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Autore: telesette    03/12/2012    1 recensioni
[Don Camillo e Peppone]
Don Camillo si morse le labbra.
Non poteva certo “sostituirsi” al suo Vescovo, nell’affrontare certe questioni, e tuttavia non poteva neppure mentire riguardo il suo pensiero. La verità era che la Chiesa guardava in modo un po’ troppo distaccato alle sue pecorelle, spesso ignorando proprio quelle più bisognose, e molti dei suoi consigli vertevano sull’accettare incondizionatamente gli stenti e i dolori come Volontà di Dio…
Era anche vero però che Dio aveva concesso all’uomo di lavorare, per procurarsi il frutto necessario al suo sostentamento, e di cercare sempre la via della giustizia e della rettitudine.
La Coscienza del Signore risiede nel Verbo e nella Parola di Dio ma, per avere un significato reale e tangibile, essa deve poter crescere e adattarsi col cuore e l’anima dell’uomo. Un uomo non è fatto di parole, bensì di carne, sangue e sentimenti spesso contrastanti. Ebbene, se in questi sentimenti risiede comunque l’Onnipotente, è lecito supporre che Dio sia al fianco dell’oppresso per sostenerlo ed incitarlo a reagire di fronte alle avversità...
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Don Camillo è un personaggio letterario creato dallo scrittore e giornalista italiano Giovannino Guareschi, come protagonista ( opposto all'antagonista amico-nemico Peppone ) in una serie di racconti nei quali è il parroco di un piccolo paese in riva al Po ( nelle riduzioni cinematografiche identificato poi con Brescello, e il vicino comune di Boretto, nel quale son girate diverse scene, sebbene Don Camillo sia presentato dall'autore nella prima storia come "l'arciprete di Ponteratto" ), un ambiente che Guareschi definisce Mondo Piccolo, idealmente paradigmatico della realtà rurale italiana del dopoguerra.

Foto

La coscienza di Dio è il cuore dell'uomo

 



La comparsa dei nuovi macchinari per il settore agricolo, costruiti ovviamente su brevetto americano, segnò un’importante tappa nello sviluppo socio/economico dell’Europa. Anche l’Italia, seppure ancora molto indietro rispetto ai paesi già maggiormente industrializzati, prese ad adottare le nuove misure atte a favorire l’incremento della produzione in tempi relativamente brevi.
Nelle province della bassa, dove tutto era fortemente incentrato sull’agricoltura, i proprietari intravidero la possibilità di incrementare in modo notevole i loro profitti. Tra Parma, Reggio Emilia e alta Toscana in particolare, i padri fondatori di alcune delle società più importanti oggi conosciute strinsero un accordo con tutti i tenutari delle rispettive province. Si trattava di un giro enorme di affari, nonché una delle manovre più sporche sul piano sociale: estendendo infatti l’uso delle macchine e impiantando nuove fabbriche sul posto, la zona avrebbe subito un mutamento assai drastico sul piano ambientale; i campi tenuti a pascolo avrebbero ospitato capannoni e officine, velocizzando il ritmo di produzione e raffinazione della materia prima; oltretutto ciò avrebbe portato al licenziamento di numerosi lavoratori e mezzadri, nonché centinaia di contadini messi allo sfratto, e i proprietari locali ne avrebbero conseguito un notevole risparmio sui costi e sul mantenimento della manovalanza fino ad allora ritenuta indispensabile.
L’accordo fu preso dai tre soci fondatori, insieme ai proprietari della campagna e ai finanziatori della città, e ben presto scattarono le varie fasi dell’operazione: i campi vennero chiusi e recintati, furono prese le misure per il nuovo spazio edificabile, i contadini ricevettero le loro brave ordinanze di sfratto, e i braccianti ricevettero il loro “benservito” con un sonoro calcione nel didietro e quattro labbrate sul muso…
A Brescello e dintorni, una volta realizzate le intenzioni di quelle Teste Fini della città, ben presto scoppiò il finimondo.
Ovunque si formarono lunghi cortei di protesta, occupando le vie di comunicazione, per impedire l’arrivo degli operai e dei materiali di costruzione. I furgoni furono presi d’assalto e, tirati giù a forza dalla cabina di guida, i loro conducenti vennero persino presi a colpi di bastone.
Cominciarono a fioccare le prime denunce.
Le autorità dovettero intervenire in massa, per cogliere sul fatto gli aggressori ed arrestare le teste calde. Tuttavia la benemerita incontrò una resistenza incredibile, tanto era l’odio e il livore che animava quella folla inferocita, e più di una volta furono anche costretti a retrocedere per evitare di beccarsi in testa delle pietre grosse come noci di cocco.
Quando la sede municipale del paese venne informata delle iniziative autonome e facinorose, la posizione dei lavoratori in rivolta era praticamente indifendibile. Da Roma arrivò un dispaccio che imponeva al sindaco di “negare” ogni aiuto ai contadini, per non compromettere il partito comunista agli occhi dei giornali e degli avversari. Ciononostante Peppone se ne lavò altamente le mani, sia del partito che degli ordini superiori.

