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Autore: Nemsi    01/12/2012    2 recensioni
Asgard e Jotunheim.
Due regni in guerra perenne, mondi opposti, realtà talmente distanti da non convergere mai, se non su un campo di battaglia, tra le urla di dolore dei soldati e quelle di incitamento dei generali.
Due popoli così profondamente diversi da non essere in grado neppure di capirsi.
Sole e ghiaccio, ardore bruciante e gelo persistente, orgoglio guerriero ed astuta stregoneria, sempre in guerra da tempi immemori.
Dopo millenni in guerra e due mondi sull’orlo del baratro, fu stipulato un folle e scellerato patto di non belligeranza. Una tregua sancita con il sangue di innocenti, sacrificati in nome di un odio che non aveva confini.
Ogni inverno un giovane, uomo o donna, veniva estratto a sorte e condannato a vagare nudo per le lande perennemente ghiacciate di Jotunheim, così da essere vittima dei mostri che vagavano in quella terra ostile come il più arido degli inverni.
Quanto accadde in quel maledetto equinozio d’autunno, nessuno, di qualunque genia, pote mai scordarlo.
[CENSURATA]
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Loki, Thor
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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AVVISO:
Per non contravvenire al regolamento di EFP ho scelto di inserire questa storia pesantemente CENSURATA. Se volete leggere la versione originale, priva di censura potrete trovarla qui.
Nemsi

 

Scritta per il concorso ThunderFrost - Baciati dalla fortuna" con il Pacchetto Azzurro contenente:

Pacchetto Blu


Genere: fantasy
Citazione: Posso resistere a tutto tranne che alle tentazioni. Oscar Wilde

Colonna sonora

Asgard e Jotunheim.
Due regni in guerra perenne, mondi opposti, realtà talmente distanti da non convergere mai, se non su un campo di battaglia, tra le urla di dolore dei soldati e quelle di incitamento dei generali.
Due popoli così profondamente diversi da non essere in grado neppure di capirsi.
Sole e ghiaccio, ardore bruciante e gelo persistente, orgoglio guerriero ed astuta stregoneria, sempre in guerra da tempi immemori. Nessuno dei due contendenti rammentava più cosa l’avesse scatenata o chi fosse il colpevole. Forse tutto era scaturito da ragioni talmente serie da non poter essere ignorate o magari tutto quel dolore era nato da una banale, puerile offesa.
Ormai si era giunti ad uno stallo. Da anni, gli Jotun assediavano le inespugnabili mura della rocca dei loro ancestrali nemici, impegnati in una strenua lotta per ogni metro guadagnato. Né gli assedianti, né gli assediati avevano più forze e la loro stessa sussistenza era in grave pericolo. E fu così, che dopo millenni in guerra e due mondi sull’orlo del baratro, fu stipulato un folle e scellerato patto di non belligeranza. Una tregua sancita con il sangue di innocenti, sacrificati in nome di un odio che non aveva confini.
Ogni inverno un giovane, uomo o donna, veniva estratto a sorte e condannato a vagare nudo per le lande perennemente ghiacciate di Jotunheim, così da essere vittima dei mostri che vagavano in quella terra ostile come il più arido degli inverni. O forse venivano usati come esperimenti per carpire il segreto di quel calore tanto odiato ed invidiato, che pervadeva i loro caldi corpi Aesir. O forse era semplicemente la crudele ed inumana imposizione di superiorità del vincitore sul vinto. Non uno di quei giovani aveva mai fatto ritorno.
In cambio, ogni primavera, il popolo degli Jotun donava campi e campi di fertile terreno, incantato e rafforzato dalla loro potente magia, da coltivare fino all’arrivo dei primi geli, permettendo agli stremati Aesir di nutrirsi con abbondanza e ricostruire la loro gloria.

