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Autore: Rainbow    14/06/2007    2 recensioni
Una foglia rossastra ondeggia sopra di me… zig-zaga sulla sua tomba, danza con il vento e poi dolcemente si posa sulla lapide.

[ NdAdmin: questo riassunto è stato modificato dall'amministrazione poichè non conteneva alcun accenno alla trama. L'autore è invitato a cambiarlo con uno di sua creazione. ]
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Marissa Cooper
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Foglia...

È una Marissa/Alex scritta in un momento di tristezza.

La dedico a mio nonno che ormai non è più tra noi…

 

 

 

L’ho incontrata questa mattina, alla spiaggia.

Dice di essere arrivata qui solo ieri sera.

Splendida come al solito, i capelli biondi leggermente mossi le ricadevano dolcemente sul volto, solito abbigliamento, jeans e magliettine succinti e strappati.

Inizialmente neanche avevo fatto caso a lei, mentre camminavo con Sum lungo il marciapiede. Ero impegnato ad ascoltare i discorsi della mia bella sulle scarpe nuove che le facevano male, e un’eventuale somma di denaro che il negozio doveva restituirle.

Insomma, camminavamo mano nella mano e poi sento una voce chiamarmi.

Beh, ero piuttosto basito, non mi è mai capitato di camminare per strada e sentirmi chiamare da qualcuno, specialmente se questo qualcuno è una donna. Insomma, lo sapete, non sono mai stato popolare. Anzi, tutto il contrario.

Mi sono voltato verso la spiaggia e lei era lì, seduta sul bordo della ringhiera, un enorme sorriso stampato sul volto e la mano destra che veniva sventolata in nostra direzione.

Sum si è zittita di colpo. Probabilmente ha pensato quello che ho pensato io.

Lei non sa di Marissa. Sum mi ha guardato, io ho guardato lei. Ci siamo avvicinati lentamente, quasi avessimo paura di osservare il leone anche dietro le sbarre.

Lei ci è venuta incontro festosa, al contrario del nostro benvenuto piuttosto freddo, addolorato e imbarazzato.

Sum mi ha guardato e non abbiamo avuto dubbi. Lei non sapeva nulla. Sorrideva e probabilmente si aspettava di ritrovarla, di rivederla anche solo per un istante.

Le ho chiesto da quanto era qui a New Port, ha risposto di essere qui solo da ieri sera: troppo presto. Come avrebbe potuto saperlo?

Siamo stati in silenzio dopo lo scambio di convenevoli, per Sum era uno strazio stare in silenzio, non si è ancora ripresa dallo shock per la morte di Marissa, in effetti sono solo passati cinque mesi, come riprendersi?

Per non parlare di Ryan, rinchiuso in camera sua, esce sporadicamente fuori da villa Cohen.

Per non parlare di Julie Cooper e di Jimmy: distrutti. Non voglio descrivere il loro dolore, è troppo forte e non ha bisogno di parole.

Una tragedia.

Che ha colpito tutti noi, direttamente o indirettamente.

Io avevo molto in comune con Marissa, storie dolorose alle spalle, amori impossibili, solitudine.

Purtroppo lei era una delle poche che riusciva a leggermi dentro.

Neanche la mia dolce Sum, nonostante la ami da morire riesce a capirmi come lei mi capiva. Sembravamo persone troppo distanti, troppo diverse e invece mi sono reso conto, e lei altrettanto, di quanto fossimo uguali e quanto ci stimassimo.

“Al…”

“Si?”

“Devo dirti una cosa…a proposito di…Marissa…”. Ho tirato un profondo sospiro, ho chinato il viso, non mi andava di guardare la sua reazione a quella terribile notizia.

Sum mi ha detto in seguito che si è rabbuiata, ha aggrottato la fronte ed ha aspettato con fermezza la mazzata.

“Marissa è morta…”

Non ho avuto il coraggio di continuare. Lei è rimasta immobile, gli occhi le si sono riempiti di lacrime che lei ha ricacciato dentro, come sempre restia a manifestare qualsiasi sentimento.

Le nostre emozioni in quel momento cozzavano fortemente con il tempo e l’atmosfera della spiaggia: sole, risa, divertimento. E dentro di noi un vuoto, la paura di perderci e il dolore. E poi l’enorme responsabilità di dirle che lei non c’è più, perché il destino ha deviato il suo corso e insieme ad esso l’auto su cui viaggiava Marissa.

Siamo rimasti in silenzio ancora, lei a combattere con se stessa, noi impotenti, perché nessuno può colmare il vuoto che qualcuno ti lascia, nessuno è in grado di dire nulla, soprattutto ad una ragazza innamorata, convinta di ritrovare la persona che ha amato.

E’ stato un duro colpo anche per noi. Sum è ritornata a casa, le ho tenuto compagnia, poi ho capito che dovevo lasciarla sola. Si è sfilata quelle stupide scarpe e le ha scagliate contro il muro, adirata, confusa, stordita, enormemente triste.

 

 

 

 

 

“It’s the wrong kind of place to be thinking of you…”

 

Sono qui. Al cimitero.

Percorro lentamente il sentiero che mi condurrà alla mia rovina, dritta ad una delle mie paure più grandi, dritta a lei.

Distesa dentro una bara, fredda…morta.

