Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: nightswimming    29/11/2012    12 recensioni
Allargò le braccia e chiuse gli occhi.
“Pietre nelle tasche. Che cosa digustosamente letteraria.”
Magdalena sobbalzò e per poco non perse l’equilibrio. Mulinò le braccia, cercando disperatamete di ribilanciarsi, il cuore che le batteva a mille nelle tempie.
“Chi è lei?” urlò, la paura che le sfondava il petto. Non si fidava a sufficienza delle proprie capacità motorie per provare a girarsi e fronteggiare lo sconosciuto.
Cristo, doveva darsi una calmata. Stava per uccidersi – che senso aveva agitarsi così?
“Sherlock Holmes,” rispose la voce, in tono monotono e indifferente. Come se parlare con un’aspirante suicida in bilico sul muro di protezione di un ponte fosse ordinaria routine per lui.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
John prese un bel respiro, indugiando più del necessario prima di scendere dal taxi.
“Signore?”
L’autista lo guardava confuso dallo specchietto retrovisore.
“Tutto a posto?”
John gli sorrise stancamente.
“Sì, sì, scusi. Ero sovrappensiero.” Gli allungò i soldi sopra la leva del cambio. “Grazie. Arrivederci.”
“Buona giornata.”
Non fece quasi in tempo a mettere piede fuori che sentì un forte sfrigolare di freni; un momento dopo, era steso a terra, con di fianco a lui una bici i cui pedali continuavano pigramente a girare.
“Ouch.”
Provò ad alzarsi, i gomiti che gli dolevano, le ginocchia indolenzite, ma qualcosa gli impediva di muoversi.
O meglio, qualcuno.
Ahia.”
John trovò la forza di ridacchiare.
“Sono contento che la pensiamo alla stessa maniera.”
Avvertì che il suo assalitore si tirava faticosamente in piedi, imprecando a bassa voce.
“Non so come scusarmi,” sentì balbettare, “sono un maledetto imbranato, maledizione, e poi si chiedono perché non ho il coraggio di prendere la patente della macchina…”
John accettò la mano che gli veniva porta e incontrò due occhi verdi pieni di vergogna.
“Beh, sì, se fosse stato in macchina, immagino che ora sarei morto.” Rise.
Il ragazzo davanti a lui fece un sorriso tirato e lo tirò su. Era sulla ventina, con un naso ridicolmente lungo e sottile, e una zazzera di capelli rossi in testa. Indossava un parka e una camicia a quadri, e, nonostante l’avesse quasi azzoppato, John trovò che avesse un’aria simpatica.
“Mi dispiace davvero” ripetè, desolato. John  agitò una mano in aria.
“Tranquillo. Capita.” Lo aiutò a rimettere in piedi la bici. Era incredibilmente pesante, a causa di una valigetta legata malamente al portapacchi che, a giudicare da quanto tiravano le cinghie, doveva essere piena a dismisura.
Sorrise, incuriosito. Era molto simile alla sua ventiquattrore da ambulatorio. Un giovane collega, forse?
“Medico?” chiese.
“Le ho fatto così male?” Il ragazzo fece una smorfia furba, che ridispose l’ordine delle lentiggini sulle sue guance. “Non credevo.” Gli tese una mano.
John rise e gliela strinse.
“John Watson.”
“Stewart Coxon. E no, non sono un medico. Cioè, almeno, non per gli esseri umani.”
John capì dall’accento che era scozzese come lui. La simpatia nei suoi confronti aumentò esponenzialmente.
“Aaah, capito. Sei uno di quei privilegiati che curano esseri incapaci di contestarti le ricette.” Sospirò al ricordo delle innumererevoli discussioni sostenute con persone che credevano di meritare una laurea in medicina molto più di lui. “Beato te.”
Stewart rise una risata leggermente stridula, contagiosa.
“Mah, non saprei.” Si arrotolò una manica del parka per mostrargli una serie di tagli paralleli proprio sopra il polso. “Quanti dei suoi pazienti fanno dei graffi così quando si infastidiscono?”
John strabuzzò gli occhi.
“Bontà di Dio.” Si chinò per osservare meglio i tagli, che sembravano recenti. “Quale bestia lascia dei segni del genere?”
Stewart si ricoprì il braccio con un’espressione di infantile orgoglio sul viso. John sospirò interiormente: era così giovane. Pensava ancora che le ferite fossero qualcosa da esibire per impressionare.
“Un’iguana” disse il ragazzo con una luce eccitata negli occhi. John sorrise.
“Mi sembravano un po’ troppo grosse per essere un regalo del micio di casa.”
“Un lucertolone di più di dieci chili. La padrone era un’imbecille di prim’ordine, non sapeva nemmeno dargli da mangiare nel modo corretto.” Il suo sguardo si adombrò. “Mi ha fatto pena, quella povera bestia.”
E dire che la “povera bestia” aveva rischiato di strappargli una mano con una semplice zampata. Quel ragazzo aveva decisamente la vocazione.
“Beh, Stewart, è stato un piacere conoscerti.” Si scambiarono una breve, calorosa stretta di mano. “Buona fortuna per la tua carriera.”
“Arrivederci.”
Ed entrambi mossero un passo verso casa di Maggie.
Si guardarono stupiti.
“Ah-”
“Anche tu-”
“Sì.”
“Ah.”
John si schiarì la voce.
“Sei qui per il pappagallo?”
Gli sembrò di sentire un debole sospiro provenire dal ragazzo, ma l’altro teneva la testa bassa e non riuscì a capire bene.
“Sì” rispose sconsolato. “Sono qui per il pappagallo.” Sembrò accorgersi del tono eccessivamente tragico con cui aveva pronunciato la frase, e arrossì.
John sorrise sotto i baffi. Allora esisteva qualcun altro al mondo con un debole per le persone irritanti, sociopatiche e al limite del genio. Non era l’unico pazzo.
“E lei? È amico dei genitori di Maggie?”
“No.” Sono un amico della ragazza era un’affermazione falsa e rischiosa. Decise di mediare. “Sono… un conoscente che ha bisogno di un favore.”
