio fortunato e più unico che raro. L’avrebbe resa diversa, perfetta.
- Clove! –
- Corri, Cato, diamine! Corri più forte! –
Ma, più forte di così, Cato non poteva proprio andare. Le sue gambe correvano più veloce della luce, alla ricerca del punto preciso in cui Clove lo aspettava. Lo aspettava sempre, ogni notte in Accademia quando lui iniziò a farsi lasciare le chiavi e lei non si nascose più. Perché Cato era suo amico. Era il suo confidente, colui con cui parlava senza la paura che dicesse tutto in giro.
Cato non è il ragazzo con le spade. Non per lei: è di più. Lui l’ama. Non sa che prova lei, ma deve dimostrarle che quel timido bacio non è stato un errore, ma un perché. Il perché che lei ha cercato, il perché che lui ha odiato e non ha voluto darle. Il perché tanto atteso che arriva al momento sbagliato. Come ogni cosa bella.
Quando la pietra cala, un grosso dolore rende il tutto ovattato e il mondo perde importanza. Le parole che il ragazzo di colore si scambia con la ragazza in fiamme non esistono. Quando il biondo la raggiunge, lei vorrebbe solo dirgli di correre. Può ancora prenderlo, in fondo.
Ma non l’avrebbe mai lasciata. Soprattutto in un momento simile.
 - Cato, forza, vai a prenderlo! – dice, quasi pregandolo di andarsene per non vederla in quello stato.
 - Non preoccuparti, avremo tempo per ucciderlo. – le lacrime macchiano di rosso i suoi occhi azzurri, non più austeri ma vivi, coinvolti da emozioni vere.
 - Non usare il plurale, ti prego. Lo sai anche tu che sto morendo… -è il suo realismo a fargli più male: lei s’è già rassegnata a quella sorte che qualche stronzo ha scritto per loro. Il cielo è indifferente: il colore non varia, le nuvole non piangono, è come se agli strateghi non importi nulla di ciò che i loro “giochi” stanno causando.
 - Avvicinati, ti prego… -è lei a chiedere, a supplicare un saluto prima di andar via. E lui l’accontenta, si avvicina tranquillo senza pensare neppure lontanamente a ciò che sta per fare lei. Il trifoglio bacia il ragazzo che s’è abbassato senza pensarci, senza dire nulla. Quello dice tutto. Le sue dita gli carezzano il volto.
Quando la sua mano smette di tenere la guancia del ragazzo e cade a terra, Cato emette un urlo disumano.

 
 

 
 Clove giace sul prato, inerme, gli occhi di Cato fissi nella sua mente come ultima immagine.
Le iridi brune ancora colme di paura.

 
 
                                                                            

Cato sta piangendo quell’ “amica” uccisa da una pietra.
Cato è solo lo spettro del Cato di una volta.
Destinato a morire con Clove.

 

 

At skyfall.
 





















































My (little) spacee:
Ecco la mia seconda Clato, scritta assolutamente di getto xD
Io scrivo solo di getto (?)
Oh, bèh, se v'è piaciuta vi invito a lasciare un parere e a passare dalla mia long, Son of the Sea.


 


Un bascio♥
Ariii, Jared, Shannon, Tomo e Marshall♥
  
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