Sono
così stanco. Stanco. Ma non abbastanza, mi sono rimaste ancora energie per
pensare.
Buttarmi
disperatamente nel lavoro non ha dato i risultati che speravo. Nonostante Reeve
mi rifili missioni impossibili in continuazione, senza concedermi un attimo di
respiro, riesco ancora a riflettere.
Maledetto
cervello.
Maledetta
lei.
Non
sono più in grado di concentrarmi su nulla, ogni volta che cerco di fissare la
mia attenzione su qualcosa, che sia anche un banale libro, lei si impossessa
della mia testa.
Malgrado
abbia passato la mia giornata a sparare ed abbattere nemici su nemici, la sua
immagine non accenna a svanire. Vorrei solo che mi lasciasse in pace. Mi sta
facendo impazzire...ma io non posso permettermi di diventare pazzo.
Se
almeno riuscissi a dormire...
Invece
passo le nottate lottando disperatamente contro i sogni che tentano di
impadronirsi del mio sonno, sogni che riguardano sempre lei.
Non
la sopporto più.
Non
ho nemmeno la forza di stare in piedi. Mi sta distruggendo.
Ed
io non capisco perché. Non capisco cosa vuole da me.
Ogni
secondo della mia inutile vita è scandito dai suoi occhi, dal suo volto, dalle
sue mani, dalle sue labbra, dalla sua voce...non riesco a liberarmene.
Ho
bisogno di riposo. Sì, devo solo riposarmi un po’, il resto verrà da sé. Ed
anche lei mi lascerà finalmente solo, nel silenzio della sua assenza.
Eppure
mi sembra troppo presto per tornare a casa. Potrei passare da Tifa a bere
qualcosa. Sì, magari un bicchierino può aiutarmi...
Lascio
che siano le luci fioche che filtrano dalle finestre ingiallite a guidarmi
verso il locale. Sono troppo stanco per pensare alla strada da fare. I miei
piedi si muovono da soli, fortunatamente. Non ho abbastanza energia per
trascinarli uno davanti all’altro.
La
porta, finalmente. La apro piano, quasi senza fare rumore. Tifa sta pulendo dei
bicchieri dietro al bancone. Mi avvicino e prendo posto su uno sgabello.
-
Ciao Tifa. Un Brandy, ti prego. – le parole mi escono lente, strascicate,
moribonde.
Si
volta, confusa. Sembra che non si aspettasse di trovarsi davanti il
sottoscritto.
-
Vincent...ma cos’hai? Hai un aspetto spaventoso...ti senti bene? – la sento
parlare in lontananza, mentre il suo volto accigliato vortica in giro per tutta
la stanza.
-
Sono solo stanco. – non capisco se l’ho detto veramente o l’ho solo pensato.
Almeno
i muri hanno smesso di respirare ed il pavimento sembra aver deciso che non
sono commestibile.
Inspiro
profondamente l’aroma pungente del liquore dorato che ondeggia placido nel
balloon di cristallo, tingendone delicatamente le pareti di un ambrato caldo ed
alcolico.
Il
silenzio. Ne avevo proprio bisogno. La mia mente finalmente avverte un po’ di
pace. Era tutto ciò che chiedevo.
Sorseggio
piano la mia ambrosia, gustandola a fondo mentre scivola bruciante nella mia
gola secca. E’ faticoso riuscire ad assaporarla veramente, devo sforzarmi per
intuire ogni nota del suo bouquet.
Dei
rumori. Non mi ero accorto che ci fosse altra gente. Devo essere ancora più
stanco di quanto pensassi, se è possibile.
Una
voce maschile, profonda, ma allo stesso tempo troppo squillante, mi trapana i
timpani a furia di risate. Mi sembra di conoscerla...è familiare, quotidiana.
Io
volevo solo un po’ di silenzio...
Potrei
andare a quel tavolo e domandare gentilmente di fare meno chiasso.
