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Autore: Laura del Sordo    02/12/2012    2 recensioni
Un amore impossibile. Un amore possibile, quello per se stessi.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La Donna Cannone si accorse che la lunga stagione fredda stava volgendo al termine perché un raggio di sole entrò obliquo da uno dei finestrini della sua roulotte.

Allora sorrise fra sè, contenta che l’inverno fosse finito, e si apprestò ad un rito quasi scaramantico, lo stesso da anni.

Si preparava qualcosa di caldo da bere e poi, subito dopo, metteva le sue amate piante alla luce, su piccolo davanzale, per farle accarezzare dal sole.

Quel giorno, però, la tranquillità del pomeriggio (tutti i pomeriggi erano tranquilli, prima di uno spettacolo) venne interrotta da un bussare sommesso.

La vita del circo era una vita per certi versi molto anomala. La promiscuità che teneva unite persone così diverse, anche per nazionalità, aveva creato dei rapporti molto stretti.

L’amicizia era sacra, per la gente del circo, ma altrettanto sacro era quella sorta di ritiro spirituale prima dello un spettacolo serale.

La Donna Cannone si affacciò prudentemente ad una piccola finestra della roulotte, accanto alla porta, per vedere chi era che si era preso la briga di attraversare tutto l’accampamento per arrivare sin da lei.

La Donna Cannone voleva stare sola, da sempre.

I suoi rapporti con gli altri erano cortesi e di estrema collaborazione, ma lei si sentiva, e voleva restare, sola.

E invece lì fuori, fuori dalla sua roulotte, minuscolo, vestito di una tuta grigia che rendeva ancor più goffo il suo piccolo corpo, c’era Stagnola.

Stagnola era uno dei nani del circo, uno di quegli esseri misteriosi, bambini nel corpo ed uomini in tutto il resto, di età indefinibile, di nazionalità sconosciuta, che lavorava come pagliaccio e, quando lo spettacolo lo rendeva necessario, come inserviente.

La Donna Cannone  si strinse addosso la logora vestaglia grigia, ed aprì.

“Ciao, Stagnola”, disse all’ometto. “Cosa ci fai, qui, a quest’ora ? Non riposi ?”.

Il nano, impacciato, la salutò con un gesto appena accennato della mano.

 “Ciao. Sono venuto a vedere se avevi voglia di fare una passeggiata. C’e’ un sole magnifico, fuori. Sembra già primavera, ed io non ho voglia di rimanere chiuso dentro la mia roulotte fino a stasera”.

 La Donna Cannone rimase dapprima sconcertata per la proposta.

Poi, in preda ad un impulso che nemmeno lei stessa avrebbe osato definire, fece cenno di sì col capo, brevemente.

“Aspettami un solo minuto, mi metto addosso qualcosa di decente e sono da te”.

Non aveva una gran scelta, in fatto di abiti, la Donna Cannone.

La sua disfunzione l’aveva resa ciò che era fin dalla più tenera età, ed aveva presto imparato che tutte le artificiosità femminili, anche quelle più semplici, lei non avrebbe mai potuto permettersele.

I suoi vestiti erano perciò informi, di colori scuri, tristi, e gridavano a tutti che erano lì solo per coprire, e non per vestire.

L’unica concessione alla femminilità la Donna Cannone la riservava al viso.

Bellissimo, solare, radioso, con occhi verdi, espressivi e brillanti, un naso piccolo e punteggiato da efelidi, una bocca generosa, ma discreta ed un sorriso che incantava.

Un velo di rossetto bastava a renderlo magnifico, quasi volesse catalizzare su di sé gli sguardi di tutti quelli che, invece, li allontanavano imbarazzati dalla massiccia imponenza di tutto il resto.

La Donna Cannone scese attentamente dalla roulotte.

Stagnola era lì, accovacciato in una posizione un po’ curiosa e rigida su un sasso che aveva utilizzato per sedersi.

Senza riuscire a pronunciare una parola, si avviarono insieme verso il piccolo boschetto che si apriva immediatamente dopo l’insediamento del circo.

Una piccola perla di verde appena fuori la città.

Stagnola aveva con sé un cestino un po’ logoro e, quando arrivarono ad una piccola radura, lo aprì, rivelando il suo contenuto: una tovaglia, una bottiglia di vino bianco, un po’ di frutta.

Sempre senza parlare, Stagnola le versò del vino: era freschissimo, piacevole da sorseggiare, e le venne voglia di berne ancora.

Lui la osservava senza proferire verbo.

“Si sta bene, vero ? La primavera non può essere così lontana”, disse la Donna Cannone, cauta, tanto per interrompere quel silenzio che, francamente, stava diventando imbarazzante.

“Già”, annuì Stagnola.