Mi ricaccio dentro le lacrime, tengo tra le mani una rosa bianca, ho paura di toccarla, non voglio rovinarla, voglio il meglio per lei. Anche se ormai non vede più il mondo. Non vede più me e non vedrà quella rosa.

Io odio questi rituali. Sono inutili. Portiamo fiori e parole ad una pietra, ad una lapide, nonostante la consapevolezza che solo noi siamo i destinatari delle nostre parole, e forse dovremmo imparare da ciò che diciamo in simili situazioni. Forse sono questi i momenti che ci permettono di trarre le conseguenze, ci permettono di crescere, di imparare la lezione.

Io la mia l’ho imparata. Ma ormai è inutile, non avrei dovuto lasciarla andare via. Avrei dovuto lottare. E ora il mio fallimento è pesante quanto la pietra che grava su di lei, sul suo corpo perfetto che nessuno potrà guardare, quel corpo che pian piano svanisce, perché il tempo se lo porta via, così come tutti noi, piano piano.

E’ strano. Quanto sia paradossale questa situazione. Impazzivo per vederla, ora impazzirei per trovarmi a new York, ignara di tutto questo strazio.

Mi siedo piano davanti alla sua tomba, mi faccio coraggio: allungo la mano e l’accarezzo. Come avrei potuto accarezzare il suo viso. Osservo la sua foto già sbiadita, racchiusa in quella cornice fredda e la osservo come se lei fosse viva, davanti a me e mi stesse parlando.

Poggio la rosa sulla lapide, la sistemo più volte prima di decidermi a posizionarla obliquamente, carezzandone i petali puri con i polpastrelli.

Sospiro e non piango.

Non avrei altro da offrire al silenzio che l’avvolge e sono sicura che lei non gradirebbe.

Non voglio aggiungere il mio dolore al suo, voglio che lei sia in pace, che il suo silenzio non venga turbato.

Non so quanto tempo rimango lì. Molto comunque, perché avverto che il sole sta cambiando posizione e avverto la luce rossastra avvolgermi.

“E’ morta cinque mesi fa. Un incidente stradale, dicono. Era con Ryan.”

E’ la voce di una donna, rotta e sventrata dall’enorme sofferenza. Non ho la forza di muovermi, mi sento intorpidita, impietrita come la tomba che ho davanti, qualche minuto ed alzo il viso, lentamente, debolmente.

I miei occhi incontrano quelli di Julie Cooper. Dimagrita, trascurata, distrutta.

Si piega sulle ginocchia, accarezza Marissa e poi la rosa che le ho portato. Gesti lenti, che portano tutto il peso di quella perdita, occhi vacui, vitrei, come le lacrime che da essi sono sgorgate.

“L’hai portata tu…”

Non è una domanda. E’ una dolce affermazione. Ora mi guarda. Dolce e rassicurante.

Non smette di guardarmi.

E mi sento in colpa per averla odiata un tempo. Ora non merita nulla, tranne che un po’ di pace.

Rimaniamo in silenzio, il mio cervello e le mie labbra non danno vita a nessuna risposta, neanche il minimo sibilo esce dalla mia bocca.

Sembra che la mia gola sia infestata di terra. E che io non possa neanche respirare.

Lei annuisce, mi posa una mano sulla spalla, furtiva, fugace, delicata. E poi va via.

Voglio restare sola con lei, con Marissa.

Le sorrido e finalmente mormoro, ridacchiando appena: “Vedi Mar? Non le sto così antipatica, adesso…”

Tocco ancora la pietra dura e fredda. Assottiglio lo sguardo, stavolta sento una fitta al petto e sento la gola stringersi e il mondo farsi più piccolo attorno a me.

Piango.

E le lacrime sono salate, calde, cocenti.

Piango, non so per quanto.

Solo un forte alito di vento mi risveglia. Alcune foglie verdi si muovono in una spirale attorno a me mi costringono ad alzarmi, vogliono che io mi alzi. Il vento mi ridona vita, speranza. Osservo la sua tomba, la guardo a lungo.

Una foglia rossastra ondeggia sopra di me…zig-zaga sulla sua tomba, danza con il vento e poi dolcemente si posa sulla lapide.

Una sola foglia.

Alcune lacrime bagnano ancora le mie guance, mi chino su di lei, prendo la foglia. La avvicino al viso, ne avverto il profumo. E’ il suo.

Sorrido.

Si, è decisamente il suo. Mi rialzo. Osservo quell’unica foglia secca. La tocco, sento la sua superficie: morbida, levigata. La annuso nuovamente: si, è proprio lei.

“Ciao Mar…”

Un ultimo sguardo alla tomba, un’occhiata verso il cielo, un nuovo sorriso che nasce. Saluto il cielo, le nuvole, lei, nascosta tra di esse. Eseguo ironicamente un saluto militare, porto la mano destra in fronte, poi l’allontano.

Ancora uno sguardo.

Poi riprendo a muovermi, lungo il sentiero, lenta.

La sento accanto a me.

Il suo odore si fa più forte.

Guardo la foglia. Scuoto il capo lentamente.

“Addio Mar…Libera…”.

La foglia vola via, trascinata dal venticello fresco.

La seguo con lo sguardo, poi sospiro. Coraggio Al.

Il sentiero si conclude, esco dal cimitero, abbandono quel luogo.

Su, coraggio Al.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


  
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