Stewart aggrottò le sopracciglia e si incupì. Il suo tono divenne leggermente aggressivo.
“Che cosa vuole da lei?”
Calma i bollenti spiriti, Romeo, pensò divertito John.
“Una consulenza sportiva.” Si affrettò a spiegarsi: Stewart sembrava un ragazzo gentile, ma in quel momento aveva un aspetto a dir poco minaccioso. “Lavoro assieme a un investigatore privato, che sta indagando su un caso nel mondo del tennis. Magdalena è molto ferrata sull’argomento e noi non lo siamo. Ci sta gentilmente dando una mano.”
Stewart alzò un sopracciglio, pieno di diffidenza.
“Gentilmente?”
John sentì un moto di istintivo affetto verso di lui. Dio solo sapeva quanto avevano in comune, e non pensava solo all’ascendenza scozzese.
“Ci sta dando una mano, punto.” rispose con un sorriso affabile. Stewart sembrò convincersi e rilassò i lineamenti.
“Questo suo amico” chiese con fare curioso, “è per caso Sherlock Holmes?”
John annuì, stupito.
“Sì. Come fai a saperlo?”
Il ragazzo si rabbuiò.
“È quello che l’ha riportata a casa quando è scappata. Cioè l’unica altra persona con cui Maggie abbia avuto contatti un minimo ravvicinati negli ultimi due anni.”
“L’unica altra persona a parte te?”
Stewart fece un altro sospiro, che gli fece intendere quanto per lui i contatti non fossero mai stati ravvicinati a sufficienza.
“Sì.” Stette in silenzio per un attimo, lanciando uno sguardo malinconico alla porta della casa davanti a loro. Quando si rivoltò verso di lui, però, sorrideva di nuovo. “Mi faccia un favore, può?”
“Certamente.”
“Lo ringrazi da parte mia. Questo suo amico. Per quello che ha fatto.”
Per distoglierlo dall’imbarazzo che gli aveva nuovamente arrossato le guance, John gli propose di andare a suonare il campanello.
 
*
 
Dopo essere stati braccati da un’euforica signora Murray per tutto il tragitto porta d’ingresso-piano superiore (“Stu, ragazzo mio, ti sei fatto così bello! Così bello! Vero, dottore? Oh, dovrebbe capirlo anche quell’altra lassù!”), John e Stewart riuscirono ad arrivare incolumi (e miracolosamente sobri) davanti alla camera di Maggie.
“Quella donna sarà la mia morte” boccheggiò Stewart, togliendosi con il dorso di una mano i segni di rossetto che la madre di Maggie gli aveva lasciato sulle guance. “Mi mette ogni volta in situazioni di un imbarazzo mostruoso.”
John ridacchiò, ma poi si ritrovò a pensare a quelle dannate candele che Angelo si ostinava ancora a mettere sul tavolo suo e di Sherlock e d’improvviso non si sentì più nella posizione di prenderlo in giro.
“Sì, ho presente la sensazione,” borbottò.
Da dietro la porta si sentiva della musica ovattata.
 
Heifer whines, could be human cries
Closer comes the screaming knife
This beautiful creature must die

 
“Questa ragazza ha la passione degli Smiths, vero?” commentò John bussando alla porta. Rivolse uno sguardo sorpreso a Stewart: si era illuminato come la decorazione di un albero di Natale.
“Eh? Ah, sì. Ascolta solo loro. E la messa da requiem di Mozart,” commentò il ragazzo affastellando una parola sull’altra, un sorriso vagamente imbecille sulle labbra. John aggrottò le sopracciglia: suonava tutto abbastanza deprimente, perché aveva l’aria così felice mentre gli diceva quelle cose?
Oh. Ma certo.
“Gliel’hai regalato tu il disco, eh?” commentò divertito. Stewart arrossì per quella che sembrò la centesima volta da quando lo conosceva.
“Avanti.”
Entrarono.
 
A death for no reason
And death for no reason is murder
 
*
 
La camera aveva ancora l’aspetto di un piccolo villaggio distrutto da un tornado, ma almeno il pappagallo se ne stava calmo e disintossicato al sicuro nella sua gabbia.
Magdalena era seduta sul letto con un mucchio di fogli protocollo in grembo; brandiva una penna rossa, con la quale li stava metodicamente e selvaggiamente riempiendo di segnacci.
“Imbecille, ameba, cretino, cretino, cretino di proporzioni bibliche, decerebrato, idiota…” mormorava come un mantra, gettando via via la propria opera di vandalismo sul pavimento.
Come l’altra volta, le finestre erano chiuse e nella stanza vi era poca luce, perciò John non se ne accorse subito. Stewart aveva evidentemente l’occhio più allenato del suo.
“Cazzo…” fu l’incredulo borbottìo del ragazzo. “Maggie, che accidenti hai fatto ai capelli?”
Lei alzò la testa con un movimento scocciato. “Eh?”
John aprì e chiuse la bocca, basito. Stewart era nelle sue stesse condizioni: boccheggiava come un pesce.
Magdalena li guardò con aria annoiata e sbuffò.
“Oh, quante scene per un po’ di-”
“Hai i capelli bianchi! Ridicolmente corti, e bianchi!”
Lei assottigliò gli occhi, passandosi istintivamente una mano nella corta zazzera di capelli candidi che aveva effettivamente sostituito la lunga chioma castana.
“E allora?” sbottò, aggressiva – troppo aggressiva, notò John.
“E allora sembri un marine in pensione!”
John ebbe l’impressione che lei avesse letteralmente nitrito di rabbia.
“Come, scusa?”
“Ehm, buongiorno. Di nuovo.” si intromise incerto John, cercando di sedare la faida sul nascere.
Inutile dire che venne bellamente ignorato.
“Se avevi voglia di tingerti, non potevi farlo di un colore cristiano come tutto il resto degli esseri umani?!”
“Vai a dire queste cose al tuo stupido pappagallo, vedrai che forse così otterrai qualche effetto!”