~◌~

Quanto accadde in quel maledetto equinozio d’autunno, nessuno, di qualunque genia, pote mai scordarlo. Il tristo rituale stava per essere nuovamente compiuto ed un giovane, ragazzo o fanciulla, bello e nobile, scelto nel fiore degli anni, sarebbe stato spedito oltre l’Iving, votato al sacrificio più puro ed eroico per il benessere dell’intero regno.
«Thor!» esclamò con voce stentorea l’araldo, dopo secondi di esitante silenzio. Nessuno ebbe il coraggio di parlare.
La sorte aveva estratto il principe ereditario come tributo sacrificale ai crudeli vincitori.
Frigga, sua madre, crollò a terra, le iridi celesti vitree come se non vi fosse più nessuno ad abitarle. Subito le ancelle corsero a soccorrerla, ma già le lacrime le solcavano le guance con la furia di un fiume in piena.
Il re fissò suo figlio, il suo unico erede, con la freddezza che solo le lande ghiacciate di Jotunheim, su cui aveva marciato innumerevoli volte, potevano eguagliare.
Un solo un assenso, e mentre chinava il capo, oppresso da quella corona che si faceva più pesante ad ogni alba, il re sentì distintamente il proprio cuore andare in pezzi. Quanto ancora gli avrebbe chiesto in sacrificio, quel mostro chiamato trono? Era stanco, così stanco. Ma un sovrano non può essere debole, né lasciarsi andare a favoritismi. Anche se questo vuol dire condannare a morte ciò che si ha di più caro al mondo.
Il giovane Thor era un uomo, poco più che ragazzo, dai lunghi capelli biondi, la pelle ambrata e vivaci occhi azzurri, più limpidi dei cieli tersi che rendevano Asgard il più incantevole dei Nove Reami. Bei lineamenti ed un fisico possente, la stoffa del guerriero ed il cuore ardente di un leone. La perfetta incarnazione di un sovrano Aesir. Nessuno, nell’intero regno, dubitava la sua attitudine a governare con forza e giustizia, come suo padre prima di lui.
Tutto ciò non aveva più importanza.
Avrebbe vagato per le gelide terre di Jotunheim, coperto solo da un mantello scarlatto e disarmato, privato dei suoi poteri divini da bracciali incantati, come imposto dai vincitori, e non avrebbe più fatto ritorno. Sarebbe stato sbranato dalle fiere o ucciso dagli strali del ghiaccio eterno che ricopriva per intero quel mondo dal cuore spento.
Thor sorrise acre a quel pensiero. L’indomani sarebbe morto. Il come che differenza poteva fare?

~◌~

Thor si mise a sedere, in ginocchio, il drappo rosso steso in grembo, le braccia mollemente appoggiate sulle cosce, gli occhi chiusi, insolitamente mite.
Ora era solo.
La pazienza non era certo una sua virtù, tutt’altro, ma in quel momento era assurdamente calmo. Era forse quella, la serenità che si prova un attimo prima di morire?
Il suo popolo, la scorta che lo aveva condotto fino ai confini del regno del Ghiaccio Eterno, lo aveva abbandonato da pochi minuti. Eppure gli pareva fossero trascorsi secoli. Non vedeva neppure più la piccola imbarcazione che li aveva trasportati, da una sponda all’altra, del grande fiume Iving, il confine naturale che divideva i loro reami.
Suo padre l’aveva abbracciato con la disperazione che grondava da quel volto stanco e stremato, così profondamente diverso dall’espressione solenne e severa che tanto gli era famigliare. Thor non avrebbe mai potuto dimenticarlo. Non era altro che la faccia di un vecchio genitore, costretto a sacrificare il suo unico figlio, per una guerra che non aveva mai desiderato e che nel battaglia dopo battaglia, scontro dopo scontro, non gli aveva provocato altro che ferite, dolore e lutti.
Lo salutò con un sorriso sincero, stringendolo a sé, rassicurandolo che non si sarebbe mai e poi mai arreso, non senza combattere. Una velata promessa, che fece fremere l’animo straziato dell’anziano re, di speranza e angoscia.

