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Autore: viktoria    03/12/2012    1 recensioni
[Jonathan Rhys-Meyers]Quanto avevo sognato di incontrarlo, di fare una foto con lui e di parlargli. Come quelle ragazzine idiote che vanno dietro i propri idoli per anni. Potevo dire, con un certo orgoglio, che io i miei pensieri idioti su di lui me li ero tenuti per me benché avessi sempre ammesso di far parte di quel 99% della popolazione che ha un suo idolo famoso con cui sogna quella storia romantica da fiaba.
Jonathan Rhys Meyers era il mio.
[STORIA IN REVISIONE]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Whatever works'
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-          Andrea se non ti muovi ti lasciamo qui! – gridò Giulia cercando di evitare delle parolacce poco fini in mezzo alla stazione centrale di Dublino.
Il controllore del treno ci fissava a dir poco scocciato facendo ritardare il treno per colpa della lentezza di un ragazzino troppo lamentoso.
-          Se il tuo zaino fosse pesante come il mio forse capiresti. – si lamentò Andrea salendo sul treno annaspando. Il controllore finalmente alzò la paletta, fischiò e il treno partì.
Erano stati i 3 giorni più lunghi della mia vita, eravamo partiti da Dublino la prima notte avevamo dormito a Tallaght Firhouse, presso un gruppo di scout locali, dunque niente visite turistiche o cose del genere. Poi eravamo partiti, zaini in spalla, per Cloghen, alloggiando praticamente in mezzo alla natura, con una tenda da quattro chili sulle spalle. Ancora ci spostammo verso Dungarvan e Waterford. Tutto questo a piedi, tutto questo con uno zaino di 35 kilogrammi sulle spalle, sotto il sole che stranamente aveva deciso di baciarci in un periodo in cui ci aspettavamo pioggia, senza poterci neanche lavare.
Ci sedemmo tutti sui morbidi sedili del treno e sospirammo di piacere nel sentire qualcosa di diverso dalle pietre e dalle formiche. Eravamo stanchi, abbastanza da concederci un po’ di meritato silenzio ed una dormita.
Il nostro scompartimento, benché fosse il più grande e quasi tutto vuoto, non venne occupato da nessuno tranne che da noi. Probabilmente la puzza che emanavamo dopo giorni di marcia spingeva le persone a tenersi a debita distanza da noi.
Il viaggio per Cork non fu molto lungo e le chitarre rimasero al loro posto dentro le fodere, almeno questo lo risparmiammo agli incauti viaggiatori che alla vista di uniformi e fazzolettoni non avevano deciso di prendere il treno successivo.
-        Zaini in spalla! -
Il nostro capo rise abbastanza divertito dalle nostre facce sconsolate mentre cercavamo di alzarci da quei sediolini così comodi. Scendemmo dal treno al volo non appena si fermò alla stazione, il controllore sospirò quando gli passammo accanto spintonandolo con gli zaini enormi alle nostre spalle. Sapevamo che era felice che ci togliessimo dai piedi. Avrebbe spruzzato chili di deodorante nel vagone che avevamo appena lasciato.
Quando fummo fuori dalla stazione ci mettemmo in cerchio e Antonella prese la parola.
-        Allora ragazzi, adesso noi vi lasceremo soli per gli ultimi giorni di cammino, lascerete gli zaini qui senza prendere nulla, neanche la borraccia e andrete in giro a fare servizio. Bussate alle case, cantate, vedete un po' voi. Tra 56 ore ci rivediamo qui. -
Evitammo i gridolini entusiasti togliendo lo zaino dalle spalle e salutati i capi ci mettemmo in cammino verso il centro della città
 
