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Autore: Birdie    01/12/2012    0 recensioni
- Presentaci la tua amica Blaine Usignolo Ritardatario. Sono venti alle undici!
Avverto il tono scherzoso e mi viene ancor più da ridere quando Blaine, tutto serio, controlla il suo orologio, sorpreso e quasi mortificato di quei cinque minuti attesi dai compagni.
- Vi presento Rachel Berry, ragazzi. E’ venuta qui dall’Inghilterra per frequentare il suo terzo anno alla Crawford Country ed è ovviamente la mia ospite!
Uno per volta gli Usignoli si presentano facendo battute amichevoli e trovo tenerissimo che gran parte dell’entusiasmo sarà dovuto al fatto che è raro che una ragazza faccia visita alla Dalton Academy.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Rachel Berry, Un po' tutti, Warblers/Usignoli | Coppie: Blaine/Kurt, Blaine/Rachel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Prologo: What's the difference if I say: "I'll go away" ?

La prima persona a propormi indirettamente di lasciare Warwick è stata Jesse st. James. Fin dalla tenera età in cui ho iniziato a prendere corsi di ballo, di canto e di recitazione, la nostra è stata una lotta continua.
La sua famiglia si trasferì nel mio quartiere quando avevo 5 anni. Avevo già vinto il mio primo concorso di danza e mi avviavo ovviamente ad essere un prodigio delle belle arti. In una modesta città come Warwick tutti riconoscevano il mio innato talento e spiccato senso di determinazione e non c’era nessuno che non conoscesse il nome di quella bambina di nome Rachel Berry. Nonostante la mia modesta popolarità diffusa anche e soprattutto grazie ai miei genitori finchè non sono stata capace di farmi notare da sola, non avevo mai avuto molti amici ma piuttosto soltanto persone che cercassero in tutti i modi di ostacolare la mia ascesa. Jesse st. James di certo non costituiva un’eccezione.
Appena arrivati, i suoi genitori si presentarono immediatamente ai miei e, a quanto tutt’oggi mi raccontano, devono avergli anche introdotto i miei molteplici interessi visto che poco più di una settimana dopo iscrissero il loro figlioletto dai ricci biondi alla mia scuola di danza e poi, nel corso degli anni, ad ogni altro corso frequentassi. Non mi avrebbe poi infastidito così tanto se non fosse stato bravo da morire. E da lì ha avuto inizio il nostro triste rapporto: amo la competizione, odio i presuntuosi come lui.
 “Fuori da questa città non sei nessuno” mi ha detto un giorno di Marzo del mio secondo anno di liceo, all’uscita dalla scuola di canto “Credi di essere la più brava e lo sei solamente se inserita nella piccola realtà in cui viviamo.”
 Mi guardò con la stessa aria di sufficienza riservatami dieci anni prima e si avviò verso casa, coi capelli al vento. Ha vissuto troppo tempo sul palcoscenico, e ormai qualsiasi cosa dica o faccia è recitata e studiata nei minimi particolari. Una volta sua madre mi ha detto che quando sa di dover litigare con qualcuno recita le battute allo specchio, peccato solo che le persone con cui disputa non seguano lo stesso copione.
 
- Papà, voglio studiare a New York! – esordisco quello stesso pomeriggio al mio rientro a casa.
Mio padre non distoglie gli occhi dal foglio protocollo sul quale sta scrivendo un lungo commento al lavoro di uno studente. Capisco che stiamo per intraprendere uno di quei discorsi in cui alla fine perdo. O almeno, è quel che credo.
- Lo farai. – si gira finalmente verso di me accennando un sorriso – hanno delle ottime università a New York e io e tua madre ti avevamo già parlato del voler..
- Papà, io intendevo… studiarci l’anno prossimo.
Pausa. Finalmente smette di “scarabocchiare” per guardarmi e accertarsi che sia seria.
- Rachel, non so, chi ti ha messo in testa quest’idea?
- Non è che me l’abbiano messa in testa, ma… - inizio a formare un cerchio di passi intorno al tavolo, il primo sintomo di quando non so né cosa dire né come dirlo e che sta per venire fuori solo un vomito di parole.
- Jesse dice che sono brava solamente perché ho avuto la fortuna di nascere in una cittadina insignificante come Warwick e voglio dimostrargli che si sbaglia.
Il prof sospira e nella sua testa sono certa al 100% che stia giudicando ogni mia fissazione per l’importanza che do alle parole degli altri con la stessa freddezza con la quale ha valutato il compito del suo alunno pochi attimi prima. Mi sento spesso una sua studentessa anch’io. E’ sempre stato un genitore distaccato e poco apprensivo e so bene che fa parte del suo carattere e non è una deformazione professionale, ma nonostante ciò non posso fare a meno di sentirmi valutata minuziosamente per le mie scelte, le mie decisioni, le mie prestazioni.
- Parliamone nei prossimi giorni. – chiude il breve dialogo con queste parole, tornando al suo lavoro di correzione, nel suo mondo.
 