“Che diavolo ti è preso?”
“Mi annoiavo!”
“Beh, vai a correre, la prossima volta!”
“Vaffanculo!”
John si prese la radice del naso fra indice e pollice. Perfetto. Oltre a dover gestire ogni giorno un bambino di sei anni travestito da consulente investigativo, ora gli toccava pure il battibecco adolescenziale fra uno spilungone scozzese sfregiato da un’iguana e una diciottenne esperta di fisica quantistica che sembrava Tempesta degli X-Men.
“Okay, basta.” cominciò in tono ragionevole, i nervi che cominciavano a cedergli.
“Isterica! Sei un’isterica! E non mi interessa se hai quasi vinto un premio Nobel!”
“Ho detto: vai a parlare con il pappagallo! Così ti confronti con un cervello simile al tuo!”
“Ti avverto, Maggie, se scopro che l’hai usato per qualche altro esperimento, io ti denuncio e poi ti-“
“E poi cosa?!”
“BASTA!”
I due smisero subito di urlare e si voltarono a guardarlo all’unisono, stupefatti. John digrignò i denti e prese un lungo respiro.
“Scannatevi pure quanto vi pare, non mi interessa. Voglio soltanto parlare con lei un secondo” indicò sbrigativamente Maggie con un dito accusatore, occhieggiandoli entrambi con il suo miglior cipiglio genitoriale, “e poi tolgo il disturbo.”
“Okay” disse piano Stewart, facendo quel che sapeva fare meglio: arrossire.
“Okay” disse nella sua vocetta acuta Maggie, facendo quel che sapeva fare meglio: alzare gli occhi al cielo.
“Bene.” Rivolse uno sguardo più dolce a Stewart, che era paonazzo. “Tu e il pappagallo potete ascoltare, se volete.”
“No, fa niente.” sussurrò in risposta lui evitando di guardarlo negli occhi. Sollevò con cautela la gabbia fra le braccia e si diresse verso la porta. “Sono al piano di sotto. Con tua madre.” disse a Maggie in tono forzatamente neutro.
“Buona fortuna,” rispose sarcastica lei.
John lo osservò uscire con le spalle tristemente piegate all’ingiù, come se la voliera fra le sue mani pesasse cento chili.
Maggie si accese una sigaretta. Oltre al colore dei capelli, aveva cambiato anche quello delle unghie: ora erano viola melanzana.
“Idiota,” mormorò a mezza voce, scagliando l’accendino sul letto. Alzò uno sguardo scocciato sul dottore: “Non dicevo a lei, ovviamente.”
John le lanciò un’occhiata penetrante. La ragazza fissava il copriletto come se volesse incenerirlo con la sola forza delle iridi castane.
“Ovviamente” ripetè, cercando di rimanere conciliante. “Mi spiace aver disturbato la tua… la vostra…” gesticolò indeciso, “insomma, Sherlock ha bisogno di altre informazioni e mi ha mandato a chiedertele.”
Magdalena sogghignò.
“Sì, molto comodo mandare il proprio galoppino a sbrigare la bassa manovalanza. D’altronde, è un uomo così impegnato…” Spense la sigaretta in una tazza che sembrava essere sul quel comodino da giorni. “Tra una crisi d’astinenza e l’altra non deve riuscire neanche a ritagliarsi un buco nell’agenda. Ha!” Sorrise, ma non era affatto un sorriso. Era qualcosa di vagamente spaventoso. “Buco. Interessante scelta lessicale.”
John Watson era un dottore: aveva la pazienza e il distacco emotivo nel sangue. Ma, come aveva già ricordato a qualcun altro, aveva le sue giornate no.
“Sentimi bene, ragazzina,” sibilò avvicinandosi di un passo al letto, “se sei incazzata perché hai litigato con il tuo fidanzatino e hai bisogno di qualcuno contro cui sfogarti, hai sbagliato persona. Segui il suo consiglio e vai a correre, perché non tollererò un’altra mancanza di rispetto da parte tua, né nei miei confronti, né in quelli di Sherlock.” Le puntò un dito contro e si sorprese nel vedere che stava tremando: era veramente fuori di sé. Sentiva il sangue rombargli nelle orecchie. “È chiaro?”
Magdalena irrigidì le spalle e si strinse le mani in grembo. La sua faccia rimase senza espressione, un viso immobile di bambola che sembrava vecchio di cent’anni a causa del colore dei capelli e della fissità dello sguardo; ma John era diventato un esperto a leggere oltre quelle che sembravano dimostrazioni di spassionata indifferenza.
“Mi può ripetere, cortesemente, il suo ruolo nella vita di Sherlock Holmes?” chiese, la voce ferma ma stranamente meccanica, iper-controllata. John abbassò il dito e strinse le mani a pugno lungo i fianchi.
“Collega.” E piantala, Watson. “Amico,” aggiunse, e c’era una spiccata fierezza nella sua voce.
Magdalena annuì sovrappensiero.
“Capisco,” disse fra sé e sé. “Beh, siete una coppia bene assortita.”
“Grazie,” rispose automaticamente John. Sembrò accorgersene a scoppio ritardato. “Un momento, noi non siamo-”
Magdalena lo interruppe con un gesto svelto della mano.
“Diceva di ulteriori informazioni. Vada avanti. La ascolto,” disse, e sorrise.
Un sorriso piccolo, incerto, quasi timido, come se non fosse sicura al cento per cento di starlo facendo nel modo giusto. Un sorriso che a John ricordava qualcuno.
Forse fu proprio il pensiero di Sherlock a spingerlo a sorriderle a sua volta.
 
*
 
Maggie spense la sua decima sigaretta della giornata nell’esatto momento in cui John Watson ebbe finito di spiegarle gli sviluppi della situazione.
“Il suo amico è sulla pista giusta,” asserì, lasciandosi andare contro il cuscino. Lanciò uno sguardo distratto a John, ma pochi secondo dopo sembrò metterlo bene a fuoco e scosse la testa. “Ma si sieda, prego. Sposti pure quello che trova d’ingombro.”
