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Autore: aki_penn    28/11/2012    1 recensioni
Abigail è ricca e famosa, ma questo non le ha dato abbastanza sicurezza da avere rapporti umani soddisfacenti con l’altro sesso. Russell è un amante dell’heavy metal pacato e animalista al quale tocca far finta di idolatrare satana e farsi fustigare (veramente) durante i concerti, sotto consiglio del proprio agente, che tiene all’immagine rude della band.
Lydia è il deus ex machina in stivali di gomma che li farà incontrare.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Non so cosa mi sia venuto in mente, ho già due fics all’attivo e con le originali sono un po’ arrugginita, ma volevo proprio scrivere questa cosa. L’idea mi è venuta leggendo in qua e in là pezzi d’interviste ad attori che lavorano a serie di film(sì, Harry Potter, ad esempio), ovviamente ogni riferimento a ogni persona realmente esistente è puramente casuale, se avessi voluto scrivere qualche cosa parlando di questi attori in particolare non avrei scelto la sezione “Originale”, questa è stata l’idea di partenza e poi è arrivato tutto il resto.
Prima che iniziate vi dico che, sì, lo so che ho già parlato di gente che si tatua cose strane in posti strani, ma non ho potuto resistere!
(Il modo il cui si parla di deus ex machina è un po’ di banda larga, spero non vi formalizzerete. XD)
Ultimo ma non ultimo : Non prendete sul serio questa storia, perché proprio non lo è!
In ogni modo spero che la storia sia almeno un po’ di vostro gradimento, grazie per aver letto!
Aki_Penn
 
 
Abigail è ricca e famosa, ma questo non le ha dato abbastanza sicurezza da avere rapporti umani soddisfacenti con l’altro sesso. Russell è un amante dell’heavy metal pacato e animalista al quale tocca far finta di idolatrare satana e di farsi fustigare (veramente) durante i concerti, sotto consiglio del proprio agente, che tiene all’immagine rude della band.
Lydia è il deus ex machina in stivali di gomma che li farà incontrare.
 
