Anime & Manga > Bleach
Ricorda la storia  |      
Autore: M e g a m i    29/11/2012    4 recensioni
Linalee Lee, o forse è meglio dire Linalee Kurosaki, non poté fare a meno unirsi ai loro sorrisi davanti a quella scena così semplice, consueta, ma ogni volta unica quanto capace di scaldarle il cuore e commuoverla. Quei momenti, quei sorrisi erano la sua vita. Così come sapeva bene che il suo e quello di Masato fossero la vita di Ichigo.
Ichigo che rispondeva sempre nello stesso modo, ogni volta in cui gli domandava cosa volesse per il suo compleanno.
« Mi hai già regalato tutto quello che potessi desiderare. »
[crossover Bleach x D.Gray-man] [Ichigo x Linalee] [baby OC]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
NDA: Questa cosa non era in programma. Affatto.
Boh, mi è uscita così. Ma per qualche motivo... mi ha soddisfatto immensamente scriverla –almeno, la prima parte.
Mi ha fatto un effetto strano, come se stessi descrivendo un disegno, e ad un certo punto mi sono pure commossa. Sono diventata una pappamolla.
Come per "We're the same soul" 
la one shot GrimmTatsu metto l'avvertimento AU per essere sicura, anche se questa storia non è collocata precisamente da nessuna parte.
Vabbè, spero che possiate trovare interessante questa lettura principalmente dal POV di Ichigo! Come al solito, se decideste di farmi sapere cosa ne avete pensato con una recensione, mi rendereste la donna più felice del mondo! ♥
 
[crossover Bleach x D.Gray-man] [Ichigo x Linalee] [baby OC]
 
 
 
-
 
 
 
SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE.
 
 
 
La tua virtù è la mia sicurezza.
E allora non è notte se ti guardo in volto,
E perciò non mi par d'andar nel buio,
E nel bosco non manca compagnia
Perché per me tu sei l'intero mondo.
E come posso dire d'esser solo,
Se tutto il mondo è qui che mi contempla?
[William Shakespeare]
 
 
 
 
 
 
Si sentiva come se stesse... volando.
Era una sensazione strana, gli sembrava come di essere attirato su, sempre più su, verso quell’alto che aveva sempre bramato, quasi come se non avesse fatto altro che annegare per tutta la vita. Eppure, in quel momento, non gli mancava il fiato.
 
