“E il cielo prese ad oscurarsi, mentre le nuvole cominciavano ad imputridirsi di nero, diventando scure come la pece. La pelle della principessa cominciava ad intorpidirsi, diventando bianca come la neve, e dura come il ferro.”
La bambina stava ad ascoltare con occhi sognanti, la bocca stupita mentre stringeva tra le braccia coperte un piccolo bambolotto di pezza, costruito con lana cucita, bottoni e paglia. Se l’era fatto da sola, il pupazzo, aiutata solo dall’ago fedele della nonna.
Il nonno le raccontava sempre dei cavalieri valorosi, che sfrecciavano sui loro destrieri, con le loro malinconie che correvano dolcissime su tante pianure. Raccontava delle piccole bambine che giocano con i secchi ricolmi di acqua cristallina, tra le risate gioiose degli onnipresenti e tra i canti delle giovani donne.
Sembrava un continuo ciclo di favole, raccolte tutte nei sogni di una bambina e nei pensieri e nei ricordi di un povero vecchio, che aveva solo favole, tante favole da raccontare. Avrebbero potuto continuare così per sempre, a scambiare sogni, speranze, dolcezza, delicatezza. La voce di un uomo, forte ma vecchio, che racconta tante favole vissute, viste e raccontate. Gli occhi di una bambina che ricordavano il velluto, la candida voce che cristallizzava il silenzio e risuonava nell’aria.
Avrebbero continuato così per sempre, se ci fosse stata la possibilità.
| Confesso di non aver mai, neanche lontanamente, scritto qualcosa in cui non vi è la presenza di una coppia. Questa è la mia prima volta, e devo ammettere che mi è uscita meglio di quanto sperassi. Speravo di poter confidare in qualcos'altro, ma purtroppo non vi sono riuscita. Diciamo quindi che questa storia è un ringraziamento e una sperimentazione allo stesso tempo, cosa che non ho mai effettuato. D'altro canto, il titolo deriva naturalmente dalla canzone di Francesco De Gregori, anche se non sono solita sentire questo autore, ma il caro Mattia Lever. Ritornando alla fiction, sono rimasta alquanto