Il gelo cominciava a farsi pungente, quasi bruciante. Le dita dei piedi iniziavano a perdere sensibilità. Quanto ancora avrebbe dovuto aspettare?
Poi li vide. In lontananza si stagliavano grandi sagome umanoidi, alte più di cinque metri. Tre Giganti si stavano avvicinando a lui, armati e per nulla amichevoli.
Come d’uso per la loro razza, indossavano ben pochi abiti. Un semplice gonnellino, fatto di pelli d’animali, copriva le loro pudenda, ed insieme a dei calzari, componeva il loro intero abbigliamento. Ad adornarli v’erano innumerevoli monili di pregiata fattura, d’oro lucente, di cui la loro terra era molto ricca. Collane, diademi, spessi bracciali e persino schinieri. Un inno all’opulenza. Tra gli Aesir neppure le donne più avide e sfacciate avrebbero osato agghindarsi con tanto sfarzo, figuriamoci dei presunti guerrieri. Dovevano appartenere alla nobiltà. Il principe non ebbe bisogno di altre conferme per capire con precisione ciò che stava per accadere.
Allora era così che andava. Un rito di passaggio. Una sorta di sadica vendetta, una prova di falsa virilità e cordardia. Ormai gli erano davanti e lo squadravano con sufficienza. Fu quello in mezzo a parlare per primo.
«E’ un maschio. Peccato.» la sua voce gutturale lasciava trasparire una profonda delusione, che fece salire il sangue al cervello al biondo guerriero. Bestie schifose. Non che fosse poi così esperto in faccende amorose, ma non gli serviva certo molta fantasia per intuire i desideri perversi che si celavano dietro quelle parole da vigliacco. Se solo avesse avuto la sua forza e magari una spada...
Quello più a sinistra gli puntò la punta della sua lancia alla gola, in un gesto sprezzante.
«Corri, se no non ci divertiamo.» gli aveva intimato sogghignando ferino. Era affilata come un rasoio, tanto che gli bastò fare una piccola pressione e il sangue prese a scorrere, imbrattandogli il petto nudo. Un taglio poco più che superficiale, ma che scatenò la collera del figlio di Odino.
«Paura che se fossi armato, non riuscireste a torcermi un solo capello?» li provocò spavaldo. D’altronde che aveva da perdere? Ben sapeva di non poter contare sulla propria forza, ridotta ad una mera imitazione, sigillata da quei maledetti bracciali magici. Un misero granello rispetto alla possanza che lo aveva reso uno dei guerrieri più temibili di Asgard, quando era ancora adolescente. Eppure non avrebbe dato loro la soddisfazione di vederlo in difficoltà, o peggio implorare per aver salva la vita.
Uno scatto di reni e si portò in piedi, a fronteggiarli con orgoglio.
«Abbiamo un piantagrane quest’anno.» mugugnò quello a destra, poco prima di alzare l’ascia e calarla pesantemente sull’Aesir. Thor fu più veloce. Afferrò il suo polso con entrambe le mani e fece perno, usando la forza stessa del gigante contro di lui. Lo atterrò senza alcuna fatica, assestandogli un poderoso calcio sulla gola, frantumandogli la trachea. Meno uno. Si mise di nuovo in guardia, i pugni alzati di fronte al viso. Purtroppo non poteva appropriarsi della sua ascia, in quanto interamente fatta di ghiaccio e fusa con il braccio stesso del nemico. Poco male, se anche gli altri erano come il primo, non sarebbero stati un grosso problema.
I due Giganti sembravano furiosi e terrorizzati. Lo fissavano guardinghi, incerti su come reagire. Allora aveva visto giusto. Non erano veri guerrieri, probabilmente non avevano impugnato una arma vera fino a quella mattina.
Forse aveva una possibilità di scamparla.
