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Autore: FrankieFox    30/11/2012    1 recensioni
Vorrei tanto avere un fermo immagine di quell'istante.
Un 'normale' quasi-pisolino collettivo di quattro non-americani in America... anche se io non ho dormito granché, certo. Non con lui così vicino... :3
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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“Wake me up when the cafeteria opens!”

“Svegliatemi quando il bar apre!’

Prima ancora che smettessi di ripetermi le sue parole tra me e me, lui aveva già chiuso gli occhi, abbandonandosi contro il suo zaino, con il viso nascosto tra le braccia magre.  Gli lanciai una lunga, dolce occhiata, e poi iniziai ad osservare la spilla appuntata alla sua cartella nera, appena vicino a quella del Bayern Monaco. Rappresentava due bandiere: quella famosa degli Stati Uniti, la casa adottiva di tutti noi, incrociata con quella verde e bianca della sua amata patria.

A tutti piaceva stare lì, ma nessuno dimenticava mai le sue radici. Per quanto bene ci potessimo sentire, ogni volta che ce lo chiedevano noi ripetevamo con orgoglio di essere ‘al 100% non americani’, ribadendo sempre il nostro paese di origine. Per me, Italia. Per lui, Arabia Saudita. Se avessero chiesto alle altre due persone sedute al nostro tavolo mentre aspettavamo che la scuola iniziasse, sarebbero stati Bolivia e Corea.

Sospirai delicatamente, cercando di non attirare l’attenzione. Tutti avevano seguito il suo esempio, e io ero l’unica rimasta con gli occhi aperti, a guardare un massa di capelli neri e spessi, ordinata in modo quasi maniacale e seminascosta da una felpa blu con il cappuccio.

Mi resi conto che probabilmente non avrebbe dormito mai più così vicino a me. Non me ne preoccupai: appoggiai anch’io la testa, arrendendomi al torpore, e chiusi gli occhi. Nel silenzio generale (quello che può regnare in una scuola cinquanta minuti prima dell’inizio delle lezioni), il suo respiro mi cullava, dandomi il tempo. Per una volta era bello non crearmelo da sola, da brava aspirante batterista quale ero, ma riceverlo da lui, completamente ignaro.

Socchiusi le palpebre, incapace di dormire. Guardare le spalle che si muovevano appena, mentre lui abbassava ogni difesa e si lasciava andare al sonno, mi intenerì.

Mi chiesi se stesse sognando… e se sì, allora cosa? Sognava di noi? Di me? E lo faceva nella sua lingua, con cui nessuno di noi lo aveva mai sentito destreggiarsi, o nella lingua che usavamo noi tutti per comunicare, nonostante non la sentissimo mai del tutto nostra?

Cercai una posizione più comoda, cercando di non rovinare il trucco sui miei occhi e sulle mie gote. Avevo iniziato a usarlo solo tre o quattro settimane prima. Mi chiedevo se lui l’avesse notato. Era solo un altro degli innumerevoli espedienti che avevo architettato per avvicinarmi di più a lui, per piacergli sempre un po’ di più, assieme agli stivali col tacco, lo smalto coordinato ai vestiti (io, che mi mangiavo le unghie fino a quindici giorni prima), il cibo italiano per la sua famiglia ospite e la mia ricerca sul calcio, il suo argomento preferito. Nulla era sembrato funzionare.

Ma ora era lì, a dormire sotto il mio sguardo attento e infatuato che lo vegliava da vicino. Arrossivo al solo pensiero che si fosse seduto vicino a me, nonostante ci fossero altri quattro posti vuoti, e pregavo solo che non si svegliasse di soprassalto, accorgendosi di me.



Vorrei tanto avere un fermo immagine di quell’istante.

  
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