- Al diavolo - ruggì Peppone, accartocciando il dispaccio e gettandolo rabbiosamente nel cestino. - Non muovono un dito per aiutare nessuno, e pretendono di dire a me quello che devo fare!
- Ma il procuratore in città ha inoltrato un reclamo - esclamò lo Smilzo preoccupato. - La polizia ha già arrestato Ferocci e Bunicca, per danneggiamento e resistenza alla forza pubblica, e il cognato del Brusco sono venuti a prenderlo a casa questa mattina…
- Alla malora, gli avevo detto di non prendere iniziative: mi avessero dato il tempo, avremmo potuto indire lo sciopero… Invece quei cretini sono andati subito a randellare i camionisti dalla città, mentre io adesso devo occuparmi di tranquillizzare quelle povere disgraziate là fuori e le loro famiglie!
- La situazione è grave, capo - sottolineò ancora lo Smilzo. - Non puoi metterti contro i compagni della capitale!
- Quelli della capitale possono andare all’inferno, per quanto mi riguarda - urlò Peppone, con voce così forte che gli si gonfiarono persino le vene sul collo. - Qui stiamo parlando di poveri cristi, che non hanno più di che mantenere moglie e figli, e io me ne frego se un cretino dalla città scrive senza conoscere la situazione!
- Sì, però cosa possiamo fare?
- Vai a prendere l’auto - ordinò Peppone, infilandosi lesto la giacca. - Dobbiamo raggiungere il Brusco sul canalaccio, nel punto dove la strada converge con la principale, prima che commetta qualche altro casino con la folla!
- Ma se andiamo lì, come facciamo a trattenere quelli che vogliono caricare?
- Apri bene le orecchie tu - tagliò corto Peppone, afferrando l’altro per il bavero e sollevandolo quasi da terra. - Se qualcun altro finisce in galera, a rimetterci saranno le donne e i bambini; perciò dobbiamo convincere i mariti a ritornare a casa, a costo di portarceli tutti di peso dal primo all’ultimo!

Lo Smilzo annuì, scuotendo il capo in preda al panico.
In altre circostanze, Peppone non avrebbe certo esitato nel menare le mani di fronte a quella immonda situazione che rischiava di affamare centinaia di persone. Purtroppo la faccenda gli era sfuggita di mano, prima ancora che se ne rendesse conto, e adesso doveva cercare di salvare il salvabile.
Tante persone dipendevano da lui… Troppe!
Non si trattava più dei giusti diritti dei lavoratori, non solo almeno, ed erano in gioco soprattutto le vite e i destini di tutte le loro famiglie.