In quel momento, Thor sentì la propria gamba andare a fuoco. Si voltò di scatto e vide la mano del primo avversario stretta attorno al proprio polpaccio. Con le ultime energie rimaste gli aveva congelato interamente l’arto sinistro ed ora ghignava trionfante, seppur moribondo. Prima che potesse in qualche modo contrattaccare, avvertì un colpo fortissimo alla testa. Il mondo intero perse di definizione, mentre li sentiva vociare su come si sarebbero vendicati. Avrebbero infierito, prima di lasciarlo morire. Sogghignò amaro. I codardi lo fanno spesso.
«Patetici.» mormorò prima di perdere completamente i sensi. Cadde in ginocchio, svenuto.
«Ammazzalo!» ringhiò quello con la lancia, con la bava alla bocca, come una bestia dissennata.
Una lama di ghiaccio purissimo gli si conficcò nel petto, trapassandolo da parte a parte. Cadde a carponi, nascondendo così la presenza di Thor al nuovo aggressore.
Il terzo Gigante, prima ancora di comprendere la situazione, fu immobilizzato da lingue di gelo simili a serpenti, che strisciarono lungo il suo corpo massiccio, fino ad infilarsi nella sua bocca, facendo nido nella sua gola cianotica, soffocandolo senza neppure un gemito.
«Questo è il mio territorio e non voglio intrusi.» mormorò una piccola figura avvolta in un mantello grigiastro. Era uno Jotun, seppure le sue dimensioni non differissero molto da quelle di un Aesir. Aveva lunghi capelli neri e grandi corna adornate d’oro, che rilucevano di una sinistra luce scarlatta.
Si avvicinò con passo leggero, quasi volando sulla neve fresca.
«Quando imparerete la lezione, stupidi colossi.» sibilò tirando un calcio all’enorme polpaccio, stizzito. Si chinò sui loro corpi esanimi, strappandogli di dosso monili e preziosi, riponendoli con cura nella propria borsa. Un buon bottino, dovevano essere dei nobili. Chissà perché si ostinavano ad invadere il suo terreno. Non ne aveva forse uccisi abbastanza per rendere chiaro il concetto di “proprietà privata”? Si mise ad osservarli. Erano armati. Probabilmente stavano cacciando. Magari erano stati così gentili da procurargli la cena. Per quanto odiasse ammetterlo, lui era negato a cacciare prede semoventi, per cui si accontentava spesso di funghi, erbe e frutta.
Si avvicinò di qualche passo e rimase basito. Un semplice gioco di polso, una formula sussurrata e l’enorme corpo del secondo Gigante volò a mezzaria, scaraventato lontano di parecchi metri.
Un Aesir?
Che ci faceva lì un loro nemico, nudo e disarmato? Si aspettava un cervo, un cinghiale o un qualunque altro animale. Non certo un umanoide bipede dalla pelle abbronzata e i lunghi capelli biondi, semi-intirizzito ed immobile come una statua. A prima vista gli parve innocuo, come un agnello, legato ai confini della città, in offerta ai lupi. Ed era certo che quella sarebbe stata la sua fine, se non fosse intervenuto in prima persona.
Accorciò le distanze tra loro con cautela. La vita gli aveva insegnato, duramente, che la prudenza non è mai troppa. Fece apparire una lunga daga di ghiaccio e lo sfiorò appena, senza ferirlo. Nessuna reazione. Era proprio incosciente.
Loki si rilassò un poco. Di certo era uno che non si dava per vinto facilmente. Aveva combattuto come un leone sebbene disarmato ed inferiore numericamente. Ed era svenuto restando in piedi... più o meno. C’erano solo due possibilità: o era un uomo d’ineguagliabile coraggio o un emerito imbecille.
Di una cosa doveva dargliene atto: aveva attirato la sua attenzione. E non era facile.
Gli sollevò il mento con grazia, osservandolo per qualche secondo. Era bello. E fiero. E nobile.
Forse salvarlo non sarebbe stata una cattiva idea.
«Sto per fare una pazzia bella e buona, vero sciocco bestione?» domandò retorico, muovendo le dita ed avvolgendolo in delicati strali d’energia che lo sollevarono senza recargli alcun danno. Prese a camminare verso casa, seguito a distanza dal suo ignaro prigioniero.

