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Autore: lulubellula    29/11/2012    6 recensioni
Cristina è sdraiata nella vasca da alcune ore ormai, non riesce a muoversi, né a reagire allo shock subito durante l’ incidente aereo. Lei si sente spezzata, incompleta, come se una parte di sé fosse persa per sempre. L’ unica cosa che riesce a fare è concentrarsi sulla pioggia che scroscia lungo i vetri e immedesimarsi in essa, arrivando a considerare l’ acqua e le tempeste il suo elemento naturale. Dopo la pioggia, però arrivano il sole, l’ arcobaleno e una nuova occasione per rialzarsi.
Storia partecipante al contest: "Una frase di Paulo Coelho per ispirarti" di ticci.efp. e arrivata Quinta in classifica.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cristina Yang
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nona stagione
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Titolo: “Broken”
Fandom:
 Grey’ s Anatomy
Frase scelta: “Chi desidera vedere l’ arcobaleno, deve imparare ad amare la pioggia” (n° 5)
Personaggi principali: Cristina Yang
Personaggi secondari (eventuali): Owen Hunt (accenni)
avvertimenti: Missing Moments, Slice of life
genere: Drammatico, introspettivo
rating: Giallo

Introduzione: Cristina è sdraiata nella vasca da alcune ore ormai, non riesce a muoversi, né a reagire allo shock subito durante l’ incidente aereo. Lei si sente spezzata, incompleta, come se una parte di sé fosse persa per sempre. L’ unica cosa che riesce a fare è concentrarsi sulla pioggia che scroscia lungo i vetri e immedesimarsi in essa, arrivando a considerare l’ acqua e le tempeste il suo elemento naturale. Dopo la pioggia, però arrivano il sole, l’ arcobaleno e una nuova occasione per rialzarsi.
 NdA (eventuale):” I personaggi della mia storia non mi appartengono, ma sono dell’ Abc e sono stati creati da Shonda Rhimes”.
 
“Broken”

Sono nel bagno di casa mia, sdraiata nella vasca da più di un’ ora ormai, le mie mani e i miei piedi hanno assorbito l’ essenza di vaniglia del mio bagnoschiuma.

Un profumo dolce e tenue mi accarezza la pelle delicatamente, cingendola piano, con delicatezza, penetrando nella mia cute e avvolgendo i miei sensi.

La pioggia batte con insistenza sui vetri delle finestre, una danza incessante e disperata, quasi assordante, che mi rilassa e mi tranquillizza più di un tiepido sole primaverile.

Io amo le tempeste, la pioggia battente, l’ acqua che scorre lungo le strade, i vestiti e le scarpe bagnati, gli ombrelli che si rompono nel bel mezzo di un acquazzone e ti lasciano lì, senza alcun riparo tra te e la pioggia.

L’ acqua è il mio elemento naturale.

Se non amassi così tanto la chirurgia, probabilmente passerei gran parte del mio tempo al mare o in piscina, a nuotare libera come un delfino nell’ oceano, senza legami né scadenze, senza incidenti o bugie, pianti e tradimenti.

Sono ancora qui, nella vasca, a casa mia.

Ormai sono due ore che me ne sto immobile, senza muovere un muscolo.

La spugna è ancora lì, al suo posto, non l’ ho nemmeno sfiorata, sono solo entrata e mi sono seduta ad aspettare, non so bene cosa o chi.

Un segno, forse, un indizio, una risposta al mio stato di malessere interiore.

Intanto fuori continua a piovere, l’ acqua scroscia rumorosamente contro i vetri, lava via la polvere dalle persiane stinte, ripulisce le auto, le case, le persone.

Tutto sembra più pulito, più vivido, dopo un temporale, ogni cosa appare più chiara e semplice, persino ovvia, alle volte.

Quanto vorrei che la pioggia facesse questo effetto anche su di me, che mi lavasse via l’ odore del tradimento, della morte, che mi strappasse l’ immagine dell’ orrore e della paura, quell’ immagine che rivedo ogni sacrosanta notte, prima di dormire, e che tormenta i miei incubi, una notte dopo l’ altra.

