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Autore: Florence    15/06/2007    0 recensioni
-Vedrai un giorno riuscirai a trovare la persona giusta per te- -Ho creduto che quella persona fosse Lana, ma non potevo essere sincero con lei, e poi ho creduto che fosse Alicia, perché era come me- -Ma tesoro, non c’è… non c’è nessuno come te- -Vuol dire che sarò sempre solo- (Obsession, Smallville #314) ... ti stavo aspettando...
Genere: Romantico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Clark Kent
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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1-

Illusione-1

1- I vecchi tempi

Son of the Illusion Blog

Venerdì 10/02/2004

1 commento

“Non voglio lasciare la mia casa.

Non voglio ancora una volta dover ricominciare da zero.

Quello da cui scappiamo ci seguirà sempre e si chiama paura.

E’ inutile illudersi di essere al sicuro in un’altra casa: lei mi scoverà,

perché vive in me e di me. Perché sono io la mia paura.

Sono le cose che non posso controllare e che mi fanno sentire un mostro in fuga.

Ancora una volta la mia vita è in frantumi.

-----------

1 COMMENTS:

Mickey says:

Tutta la vita è un viaggio… traslocare non deve essere un grosso problema, il problema è trovare un altro posto dove ti possa sentire davvero a casa

Posted at: 00:15 13/02/2004

-Spiegami un po’, Pete: hai detto che sei tornato per finire il liceo a Smallville?-, quella mattina Clark era abbastanza di buonumore.

Si era svegliato prima che la sveglia squillasse ed era rimasto al caldo, sotto le coperte, osservando sul soffitto della sua camera le piccole stelle fosforescenti che andavano sparendo via via che la luce iniziava a filtrare dalle tende.

Il dolore per la perdita di Alicia non si era placato, ma quello che i suoi gli avevano detto era vero: il tempo stava iniziando a rimarginare le sue ferite, lentamente, senza che potesse realmente rendersene conto.

Si sentiva meglio, in fondo, anche se una qualche sensazione di disagio, come una flebile paura latente o forse un pensiero troppo brutto, non riusciva ad abbandonarlo del tutto: quello che sarebbe rimasto come un tarlo a rodere la sua vita era l’aver preso coscienza del fatto che, mentre lui era invulnerabile praticamente a tutto, le persone che amava, prima o poi, erano destinate a lasciarlo solo.

Una volta Jordan, il ragazzo che poteva vedere di che morte le persone sarebbero perite, aveva predetto per lui una vita immortale.

Ma Clark non poteva sopportare di poter rimanere da solo, aveva cercato volutamente di rimuovere quel pensiero, ma i vari incidenti da cui Lana, Chloe o sua madre si erano salvate, grazie al suo aiuto, e l’infarto del padre gli avevano riportato alla mente quella predizione dolorosa.

E lui non riusciva a farsene una ragione: la morte di Alicia lo aveva toccato così tanto anche per quello, perché sapeva che se ci fosse stato lui, al suo posto, ora sarebbero stati ancora insieme, come se nulla gli fosse accaduto.

Aveva provato un brivido realizzando quel concetto: “ancora insieme”.

Non aveva avuto il tempo neanche per prefigurarsi una vita accanto a lei. Il loro rapporto era stato fatto solo di attimi e di momenti vissuti di getto, istintivamente. Non si era mai fermato ad immaginare Alicia come la sua ragazza, non aveva mai pensato a quanto desiderasse starle vicino, carezzarle i capelli, perdersi nei suoi occhi.

In fondo non aveva mai neanche riflettuto se avesse davvero voluto stare con lei.

Era successo e basta, senza troppi sogni, troppe aspettative, troppe delusioni o occasioni perse.

Era successo e, drogato o no, -doveva essere sincero-, era stato stupefacente.

Sì, se Alicia non fosse morta, ora lui avrebbe dovuto rispondere alla domanda più importante: sarebbe rimasto con lei, o avrebbe continuato a sognare una vita accanto a Lana?

Era come aprire il vaso di Pandora e non riuscire a districarsi tra i mille dubbi che ne sarebbero scaturiti.

Ma la realtà, purtroppo, era diversa, e tutti i suoi poteri non erano stati in grado di salvarla. Tutti i suoi maledettissimi poteri che lo avevano sempre fatto sentire diverso, utile nel risolvere i problemi, ma tristemente diverso e lontano. Solo Alicia lo aveva capito alla perfezione.