~◌~

Thor si svegliò di soprassalto. Davanti a sé solo la parete spoglia di una grotta.
Ansimava pesantemente. Il cuore gli batteva all’impazzata. E la gamba gli faceva un male atroce. Era vivo?!
«Calmati. Sei al sicuro.» mormorò una voce alle sue spalle. Si voltò di scatto, pronto a fronteggiare il nemico, armato solo dei propri pugni. Non vide nessuno. Tutto era avvolto dall’oscurità. Doveva essere calata la notte. Solo il rosseggiare di un piccolo bracere dietro di lui illuminava quel piccolo rifugio. Una panca, un paio di sedie, un piccolo tavolo, alcune mensole e decine di libri.
«Per ora.» la sua voce si era inasprita in una, neppure tanto velata, minaccia.
«Dove sono?» chiese istintivamente. Doveva fare un quadro della situazione il prima possibile.
«A casa mia.» gli fu risposto con ovvietà. Di colpo se lo trovò di fronte. Sgusciò fuori dall’ombra con la grazia letale di un serpente. Era uno Jotun, insolitamente piccolo e minuto. Che fosse un bambino? O forse una donna. Aveva lunghi capelli neri, lineamenti eleganti e grandi occhi scarlatti. E due enormi corna ingioiellate d’oro, che rilucevano rossastre in quella minuscola, grossolana abitazione.
In quel momento, Thor realizzò le proprie condizioni. Era steso su un letto, avvolto in pelli dall’odore forte e pungente, ma piacevolmente calde. E con uno strano impacco sul collo, proprio dove il Gigante si era divertito a ferirlo con la lancia. Anche il dolore alla gamba sembrava essersi fatto meno pungente. Era stato quell’individuo a portarlo lì, salvandolo dal gelo della notte?
«Chi sei?» domandò mettendosi a sedere, appoggiando le mani in grembo, cercando di risultare il meno ostile possibile.
«Sono uno stregone.» rispose il suo ospite, continuando ad osservarlo a distanza. Si stavano studiando a vicenda.
«Io un guerriero.» replicò con semplicità. In fondo era vero. Lui non aveva mai badato tanto ai titoli o ai gradi. Alla fine si trattava di allenarsi, diventare forti, abili e preparati, ed essere pronti a morire trafitti da una spada, per difendere le persone amate. Tutto il resto non era che un’inutile orpello gerarchico. Sapeva bene che su un campo di battaglia, il coraggio poteva rendere nobile anche il più miserevole dei braccianti o ridurre il più titolato dei cavalieri ad un’infame codardo.
«Ma davvero?» la sua voce, vagamente sibilante, era pervasa da un sarcasmo sfacciato.
«Non ci sarei mai arrivato da solo, viste le tue braccia da fragile scrivano.» proseguì avvicinandosi al fuoco, ravvivandolo con un lungo bastone. Ad un primo sguardo poteva sembrare inoffensivo, ma l’istinto diceva a Thor di stare ben attento. Era di certo un avversario ben più temibile dei tre colossi di prima. La sua mente fece un rapido riassunto delle ore precedenti. E capì.
«Ti devo la vita.» realizzò a voce alta, osservandolo incrociare le braccia all’altezza del petto.
«Vero, ma non fraintendere. Non volevo salvarti.» confessò quello, con un’alzata di spalle. Forse non era il massimo della cortesia, ma almeno era sincero.
«Stavo solo difendendo il mio territorio. Odio gli intrusi» proseguì, mettendosi a sedere sulla panca accanto al bracere. Erano ancora in stasi, però non sembrava un tipo violento, pensò il mago.
«E fino a prova contraria tu non sei un eccezione.» gli fece notare, puntandolo con l’indice della mano destra. Indossava un bracciale d’oro, con rubini e altre gemme. Questo particolare suggerì al biondo che si trattasse davvero di una femmina, poi ricordò quanto l’oro e le gemme fossero comuni anche tra i maschi della stirpe dei Ghiacci Eterni.