La vedova Brucelli, da che aveva perso il marito, poteva contare solo sul figlio diciassettenne che si spaccava la schiena per guadagnare il minimo indispensabile.
Garaldino, detto il “Muto” per via della mandibola paralizzata, aveva sulle spalle la moglie e sei figli piccoli che non mangiavano da almeno quattro giorni.
Il vecchio Mastaverio, che da anni faceva il possibile per mantenere la moglie e il figlio con il cibo a malapena sufficiente per una sola persona, adesso non poteva garantire loro neppure quello.
Il piccolo Andrea Venci, ricoverato da anni in un ospedale della città per una grave malattia polmonare, ora che suo padre non aveva più i soldi per sostenere le spese mediche, stava esalando i suoi ultimi respiri sotto gli occhi della madre e dei fratellini.
La moglie di Risti, non avendo più una goccia di latte con cui nutrire la sua creatura, da giorni era costretta a pungersi la mammella con uno spillo per allattarla col proprio sangue.
E molte altre famiglie stavano vivendo la tragedia della FAME, quella vera, senza minimamente interessare le carogne che avevano portato a quella situazione.
Con questi pensieri in mente, Peppone e lo Smilzo presero la strada che conduceva fuori dal paese. Attraverso i campi abbandonati e le recinzioni che delimitavano gli scavi delle fondamenta, era fin troppo facile immaginare cosa sarebbe successo nel giro di poco tempo. Le nuove strutture avrebbero tolto lavoro a molte persone, si sarebbero ingrandite e sviluppate col tempo, e i terreni sarebbero stati rivenduti per soldoni sonanti ai migliori offerenti…
Peppone cacciò un’imprecazione, maledicendo sottovoce la testa dei principali responsabili ( ovvero i proprietari che avevano aderito alla cessione dei loro terreni ), e si trattenne dal mollare una delle sue micidiali sventole sul cruscotto.
Poco dopo giunse in vista della folla che si era appostata sulla strada fin da quella mattina.
Dovendo sbrigare le faccende amministrative con i compagni dalla città, Peppone aveva inviato il Brusco sul posto con l’ordine di mantenere calma la gente in caso di interventi da parte della Legge. Adesso però si trattava di accertarsi che quei poveri disgraziati non combinassero altre sciocchezze, in modo da farli tornare tutti dalle loro famiglie alla fine della giornata.
La cosa che stupì enormemente Peppone era che, invece di urlare e inveire contro il padronato, tutti i presenti sul luogo erano calmi e tranquilli con le braccia incrociate sul petto. Il sindaco fermò la macchina ad alcuni metri dall’incrocio, riconoscendo il Brusco nei pressi e facendogli cenno di avvicinarsi.

- E’ successo qualcosa? - domandò Peppone al compagno.

Il Brusco si limitò ad allargare le braccia, indicando una figura imponente in testa al gruppo, e fece intendere fin troppo chiaramente al capo il motivo di tutta quella calma.

- Sono così da quando è arrivato lui - spiegò il Brusco. - Ho provato a dirgli di non impicciarsi, ma mi ha spinto da parte e si è piantato lì in mezzo alla strada…
- Ho capito - borbottò Peppone irritato. - Adesso ci parlo io!

Così dicendo, scese dalla macchina e si incamminò a passo deciso verso la figura immobile e autoritaria di Don Camillo. Questi non batté assolutamente ciglio, l’espressione indurita sul volto segnato dal tempo e dall’esperienza, e ricambiò lo sguardo di Peppone con un’occhiata che non prometteva niente di buono.

- Che cosa vi siete messo in testa di fare? - domandò Peppone con fare accusatorio. - Avremo già abbastanza problemi, per convincere le autorità a rilasciare gli arrestati; se vi ci mettete di mezzo voi, mi accuseranno anche di scandalo clericale…
- Non preoccuparti di queste scemenze - rispose il parroco tranquillo. - So perfettamente qual è il mio posto, e lo sa anche tutta questa gente alle mie spalle!
- Un corno - ribatté Peppone. - Sono partite denunce pesanti: aggressione, danneggiamento e resistenza alla Forza Pubblica… Se non li faccio tornare a casa, prima che passino di qui le autorità, avrò altre famiglie sulla coscienza!

Don Camillo lo guardò storto.

- E cosa credi che diranno alle loro famiglie, una volta tornati a casa? Che non hanno nulla per potersi sfamare e che hanno paura di reclamare il loro diritto al lavoro ?!?
- Reverendo, il comunista sono io…
- Qui non c’entra il “comunismo”, e non c’entrano nemmeno le stupidaggini di Marx, stiamo parlando di “umanità” e di persone in carne ed ossa!

