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Autore: Lifetree    06/07/2004    1 recensioni
Cross-over: City hunter - Sliders
Una pallottola. Una pallottola perché tutto cambi.
Un contratto. Un contratto e la vita di Kaori non sarà più la stessa.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaori/Greta, Ryo Saeba/Hunter, Umibozu/Falco
Note: Alternate Universe (AU), Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
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Disclaimer: City Hunter ©Tsukasa Hojo, Sueisha, Sunrise, Jump Comics, Star Comics e degli aventi diritto. Sliders ©degli aventi diritto.

Versione originale pubblicata su http://hojofancity.free.fr

Paziente 214. Ecco come si chiamava. Gli avevano chiesto quale fosse il suo nome, come si chiamasse, ma non poteva dar loro una risposta. Non lo sapeva. Non lo ricordava più

Non ricordava assolutamente niente. Chi fosse, da dove venisse, cosa facesse nella vita. Nulla. Il vuoto completo. Un’amnesia.

Eccome come i medici avevano classificato la sua mancanza di memoria. Amnesia. C’era mai stato qualcosa nella sua mente, prima del suo risveglio in quella camera? Non ne aveva idea. Per tutta la giornata aveva cercato di ricordare qualcosa, qualsiasi, non era importante cosa. Ma senza alcun successo. E si sarebbe già scoraggiato se i suoi tentativi non avessero mantenuto occupata la sua mente per tutte le interminabili ore del giorno.

Aveva una moglie? Qual’era il suo aspetto? Erano felici insieme? Avevano avuto dei figli? Quanti? Come si chiamavano? Per ore, aveva immaginato una vita, un lavoro, una famiglia, degli amici… ma poteva solo fantasticare, dato che non rammentava assolutamente nulla.

Fortunatamente, il medico gli aveva annunciato che quel giorno sarebbero venuti degli specialisti per aiutarlo. Quel vuoto nel suo spirito era terribilmente frustrante e desiderava disperatamente di riuscire a riempirlo.

Bussarono alla porta ed un infermiere varcò la soglia, seguito da altre due persone che il paziente 214 non aveva mai visto prima. I due uomini erano arrivati per condurlo dallo specialista che l’avrebbe aiutato a ricordare: tutti e tre lo aiutarono a sollevarsi dal letto e lo fecero sdraiare su una barella. Il paziente 214 salutò l’infermiere e lo ringraziò per le cure sollecite che gli aveva prestato.

I due sconosciuto spinsero il lettino attraverso numerosi corridoi prima di arrivare in un’autorimessa, dove lo caricarono su un’autoambulanza. Per tutto il tempo non fu pronunciata neanche una sillaba. Il silenzio era assoluto. Il mezzo si mise in marcia: non riuscendo a vedere dove stessero andando, il paziente 214 si rassegnò a chiudere gli occhi e si addormentò.

Quando si svegliò, capì immediatamente che non si trovava più nell’ambulanza. Era ancora sulla barella, che veniva nuovamente spinta attraverso un corridoio. Avrebbe ben voluto vedere dove si trovava, ma non poteva muoversi: sentiva ancora troppo male.

D’improvviso, si sentì una voce. Questa ordinava loro di fermarsi ed il lettino arrestò immediatamente la propria corsa. Con la coda dell’occhio notò una persona avvicinarsi e tendere dei documenti a qualcuno che non riusciva a vedere. Un minuto trascorse nel più completo silenzio. Poi, la barella fu autorizzata a passare.

Una. Due. Tre volte il lettino fu fermato. Per tre volte vennero presentati i documenti. Per tre volte fuorno autorizzati a proseguire. Perché era necessario un ale dispiegamento di forze a protezione di uno specialista dei problemi della memoria? Non riusciva a trovare una spiegazione plausibile.

La barella venne caricata su un ascensore che iniziò a scendere, scendere ed ancora scendere… per molti lunghissimi minuti, la cabina continuò nella propria discesa, prima di fermarsi ed aprire le porte. Il paziente non sapeva assolutamente dove si trovasse, ma era sicuro che fosse un luogo molto sottoterra. La pressione era così forte che gli facevano male le orecchie.