«Che ci fai qui, tra i mostri, privo di armi e vestiti?» prese ad interrogarlo, senza neppure fare lo sforzo di risultare amichevole. «Ti sei perso?» insinuò con un sorrisino pungente. Thor non si lasciò provocare.
«No, sono stato scelto per il rituale» ribatté atono, avvolgendosi fino al collo in quelle coperte di pelo. La fama di Jotunheim era decisamente meritata. Pur essendo all’intendo di una caverna se non stava attento rischiava di assiderare.
«Rituale?» domandò sinceramente curioso, guardandolo in volto. Sembrava davvero non saperne nulla.
«Non lo sai? Il sacrificio annuale che il vostro popolo ci impone dalla fine della guerra.» spiegò cercando di essere neutrale, ma la rabbia che pervadeva la sua voce lo tradiva. Il principe non era bravo a mentire e fingere, non lo era mai stato.
«Non mi interesso di politica.» ammise atono. Ad essere precisi lui cercava di stare il più lontano possibile dai propri simili, ma questi dettagli non dovevano interessare il barbaro.
Tra i due calò il silenzio, interrotto solo dal crepitio del fuoco.
«Sei uno Jotun?» gli sfuggì prima di rendersi conto della banalità della domanda.
«Tu che ne dici?» cantilenò canzonatorio, scuotendo la testa divertito. Doveva essere cresciuto a pane e sarcasmo, pensò il biondo. «...sei un bambino?» gli chiese cercando di non sembrare sgarbato. Loki lo studiò interdetto. Era forse il modo più originale che avesse mai sentito per alludere alle sue dimensioni ridotte.
«E pensi che un bambino sarebbe riuscito a portarti fin qui? Non sei proprio in peso piuma.» lasciò intendere il suo misterioso e pungente salvatore.
«E tu non sembri un maciste. Come hai fatto?» ribatté insinuante a sua volta. Se voleva giocare sulla dialettica, anche lui sapeva come infliggere qualche colpo.
«Abracadabra forse?» mugugnò roteando la mano e facendo sollevare un grosso calderone pieno d’acqua, che attraversò la stanza e si agganciò sopra il focolare. Un elegante movimento delle dita e dalle braci si sprigionò un fumo bianco e denso che prese a salire lentamente, «Ah già.» mormorò assorto, osservando rapito quelle lingue danzare sopra le loro teste. Quando raggiunsero il soffitto si trasformarono in luce, illuminando quasi a giorno la piccola grotta. Per non essere accecato, si riparò con il braccio, mentre il suo ospite ridacchiava senza malizia.
Loki lo studiò di sottecchi. D’accordo, non era un tipo sveglio. O forse era semplicemente spaesato. Lo vide sgranare gli occhioni azzurri cielo non appena terminato l’incantesimo. Lo fissava stranito. Di quelle immense corna rossastre, non restavano altro che due cornini, lunghi meno di una spanna, ai lati della fronte.
«Appaiono quando uso i miei poteri magici. Altrimenti sono così.» spiegò con calma, alzandosi ed allungandosi verso un barattolo colmo di una strana polvere. Si tolse il mantello, rivelando una figura asciutta, nascosta ai suoi occhi cerulei solo da una semplicissima tunica. Niente seni, e anche i fianchi sembravano piuttosto scarni. Sempre che la loro razza avesse due sessi distinti... «Sei un... maschio!?» sbottò sorpreso, tappandosi immediatamente la bocca con le mani. Non era certo un commento carino da fare sull’uomo che gli aveva appena salvato la pelle.
«Deluso, principino?» sibilò piccato l’altro, guardandolo storto.
«Sei tu che te ne vai in giro agghindato d’oro come una dama di corte.» ribatté l’Aesir, colpito nell’orgoglio e vagamente imbarazzato. Non aveva mai visto un maschio così bello ed aggraziato.