Peppone inghiottì amaro ma, prima che potesse anche solo rispondere, il Brusco lanciò un grido di avvertimento.
Sulla strada stavano arrivando una lunga automobile lussuosa, assieme ad una scorta di agenti in uniforme, e quest’ultima puntava dritto proprio nel punto dove la folla ostruiva il passaggio. La nera vettura si fermò dunque, assieme alle motociclette della scorta, e i passeggeri scesero per constatare di persona la situazione.
Erano tutti pezzi grossi dalla città: il Capo della Polizia, il Sindaco del capoluogo, il Guardasigilli comunale, il Giudice del Tribunale… Don Camillo riconobbe persino il suo Vescovo.
Assieme a costoro, c’erano anche il commendator Belli e l’avvocato Camuralesi, in rappresentanza dei proprietari che avevano richiesto il loro intervento per risolvere la situazione e proseguire i lavori senza altri inconvenienti.
Costoro si fecero avanti, malgrado il passo incerto dell’attempato Vescovo, e si pararono davanti alla folla recando in mano alcuni documenti pieni di ceralacca.

- Buongiorno, signori - li salutò cortesemente Peppone, facendo mostra di grande rispetto. - Sono Giuseppe Bottazzi, sindaco di Brescello, e rispondo personalmente di questa folla qui riunita per…
- Questo corteo non è autorizzato - lo interruppe sgarbatamente l’avvocato, sventolandogli un documento sotto il naso con fare sicuro. - Abbiamo un’ordinanza del Tribunale, con le firme dei qui presenti Giudice Ambrosi e del Capo della Polizia Armandi, e vi intimiamo di sciogliervi immediatamente!
- Permettetemi di spiegarvi un momento la situazione - fece dunque Peppone, avvertendo già il mormorìo agitato alle sue spalle. - Questa gente è senza lavoro da settimane, e con famiglia a carico, pertanto hanno diritto di…
- Non usi la parola “diritto” in modo improprio, signor Bottazzi - lo corresse Belli, con una smorfia stizzita. - Gli unici “diritti” sono quelli da noi esercitati, come provano le carte che abbiamo in mano, e se non bastano le intimazioni ebbene vi ordino di disperdere questa maramaglia immediatamente!

Peppone si rabbuiò.
La grossa vena sulla fronte cominciò a pulsare vistosamente, e il sangue prese a circolare più in fretta nella grossa mano stretta a pugno, tuttavia si trattenne dal commettere un’azione irreparabile.
Sia l’avvocato che il commendatore erano solo esecutori di ordini, così come gli altri erano lì solo in veste di rappresentanza, e nessuno sembrava intenzionato ad ascoltare ragioni.
Di nuovo l’avvocato allungò il foglio, facendo segno agli agenti di procedere, e subito un giovane attendente sui vent’anni si fece avanti per eseguire gli ordini.
Peppone non sapeva assolutamente cosa fare, detestando altresì la propria impotenza, ma Don Camillo invece sembrava avere le idee piuttosto chiare in merito. Come il giovane poliziotto gli mise la mano sulla spalla infatti, si ritrovò il polso stretto in una specie di morsa d’acciaio. Costui riuscì appena ad emettere un grido soffocato, ignaro che il forzuto parroco lo stesse trattenendo solo con una minima parte delle energie di cui disponeva, e fu allora che Don Camillo prese la parola.

- Questa gente non si muoverà di qui, finché non le verranno riconosciuti i diritti di ogni essere umano - esclamò deciso.
- E lei chi è? - sbottò l’avvocato, facendosi avanti stizzito. - Come si permette di ostacolare un pubblico ufficiale?
- E lei come si permette di sostenere una posizione vergognosa, negando la dignità umana a chi ha avuto la sorte di nascere umile e lavoratore ?!?

Ciò detto, Don Camillo lasciò andare il giovane poliziotto, il quale subito indietreggiò massaggiandosi il polso indolenzito, e sostenne a piè fermo il tono spocchioso e l’insopportabile arroganza del borioso legale.