Il dottore sollevo cautamente una pila di libri che occupava una sedia munita di rotelle e la appoggiò a terra. Notò il titolo del primo volume del mucchio: “Anime morte”, di Gogol.
Nientemeno, si disse sorridendo fra sé e sé. Magdalena intercettò la sua espressione.
“Le piace la letteratura russa?” chiese, evidentemente sforzandosi di fare della normale conversazione, cioè una che esulasse da tenniste pugnalate e pappagalli sotto l’effetto di droghe illegali.
John si sedette.
“Dammi del tu, per favore.” Le sorrise, mostrandole che apprezzava il tentativo. “Ho letto qualcosa a scuola, ma non posso dire di considerarmi un appassionato.” Accavallò le gambe. “Quindi sei d’accordo con l’ipotesi di Sherlock?”
Lei si tirò le gambe al petto e appoggiò il mento sulle ginocchia.
“Penso che la mancanza della richiesta di un qualsiasi tipo di riscatto sia abbastanza indicativa” rispose, pensierosa. “E, considerando la scarsa vita sociale della Howard, trovo appropriato battere la pista delle sue rivali in campo. Sono gli unici rapporti personali che possono aver creato delle inimicizie.”
John annuì.
“Chi suggeriresti?”
Magdalena si morse l’unghia del pollice.
“La Howard ha sempre dimostrato un’indole timida e remissiva, completamente opposta al suo atteggiamento di gioco. Non mi ricordo nessun plateale sgarbo nei confronti di chicchessia.” Una pausa. “Certo che però…”
John aggrottò un sopracciglio, incuriosito.
“Però cosa?”
Magdalena scese dal letto e accese il computer che teneva sulla scrivania. Il dottore le si avvicinò trascinandosi sulle rotelle.
“Ricordi chi era l’avversaria che la Howard ha incontrato in finale a Wimbledon? Quella finale che poi ha vinto?” chiese la ragazza, aprendo una cartella che sembrava contenere scan di articoli di giornale.
“Certo. Era Gabriela Sánchez, la numero uno del mondo. Tutti la davano per favorita.”
Magdalena gli lanciò un veloce sguardo di apprezzamento per la risposta. Evidentemente, non si aspettava che John lo sapesse.
“Esatto.” Cliccò su uno dei tanti articoli che aveva selezionato. “Vincitrice di nove slam, due coppe Davis e una medaglia d’oro olimpica. La migliore tennista a livello mondiale dai tempi della Navratilova, prima ovviamente dell’avvento delle sorelle Williams. Ha trentatrè anni ed è tuttora una giocatrice formidabile – beh, è la numero uno, semplicemente.” Scorse con il mouse una testata giornalistica dopo l’altra. I titoli recitavano cose come La tigre argentina ruggisce ancora, Gabriela d’oro, Settebello della Sánchez: è il suo terzo Roland Garros. “Carattere infernale: la chiamano la McEnroe in gonnella. Ha sempre unito un talento incredibile ad un comportamento un po’…  sopra le righe.” Magdalena fece un sorrisetto e gli mostrò tutt’altro genere di articoli: svariati arresti per consumo di droga, tre fermi per percosse ai danni dei paparazzi, diverse resistenze a pubblico ufficiale, guida in stato di ebbrezza. “In sede di divorzio ha tirato un pesante fermacarte d’argento contro il suo terzo ex-marito. La stampa è impazzita. Cose del tipo: ‘Il celeberrimo servizio della  Sánchez funziona davvero su ogni tipo di superficie’ e sotto una foto del sangue sulle piastrelle del tribunale, con il giudice, gli avvocati e tutti i testimoni attorno al poveretto con in mano dei fazzolettini di carta. Gli ha pagato migliaia di sterline di danni – sette punti sullo zigomo destro – e ancora oggi dice che se ne avesse la possibilità glielo lancerebbe di nuovo, e più forte. Un tipo spumeggiante.”
John fece un fischio.
“Hai capito.” Rivolse uno sguardo perplesso alla ragazza, che continuava a smanettare sul pc. “Ma non possiamo metterla fra la lista dei sospettati solo perché ha, diciamo… Una tendenza all’aggressività.”
“Sai quanta gente finirebbe indagata, altrimenti. La polizia non saprebbe più che pesci pigliare.”
“Qualcuno ti direbbe che la polizia non saprebbe in ogni caso che pesci pigliare.”
“Sherlock sarebbe il primo a essere sbattuto dentro. E il secondino di turno nel chiudere la sua cella canterebbe di gioia, e subito dopo butterebbe la chiave nel proverbiale pozzo.”
John ridacchiò. Era uno scenario sin troppo facile a immaginarsi.
“Sì, penso anch’io.” Gettò una breve occhiata al cellulare: nessun messaggio. A Sherlock evidentemente non erano fischiate le orecchie. Si schiarì la voce. “Tornando a noi.”
“Il terzo ex-marito della Sánchez è inglese. Un filosofo.” Magdalena arricciò il naso, vagamente schifata. “Come la maggior parte dei cosiddetti intellettuali, è straordinariamente stupido.”
John ricordò un pomeriggio in cui Sherlock aveva tirato giù da uno scaffale l’Enciclopedia Britannica e si era messo sistematicamente ad insultare tutte le più eminenti personalità culturali dalla C in poi.
“Beh, immagino che-”
“No no. È veramente senza speranza.” Magdalena si accese l’ennesima sigaretta. “Tre anni fa ha scritto un pretenzioso pamphlet sulla fusione fredda approcciata dal punto di vista filosofico. Gliel’ho distrutto da cima a fondo, e avevo ancora l’acne diffusa.”
“Beh, sei tu ad essere molto brillante. Il poveretto è nella media, o solo un filo più in alto. Non è mica colpa sua se non è al tuo livello. C’ha provato,” disse quasi affettuosamente John, appoggiandosi con la schiena alla sedia.
Magdalena gli lanciò uno sguardo tra lo stupito e il perplesso. Il dottore le sorrise.