«Non pretendo che un barbaro, capace solo di roteare una spada, apprezzi i miei abiti.» insinuò quello, fronteggiandolo a viso aperto. E per la prima volta gli dette le spalle. Si avvicinò al fuoco, sui cui sobbolliva il grosso calderone, stappò il barattolo e versò una manciata del contenuto nell’acqua calda.
«E comunque mi sembra che anche tu non sia parco con le frivolezze da donna, principino.» sibilò insinuante, indicando con l’indice i pesanti bracciali d’oro che adornavano i suoi polsi possenti. Prese ad armeggiare con il gancio, l’acqua doveva essere già sufficientemente calda.
«Non sono gioielli. Servono ad impedirmi di usare a pieno i muscoli da barbaro che mi ritrovo.» spiegò sommario, alzandosi in piedi. Quindi non si era sbagliato, erano davvero sigilli pensò lo Jotun.
Thor guardò giù, pensando di ritrovarsi completamente nudo. Invece, aveva stretto attorno ai fianchi la stola rossa con cui era stato lasciato oltre l’Iving. Provò a muovere qualche passo e si accorse che anche la gamba sinistra era stata medicata. Forse era scontroso come pochi, ma era un buon ospite. Loki lo osservò alzarsi ed avvicinarsi, pronto a reagire qualora si fosse dimostrato aggressivo.
«Ricambio il favore.» disse con un sorriso gentile, a meno di un metro da lui. E senza il minimo sforzo, sganciò l’enorme pentolone da sopra il fuoco e lo posò a terra. Tutto con una mano sola.
«Ah... senza sei più forte?» mormorò con un fil di voce. Lui doveva sforzarsi al massimo per sollevarlo da pieno ed usare sempre la magia era stancante.
«Una decina di volte.» confessò ingenuamente, tornando a rintanarsi tra le pellicce. Non avrebbe mai pensato che la notte potesse essere così tremendamente fredda.
Loki deglutì involontariamente a quella rivelazione. Per sua fortuna il biondo era troppo distratto ad osservare la casa per accorgersene. Se gli avesse tolto quei bracciali e gli si fosse rivelato ostile, avrebbe potuto spezzargli un braccio flettendo il mignolo. «Su entra.» gli ordinò indicando l’acqua calda, l’altro lo guardò basito.
«Così ti lesso con i funghi che ho appena raccolto.» lo provocò, incapace di resistere. Subito lo vide corrucciare la fronte, improvvisamente pericoloso.
«Ti ho preparato il bagno, sciocco bestione.» spiegò con un sorriso divertito.
«Sei praticamente assiderato.» continuò aprendo una piccola panca e tirando fuori una semplice tunica e delle stole di tela, il tutto dandogli le spalle. Thor si alzò nuovamente avvicinandosi a quello che si era rivelato essere il suo bagno. Vi immerse la mano e subito sentì la tensione sciogliersi. Ah quanto gli era mancato quel calore? D’altronde doveva mostrargli un po’ di fiducia, se voleva riceverne. Senza aspettare un solo secondo in più, si tuffò in quella calda meraviglia, sollevando parecchi schizzi, che il suo ospite evitò come se fossero stati lava bollente, scoccandogli un’occhiata torva. Poi si mise a sedere sul proprio letto, non più occupato dal bestione, che se ne stava a mollo beato e sorridente.
Ora che si era risvegliato, Loki si prese il tempo di guardalo con calma. Lo turbava l’idea di studiarlo mentre era incosciente, gli sembrava... incivile. Era più alto di lui e questo non gli fece né caldo né freddo, ci era abituato. Era parecchio muscoloso, e non per questioni puramente estetiche. Visto come aveva steso il primo Gigante, doveva saper molto bene come combattere. I capelli biondi erano lunghi, selvaggi e la barba incolta gli dava un’aria estremamente virile. Eppure visti i modi, irruenti e vagamente infantili, non doveva essere molto più vecchio di lui. Ciò che colpiva la sua attenzione erano quelle iridi azzurrissime, così limpide e sincere. Se è vero che l’anima di un Aesir si trova oltre il velo degli occhi, quello che gli si parava di fronte doveva essere un tipo schietto, diretto ed estremamente leale. Per il coraggio, bhe aveva già ampiamente dimostrato. Forse poteva essere un valido alleato per superare l’inverno. Chissà se sapeva cacciare? La voce tenorile del guerriero, lo distrasse dai propri pensieri.