 
Dreaming Drusilla
 
Capitolo Primo
 
La scommessa dei Deus ex Machina

 
Lydia Bennett attraversò il sentiero tra i campi con inaudita velocità, nonostante avesse quasi sessant’anni era ancora un tipo piuttosto energico. Indossava una tuta blu un po’ sporca, degli stivali di gomma verdi piuttosto vecchi e pigiava sui pedali come una matta, mentre il mazzo di fiori che aveva raccolto rischiava di spettinarsi al vento. Faceva caldo quel giorno, sotto il sole, fu quasi un sollievo arrivare infine alla grande casa colonica che se ne stava in mezzo ai campi, con un giardino d’erba rigogliosa e pini sempreverde. Smontò dalla bici con un salto e la condusse a mano fino ad arrivare all’ingresso principale. Il cavalletto era rotto come al solito, così l’appoggiò alla parete intonacata della casa. A vederla da fuori sembrava una casa elegante, ma era solo potendovi entrare che si capiva fino a che punto lo fosse.
Lydia si disse che doveva essere diventata proprio una signorotta a preoccuparsi di appoggiare la bici in piedi, invece di lasciarla per terra nel ghiaietto come faceva fino a qualche anno prima. Afferrò il suo mazzo di fiori di campo e si avviò verso l’ingresso con il suo passo da papera, mentre un solerte maggiordomo la guardava dall’uscio. A occhio e croce, Lydia avrebbe detto avesse seicento anni.
“Buongiorno Alfred!” esclamò allegra, rallegrandosi della frescura di cui poteva godere stando all’ombra, con tutto quel pedalare sotto il sole aveva iniziato a sudare.
“Buongiorno signorina Bennett” la salutò, educato, l’uomo, mentre Lydia gli appuntava un fiore al bavero “C’è, quella là?” domandò intenta a lambiccare con la giacca del maggiordomo.
“Certo” rispose lui, impassibile “La sta aspettando, ha fatto preparare il tea delle occasioni speciali” spiegò, senza guardarla. Lei si mordeva la lingua senza ascoltarlo davvero.
“Mi chiedo perché mai tutti i maggiordomi si chiamino sempre Alfred” disse tra sé.
“Io mi chiamo Richard” fece l’uomo, gelido. Lydia rimase con le mani a mezz’aria, per poi alzare le spalle e dire “Beh, allora vedrò di ricordarmelo!” esclamò, non troppo preoccupata dei sentimenti dell’uomo.
“La signora è nella stanza del tea, vuole che l’accompagni?” domandò zelante. Lydia arricciò il naso e mosse la mano come per scacciar mosche “Macché, so dov’è!” e sparì saltellando su per la scala.
Come aveva detto l’uomo, Carol Bennett la stava aspettando nella stanza del tea, vestita elegante, con una giacca, nonostante facesse caldo, e un filo di perle al collo. Nonostante avesse superato la cinquantina rimaneva ancora una bella donna, sicuramente più bella di sua sorella Lydia, sulla quale svettava di svariati centimetri.
“Ehilà!” esclamò la maggiore delle due, sedendosi su una delle seggioline violette in ferro battuto che sarebbero state bene in una casa di bambole.
Carol sorrise, inclinando un poco la testa da una parte, mentre una cascata di capelli biondi le ricadeva sulle spalle. Erano state quasi bionde entrambe, da giovani, superata la cinquantina avevano iniziato a tingersi entrambe dello stesso colore.
“Siediti, che il tea si raffredda, ci sono anche i biscotti al cioccolato”
“Che carineria, mi sembra di prendere il tea in una bomboniera. Cos’è quella piantina?” domandò poi, notando un vegetale in vaso che le sarebbe valso una qualche procedura penale, se fosse stato visto dalle unità speciali antidroga.
Carol sbuffò “Cosa vuoi? Pensavo di metterci qualche pallina decorativa per camuffarla” aggiunse.
“Peccato che il Natale sia lontano” fu il commento di Lydia, che alzò le sopracciglia, eloquente, assaggiando un biscotto.
“Non ti lamentare, è grazie a lei che oggi abbiamo il nostro tea speciale!” aggiunse.
“Uh!” esclamò Lydia colta di sorpresa “Richard mi ha detto qualche cosa a riguardo”
“Richard?”
“Il maggiordomo”
“Si chiama Alfred”  la redarguì Carol. “E va bene, chi se ne frega” fu il commento finale della maggiore, che proprio non aveva voglia di stare a discutere di domestici.
“Pare che il mio nuovo libro avrà una trasposizione in film. Vietato ai minori dei diciotto anni” esclamò allegra.
Lydia scrutò la sorella “Vestita così sembri una persona per bene, nessuno direbbe che scrivi porno-splatter”
“Nessuno direbbe che ho Jack tatuato sul sedere” aggiunse Carol.
“Quello ce l’ho anche io” commentò Lydia, un po’ scocciata.
“Bastardo” fu il verdetto della minore delle due. Lydia annuì d’accordo.
“Sceglierai personalmente gli interpreti del film?” domandò poi, parlare di Jack non era più molto importante per nessuna delle due. Carol scosse la testa “Non sono mica come te, che metti becco ovunque. A me non frega niente, che ci mettano chi vogliono. Tanto non andrò a vederlo”
Lydia sbuffò “Non ti capisco. Io ho trovato un tipo carino per il mio Tracy”
“Sarebbe?” domandò Carol con aria disinteressata, inzuppando un biscotto nel tea.
“Russell Clark!” esclamò Lydia raggiante “ci siamo conosciuti per caso in un bar”. Carol arricciò il naso “Non ho la più pallida idea di chi sia, questo tizio”
“La voce dei Devil’s Slaves!” fu l’ovvia spiegazione, Carol arricciò il naso. “Ma è un mezzo satanista!”
Lydia sbuffò, come a darle della bigotta “Io l’ho trovato un tipo squisito, di sicuro più distinto di te, coi tuoi tatuaggi da camionista. Lo so che è per nasconderli che stai sempre con la giacca anche in estate”
Sua sorella distolse lo sguardo “Bah. Mi piacciono le giacche”
“Non ci crede nessuno” ribatté la più vecchia, e rimasero zitte per un po’ a mangiar biscotti.
“Come sta andando il tuo libro?” chiese poi Carol, senza guardarla, lei aveva parlato del suo, era giusto che anche Lydia le dicesse come stava procedendo la sua scrittura.
“L’ho finito” rispose l’altra, con noncuranza. “Oh, bene, credo che dovresti dirlo alla tua casa editrice, dato che nell’ultima settimana mi hanno chiamata dodici volte per sapere se eri fuggita alle isole Cayman”
“Mi piace farli dannare” commentò soddisfatta, ghignando.
“Immagino, dovrò cambiare numero di telefono, per colpa tua”. Lydia non sembrò preoccupata.
“E quindi hai finito anche il nono”
“Mica come te” fu la risposta.
“Per la miseria, io non ho una serie di libri per bambini di dodicimila volumi, scrivo porno-splatter” brontolò Carol, piccata.
“Se ho appena detto che sono al nono” borbottò Lydia, sputacchiando biscotti.
“Era per dire, lo so, li ho letti e ci ho scritto delle fanfiction porno-splatter. Secondo me, dovresti mettere del porno splatter anche tu, nel tuo Dreaming Drusilla, rinnovarti” azzardò Carol. Lydia alzò gli occhi su di lei “Porno splatter? Per bambini?” fece con una nota ironica.
Carol scosse la testa “Uccidi il tuo personaggio migliore e io scriverò il miglior romanzo per ragazzi degli ultimi anni”
“Ma per favore!” esclamò Lydia sbattendo la mano sul tavolino da tea, rischiando di ribaltare la teiera “Non scherzare, dovrei cambiare il mio libro e uccidere qualcuno? E tu scriverai una storia per bambini? E perché? A te piace il sangue”
“E’ una scommessa, Lydia! Come quando abbiamo scommesso a chi avrebbe conquistato Jack!”
“Infatti è finita benissimo” considerò Lydia scettica.  Carol sbuffò “Allora non giochi?”
“Sì. Cambia numero di telefono, non mi troveranno per un po’”
Carol ghignò. “Brindisi?”
“Con il tea?”
“Perché no?”
“E vada col brindisi”
 