“Neanch’io sono un genio. Difendo la mia categoria.”
“Hai la straordinaria capacità di trovarti sempre dalla parte del giusto. E con estrema spontaneità,” commentò la ragazza con aria pensierosa. John arrossì.
“Beh, grazie-”
“Ad ogni modo, il nostro paese è talmente assetato di gloria nazionale da essere andato letteralmente in visibilio alla prospettiva di guadagnarsi un’atleta con un palmarès così.” Magdalena sogghignò. “Sposando un inglese avrebbe potuto avere la doppia cittadinanza, e le nostre autorità speravano che, al momento di dover scegliere fra l’una e l’altra durante le competizioni internazionali, la Sánchez sarebbe passata sotto la nostra bandiera.” Fece una risatina maligna e aprì un altro articolo, di cui persino il titolo aveva toni molto accesi. “Spettacolare sbaglio.”
Ah sì. John ricordava. Lo scandalo diplomatico della Sánchez, che era numero uno anche allora, e che aveva ardentemente rifiutato di giocare anche solo cose come le partite dell’oratorio con i colori inglesi.
“‘Non mi farò annettere come un territorio conquistato’ è stata la cosa più civile che ha detto. Il resto sono insulti spagnoli per la maggior parte incomprensibili” proseguì Magdalena, scrollando sempre più giù con il mouse. John era allibito: aveva un database di informazioni che la CIA se lo sognava. “Fatto sta che il Regno Unito ha il dente avvelenato con lei da allora. Funzionari del corpo medico sportivo la sommergono di controlli anti-doping ogni volta che mette piede nella sua residenza qui, la polizia la trattiene ore negli aereoporti, l’anti-droga le piomba in casa ad orari assurdi per vedere se si fuma ancora gli spinelli. Dispettucci del genere.”
John rise, allibito. Irruzioni nel bel mezzo della notte alla ricerca di droga che si sapeva non si sarebbe mai trovata? La cosa gli suonava famigliare. “Mi sembra tutto francamente patetico.”
“Lo è. L’Inghilterra non ha preso bene il rifiuto e lei non fa niente per smussare gli angoli. Rilascia conferenze stampa di fuoco.”
“Ok, va bene, ma ancora non capisco.”
“La Sánchez non ha perso solo una finale di Wimbledon – che già è pesante, come sconfitta. Un mese fa era reduce dall’anno migliore della sua carriera: oro alle Olimpiadi, US Open, Roland Garros, Australian Open…” Rivolse uno sguardo eloquente al dottore. “Adesso capisci?”
Gli ingranaggi nel cervello di John presero a girare a più non posso. Quando ci arrivò, gli parve che i suoi neuroni si fossero messi a rintoccare come il Big Ben.
Si passò una mano fra i capelli ancora militarmente corti. “Oh, cazzo.”
“Eh sì. Oh, cazzo.” Magdalena allargò a schermo intero l’articolo pubblicato il giorno dopo la finale. La notizia della scomparsa della Howard non aveva ancora fatto in tempo a raggiungere la stampa e non se ne faceva parola; la prima pagina mostrava una foto di Christine in ginocchio sull’erba del campo che piangeva incredula, e accanto vi era un’altra foto di una donna dalla carnagione abbronzata e il fisico magro, ma atletico che esibiva con riluttanza la coppa della seconda classificata. “Il Golden Slam. I quattro slam e la medaglia d’oro olimpica: nessuno c’è mai riuscito, né uomo, né donna. Nessuno. La Sánchez era a un passo dall’entrare nella storia come la più grande tennista di tutti i tempi, e chi glielo impedisce? Una ragazzetta che non ha ancora finito la scuola ed è a Wimbledon solo grazie a una wild card. Inglese, per di più.” Cliccò su un primo piano della sconfitta. Gabriela Sánchez teneva il mento alto come una regina, ma aveva il sorriso amaro di chi avesse appena finito di succhiare un limone. “Ce n’è abbastanza per pensare all’omicidio, no?” commentò Magdalena, alzando un sopracciglio in maniera eloquente.
John si lasciò andare sullo schienale della sedia e incrociò le braccia sul petto.
“È un’accusa pesante,” disse, piano, due rughe di profonda concentrazione sulla fronte.
“È l’unica pista a cui io riesca a pensare.”
“La interrogheremo.”
“Beh, in bocca al lupo.” Magdalena si accese l’ennesima sigaretta. “L’ultimo giornalista che ha tentato di intervistarla si è preso un secchio d’acqua in testa. Portate un ombrello.”
John fece spallucce. “Siamo a Londra, ed è novembre. L’avremmo portato in ogni caso.”
Magdalena fece un sorrisetto, che non accennò a diminuire nei secondi successivi. John le rivolse un’occhiata interrogativa: la ragazza sembrava persa nei propri pensieri.
“Che c’è?” le chiese, incuriosito.
Magdalena scosse la testa con un’aria che sembrava quasi malinconica.
“Sai, John, è altamente improbabile che imprese sportive come il Golden Slam o anche semplicemente il Grande Slam siano possibili in futuro. Il tennis di adesso è profondamente diverso da quello di una volta. La concorrenza è spietata, il gioco molto più fisico, veloce, gli standard altissimi. I primi dieci del mondo sono tutti candidati plausibili alla vittoria in uno slam; e gli altri nove sono sempre dietro a mordere loro le calcagna. Un tempo c’erano Borg, McEnroe, Lendl, fine. Il resto era carne da macello – qualcuno più bravo di altri, sì, ma non c’era storia con le teste di serie.” Spense la sigaretta nel posacenere. “La Sánchez è l’ultima protagonista del tennis vecchio stampo. Avrebbe potuto compiere un’impresa epica, mai vista prima, e un’era si sarebbe chiusa con i fuochi d’artificio per far posto a una nuova generazione di tennisti molto precoci, tutti forti allo stesso livello, potenziatissimi a livello fisico ma decisamente poco creativi. Christine Howard ha un gioco completo, ma è una delle poche: fidati che le nuove promesse non sono niente a che vedere con il genio, il perfezionismo che si vedeva un tempo. Djokovic e la Sánchez erano gli ultimi con le carte in regola per sbaragliare ogni record e entrare nella leggenda. Tutti e due hanno avuto un anno straordinario, ma non ce l’hanno fatta.”