«Grazie.» mormorò estatico, prima di tornare ad immergersi fino al naso, facendo le bolle come un bambino. Gli riuscì a strappare un sorriso sincero. Per essere un prigioniero in terra ostile era incredibilmente spensierato.
«Vorresti essere così cortese da rivelarmi il tuo nome? Non che non mi diverta a trovarti soprannomi originali...» domando molto più rilassato.
«Thor. Thor Odinson, da Asgard.» si presentò con voce ferma, alzandosi di scatto e portandosi al petto il pugno chiuso, battendolo tre volte consecutive, come era d’uso per i guerrieri, quando si chiedeva loro il proprio nome. Il biondone si rese conto solo in un secondo momento di quanto tutto ciò potesse apparire ridicolo ad uno stregone Jotun, e si rimise a sedere, ridacchiando da solo, mormorando un timido “scusa, è l’abitudine”.
«Loki. Solo Loki.» dichiarò a sua volta, felice di essere a distanza di sicurezza da quegli schizzi sicuramente troppo caldi per lui. Nessun epiteto, né patronimico, né altro. Questo dettaglio non sfuggì al giovane straniero, ma decise di tenere a freno la propria curiosità, per rispetto al suo salvatore.
«Vivi solo? Come mai?» chiese così da tener viva la conversazione, mentre l’acqua iniziava a diventare tiepida. Si accorse immediatamente che l’argomento non era gradito allo Jotun.
«Diciamo che non sono proprio la perfetta incarnazione della possanza tipica dei Giganti di Ghiaccio.» sibilò con gli occhi sanguigni ridotti a fessure, decisamente irritato.
«Capisco.» commentò atono, sperando di far cadere tutto nel silenzio. Era come camminare su una lastra di ghiaccio sottile con quel tizio. Un momento era calmo e rilassato, il momento dopo più teso di un liuto. Probabilmente non era molto abituato ad avere a che fare con un altro essere senziente, almeno a giudicare dallo stato della sua abitazione.
«Cosa di grazia?» gli berciò contro, più caustico di quanto non avesse preventivato.
«Sei un esiliato, giusto?» replicò il suo prigioniero, senza alcuna inflessione particolare, facendo spallucce. Loki lo osservò sorpreso. Allora non era così stupido come poteva sembrare. E forse non stava insinuando nulla, ma voleva solo parlare. Annuì, senza smettere di guardalo con sospetto.
Il giovane Aesir sbuffò, vagamente scocciato, mentre usciva dall’acqua ormai quasi fredda Eccolo, nuovamente scontroso ed aggressivo. «Resterai qui fino a quando non ti permetterò di andartene, chiaro?» gli ordinò, lanciandogli addosso i teli e tunica, e poi le pelli. Gli dette la schiena e si preparò a dormire, sul proprio letto, come era suo diritto. Thor roteò gli occhi al cielo, mentre si asciugava e vestiva alla bell'e meglio. Gli doveva la vita, ma il suo salvatore era più umorale di una donna gravida. E lui odiava dover soppesare ogni singola parola e non potersi esprimere liberamente. Si avvolse nelle pellicce come un grosso bruco, rannicchiandosi più che poté. Visto le premesse, sarebbe stata una convivenza assai difficile. Per lo meno era ancora vivo.

   
 
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