“Perché mi hai invitata qui?”, domandò allora la Donna Cannone, tanto per dire qualcosa, ma consapevole della propria curiosità.

“Non lo so”, rispose il nano, distogliendo lo sguardo da quegli occhi verdi, così penetranti e distanti allo stesso tempo.

“O meglio, per saperlo, lo so bene”.

“Da sempre, e forse ancor di più da quando sono diventato un uomo, mi chiedo se mai nessuna donna potrà mai andare al di là di ciò che vede. E di ciò che vedo anche io. Ho sempre desiderato guardare negli occhi qualcuno che fosse importante, per me. Guardare una donna come si pensa debba guardarla un uomo, senza vergognarmi delle mie gambe storte o delle mie braccia corte”.

Fece una pausa, lasciando scorrere le mani su di sé, con il gesto tipico di chi mostra se stesso, sorridendo un po’ imbarazzato.

“La cosa incredibile e’ che non provo alcuna vergogna mostrarmi vestito d’argento tutte le sere durante lo spettacolo. Anzi, sono, o forse ero, quasi felice quando sento i cori dei bambini che ridono e che gridano “Stagnola, Stagnola”. Ed invece ora, qui, davanti a te, mi sento come se fossi nudo. Anzi, ancora peggio, come se fossi vestito di stagnola e facessi il pagliaccio, quando, invece. sto parlando seriamente”.

La Donna Cannone avvicinò il bicchiere alle labbra e bevve ancora un goccio di vino fresco.

Stagnola continuò.

 “Ti guardo uscire tutte le sere dalla tua roulotte, sola, impacciata da un corpo che non e’ il tuo, ma agile, allo stesso tempo, con un’anima leggera e due occhi che trafiggono e illuminano la notte. E poi ti vedo rientrare, a spettacolo finito, e ti immagino nella tua roulotte, sola, ancora, dignitosamente sola, con l’unico desiderio di ridare dignità alla tua essenza di donna.
Ecco, in tutti questi anni mi sono chiesto come facessi. Non perché la mia vita sia diversa dalla tua o migliore, ma io sono una specie di animale, ho il mio branco, dove tutti siamo uguali e dove nessuno si accorge della diversità dell’altro, perché e’ un diverso anch’egli ma, paradossalmente, uguale agli altri”.

La Donna Cannone sospirò, posando il bicchiere sulla tovaglia.

“Non ho molta voglia di parlare di me, Stagnola. Ho smesso di farlo molto tempo fa. Ho deciso di vivere la mia vita senza chiedere e senza aspettarmi nulla, bastando a me stessa e non pretendendo nulla di più. Non ho amici e non ne voglio. Nessuno potrà rifiutarmi perché sono io la prima rifiutare chiunque. Non voglio pietà e non voglio interesse da nessuno, ne’ cerco amicizia. Avere un amico significherebbe parlare, ed io non ho voglia di parlare, di ricordare, di immaginare, di sperare o di sognare”, concluse la Donna Cannone, quasi a corto di fiato.

“Non sono qui per questo” disse Stagnola, dopo un attimo di silenzio.

“Non desidero la tua amicizia. In realtà, quello che sto cercando dirti che, a dispetto di te, a dispetto di me stesso, a dispetto delle nostre rispettive vite e del nostro lavoro in un circo, a dispetto di ciò che siamo, quindi, e di ciò che saremo mai, io ti amo”.

La Donna Cannone smise di respirare e, per un attimo, il suo cuore si fermò.

Poi, faticosamente, annaspò e, con fatica e scarso successo, lottò per rimettersi in piedi e cercare di fuggire, anelando al suo rifugio sicuro ed impenetrabile.

Ma Stagnola la fermò con uno sguardo.

 “Se credi che ti stia prendendo in giro, ti sbagli. Ti prego, rimani dove sei”.

La Donna Cannone rimase lì, ferma, come paralizzata.

Stagnola le si avvicinò, proiettando su di lei la sua piccola ombra.

Le accarezzò i capelli, glieli sciolse, e la fece adagiare piano piano nell’erba.

In silenzio, continuò a pettinarla con le mani, mentre lei non riusciva a dare un senso a ciò che stava accadendo, una logica a ciò che aveva sentito e nemmeno a dare ai suoi occhi fissi un’espressione un po’ meno stupida.

“Lo so cosa stai provando”, disse il nano.

“O forse credo di saperlo”, aggiunse.

Si sdraiò anch’esso nell’erba, vicino alla Donna Cannone, senza osare più toccarla, cercando di evitare che la sua eccessiva vicinanza potesse metterla in imbarazzo.

Erano ovviamente una strana coppia, consapevole di esserlo.

Una donna enorme, ed un omuncolo piccolino.

Ma vicini, come un uomo ed una donna normali, in una giornata di primavera.

“Fra poche ore il circo ripartirà. Io non vi seguirò”, riprese a dire Stagnola.