In superficie, poteva quasi vedere la luce del sole brillare, che pareva distante, irraggiungibile, sommersa da quell’immenso oceano di... lacrime.
Si portò una mano al viso, rendendosi conto di quale fosse la loro provenienza. Per tutti quegli anni, non le aveva sentite cadere, eppure erano sempre state lì, a rigargli il viso, e ancora persistevano. Il suo inconscio non riusciva a concepire come potesse sentirle sulla propria pelle, nonostante fosse immerso in esse.
Quell’acqua avrebbe dovuto portargliele via, fare in modo che si confondessero in essa, invece sembrava solo alimentarle all’infinito.
Si sentiva stupido perché non riusciva a fermarle. Così chiuse gli occhi, cercando di non pensarci, di nasconderle. Anche a sé stesso, al suo stesso sguardo sempre cupo, introverso, dettato dalla sua colpa innegabile, dalla condanna del suo giudizio inflessibile.
Ma per qualche motivo, non funzionò.
Scacciarle era impossibile. Ma anche cercare di non considerarle, di non dargli peso, lo stesso peso che lo aveva tenuto ancorato a fondo fino a quel momento. Analogamente a delle catene, nere come la pece, nere come il peccato.
Era ingiusto. Sapeva che avrebbe dovuto sopportarle per sempre, ma almeno avrebbe voluto poterle tenere per sé, e sé solo. Quelle lacrime, quelle catene, quel dolore immenso quanto il suo oceano, erano una parte di lui che doveva rimanere nascosta. Non poteva permettersi di mostrarla a nessuno. Quel peso enorme che gravava nel suo cuore, non poteva permettersi di caricarlo su qualcun altro all’infuori di lui. O quel qualcuno ne sarebbe rimasto schiacciato, distrutto.
   Ucciso.
Non ricordava.
Nonostante si sforzasse, non riusciva a ricordare per quale motivo avesse perso la capacità di nascondere le lacrime dietro uno sguardo serio, o ancora, a un falso sorriso. Perché un motivo c’era. Una ragione, che gli trasmetteva calore fin dentro all’anima, fondendo lentamente, con gentilezza, le catene.
Ma quelle catene, se avesse lasciato che lo abbandonassero, a cosa si sarebbe aggrappato, poi?
Cosa gli sarebbe rimasto? Lui stesso, cosa sarebbe stato senza il peso di quella colpa, oltre ad esso?
Le lacrime presero a scorrere ancora più copiose, provocate dalla frustrazione a sua volta causata dall’ignoranza della sua memoria, e allo stesso tempo dall’amara consapevolezza di non essere niente. In un ultimo tentativo quasi disperato di nascondersi, si coprì il viso con entrambe le mani.
E all’improvviso, tornò ad essere bambino.
Avvertì il cambiamento, nitido come il senso di panico che si impossessò di lui. Ma non tolse le mani dal proprio viso in modo da guardarle per capire quanto fossero diventate piccole, non osò farlo.
Cosa avrebbe visto, altrimenti? A che momento della sua vita era tornato?
Strizzò con forza gli occhi, insaccando la testa folta di capelli ramati nelle spalle. Forse non era poi così male, non ricordare. Cancellare tutto quello che era stato, e quello che continuava a restare celato nel suo cuore, immutato, immutabile. Dimenticarsi di tutto, anche di sé stesso. In modo da scomparire. Nascondersi, lasciandosi schiacciare. Distruggere.
   Morire.
   « Sono qui... »
Un sussurro a poca distanza dal suo orecchio, niente di più. Quasi suadente, nella sua inverosimile dolcezza, sbagliata per quel luogo buio, sommerso. Era quello il tono con cui lo chiamava a sé la morte?
Ma non poteva essere. Quella voce risuonava di... cos’era? Cos’era che non ricordava?
   Vita.
   Comprensione. Rispetto. Fiducia.
   Amore.
   « Sono sempre stata qui. E per te, continuerò ad esserlo. Nella gioia... e nel dolore, ricordi? “Finché morte non ci separi”. »
Ricordò, e diventò vecchio. Molto, molto più vecchio di quello che era, di quello che avrebbe dovuto essere. Sentiva le gambe tremare, le mani ostinatamente fissate sul suo viso, scosse da fremiti. Ma non c’era niente a cui potesse appoggiarsi, aggrapparsi. Le sue catene, come aveva potuto permettere che lo lasciassero? Ora niente più lo sosteneva, lo teneva ancorato.
   Sì, stava volando.
Ma non era una sensazione piacevole. Si sentiva... perso. Perché la morte, quella morte beffarda e spietata, non si era portata via lui, come sarebbe stato giusto. Aveva preso invece la fonte di quella voce, la ragione della sua stessa vita.
   Ancora una volta.
I tremiti si fecero talmente forti da sembrargli convulsioni. Voleva trattenerli, ne aveva bisogno. Se vi si fosse abbandonato, il dolore sarebbe diventato insostenibile, inesorabile, come la morte che sentiva di attendere ormai da troppo tempo. Si raccolse in posizione fetale, nonostante ormai fosse niente più che un povero vecchio solo e disperato, e non più il bambino che invece aveva atteso per mesi la vita. Un neonato che era stato piccolo, fragile, coperto di sangue, eppure capace di annunciare con tutta la forza del suo pianto la sua venuta al mondo. Gli sembrò di vedersi, quasi, nonostante gli occhi chiusi. Come se anche quello fosse un ricordo, ma non era possibile che si ricordasse della propria nascita, né delle mani tremanti, delle braccia calde che lo avevano stretto con incredibile timore e delicatezza, né della voce che aveva pronunciato il suo nome.
Capì improvvisamente solo quando si rese conto che quello non era il suo nome. E che le mani, le braccia, la voce che aveva sentito, non erano state quelle di un estraneo.
Erano state le proprie.
   « Ma neanche la morte potrebbe separarmi da te, da voi due. Troverei... troverei il modo di convincerla a ripensarci, ecco. Magari con una torta... Al cioccolato. Le torte al cioccolato piacciono a tutti, non è forse così? »
Ricordò ancora, ricordò tutto, e non riuscì a capire se quello che gli sfuggì dalle labbra fosse un singhiozzo o una risata.
Ma in fondo... non gli importava. Perché ciò che contò veramente per lui in quel momento, fu la memoria che lentamente tornò a riempirlo totalmente come prima che dimenticasse tutto. Che volesse dimenticare tutto.
Si sentì uno stupido, questa volta però non perché stesse piangendo come un bambino, come un vecchio, come l’uomo che era. E coi ricordi, tornò anche la consapevolezza di una promessa, di un giuramento, che aveva fatto anche a sé stesso... soprattutto a sé stesso.
Quando sentì nuovamente quella voce parlargli all’orecchio, pronunciare parole destinate a lui e a lui solo, la riconobbe, e si chiese come avesse potuto volerla scordare. Da essa non era in grado nascondersi, perché gli risuonava nell’anima. Quasi come se fosse la sua coscienza, una parte stessa di lui, che lo completava, lo sorreggeva, e che gli aveva donato una nuova vita. Non solo la propria.
Ed era una parte di lui che a sua volta aveva bisogno di essere accolta, sostenuta... amata.
   In salute e in malattia. In ricchezza e in povertà. Nella gioia e nel dolore, nella buona e nella cattiva sorte.
Finché la morte non li avrebbe separati, e solo in quel momento si rese pienamente conto che, anche senza una torta al cioccolato, non ci sarebbe mai riuscita.
Perché quei ricordi, no, quella realtà, era ciò che lo teneva a galla, e ci sarebbe stata per sempre, a confortarlo. Dimenticare era impossibile, così come esistere prescindendo da essa. Non sarebbe stato neanche più vivere.
Non si tirò indietro né oppose resistenza quando sentì un tocco leggero sfiorargli le mani, e allontanargliele dal viso ancora celato. Si lasciò guidare, invece. Aiutare. Guardare, per quello che era veramente.
Perché in fondo, andava bene così. Quelle lacrime erano parte di lui, e non era giusto nasconderle dietro una maschera di vuoti sguardi e sorrisi. Si era promesso, giurato di non farlo più.
   Non di fronte a lei. Alla sua vita.
 