- Lei non si rende conto di quello che sta facendo - sentenziò l’avvocato, puntando l’indice minaccioso contro il petto di Don Camillo. - Sarà anche un sacerdote, ma la Legge non ammette che si aggredisca un agente nell’esercizio delle sue funzioni…
- La Legge ammette forse che si neghi il pane quotidiano al lavoratore, o che si riducano alla fame intere famiglie? La Legge proibisce forse all’essere umano di difendere il suo diritto alla vita? La Legge è caduta forse a beneficio del dio denaro, invece di amministrare la giustizia e di assistere gli uomini sulla via della rettitudine?
- La Legge è costituita da un codice e da un regolamento - tagliò corto l’avvocato. - Esistono delle norme e delle procedure che vanno rispettate, indipendentemente dal fatto che ciò sia giusto o meno, ed è compito della Legge assicurarsi che tali norme siano rispettate!
- Una Legge che contribuisce ad affamare degli innocenti, finanche condannarli ad una morte lenta e disumana, non è degna di esistere - ribatté Don Camillo, per nulla impressionato dall’autorità del suo interlocutore. - Su quel pezzo di carta, che lei stringe con tanto orgoglio, c’è scritto che a questi uomini è negata la possibilità di vivere dignitosamente; con i suoi timbri e le sue ceralacche, lei vuole strappare la terra dalle mani di chi vi ha versato sopra sangue, lacrime e sudore; in pratica state commettendo un “crimine” contro la Legge di Dio… ed è a Lui che ne dovrete rispondere, in questa vita e nell’altra!

L’avvocato ebbe un lieve sussulto.
Prima d’ora non aveva mai sentito niente del genere, e certamente non poteva dare ascolto alle farneticazioni di un prete esaltato. In qualità di legale, doveva solo e semplicemente svolgere il suo dovere.

- Non ho tempo di ascoltare le sue sciocchezze - disse, facendo segno ad un altro agente di avvicinarsi e ordinando a questi di procedere. - Obbligate il corteo a disperdersi e, se qualcuno oppone resistenza, procedete all’arresto…

L’avvocato non ebbe il tempo di finire la frase che le mani di Don Camillo lo sollevarono da terra, tenendolo saldamente per il suo elegante vestito gessato. L’uomo ammutolì, chiaramente in preda allo spavento e all’incredulità, anche perché era ovvio che gli occhi di quel parroco erano quelli di un uomo sconvolto e capace di tutto.

- Voi non oserete sfiorare questa gente neppure con un dito - esclamò Don Camillo solenne, guardando l’avvocato negli occhi ora pieni di paura. - Perché se solo vi azzardate, io…
- Don Camillo, fermati - risuonò improvvisamente la voce del Cristo nelle sue orecchie.

Don Camillo si arrestò subito, rendendosi conto solo allora di ciò che stava per fare, in preda alla collera e al furore incontenibile che provava. Tutti osservarono a bocca aperta, compreso il Vescovo ( anche se non particolarmente sorpreso, in effetti ), e il parroco non poté fare altro che mettere giù l’avvocato e mormorare un inutile tentativo di scuse.

- Lei è pazzo - urlò l’avvocato furibondo. - Ringrazi il cielo che indossa quell’abito, ma stia pur certo che non la passerà liscia!

In quella si fece avanti per fortuna il Vescovo che, imponendo la calma a tutti i presenti, si avvicinò a Don Camillo e lo prese da parte. Entrambi si allontanarono di alcuni passi, in modo da poter conversare tra loro, e il parroco immaginò fin troppo bene le gravi conseguenze del suo inqualificabile gesto.

- Che cosa devo fare con te, Don Camillo? - mormorò il Vescovo sottovoce. - Si direbbe quasi che tu te le vada a cercare!
- Eminenza, io… Non so cosa mi è preso, tutto d’un tratto non ci ho visto più e…
- …E meno male che ti sei fermato - concluse il Vescovo. - Ti rendi conto spero che, già solo per quello che ti ho visto fare oggi, dovrei avviare la pratica per la tua scomunica?

Don Camillo annuì in silenzio.

- Mio povero Don Camillo, la Chiesa non può e non deve prendere alcuna posizione con l’autorità civile: è una faccenda che non ci compete, lo sai benissimo; tutto quello che possiamo fare è convincere questa gente a tornare alle proprie case senza colpo ferire!
- Eminenza, voi mi state chiedendo una cosa che non posso fare - provò a spiegare Don Camillo in tono accorato, quasi di supplica. - Conosco questa gente da quando è nata, e buona parte li ho anche battezzati; a casa li attendono moglie e figli che non hanno di che sfamarsi, e ogni giorno non hanno neppure il coraggio di guardarli in faccia per dire loro che non mangeranno!
- Posso capirti, Don Camillo, ma non approvo ugualmente il tuo comportamento!
- Neppure io, Eminenza, so di aver sbagliato… ma il mio cuore è vicino a loro!
- Sei un prete, Don Camillo - gli ricordò ancora il Vescovo. - Più che a loro, il tuo cuore deve essere vicino a Dio!
- Ma Dio non è forse dalla parte degli afflitti e degli affamati ?!?

