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Autore: Artemisia89    15/06/2007    6 recensioni
In Memoria di Micòl Finzi-Contini.[Memoriale nel vento]
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho cambiato idea: adoro Bassani.

 

In memoria di Micòl Finzi-Contini.

 

 

[Aveva i capelli biondo cenere]

 

 

La figurina stretta nell’abito consunto, scuro, strappato in alcuni punti e palesemente sporco, si piegava discreta alla pioggia sottile. La morte, la fatica, il dolore. Erano diventati tutti termini senza importanza per lei. Tutto il suo essere verteva su un unico perno. La memoria. Alzò gli occhi azzurri sulla cortina che circondava tutti quanti, lì dentro. Ricordare la sua nebbia, la aiutava ad andare oltre quella nebbia.

 

I sette sapienti, i miei sette giganti. Com’erano belli e maestosi quando il sole tramontava e tutto sembrava infuocarsi. Solo in quell’ora, solo in quella stagione. C’era il profumo del giardino ad inebriarmi tutta. Quella era casa mia. Solo mia. Le ore trascorse a guardare fuori dalla finestra, nell’alba, la nebbia che si ritirava come uno spirito: abbandonava i rami degli alberi, le foglie infreddolite dalla rugiada. Ed io, invece, al caldo, nel mio letto. A sorridere misteriosa ai miei cristalli opalescenti, nella mia stanzetta da borghesina. Ebrea. Fa silenzio, non dirlo. Non ne vale la pena. Se vuoi starmi accanto, se vuoi ascoltare, devi stare in silenzio. Qui tutti la ripetono, quella parola. Ce la sbattono in faccia ogni giorno, ogni santissima ora. Ebrei, Ebrei. Juden!

 

Alza gli occhi verso il cielo. Se spinge lo sguardo in alto, lontano, riesce a catturare l’azzurro. Il colore intenso, quello che i poeti vanno cantando. Gli sovviene nella mente il pensiero di un nome canzonato, di qualche risata, di qualche sguardo complice. Le labbra si piegano, tristi. Ha freddo.

 

Celestino. Perché aveva gli occhi tanto azzurri. E perché non rifiutò mai, era come uno scherzo, capisci? Lui, al contrario di quel Celestino, non rifiutò di starmi accanto. Lo sapevo quant’era difficile starmi dietro. Con tutti i miei castelli di parole, le mie fughe, i miei capricci. Forse non glieli ho visti mai, gli occhi suoi, mentre mi baciava. Non li volevo guardare, quegli occhi, intorbiditi dal desiderio bruciante che aveva per me. Puri dovevano restare. Ed è stato un bene. Adesso solo quelli mi sono rimasti. E me li tengo cari, li custodisco nel cuore.

 

A guardarla, non vedi che una creaturina. Troppo eterea per tutto questo posto. Sembra fumo, con quei capelli biondo cenere, e quegli occhi azzurro spenti. È così magra che ti viene la paura che il vento la porti via. Ma non ci sarà nessun vento a soffiarla fuori da questo inferno. Non da viva, almeno.

 

A me non importava nulla del mio futuro. Tanto sapevo già come sarebbe andata a finire. C’era altro a cui pensare, c’era il "pio" passato, il presente dorato a consolarmi. E poi c’era la lontananza da te, a gravare già abbastanza, il cercarti e non volerti del mio animo dilaniato. Vienimi a prendere, o lasciami morire. Eppure se lo facessi, ne morirei comunque. Ho paura di sparire. Dio sa, Lui solo. Non ti dimenticare di me. Temo che non ci sia più molto tempo per noi, qui. Hanno portato via nonna Regina prima di tutti gli altri, l’hanno trascinata insieme ad altri vecchi in una stanza, e poi non ne abbiamo saputo più niente. Qui le coscienze si annullano, anche la poesia viene dimenticata. Vieni dolore, vieni. Non sfuggire anche tu, ricordami che sono stata una donna. Ricordami della mia tesi sulla poetessa inglese, della lode non ottenuta, rammentami quel bacio, nel buio, così, all’improvviso, come una sferzata sulla schiena. Simile forse lo schiocco? Parlami di Ferrara, della nostra, bella, triste e raccolta Ferrara. Parlami delle puttane che non ho mai visto, dei ponti che non ho attraversato. Di quella scala che restava vigile e discreta sotto il muro del giardino. E l’edera, che era pari al tuo amore. Rampicante, selvatico a tratti, come il mio, disperato. Incontrollabile. Avessi avuto la forza di darmelo, quel bacio che avrebbe potuto interrompere tutta la mia insulsa e insensata e vuota corrente di parole che urlavo, spavalda, deridendo tutto, tra i colpi sordi della palla sulla racchetta e sulla terra rossa. Avessi avuti la forza, forse, sarei morta con la completezza nel cuore. Ma è così che è andata. Viviamo di infinita ricerca, moriamo di incompiutezza. Ma possiamo ricordare, ed essere ricordati. Ti prego. Ti prego. Ti prego. Ricordati di noi. Di noi che hanno messi tutti in fila. Parlano delle docce. Eppure non sono sporca, non mi sento davvero sporca nell’animo. Mi sembra di brillare, come se fossi dotata di luce mia, mi sembra di sentire, i pensieri tuoi, mi sembra di sentirmeli addosso, come se mi stessero mondando, stessero lavandomi da tutti gli sbagli che ho fatto. I pensieri come le tue mani, quella sera, prima di cena, in camera mia. I pensieri come le tue labbra instancabili e dolci, vellutate, consolatorie. Commosse. Mi giro un’ultima, sola volta per guardarmi indietro, come non ho fatto mai in tutta la vita mia. A guardare ancora l’azzurro, e la nebbia, a pensare a Ferrara, a pensare a te. Accompagnami. Perdonami. E ricordati.

 

 

[Alla fine ne rimase solo cenere]

  
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