John sorrise fra sé e sé. Magdalena Murray, una nostalgica. Chi l’avrebbe mai detto.
“Lo sport va così. Si vince e si perde, no? Fa parte del gioco,” replicò, conciliante.
Magdalena annuì e chiuse il computer con uno scatto.
“Fa parte della vita, direi. A proposito, restando sul tema dello sport come metafora di qualcosa di più universale… Sai chi è stata l’unica altra tennista capace di arrivare così vicino al Golden Slam?”
John ci pensò una decina di secondi, poi scosse la testa con una smorfia incredula.
“Non mi dire- Steffi Graf, vero?”
A Magdalena si illuminarono gli occhi.
“Corretto. E indovina chi le mise i bastoni fra le ruote, strappandole le vittoria allo stesso identico torneo, ventidue anni fa?”
Questa volta John non ebbe alcun bisogno di rifletterci su.
“Monica Seles.”
Magdalena emise un versetto deliziato di fronte a tanta prontezza.
 “La storia si ripete.”
Il cellulare di John suonò. Il dottore riuscì quasi a percepire la rabbia del mittente dalla veemenza di quegli squilli.
“Sherlock?” disse, cauto. Magdalena alzò gli occhi al cielo.
“John, vieni a casa. Subito.” La voce del detective era quasi un ringhio.
Il dottore si sistemò meglio sulla sedia.
“Che è successo?”
“Mycroft.”
“Mycroft, cosa?”
Mycroft, punto. Ho bisogno di un tè. Vieni a farmi un tè.”
John sospirò.
“Come si dice?” tentò, in un tentativo in extremis di fare dell’ironia sui modi tirannici dell’amico.
“Sbrigati?”
“Risposta sbagliata!” esclamò in un finto tono entusiastico da presentatore televisivo. “Aspetterai.”
Allargò gli occhi, stupefatto. Era sicuro che Sherlock avesse appena nitrito di impazienza.
“Smettila di essere così puerile, John!”
“Ah ah. Io, puerile, detto da te. Divertente.”
John rialzò lo sguardo su Magdalena. Aveva l’aria mortalmente annoiata: mancava poco che si mettesse a limarsi le unghie.
Decise di tagliare corto.
“Senti, Sherlock-”
“Non aspetterò un minuto di più! È un secolo che ti chiedo di farmi un tè e tu ti ostini a non ascoltarmi. Rimedia subito e vieni qui.” John avvertì una potente ispirazione far sfrigolare la cornetta. “ORA.
Sentì le mani cominciare a prudergli.
“Sherlock, usa il tuo fenomenale intelletto e cerca di seguirmi: non sono a casa da stamattina.” Sillabò ogni lettera con cura, pollice e indice della mano destra uniti a cerchio a scandire le parole man mano che venivano pronunciate. Magdalena, nel mentre, aveva preso a ghignare come una iena. “Come accidenti avrei potuto ascoltarti se sono dall’altra parte di Londra, in un posto in cui oltretutto mi hai spedito tu?” Si accorse che formulata così la frase poteva suonare offensiva e fece un gesto di scuse in direzione della ragazza. Lei dismise la sua preoccupazione con uno svolazzo frivolo della mano.
La cornetta gracchiò di nuovo. La principessina stava sospirando.
“Come sei ostico, Dio, John.”
“Vuoi sapere cosa sei tu?” ribatté aggressivo, sentendo la pazienza abbandonarlo.
Magdalena gli mimò con il labiale qualcosa che somigliava a sei incazzato perché stai litigando con il tuo fidanzatino? e John le rivolse un’occhiata di fuoco. La ragazza rise con aria malefica.
“John-”
“No! John un tubo. Strozzatici con il tuo tè. Torno per cena.” E gli mise giù il telefono.
Sentì un lungo fischio proveniente dalla proprio destra.
“Allora, la bisbetica è stata domata?”
John voleva soltanto un minuto da solo per prendere a testate un muro – o Sherlock, se solo si fosse reso disponibile – e recuperare un po’ di pace.
“La smetti?”
“Perché mai? È divertente.”
Gli assomigliava in maniera terribile. Terribile.
“Bene,” disse, alzandosi in piedi. “Grazie dell’aiuto. Buona serata.” disse secco, tendendole una mano in segno di saluto.
Magdalena gliela strinse.
“Che fai? Corri da lui?”
“Fatti gli affari tuoi.”
Lei non accennava a voler allentare la stretta sulle sue dita.
Il cellulare emise quel singolo squillo che indicava l’arrivo di un messaggio. John lo cavò di nuovo fuori dalla tasca e digrignò i denti immaginandosi già lo stizzoso contenuto di quel che stava per leggere.
Che gran segno di carattere, sbattermi giù il telefono. Complimenti, John. SH
John imprecò ad alta voce.
“Che dice?” gli arrivò la voce velenosamente curiosa della ragazza.
“Cosa c’è di poco chiaro nella frase ‘fatti gli affari tuoi’?” replicò stizzito il dottore, digitando veloce una risposta.
Ti comporti da viziato e capriccioso e io agisco di conseguenza. E la tua amica, qui, è snervante quasi quanto te. Mi sta mandando ai matti. JW
“Nulla. Ho deciso di ignorare selettivamente quella frase.”
John le lanciò un’occhiataccia. Il cellulare vibrò ancora.
Non è una mia amica. SH
E ancora:
Vieni qui se lei ti dà tanto noia. SH
“Non dargli soddisfazione, John. Se non è capace di richiedere in modo esplicito la tua compagnia senza esimersi dal trattarti come uno sguattero, non merita che tu lo soddisfi. Non trovi?”