“Ho avuto un nuovo ingaggio come inserviente in un circo più piccolino e che viaggia poco. Mi pagano meno, ma ormai sono troppo vecchio per esibirmi come Stagnola, senza contare che comincio ad essere stanco di chi mi ride dietro, anche se mi pagano per strapparle, quelle risate. Non potevo però lasciare questa gente che e’ stata la mia famiglia per anni e soprattutto te, senza dirti quello che ti ho detto. Non oso immaginare cosa stai pensando e non sono nemmeno sicuro di volerlo sapere.

Per i motivi che puoi figurarti, non ho molta esperienza in fatto di donne. Le poche che ho avuto, le ho avute pagando. Ma volevo dirti che non ho mai visto un viso bello come il tuo, non ho mai visto una donna calpestare con tanta eleganza un miserabile  palcoscenico di guitti, non ho mai visto nessuna che si infilasse a stento in quel ridicolo cannone, costruito appositamente più grande, ma lo stesso troppo piccolo, in maniera così distaccata e seducente, quasi fosse il letto di un amante atteso da troppo tempo, da far morire di desiderio.
Ho trascorso intere nottate sveglio immaginando come ti avrei detto queste cose, pensando ad una fedele traduzione dei miei sentimenti, sperando che la parola, che le mie poche conoscenze di una lingua che non e’ la mia mi aiutassero, soprattutto a non essere ridicolo, ad aver paura della tua reazione”.

Stagnola tacque, aspettando, pronto a tutto.

“Grazie, Stagnola”, disse la Donna Cannone, con un filo di voce.

“Grazie”.

“Non so che dire, davvero. Nemmeno nei miei sogni più arditi avrei mai potuto immaginare di udire queste … queste parole. So come sono quando mi vedo allo specchio, ed ho smesso di guardarmi dentro da troppo tempo, non sapendo di avere dentro di me qualcosa che gli altri potessero amare senza raccapriccio, al di là del mio corpo deforme”.

“Non chiedo null’altro, stai tranquilla” disse Stagnola “non ho intenzione di dare all’umanità una doppia e golosa occasione di ridere di noi. Domani prenderò la mia nuova strada e nessuno saprà mai ciò che ti ho detto, ne’ quello che provo. Non ho mai detto nulla del genere ad una donna, perché non l’ho mai provato prima e, anche fossi mai riuscito ad avvicinarne una, non avrei mai potuto tollerare un sorriso imbarazzato od uno sguardo sfuggente che implorava aiuto.
 Tu no, invece, tu sei come me. Solchi la vita tutti i giorni, come uno stolido aratro, ma possiedi un’anima che nessun travestimento ridicolo potrà mai oltraggiare. Lasciatelo dire da questo scherzo della natura, da questo omuncolo che non ha mai parlato d’amore e mai saprà farlo di nuovo. Ti amo, Donna Cannone. Ti amo”.

Rimasero insieme fino al tramonto, distesi vicini, ma non troppo.

Stagnola pensava a lei, lei pensava a come non perderlo.

Poi, inesorabile, arrivò l’ora di andare ognuno verso la propria roulotte.

Il tempo di indossare gli abiti di scena per lo spettacolo che stava per iniziare.

Quella sera, Stagnola faticò a far ridere, cosa che gli era sempre riuscita benissimo e la Donna Cannone fece un solo inchino dopo il lancio.

Gli applausi, non le bastavano più.

Per tutto lo spettacolo, la sua mente aveva ripercorso quelle parole.

Le aveva già imparate a memoria, per evitare che se ne andassero, che fossero dimenticate quando il tempo fosse trascorso impietoso, mordendone ogni giorno un pezzetto.

Non si salutarono nemmeno.

Andarono a dormire, ognuno con il proprio sogno da accarezzare.

Stagnola lasciò il circo all’alba, il giorno dopo.

La Donna Cannone si svegliò presto, e si sentiva bene, con se stessa. Con il mondo.

Lasciò che il suo sguardo catturasse ancora quel raggio di sole obliquo che entrava dal finestrino e che ormai le avrebbe fatto compagnia per tutto il giorno, fino all’autunno.

Si guardò allo specchio, e si vide dentro.

Decise che non avrebbe trascinato se stessa in un inutile duello con la sua anima, e seppe che avrebbe vissuto dando a se stessa tutto l’amore ed il rispetto che meritava come donna.

Quando finalmente trovò il coraggio di aprire la porta della roulotte, dapprima non si accorse di nulla.

Poi, poggiato sul sasso dove il giorno prima Stagnola l’aveva pazientemente attesa, lo vide.

L’abito di scena del nano, che sembrava di stagnola argentata, luccicava sotto il sole di primavera.

Lui lo aveva modellato a forma di cuore.

  
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