Si era alzato piano e aveva aperto il cassetto della sua scrivania, estraendo una busta di carta gialla, che conservava sigillata ormai da giorni.

“Per Clark”, c’era scritto a stampatello con una grafia squisitamente femminile: gliela aveva consegnata due giorni dopo il funerale di Alicia la signora Baker, sua madre, dicendo che l’aveva trovata tra le cose della figlia, e che aveva voluto darla a lui senza aprirla.

Clark aveva preso un grosso respiro, rigirando tra le mani la carta ruvida che sapeva aveva toccato anche Alicia, si era fermato un istante a pensare e poi l’aveva aperta, seduto sul suo letto.

Dentro c’erano una lettera, chiusa in un’altra busta più piccola, di carta rosa, sempre indirizzata a lui, un floppy disk e alcuni fogli stampati e piegati a metà.

Il foglio sottile e liscio della lettera, se faceva attenzione, conservava ancora il suo odore: una nota sottilmente fiorita mista all’odore della carta e dell’inchiostro del pennarellino nero, con cui aveva scritto.

“Mio caro Clark,

è quasi un anno, ormai, che sono chiusa in questa clinica nella quale mi sento, ora più che mai, davvero in trappola. Non credo che potrò uscire da qui molto presto, anzi, è probabile che io rimanga qua finché tutti gli studi su di me, sul mio corpo e la mia psiche, non saranno completati; ma i risultati che questi “cervelloni” credevano di ottenere in breve tempo, purtroppo, sono ancora lontani.

E’ quasi un anno, quindi, che non ti vedo, nonostante ogni giorno che passi io non possa fare a meno di pensare a te. So di aver sbagliato a comportarmi come mi sono comportata, e so di aver perso forse l’unica cosa bella che questa mia vita disastrata mi aveva concesso: tu, la tua solare presenza, la tua amicizia.

Avrei dovuto capire che dovevo accontentarmi di quella, e invece ho preteso che tu fossi per me amico, salvatore e amante, perché, te lo giuro, non ho mai trovato una persona che fosse anche solo lontanamente come te.

Ora qua in clinica mi hanno privato della mia capacità di teletrasportarmi… credo che sia stato in buona parte perché temevano che potessi tornare da te, ad importunarti, a fare altre pazzie: non possono sapere, loro, che la vergogna che provo nei tuoi confronti, verso Lana… verso tutti è così forte che non credo che potrei tornare da te, con la mia faccia, e guardarti ancora negli occhi, sapendo il dolore che ti ho causato.

Io pensavo che fosse stato il destino a farci incontrare, noi, due persone così simili, con i nostri poteri così diversi, ma con lo stesso peso sul cuore, la stessa paura di non essere accettati per quello che siamo dalle persone che ci circondano, che amiamo.

Avevi ragione, Clark: è davvero difficile accettare che gli altri ti guardino come un mostro, che non possano fidarsi di te, perché ai loro occhi sei diverso. Che questa diversità sia usata per fare del bene, come fai tu nell’ombra, o per uccidere, come ho tentato di fare io con la ragazza che ami, è indifferente agli occhi degli altri: siamo diversi e tali rimarremo.

In questo mesi ho cercato su riviste e da internet (quello almeno me lo lasciano usare, anche se mi hanno bloccato le mail e ogni modo di comunicare con l’esterno) testimonianze di altre persone “diverse”, come noi: ce ne sono tante, Clark, alcune che soffrono, altre che hanno saputo fare della loro diversità una forza.

Credo che dovremmo prendere esempio da loro e cercare di accettarci noi per primi per quello che siamo, perché non abbiamo scelto di essere diversi, e non è giusto che gli altri ci discrimino per questo.

Ci sono tante persone che soffrono nel loro intimo e non si accettano, altre che, come facevo io, si isolano dal resto del mondo. Altre ancora che sfruttano i loro poteri per fare soldi, e questi sono i più deprecabili. Poi ci sono quelli che hanno capito che per essere accettati dovevano mostrarsi al mondo e far capire che sono loro, per primi, le vittime, ma che vogliono mettere le loro capacità al servizio degli altri, oppure vogliono che tutti le conoscano per essere aiutati.