John si interruppe a metà della risposta che stava digitando, allibito. Magdalena lo guardava con un’espressione di falsissima innocenza in viso. Ci godeva, John riusciva a capirlo, nel tentare di mettere zizzania: gli sembrava di vederla sfregarsi interiormente le mani al solo pensiero.
“Sei tanto carina quando snoccioli tutta la tua cultura tennistica. Ti illumini, ridi, fai battute, vieni incontro alle persone. Poi, improvvisamente, torni nel mondo vero, quello fuori dalle linee tracciate di bianco, e ti metti a sfoggiare questa cattiveria leziosa come se fosse un bel vestito.” Il cellulare nella mano di John vibrò ancora, ma lui quasi non lo sentì; al momento lo interessava molto di più mantenere il contatto visivo con quella ragazzina annoiata che si divertiva a fare insinuazioni sulla sua vita all’unico scopo di distrarsi un po’. La cosa che più lo mandava in bestia era che, con quel che aveva detto, si era avvicinata pericolosamente alla verità.
E non era possibile. Sherlock deduceva, non si faceva dedurre. Da nessuno. Perché nessuno aveva mai osato, nessuno era mai riuscito ad avvicinarsi abbastanza. E improvvisamente spuntava fuori lei, millantando di avere certe carte in mano che nemmeno John stesso si era mai sognato di possedere.
“Chiedimelo.”
John aggrottò le sopracciglia, stringendo a pugno la mano che non reggeva il cellulare. Magdalena lo squadrava calma e perfettamente padrona di sé dalla sedia, con l’aria paziente e già vittoriosa di un pescatore che sappia di aver lanciato un’esca squisita.
“Cosa?” replicò John, lento, intimidatorio. La ragazza gli fece un antipatico sorrisetto.
“Chiedimi come faccio a sapere così tanto di lui.”
Sta cercando di mettere zizzania, si ripetè svelto John fra sé e sé. Odia Sherlock. Non sai perché, ma ti deve bastare. Non cascarci.
“No, non mi interessa,” rispose duro. Fece per alzarsi e andarsene una volta per tutte, ma la sua vocetta acuta e insinuante lo trattenne.
“Sì che ti interessa. Muori dalla voglia di saperlo. Sei incuriosito, un po’ inquieto, e molto geloso.” Si sporse verso di lui, acciambellandosi sulla sedia con l’aria goduriosa di una gatta al sole. “Il che, devo ammettere, quasi mi lusinga.”
John rimase in silenzio, inchiodato sul posto. Quelle sue analisi così esatte, al contrario di quelle di Sherlock, che lo mettevano in soggezione e gli davano piacere come l’osservare un’opera d’arte, avevano il potere di fargli passare un brivido sgradevole lungo la schiena. Come se il suo sguardo clinico l’avesse trapassato da una parte all’altra a mo’ di coltello.
Quella ragazza era potenzialmente pericolosa, per lui, per Sherlock, per lui e per Sherlock. Ma John non era mai riuscito a tirarsi indietro di fronte al pericolo. E d’altro canto, doveva sapere.
“Ti propongo un patto. Tu resti un’altra mezz’ora, e io ti dico tutto quello che so del tuo amico. Così quando uscirai di qua saprai se vale veramente la pena di tornare a casa a preparargli un bel tè caldo.” Gli lanciò una lunga occhiata penetrante, e John rabbrividì. Magdalena era così giovane, così fragile d’aspetto, e aveva il sorriso timido e raro di Sherlock: ma di Sherlock non aveva mai avuto paura. Di lei, ora, ne aveva. “O se invece è il caso di non tornare affatto.”
Il cellulare squillò per l’ennesima volta. John deglutì e lesse il messaggio, la mano che gli tremava impercettibilmente.
Ho tolto le unghie dal barattolo del tè. Non so perché io le abbia messe lì – il vasetto vuoto della marmellata che hai finito ieri era molto più adatto allo scopo. SH
La cosa più vicina a una scusa che Sherlock fosse capace di rivolgergli.
Sentì il cuore stringerglisi in un incommensurabile moto d’affetto per il proprio coinquilino. In quel momento voleva solo vederlo, litigare ancora un po’ per la storia del tè e delle unghie, imporgli l’ascolto di Rubber Soul mentre puliva i piatti per entrambi e poi guardarlo mettersi la vestaglia per stare più comodo durante i suoi esperimenti notturni. Il fatto che avesse tentato goffamente di scusarsi per guadagnarsi la sua benevolenza, poi, gli faceva sospettare che avesse un sincero bisogno di lui. Mycroft doveva avergli davvero sconvolto il suo già fragile equilibrio umorale.
La cosa più logica, la cosa che avrebbe voluto di più, la cosa più giusta da fare sarebbe stata andarsene da lì e tornare da lui. Tornare da lui: solo il modo in cui quella frase suonava nella sua mente era in grado di fargli battere forte il cuore.
“Allora?”
Magdalena sorrideva tutta fremente d’aspettativa e John non desiderava altro che levarle quel ghigno sbeffeggiatorio e arrogante dalla faccia. Massì, che gli raccontasse pure tutto quello che voleva. Niente avrebbe potuto sconvolgerlo. Era vero, non sapeva quasi nulla del passato di Sherlock, ma era certo di conoscerlo già intimamente, fin nella sua natura più profonda. Sì, lo conosceva al cento per cento. Ne era sicuro.
L’amore dà questo tipo di presunzione, di delirio di onnipotenza, di certezza matematica di fronte all’equazione dell’altro, per quanto complessa sia. John era innamorato e perciò non faceva eccezione.
Decise almeno di non darle la soddisfazione di un assenso a voce alta e si limitò ad annuire.
Dammi un’ora. Non ho ancora finito, qui. JW
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: mi scuso con le persone a cui del tennis non frega nulla per il capitolo traboccante di riferimenti, regole, nomi e altre noiosaggini. Spero che il tutto non sia risultato troppo monotematico – in ogni caso, da qui in poi la storia torna a spostarsi prevalentemente sul rapporto fra John e Sherlock e sul loro modus operandi nel seguire il caso. <3
WARNING! Qui sotto vi è una valanga di note alla storia, fastidiose come Google quando ti fa “forse cercavi…?”. Leggetele a vostro tedio e pericolo.