***

 
“Da quello che ho capito c’è stato un po’ di malcontento per il mancato sacrificio umano, ma con la tua fustigazione finale hai reso felici quasi tutti i tuoi fan”  spiegò Eric, pratico.
“Ah, bene, proprio bene” fu la risposta biascicata da Russell, con la faccia schiacciata sul lettino d’ospedale, con le lacrime agli occhi, mentre l’infermiera lo medicava. Il ragazzo strizzò gli occhi cercando di non urlare, mentre la donna gli passava il disinfettante sulle ferite. Fu in quel momento che Eric si accorse dello sforzo che il ragazzo stava facendo per non gridare, probabilmente, proprio in quell’istante, si stava rendendo conto che farsi fustigare dal vivo, davanti a centinaia di fans, non fosse stata una buona idea. Farsi fustigare in generale, non era stata una buona idea, indipendentemente dai fans.
“Io te l’ho detto che dovevamo usare l’idea della capra, per finire in bellezza il concerto” sbottò a quel punto Eric a sua discolpa, come se Russell lo avesse accusato di qualche cosa.
“Ti ho detto che io…” ringhiò, mentre l’infermiera ritraeva il batuffolo di cotone dalla sua schiena e mimava uno scusa con le labbra.
“Ti ho detto che io una capra non la sgozzo” piagnucolò Russell, passandosi l’avambraccio sul volto sudato.
“Già, il WWF avrebbe fatto storie. Stronzi!” fu il commento aspro del suo agente, che si mise a sfogliare un fascicolo che aveva sulle gambe.
“Chi se ne frega del WWF, non sgozzo le capre e basta” ringhiò Russell con le faccia praticamente dentro il materasso.
“Beh, allora spero proprio che Lady Revenge si sia divertita a fustigarti” ribatté Eric, piccato, a lui piaceva l’idea della capra, ma nessuno gliela aveva appoggiata, stupidi animalisti! Russell strinse i denti e tremò, mentre l’infermiera ritraeva di nuovo le mani.
“Comunque, dato che adesso hai finito il tour – col botto direi- credo che…” cominciò alzando il dito indice in aria con l’espressione di uno che sta per svelare l’idea del secolo.
“Non mi interessa” biascicò Russell. Fu come se Eric avesse preso un pugno nello stomaco. Sgranò gli occhi e si strinse nella sua giacca verde pisello, piuttosto in contrasto con i pantaloni neri e gli anfibi del ragazzo che gli stava davanti.
“Eh?”
“Ho già trovato cosa voglio fare, da solo. Non c’è bisogno che tu me lo dica” borbottò, non aveva più la faccia ficcata nel materasso, ma teneva il viso strategicamente voltato verso l’infermiera, in modo che il suo agente non potesse vederlo.
“Vuoi prenderti una vacanza Russell? Dovrai parlarne coi Devil’s Slaves, ma sono sicuro che non ci saranno tanti problemi se non ti assenti per più di un mese da lavoro. Dovete iniziare a produrre un nuovo album al più presto. Dirò a Lady Revenge di iniziare a scrivere qualche testo. Nel frattempo diremo che sei andato in Tibet per sterminare un gruppo di eremiti” snocciolò in fretta l’uomo, che non era tipo da farsi prendete impreparato.
“No!” esclamò il ragazzo, esasperato, mentre l’infermiera sobbalzava spaventata.
“Che cosa mi dovrebbero aver fatto gli eremiti tibetani, tra le altre cose?”
“Mica ci devi andare veramente, è per il pubblico” lo rimbeccò Eric, tornando alle sue scartoffie “E comunque, dov’è che vuoi andare in vacanza?” chiese poi, sinceramente curioso.
“Non voglio andare in vacanza. Mi hanno proposto di apparire in un film” ammise infine.
“Oh, bello, la strada del cinema deve essere un’altra buona chance per te. Quindi? Un bell’horror? Magari un thriller? Adoro le storie di investigatori, magari un po’ buoni, un po’ cattivi che…” cominciò a blaterare l’uomo, mentre i riccioli, che erano stati fermati col gel attaccati alla testa, cominciavano a riprendere vita.
Dreaming Drusilla, ho conosciuto l’autrice dei libri. Ha detto che mi vuole per fare Tracy” biascicò. Ne seguì un lungo silenzio, durante il quale perfino  l’infermiera se ne rimase immobile, imbarazzata.
Dreaming Drusilla. È una serie di libri per bambini. Dimmi Russell, ci vuoi rovinare?”