Si sentiva come se stesse volando. Volando veramente.
Era una sensazione strana, gli sembrava come di essere attirato su, sempre più su, verso quell’alto che aveva sempre bramato, quasi come se non avesse fatto altro che annegare per tutta la vita. Eppure, in quel momento, non gli mancava il fiato.
Un bacio, profondo come il suo oceano, gli stava cedendo tutta l’aria di cui aveva bisogno.
 
 
 
   « Buongiorno... »
Ichigo Kurosaki sbatté più volte le palpebre, mettendo lentamente a fuoco la figura seduta al suo fianco, china sopra di lui, i suoi capelli scuri mediamente lunghi che quasi arrivavano a solleticargli il viso, i suoi occhi grandi dalle sfumature violacee, illuminati dal sorriso appena accennato dipinto sulle sue labbra. Impercettibilmente, strinse le proprie e le assaggiò con la punta della lingua, come a rievocare il sapore di quel bacio che l’aveva svegliato, mentre aggrottava involontariamente le sopracciglia.
Il sorriso di Linalee Lee si distese a vedere il suo viso corrugarsi di primissima mattina, e allungò le dita a sfiorargli la fronte, per poi passare ad accarezzargli i capelli, scostandoglieli mentre si chinava nuovamente su di lui a deporre la bocca sulle rughe d’espressione formatesi a causa di quel suo accigliarsi.
   « A cosa devo tutti questi baci...? », le chiese Ichigo con la voce ancora roca per il sonno, passandosi una mano tra i ciuffi ribelli fino ad incontrare quella di lei, posatasi sulla sua guancia. Linalee si limitò a scuotere la testa e a sospirare, appoggiando la fronte contro quella di lui.
   « Va sempre a finire così, lo sapevo che te lo saresti scordato... »
   « Scordato cosa? »
In realtà Ichigo sentiva come di essersi davvero dimenticato di qualcosa. Probabilmente era stato un sogno. Ma non gli diede granché importanza, i sogni non erano la sua realtà. La sua realtà era lì davanti a lui, che lo guardava con quegli occhi capaci di fargli perdere la cognizione di ogni altra cosa al mondo all'infuori di essi.
   « Che giorno è oggi? », gli chiese sua moglie, scostandosi da lui e incrociando severamente le braccia al petto, guardandolo con il capo inclinato di lato. Ichigo si grattò nuovamente la testa trattenendo a stento uno sbadiglio mentre allungava una mano per prendere l’orologio che aveva appoggiato sul comodino di legno, al fianco del letto. Ancora intontito dal sonno, corrugò nuovamente la fronte per leggere i due piccoli numeri che segnavano la data a lato del quadrante.
   « Quindic-... ah. Già. »
   « Già. », ripeté Linalee con tono di rimprovero. « Quindici luglio. »
Ichigo si tirò a sedere e rimase in silenzio, distogliendo lo sguardo quasi come ad aspettare una ramanzina che non arrivò.  Invece Linalee si limitò a scuotere un’altra volta la testa, ormai rassegnata. Era da anni che ci aveva rinunciato. Ichigo era quel tipo di persona che tendeva a tenere in considerazione più quello che riguardava gli altri, rispetto a quello che concerneva lui stesso. E forse, era anche questo uno dei motivi per cui lo amava così tanto, e si sentiva come se fosse compito suo prendersi cura di lui ogni giorno, come aveva giurato durante lo scambio dei voti matrimoniali.
Sorrise pazientemente e accarezzò nuovamente il suo viso, facendo in modo che tornasse a guardarla, mentre si avvicinava a lui.
   « Buon compleanno, Ichigo... », mormorò poco prima di posare le labbra sulle sue.
Ora sveglio, Ichigo rispose al bacio, sorprendendosi a cercare la sua bocca con più avidità di quanta fosse sua intenzione, ma Linalee si lasciò guidare da quel suo desiderio, e si premette maggiormente contro il suo petto, stretta tra le sue braccia che l’avevano circondata in un abbraccio che come sempre aveva la capacità di farla sentire speciale. Protetta. Amata.
E Ichigo avrebbe continuato volentieri ad amarla in quel modo per tutto il giorno, se non fosse stato per un'improvvisa fitta che sentì al cuoio capelluto, e un peso aggrapparsi alla sua schiena, stringendogli la maglietta tanto da fargli mancare il fiato, rischiando di strozzarlo.