Io ora vorrei essere aiutata: quello che mi fanno i medici, qua, è solo terrorismo psicologico e fisico. Non ne posso più di rimanere qua dentro, loro non si fidano di me: io sono davvero guarita, ormai, e non potrei più rifare quelle cose orrende che ho fatto a te, o a mio padre, o a Lana, perché ho capito che a far soffrire chi si ama, si soffre ancora di più noi stessi…

Chissà se questa mia lettera ti arriverà mai, Clark… se riuscirai a leggerla, ti prego, leggi le testimonianze che ti ho preparato e guarda con i tuoi occhi quanto può essere diversa la nostra vita solo prendendo la scelta giusta.

Probabilmente invecchierò, qua dentro, e non rivedrò mai più i tuoi occhi limpidi... ma ti prego, promettimi che rimarrai sempre così, leale e onesto come sei ora e che non lascerai che i tuoi poteri ottenebrino quello che di lucente c’è dentro al tuo cuore.

Ti voglio bene.

Alicia”

Clark aveva stretto la lettera in una mano, trattenendo in silenzio le lacrime che prepotenti volevano uscire dai suoi occhi, insieme al rimpianto per averla persa senza dirle quello che provava davvero per lei: se solo avesse saputo come aveva passato quei mesi lontana da casa, se solo avesse chiesto di lei, avesse provato ad impedire che il suo nome fosse sporcato irrimediabilmente da quel terribile errore che aveva commesso. Se solo avesse capito subito quanto disperato fosse il grido d’aiuto di Alicia Baker, la ragazza che tutti evitavano, la snob che preferiva starsene da sola, la dolcissima Alicia che aveva lasciato alla porta della sua casa, la sera che erano andati al cinema insieme e che voleva solo essere compresa e aiutata.

Aveva messo via la lettera con cura asciugandosi col dorso della mano una lacrima che era scivolata lungo la sua guancia e aveva dato un’occhiata alle stampe che erano nella busta.

C’erano foto e articoli di giornale su “freaks” non di Smallville, vite devastate dall’azione dei media e degli “specialisti”, testimonianze di anonimi “diversi”.

Clark era rimasto colpito da un pezzo, forse tratto da un blog, scritto in prima persona, amaramente decadente e disilluso, la summa del suo stato d’animo in quel periodo in solo cinque parole: “Sono io la mia paura”.

Era proprio così: la paura di non sapere quali fossero i suoi limiti, questo era quello che terrorizzava Clark.

Ma Pete era tornato e questo piccolo gesto l’aveva tranquillizzato un po’, distogliendolo da questi tristi pensieri. Con lui poteva essere se stesso e non preoccuparsi di mostrare la sua forza, né le sue debolezze o le sue paure.

Aveva ripiegato con cura i fogli e messo il floppy nella borsa della scuola, per consultare il suo contenuto dai pc del Torch.

Si era preparato in fretta facendo una doccia veloce, poi lo aveva raggiunto fuori di casa.

-Certo che sono tornato per finire il Liceo! E per cos’altro? Per farmi un giretto sulla tua astronave?-

Da quando Pete conosceva il suo segreto, non aveva avuto problemi a parlargli schietto, e questo faceva bene ad entrambi, nutrendo la loro complicità di vecchi amici.

-Sono sicuro che è più veloce di questa vecchia carretta!-, rispose Clark, salendo sulla vecchissima Ford blu cobalto che Pete aveva ripreso a Smallville. Dopo il fallimento della “Ross Creamed Corn Factory”, e il divorzio, suo padre non poteva più permettersi la vita lussuosa e alla moda nella quale Pete era cresciuto.

-Sarà lenta, ma almeno è più comoda del bus della scuola, e poi possiamo parlare un po’ in santa pace, no?-

Clark apprezzò le parole di Pete e dopo qualche minuto si decise a porgli la domanda che gli frullava in testa dalla sera prima.

-Come mai hai deciso di tornare, Pete? Non lo fai per me, spero, perché io sono capace di…-

-Lo faccio per me, Clark. Sono praticamente scappato da Smallville perché avevo paura di non essere in grado di proteggere il tuo segreto e avevo una fifa matta di quello che avrebbero potuto farmi per conoscerlo. Poi, in questi mesi accanto a mia madre, ho finalmente capito quale sia il vero coraggio-, sorrise pensando alla madre e riprese.