Di questo argomento non viene fatta parola fino a due mesi dopo, ogni volta che cerco di chiedere qualcosa al riguardo nei giorni seguenti mio padre si limita a dirmi che non ha tempo per parlarmene, che sta riflettendo e mi limito a pensare che sia solo un suo modo indolore di farmi capire che non ci sono speranze che prenda la cosa in considerazione.
E poi, avvenne quella cena di fine maggio.
Sono nel bel mezzo di una conversazione molto animata con mia madre su come abbiano assegnato a Jesse ben due assoli nel musical originale che reciteremo a fine anno, quando mio padre ci interrompe dal nulla, nel suo stile.
- Comunque Rachel, non dovrai preoccupartene per molto. – queste frasi a metà discorso sono tipiche del suo commentare poco ma ascoltare molto. Mi chiedo subito a cosa si riferisca. Quello del viaggio studio per me è ormai un pensiero lontano concepito in un momento di rabbia.
- Dimmi che i St. James vi hanno detto che si vogliono trasferire di nuovo. Ho bisogno di sentire queste parole.
- No ma posso dirti che sarai tu a trasferirti. A Westerville.
Westerville? Faccio un breve lista di tutte le cittadine più improbabili inglesi che conosco, ma questa Westerville proprio non riesco a identificarla.
- E dove sarebbe? E perché sarò io a trasferirmi? – guardo mia madre con aria interrogativa, ma lei non sembra sorpresa.
- Ohio, Stati Uniti d’America. Da quando mi hai parlato della tua volontà di studiare all’estero l’anno prossimo mi sono immediatamente informato. Beh, so che New York o qualche altra importante città sarebbe stata la tua meta-tipo ma non potevamo permettercelo.
 Sento la sedia sprofondare nel parquet e rimpiango tutto. Rimpiango il non aver mai avuto discussioni serie di più di 5 minuti con mio padre, il modo in cui mai ci chiariamo veramente, il modo in cui mi liquida da un discorso, il modo in cui si è permesso di organizzarmi un viaggio studio di un anno in Ohio senza proferire parola.
Immediatamente mi passano davanti agli occhi scenari abominevoli. Ohio… Ohio..  Io che sognavo New York, i grattacieli, le luci, Broadway, le strade enormi mi ritroverò in Ohio. In mezzo a prati e campi e mucche.
Mollo persino il cucchiaio all’interno del piatto fondo della zuppa e inizio a fissare il vuoto chiedendomi se sia solo uno dei miei brutti sogni come quelli in cui sono sul palco e provo a cantare e non escono parole e Jesse, unico spettatore, urla dal suo posto a sedere “Sei muta, non puoi cantare!”.
- Non dici nulla? Insomma volevamo solamente farti una sorpresa e poi adesso non devi preoccuparti! Sappiamo quanto ci tenevi e se te l’avessimo detto prima avresti fatto domande su domande riempendoti d’ansia, invece è tutto ultimato, abbiamo il nome della famiglia che ti ospiterà, la città, la scuola… - mia madre mi incoraggia così a dire quanto io sia felice e quanto loro siano i migliori genitori del mondo. So che è quello che si aspettano che faccia. So che dire “I MIEI PIANI NON ERANO QUELLI DI PASSARE DA STELLA DI WARWICK DA 16 ANNI A SCONOSCIUTA DELL’OHIO” non avrebbe il minimo senso adesso che il danno è fatto. The show must go on.
- Non immaginate quanto sia felice. – lascio che un sorriso falso senza precedenti mi illumini il viso. Grazie recitazione, grazie di avermi insegnato a fingere così bene.
 
 
  
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