Scostandosi controvoglia da sua moglie, voltò la testa quanto poté fino ad incontrare un altro paio di occhi dalle sfumature violacee, così simili a quelli di Linalee tanto quando la massa disordinata di capelli ramati sopra di essi era identica alla sua.
   « ... Grazie anche a te per gli auguri, Masato. », lo apostrofò, ricambiando il suo sguardo carico di gelosia. Quasi per dispetto, strinse di più Linalee tra le braccia, guadagnandosi un altro strattone ai capelli che si costrinse a sopportare a denti stretti.
   « Masato, non tirare i capelli a papà, gli fai male. », intervenne Linalee prendendo la piccola mano di suo figlio nella sua e scostandola dalla testa di suo marito. Suo malgrado, Masato si lasciò guidare; semplicemente, con Linalee non si poteva discutere. Ma la verità era anche che fin da quando era nato, quel bambino che ora non aveva più di tre anni, aveva sviluppato un attaccamento spropositato nei confronti della madre, dalle cui labbra pendeva, letteralmente. E Ichigo lo sapeva più che bene, così come lo sapevano i numerosi lividi che, ogni volta che veniva beccato in atteggiamenti un po’ più intimi con sua moglie, collezionava sugli stinchi. In fondo, però, non riusciva a biasimarlo totalmente. Linalee era... beh, Linalee. E poi lui stesso da piccolo si era comportato in modo analogo nei confronti di suo padre, qualche volta.
   « Cosa ti ho detto riguardo ad oggi? », continuò Linalee, guardando Masato dritto negli occhi, Masato che arrossì e li distolse subito da lei, imbronciandosi e premendo la bocca contro la spalla di Ichigo.
   « ... Che devo fare il bravo con papà. », mugugnò a bassa voce, chiaramente contrariato. Linalee annuì soddisfatta, mentre a Ichigo scappò un sorriso.
   « Veramente dovresti farlo sempre, sai? », precisò, voltandosi nuovamente verso di lui che gli rispose fulminandolo con lo sguardo a sentirsi scompigliare i capelli, e gli regalò una linguaccia che fece trasalire Linalee e i suoi buoni propositi riguardo una pacifica convivenza almeno per un giorno, tra quelli che erano i due uomini più importanti della sua vita.
Perché Ichigo non ci pensò due volte prima di staccare e sollevare di peso suo figlio.
   « Prova a rifarlo. Provaci. », così come Masato non si lasciò minimamente intimidire nel rispondere alla sua provocazione, anzi, prese pure a scalciare nel tentativo di liberarsi.
E in men che non si dica, il risveglio di Ichigo nel giorno del suo ventisettesimo compleanno si trasformò nel tentativo di fuga di suo figlio mentre lui lo tratteneva sul letto e gliela faceva pagare, tormentandolo con il solletico. L’infantile ed acuta voce di Masato riempì la stanza di un calore che non aveva niente a che vedere con l’afa estiva che si respirava più forte che mai in quel mese di luglio, e Ichigo quasi sentì gli occhi inumidirsi tra le risa, gli esili pugni e le gomitate che ricevette in quella sorta di lotta.
La verità era una sola. Amava sentire la risata di suo figlio.
 
Linalee Lee, o forse è meglio dire Linalee Kurosaki, non poté fare a meno unirsi ai loro sorrisi davanti a quella scena così semplice, consueta, ma ogni volta unica quanto capace di scaldarle il cuore e commuoverla. Quei momenti, quei sorrisi erano la sua vita. Così come sapeva bene che il suo e quello di Masato fossero la vita di Ichigo.
Ichigo che rispondeva sempre nello stesso modo, ogni volta in cui gli domandava cosa volesse per il suo compleanno.
   « Mi hai già regalato tutto quello che potessi desiderare. »
 
 
 
-
 
 
 
NDA 2: Nel nome Masato (真佐人) è compreso lo stesso kanji iniziale di Masaki (真咲), il nome della madre di Ichigo, e gli ideogrammi da cui è composto vogliono dire: “vero”, “che aiuta”, “uomo”. Ringrazio infinitamente neme_ e Angy_Valentine con cui ho scelto questo bellissimo nome pieno di significato. :°)
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Bleach / Vai alla pagina dell'autore: M e g a m i