 
***

 
Abigail si sedette sulla valigia, o meglio, vi si lanciò con tutto il suo peso, mentre sua madre la seguiva a ruota, cercando di chiudere i ganci.
“No no no!” strillò il signor Bone rialzando la figlia con uno strattone. “Così la rompi! Questa l’abbiamo usata io e tua madre per il nostro viaggio di nozze!”
Abigail si passò una mano sulla faccia, lo sapeva. Glielo avevano raccontato decine di volte, ma la quantità delle volte in cui veniva ripetuta quella storia non la rendeva una valigia migliore.
“Non si chiude perché è troppo piena” sentenziò suo padre, sistemandosi gli occhiali. Anni di viaggi non avevano fatto cambiare di nulla il momento della valigia, durante il quale tutta la famiglia doveva venire a metter becco.
“Non si chiude perché è rotta!”
“Non dire sciocchezze, io e tua madre siamo arrivati fino in Messico, è la valigia migliore del mondo”
“Negli anni ottanta non lo metto in dubbio. Perché non posso usare il trolley a pois?” domandò Abigail esasperata, ventiquattro anni e nemmeno un po’ di autonomia nel fare le valige.
“Non scherzare, quel cosino si romperebbe subito nella stiva di un aereo”
“E’ una valigia, è fatta per essere usata in aereo!” ribatté Abigail a braccia conserte. Il signor Bone scosse la testa mentre sua moglie, in ginocchio sul pavimento, esclamava “Invece di stare a discutere, togliamo un po’ di roba, che poi è troppo pensante e non riesci a portarla!”
“Mamma, già non c’è niente! Quella valigia, da vuota, è già pensante!”  strillò Abigail esasperata, ma i suoi genitori non la stavano già più ascoltando.
“Cosa te ne fai dei trucchi? Tanto hai dei truccatori!” esclamò la signora Bone, estraendo il beauty case e mettendolo da una parte.  “Se esco la sera non avrò un truccatore che mi segue per truccarmi” ribatté sua figlia, cercando di essere ragionevole.
“Tesoro, dovrai rinunciare pure a qualche cosa. Non ti puoi portare la casa in valigia” disse sua madre, con il tono di chi sta parlando a qualcuno con evidenti problemi di comprendonio.
“Piuttosto, le hai delle scarpe che non facciano passare l’acqua?” domandò suo padre, arcigno. Abigail annuì “Sì, quelle da ginnastica nere”
“No, quelle non tengono niente, ti ricordi quando siamo andati a casa della zia e ti è entrata l’acqua nelle scarpe?”
“Sono finita dentro a un ruscello, per forza!” strillò Abigail rossa in volto, ormai al limite.
“Mettili in valigia, Geena” disse serio il signor Bone, passando a sua moglie un paio di stivali di gomma “Ce li facciamo stare, sono importanti. Togli quelle scarpe aperte col tacco che non servono a nulla, non tengono di certo l’acqua”
“Ma…” cercò di dire la ragazza, ma le scarpe stavano già volando via.
“Di reggiseni ne bastano due, uno nero e uno bianco e non se ne parla più”
“Ma se mi metto una maglia senza spalline si vedono”
“E tu non portarti queste cose inutili! Devi essere pratica!” esclamò sua madre, che stava iniziando a perdere la pazienza.
“Spero che tu abbia una giacca che faccia del caldo. Con tutti quegli spolverini che hai ti prenderai un accidente” continuò suo padre con le mani sui fianchi.
Abigail prese un lungo respiro “Potrei, per favore, fare la valigia da sola”
“Tesoro, stiamo solo cercando di aiutarti” fu il commento un po’ insofferente di sua madre. Non c’era nulla da fare, la fama, il lavoro e il soldi non avrebbero mai potuto niente davanti ai suoi genitori, le sue opinioni rimanevano frivole e prive di significato, di questo, ormai, Abigail ne era certa.
La protagonista di Dreaming Drusilla si sarebbe presentata sul set con le calosce e una valigia riesumata dagli anni ottanta, la più scomoda e pesante mai prodotta, come tutti gli anni.
 

 
   
 
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