-Sai… il mese scorso qualcuno ha iniziato a farle telefonate anonime e a minacciarla se non avesse favorito l’imputato ad un processo. Parlo di roba grossa, Clark -, Clark annuì, aggrottando le sopracciglia preoccupato da ciò che Pete stava raccontandogli.

-Le avevano assegnato una pattuglia di scorta che l’avrebbe seguita e protetta ventiquattro ore su ventiquattro, ma la mamma ha preferito rinunciare perché sapeva che io avrei vissuto come un animale in gabbia. Capisci Clark? Ha deciso di rischiare la sua vita per non interferire nella mia e allo stesso tempo è stata imparziale e inflessibile al processo, senza cedere ai ricattatori. Lei è una donna normale, Clark, non ha i tuoi poteri, eppure è stata coraggiosa… -, gli occhi di Pete luccicavano d’orgoglio e affetto.

-Se me ne vado, ho pensato, magari lei accetterà la scorta. Per questo sono tornato a Smallville. Non potevo mettere in pericolo la vita di mia madre. Lei è stata così grande…-

-E tu sei stato grande con il mio segreto. Sai Pete, ti trovo davvero cresciuto. La tua permanenza a Wichita ti ha fatto maturare-, disse Clark sorridendogli.

Pete fermò l’auto nel parcheggio della scuola e i due si avviarono verso l’ingresso. Un gruppo di studentesse dei primo anni li sorpassò in un turbine di capelli al vento e profumi.

-Ragazze di Smallville, tremate! Pete il Conquistatore è tornato!!!-, esclamò Pete, entrando glorioso dopo mesi nel suo Liceo.

“Come non detto!”, pensò Clark sorridendo e ripensando ai vecchi tempi.

Il preside aspettava Pete per un breve colloquio e per sbrigare alcune formalità per la sua riammissione (accelerata dalla richiesta del Giudice Sarah Ross) e così Clark, rimasto solo, si diresse al suo armadietto per riporre giacca e zaino.

In fondo al corridoio c’era Lana: non si erano più sentiti da prima dell’aggressione a Jason, nel vicolo dietro al Talon. Entrambi si erano schierati contro Alicia, ritenendo Clark uno stupido a credere che lei fosse davvero cambiata e ancor più stupido ad essere fuggito con lei a Las Vegas, per le loro nozze lampo, dopo aver tentato di ammazzarla solo un anno prima e averci riprovato cercando di soffocarla nella vasca.

Lana lo scorse da lontano, rimase per un po’ indecisa, poi si voltò e entrò in classe.

Clark sospirò abbassando il capo e prese i libri.

-Ehi, campione! Hai visto chi è tornato tra noi?-, Chloe sapeva apparire sempre quando Clark meno se lo aspettava e puntualmente nei momenti in cui avrebbe voluto stare da solo.

Le sorrise tristemente annuendo e chiuse a chiave l’armadietto.

-Clark, mi trovi al Torch… per ogni cosa, sono lì. Se ti va di parlare un po’… insomma, sappi che io ci sono-, gli sorrise e sparì, così come era arrivata, stracarica di libri, borse e riviste, con un bicchiere di caffè bollente in mano.

Nelle ultime settimane Clark si era rassegnato al nuovo amore di Lana per Jason, aveva ritrovato in Alicia un’amica, era stato drogato, era scappato con lei a Las Vegas, si era sposato, aveva piantato “sua moglie” dopo meno di un’ora, l’aveva vista sacrificarsi per mantenere il suo segreto e solo allora aveva capito quanto lo amava, aveva letto nei suoi occhi la sofferenza per l’emarginazione e sapeva di non esserle stato vicino. L’aveva trovata morta appesa ad una corda e l’aveva pianta con tutte le lacrime che aveva. Aveva provato un odio incontenibile per il suo assassino e solo grazie ad un’amica si era trattenuto dall’ucciderlo.

Si era fatto schifo.

Aveva rifiutato l’affetto dei suoi genitori, degli amici e si era punito per non avere saputo salvare Alicia.

Ma nessuno dei suoi cari lo aveva abbandonato.

Ora era tempo di andare avanti.

   
 
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