Uscirono dall’ascensore e continuarono ad avanzare. Attraversarono una porta doppia e si trovarono in una stanza illuminata da una luce tanto forte da ferire gli occhi del paziente 214. Abbassò le palpebre per riflesso ed attese qualche istante prima di riaprirle; nel frattempo lo sollevarono nuovamente e lo deposero su un tavolo freddo. Non poté impedirsi di rabbrividire.

Quando, finalmente, poté riaprire gli occhi, vide che diverse persone erano chine su di lui. Apparentemente erano medici, o così poteva giudicare dalle mascherine e dai camici che indossavano. Non capiva cosa stesse accadendo e stava quasi per chiedere cosa stessero facendo, quando, improvvisamente, realizzò che erano lì per verificare la gravità delle sue ferite. Effettivamente era molto lontano dalla completa guarigione. Si insultò mentalmente: che stava mai immaginando? Perché avrebbero dovuto fargli del male?

I medici levarono con delicatezza tutti i bendaggi che ricoprivano il suo corpo, lasciandolo nudo. Il paziente 214 non poté trattenersi dal rabbrividire nel vedere la pelle bruciata in via di guarigione: non era assolutamente un bello spettacolo a vedersi.

Una volta che fu liberato da tutte le bende, i dottori cominciarono lentamente a fissargli addosso tubicini ed elettrodi. Lui ne fu stupito, ma continuò a non chiedere niente: loro erano i medici, non lui. Quindi, li lasciò fare. Anche perché non avrebbe potuto opporsi in alcun modo, se non con le parole.

Quando ebbero terminato, il suo corpo fu sollevato di nuovo e depositato su un’altra barella. La sua testa, questa volta, non fu messa dritta e così riuscì a vedere qualcosa in più rispetto a prima. Vista la presenza dei medici, non fu stupito di trovarsi in un laboratorio. C’erano computer, microscopi elettronici e molte altri macchinari che sapeva essere ad uso medico, m a di cui ignorava il nome.

Fu trasportato in un’altra stanza, dove il lettino si fermò. Ciò che gli si presentava agli occhi gli ghiacciò il sangue nelle vene.
Davanti a lui c’erano casse di vetro e metallo. Fili e cavi partivano da esse, per andare a collegarsi a qualcosa che non poteva vedere, probabilmente un computer. Ma non era quello a spaventarlo.

Ciò che lo terrorizzava era il loro contenuto. Corpi. Corpi sospesi in un liquido rosa. Corpi inanimati e incoscienti. Corpi coperti da elettrodi e tubicini. Proprio come lui.

Quando lo sollevarono nuovamente e lo trasportarono verso uno di quei cassoni vuoti, iniziò ad urlare. Gli ordinò di liberarlo, di lasciarlo stare. Ma, ogni sua protesta fu vana. Infatti, poteva limitarsi ad urlare, gli era impossibile dibattersi. Gli uomini lo depositarono, quindi, in una delle casse e collegarono tutti gli elettrodi ed i tubicini, prima di chiudere il coperchio.

Completamente nel panico, il paziente 214 cercò disperatamente di muoversi, ma il suo corpo sembrava rifiutarsi. Nel frattempo, un liquido rosato iniziò a filtrare nella teca ed avrebbe ricoperto il suo corpo in pochi istanti. Nello stesso istante, gli infusori si misero in azione, iniettando nelle vene del paziente diversi tipi di fluidi, tra cui un sonnifero.

L’uomo avvertì l’incoscienza prendere il sopravvento. Non poteva lottare. Per un’ultima volta, si guardò disperatamente intorno, ma non vide assolutamente nulla che avrebbe potuto essergli di aiuto. Infine, il suo sguardo si posò sulla cassa accanto alla propria.

I suoi occhi si chiusero contro la sua volontà e piombò nell’incoscienza, portando con sé il ricordo dello stupendo viso della donna rinchiusa nel cassone vicino al suo.
  
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