Il Vescovo inarcò il sopracciglio.

- Don Camillo - esclamò sorpreso. - Intendi forse dire che la Chiesa non lo è?
- Perdonatemi, Eminenza, non intendevo dire questo però…
- Dimmelo tu allora cosa intendevi, figliolo mio, ti ascolto!

Don Camillo si morse le labbra.
Non poteva certo “sostituirsi” al suo Vescovo, nell’affrontare certe questioni, e tuttavia non poteva neppure mentire riguardo il suo pensiero. La verità era che la Chiesa guardava in modo un po’ troppo distaccato alle sue pecorelle, spesso ignorando proprio quelle più bisognose, e molti dei suoi consigli vertevano sull’accettare incondizionatamente gli stenti e i dolori come Volontà di Dio…
Era anche vero però che Dio aveva concesso all’uomo di lavorare, per procurarsi il frutto necessario al suo sostentamento, e di cercare sempre la via della giustizia e della rettitudine.
La Coscienza del Signore risiede nel Verbo e nella Parola di Dio ma, per avere un significato reale e tangibile, essa deve poter crescere e adattarsi col cuore e l’anima dell’uomo. Un uomo non è fatto di parole, bensì di carne, sangue e sentimenti spesso contrastanti. Ebbene, se in questi sentimenti risiede comunque l’Onnipotente, è lecito supporre che Dio sia al fianco dell’oppresso per sostenerlo ed incitarlo a reagire di fronte alle avversità.
Il Vescovo ascoltò pazientemente, man mano che Don Camillo gli espose il suo pensiero, e alla fine annuì con un leggero cenno del capo.

- D’accordo, Don Camillo - esclamò. - Per quanto non mi convinca del tutto la tua teoria, voglio fidarmi di quello che ho sempre ammirato di te!
- Eminenza, ma che dite? Che cosa potrei mai avere io da ammirare?
- Non lo vedi, questo è certo - rispose l’altro, portandosi la mano all’altezza del petto. - Tu hai il cuore, Don Camillo, molto più cuore da solo di tanti altri insieme… E’ questa la tua ricchezza, figlio mio, malgrado i tuoi difetti e le tue intemperanze!

Subito Don Camillo si chinò a baciare umilmente la mano del suo Vescovo, il quale sorrise e gli impartì una muta benedizione.

- Ne parlerò a Roma - promise il Vescovo. - Sottoporrò la questione alle Alte Sfere, dovessi scomodare il Papa in persona, ma ti prego di adoperarti qui per calmare gli animi e scongiurare azioni come quella di poco fa… “La violenza chiama solo altra violenza”, ricordalo!
- Glielo prometto, Eminenza!

Il Vescovo fu di parola.
Nessuno, neppure l’avvocato o tantomeno il commendatore, osarono contestare la sua richiesta di sottoporre l’intera questione all’attenzione del Vaticano. Data la particolare natura della faccenda, era indubbio che vi fosse anche un aspetto “umano” da considerare, rispetto a quello economico.
Il tempo avrebbe deciso le sorti del paese, assieme a quello di tutte le altre province della bassa, ma per il momento ogni azione legale di forza era sospesa a data da destinarsi.
Le illustri presenze risalirono dunque in macchina, pronte a fare ritorno in città, e avrebbero discusso assieme del problema sotto ogni punto di vista.
Non appena si furono allontanati, Peppone si avvicinò a Don Camillo senza sapere come accidenti costui avesse fatto a compiere un “miracolo” del genere.

- D’accordo, fuori il trucco - mormorò. - Come diavolo ci siete riuscito?
- Nessun trucco e nessun diavolo - rispose l’altro sincero. - La coscienza di Dio è il cuore dell’uomo, dobbiamo solo credere fermamente in questo!

 

FINE 

   
 
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