Invece lo scroscio dell’ acqua non mi fa questo effetto; riesce a tranquillizzarmi, questo è vero, a volte mi fa quasi risentire la persona di prima, mi fa quasi ritornare ad essere la Cristina di un tempo, quella che non aveva paura di tutto, di operare, di camminare a testa alta lungo i corridoi dell’ ospedale o di prendere un aereo.

Ora ho timore di molte cose, ho difficoltà a sopportare le emozioni forti, le chiacchiere e i pettegolezzi alle mie spalle, i farmaci, i fiammiferi che si spengono o si spezzano a metà prima di essere accesi.

Forse mi sento così perché, in fondo, sono come quel fiammifero, sono spezzata a metà e queste due parti non combaciano più, sono smussate alle estremità e sembrano una cosa sola, se le si avvicina; ma qua e là sono irregolari, hanno perso dei frammenti fondamentali che lo rendono diverso.

Quel fiammifero sembra lo stesso di prima, ma non lo è più, ha sempre la medesima altezza e lo spessore è simile, ma qualcosa in lui è cambiato, qualcosa si è spezzato per sempre e lo ha reso inutilizzabile.

In questo momento, io mi sento così, a metà, rotta in due parti e non riesco a trovare la via per ricongiungerle in alcun modo, non riesco a trovare la maniera per rimettere insieme i tasselli del mosaico, perché ne manca sempre qualcuno.

E quella mancanza è come una falla nella mia vita, che si riempie continuamente d’ acqua, di centinaia di litri d’ acqua che allagano la mia anima e mi fanno affogare nel mio dolore, nei miei ricordi.

Sono ancora nella vasca, ormai da più di tre ore, ho gli arti indolenziti e la schiena intorpidita, ho i capelli sciolti lungo le spalle, una cascata di riccioli corvini che ricadono lievemente nell’ acqua profumata.

Ho freddo, sento i brividi che mi percorrono il collo e la schiena, che attraversano le terminazioni nervose di tutto il corpo, dalla periferia al sistema nervoso centrale.

Esco lentamente dall’ acqua e mi infilo distrattamente l’ accappatoio, poi prendo un fermaglio e raccolgo i capelli in un semplice chignon.

Entro in cucina e vedo che sul tavolo c’ è già la mia cena pronta, una porzione di lasagne cucinata da mio marito Owen e un biglietto: “Ti ho preparato qualcosa per cena, bastano pochi minuti al microonde. Nel caso in cui tu avessi ancora fame, nella credenza ci sono i tuoi cereali preferiti. Buona serata. Owen”.

Prendo la mia cena e mi preparo a farle fare la stessa fine di quella di ieri sera e di tutte le serate precedenti: un viaggio di sola andata per il cestino dei rifiuti.

Mi volto verso la finestra e vedo che ha smesso di piovere, non ci sono più nuvole, sta spuntando un tiepido sole e l’ arcobaleno è alto e maestoso nel cielo.

Mi avvicino e scosto le tende per ammirare il paesaggio più da vicino, tenendo il mio pasto tra le dita di una mano.

Vedere l’ arcobaleno mi infonde un senso di fiducia e sicurezza, segna la vittoria della luce sulle tenebre e sul maltempo.

Forse il mio mosaico incompleto non lascia entrare solo il temporale, la pioggia ed i fulmini, forse c’ è ancora spazio per uno spiraglio di luce e per i raggi dei sole, c’ è ancora posto per l’ arcobaleno.

“Chi desidera vedere l’ arcobaleno, deve imparare ad amare la pioggia” mi aveva detto qualcuno o forse l’ avevo letto da qualche parte.

Ho già sentito la pioggia, ho già avuto le mie tempeste, sono stata nell’ occhio del ciclone per molto, troppo tempo.

Ho imparato ad amarla, a conviverci, a considerarla una mia amica, ora però devo passare oltre.
Ora è venuto il momento di lasciar entrare la luce del sole nella mia vita, è tempo che io ammiri l’ arcobaleno ed esca fuori dal mio guscio.

Oggi è il giorno giusto per spalancare le finestre, per godermi i tiepidi raggi del sole e i colori dell’ arcobaleno, oggi è il giorno in cui io ritorno alla vita.
 

   
 
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