Alcune precisazioni, tennistiche e non solo, per quei santi che si sono sorbiti questa tirata e vogliono vederci più chiaro (vi apprezzo, vi amo dal profondo del cuore) (ma davvero):
1.      La canzone citata in corsivo è “Meat Is Murder” degli Smiths, gruppo che ascolto ossessivamente ogni volta che mi metto a scrivere questa storia. Secondo me Morrissey scrive dei testi molti sherlockiani (non me ne avere, Moz, è inteso come un complimento).
2.      Sì, ho ascoltato anche il Requiem di Mozart perché ero in lutto, sì, ovviamente potete ridere di me quanto volete, sì, non è normale, lo so, ma hanno posticipato la terza stagione, di nuovo, e io mi chiedo, è questo il modo di trattare i nostri poveri nervi, e ancora, non voglio che i miei figli assistano alla scena pietosa di me che piango durante il matrimonio di John (perché tanto so che c’è, me lo sento nelle ossa come i reumatismi – MOFFTISS! *scuote pugno*), perciò sbrigatevi, ecco, così posso smetterla di lagnarmi e tornare ad ascoltare la mia amata Geri Halliwell.
3.      Per gli appassionati di Doctor Who, il personaggio di Stewart è fisicamente ispirato al buon Rory. :D
4.      Gabriela Sánchez è un personaggio di fantasia, ispirato però a una tennista realmente esistente, Gabriela Sabatini. Ai tempi dell’aggressione di Monica Seles, si pensò, come gesto di sostegno, di congelare la classifica internazionale femminile fino al ritorno in lizza della poveretta; tutte le altre tenniste però votarono contro a questa mozione (compresa la Graf) ad eccezione della Sabatini, l’unica a supportare apertamente la collega.
5.      La coppa Davis è praticamente l’equivalente tennistico dei Mondiali di calcio. Il tifo è lo stesso, una roba pazzesca. La competizione è a squadre, composte da quattro giocatori, e sebbene sia forse il torneo più blasonato del mondo del tennis, si partecipa unicamente per la gloria. A vincerlo non ci si guadagna una cippa di niente. (A parte una coppa fighissima a forma di insalatiera). (Una cosa che non ho mai capito di questo sport è la predilezione per i trofei a forma di insalatiera: anche quello di Wimbledon è fatto così. Che ci troveranno mai? Boh). Se mai foste curiosi e voleste vedere com’è fatta una bella partita di tennis, guardatevi un match di coppa Davis (o di Fed Cup, che è la Davis per le donzelle). Vengono giù i muri, e, cosa che non guasta, l’Italia è straforte. :D
6.      Il termine “wild card” indica (mi riferisco al solo tennis) un giocatore o una squadra che vengono ammessi a un torneo senza dover passare per le qualificazioni. È un’iniziativa a mio parere molto figa, che permette a giocatori bravi e promettenti, ma che non si trovano nella parte alta della classifica, di accedere alle grandi competizioni: spesso è una cosa che concede il paese ospitante al proprio vivaio di giocatori, per farli emergere (è il caso di Christine, che è un’inglese a Wimbledon, e che nella storia è molto giovane, quindi professionista da pochissimo tempo). Ovviamente è molto raro che le wild card avanzino di molto nei tornei, ma ci sono state alcune clamorose eccezioni, e quando succede che uno di questi signori nessuno vinca, è veramente emozionante. Immagino sia come essere abituati a giocare nel campetto dietro casa e arrivare in un lasso brevissimo di tempo a segnare il goal della vittoria nella finale di Champions League contro, mettiamo, il Barcellona di Guardiola. O battere la Pellegrini nei 200 a stile quando fino al giorno prima nuotavi pigramente nella tua piscina comunale di fiducia.
7.      “Come la maggior parte dei cosiddetti intellettuali, è straordinariamente stupido” è una citazione dal film “Le relazioni pericolose”.
8.      Non sono sicura di come funzioni la prassi giuridica per l’acquisizione della doppia nazionalità nel caso ci si sposi un bel britanno. Penso non proprio così. Diciamo che ho inventato tutto di sana pianta, con buona pace del governo inglese, e cioè di Mycroft (scusa, Mycroft).
9.      Steffi Graf, in realtà, ce la fece a vincere il Golden Slam: è l’unica nella storia ad aver compiuto questa impresa. Nessun uomo invece finora ci è mai riuscito.
10.  Who’s who dei nomi citati a caso: Martina Navratilova è una delle giocatrici più forti di tutti i tempi, attiva negli anni ’70 e ‘80; Venus e Serena Williams giocano tuttora, e hanno stravinto di tutto dagli anni ’90 ad oggi, sia nel singolare sia nel doppio, che giocano spesso insieme; John McEnroe è una leggenda, qualcosa tipo il John Lennon del tennis. Era un talento straordinario, definito dagli ammiratori un ribelle, e dai detrattori uno stronzo viziato che se la prendeva a più riprese col pubblico e cogli arbitri - i quali sono stati maltrattati da lui in tutti i modi umanamente possibili (vi ricorda qualcuno?). Io lo amo a livelli folli, è il mio preferito da sempre, ma, per restare neutrali, diciamo che era una testa calda con un gran brutto carattere, e che Tom Hulce, l’attore che interpreta Mozart in Amadeus, si è ispirato a lui per costruire il suo personaggio. Non so se rendo l’idea; Ivan Lendl, Bjorn Borg e il già citato John McEnroe sono alcuni fra i giocatori più forti della storia, attivi fra i ’70 e gli ’80; Novak Djokovic è l’attuale numero uno al mondo del tennis maschile.
 
Ringrazio ancora tutti del calorosissimo benvenuto nel fandom che avete dato a questa storia. Grazie, grazie, grazie, significa moltissimo per me. :*

 

   
 
Leggi le 12 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: nightswimming