 
-        Ok organizziamo le pattuglie. - Giulia aveva già deciso che sarebbe stata lei a coordinarci e a nessuno dispiaceva più che a Piero. Lo guardai sottecchi e la stessa cosa fecero Andrea e Francesca. Sapevamo tutti quando fosse saccente, seccante e egocentrico quel ragazzo. Non piaceva a nessuno. - Mario, Piero e Laura hanno le chitarre quindi saranno i capi gruppo, chi trova qualcosa di grosso chiama e noi arriviamo di corsa. -
Annuimmo tutti soddisfatti più o meno di quel piano. Io e Mario avremmo voluto stare insieme almeno per tenerci compagnia mentre ci distruggevamo le mani con le solite quattro canzoni.
-        Si dorme tutti insieme quindi alle 18:00 fatevi trovare qui che decidiamo il da farsi. -
-        Sì, capo! -
La prendemmo in giro tutti insieme ridacchiando, lei rispose con una poco felice affermazione di sdegno molto colorita e si allontanò con Piero ed Eleonora. Mario mi guardò e sorrise.
-        Sì, assolutamente! -
Risposi alla sua domanda silenziosa e scoppiammo a ridere mentre cominciavamo a fare strada insieme con Andrea e Francesca al seguito.
La città era immensa ma noi sapevamo a chi chiedere. Era inutile puntare sui vagabondi messi peggio di noi sulla strada. Entrammo in qualche bar per chiedere se avessero bisogno di qualcuno per lavare i piatti o servire i tavoli ma ci risposero semplicemente di no e, offertaci una bottiglia d'acqua, ci mandarono via. Probabilmente in Irlanda, a differenza che in Italia, sfoggiare un fazzolettone e un’uniforme, non aiutava. Bussammo a qualche porta cercando qualcosa da fare, Mario e Andrea sistemarono i giardini come potevano mentre io e Francesca cantavamo sul viottolo con un cappello per terra. Quello era in assoluto il servizio più orribile che mi fosse mai capitato di fare, da sempre. Un uomo con un bellissimo cappotto ci passò accanto, ci guardò schifato e ci lanciò una banconota da 200 euro. Fino a qual momento l'avevo vista impressa solo nelle mutande della fiera di Mario che se ne vantava continuamente come se fossero la cosa più bella del mondo.
Mi bloccai e guardai quella banconota a bocca aperta, non riuscì neanche a muovermi figuriamoci parlare o continuare a suonare. Francesca spiccò un salto felino e rincorse l'uomo.
-        ehi, ehi! - la vidi che lo bloccava per un braccio e cominciava a ringraziarlo come una matta mentre quello, con la faccia sempre più scura cercava di scrollarsela di dosso. Mi alzai con calma e chiamai gli altri con una mano mostrandogli la banconota. Mi batterono la mano entrambi e si avvicinarono a Francy mentre io cercavo di ringraziare velocemente la padrona di casa che mi diede una busta con l'offerta.
-        Thank you so mutch Madame – sorrisi e lei mi ricambiò con un bellissimo sorriso di apprezzamento.
Raggiunsi i miei compagni che avevano lasciato andare via l'uomo e si avvicinavano a me tutti contenti. Io risi delle loro espressioni e risi ancora di più vedendo tutti quei soldi che avevo in mano. Avrei potuto piangere. Il sogno di Lourd era sempre più vicino.
Il resto della giornata non fruttò molto, soltanto pochi spiccioli da aggiungere alla cassa, alle sei in punto eravamo al luogo dell'appuntamento un po' sconfortati per quella giornata. Se non fosse stato per il signore elegante probabilmente noi...non avremmo concluso nulla.
Facemmo una breve verifica e chiudemmo la cassa. Prima di cena prendemmo di nuovo le chitarre e cominciammo a cantare a squarcia gola per dimenticare la brutta giornata. Era l'unica cosa davvero utile cantare.
Sentire la propria voce insieme a quella dei tuoi compagni. Compagni che provavano le stesse tue emozioni, che avevano condiviso con te 75 kilometri in salita, sotto il sole, con un peso enorme sulle spalle. Persone che non ti abbandonano mai, neanche se lo chiedi, perché sanno che sei solo scoraggiato, che non vuoi essere solo, che hai bisogno della tua comunità.
Quando si canta è sentire quella comunità tutta insieme dentro la tua voce, sapere che tutti sanno che voi siete un gruppo, un futuro Clan, un qualcosa di unico, irripetibile, speciale, un qualcosa unito indissolubilmente da un fazzolettone, da uno zaino, da degli scarponi, da un canto, da una promessa.
 
Che ognuno porti la sua gioia,
con altre gioie unire la potrà
per realizzare qualcosa di grande,
d'immenso e d'importante
e per far questo ho bisogno di te.

 
E mentre le ultime note della canzone uscivano dalle mie mani, dalle corde dolorose che mi avevano rovinato le dita, sentivo che tutta quella fatica a qualcosa era servita. Che imparare in sei mesi a suonare la chitarra solo per far felice Francesca, per poter suonare le canzoni che piacevano solo a me e lei, era stata una bella fatica. Che trasportarla, legata allo zaino, durante la strada, era stata tutta una fatica premiata dalla felicità che una sola canzone poteva portare.
  
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