Ma
chi voglio prendere in giro, non lo farei mai. Specie in queste condizioni.
Mi
accascio sul bancone. Mi ha sempre affascinato il colore del legno di mogano.
E’ indefinibile. Non ho mai saputo dire se è più castano o più rosso.
Si
possono definire deliri, questi? Immagino di sì. Almeno, però, non sto pensando
a lei.
La
sento ridere.
Dannazione.
E’
bastato convincermi che non stessi pensando a lei per richiamarla a torturarmi?
E’
così limpida, cristallina, melodica, la sua voce.
Ma
non dovrebbe smettere? Perché sta ancora ridendo?
Grazie
al cielo, ha smesso. Stavo quasi pensando di spararmi, per fermarla.
No,
no...maledizione...come diavolo è possibile che adesso la senta parlare?
Non
può essere nella mia testa. Mi costringo a staccarmi dal legno rosso, o
marrone, non so, non ha importanza, ora.
E’
uno sforzo sovrumano.
Le
gambe sembrano voler collaborare, per il momento. Avanzo lentamente verso il
tavolo nascosto dietro l’angolo. La sua voce, ne sono certo, arriva da qui.
Se
fossi meno stanco potrei alzare lo sguardo ben prima di essermi sorretto ad una
sedia, nel tentativo di non crollare. Perlomeno così riesco a stare in piedi.
Le
ossa del collo emettono un suono simile a quello di un ramo che si spezza alla
furia della tempesta, quando sollevo piano, con cautela, il mento.
Mi
sento trapassare il cranio da un attizzatoio da camino. E’ davvero lei. Non
stavo delirando.
Non
mi ha ancora visto, è troppo intenta a parlare fitto con l’uomo che le siede a
fianco. Lui tiene imprigionata una delle piccole, candide mani tra le sue.
Il
ferro rovente si inabissa in profondità, devo chiudere gli occhi...la stanza ha
ripreso vita, più famelica di prima.
Squarci
nel mogano. Il rumore mi arriva alle orecchie distintamente e mi costringe a constatare,
socchiudendo appena una palpebra, che il mio artiglio si è conficcato nello schienale della sedia, squarciandolo
in due.
Devo
aver fatto parecchio baccano, lei mi sta fissando.
Si
alza, sta venendo verso di me. Spostandosi, mi permette di osservare l’uomo con
lei.
Devo
aprire anche l’altro occhio.
Spero
solo di non chiedermi troppo, con quest’ultimo sacrificio. E’ come sollevare un
macigno.
Non
avevo visto male.
Di
giorno mi spedisce da un continente all’altro ad imbrattare il mio mantello del
sangue dei suoi nemici, di notte si rifugia tra le braccia della mia
ossessione.
La
mia, mia ossessione.
-
Reeve. – il mio braccio destro è d’un tratto leggerissimo, solleva la Cerberus
come fosse aria, puntandogliela al volto.
-
Vincent! – il suo viso è vicino al mio...sembra preoccupata, urla il mio nome
in continuazione, con le lacrime agli occhi.
Ha
un profumo così buono, dolce.
Non
riesco a muovermi. Il petto e la testa non smettono di pulsare, impedendomi di
respirare. Qualcosa di freddo e rigido mi sta distruggendo la schiena. Non
ricordo di essermi sdraiato.
Lei
è sopra di me, sta gridando qualcosa a Tifa...ma io non riesco a capire.
Lentamente
si allontana, tra il vorticare delle pareti intorno a lei, ingoiata da un’oscurità
densa che si chiude davanti alla mia mano tesa.
Resta
il suo profumo...così buono, dolce.
Finalmente,
il silenzio.
Un
odore familiare. Dove sono stato?
Una
debole luce mi sfiora le iridi nascoste, filtrando dalle persiane serrate.
La
fatica sembra aver abbandonato i miei occhi.
Posso
respirare.
Posso
muovermi.
Mi
sollevo sui gomiti, osservando la camera. Sono a casa.
Da
quanto tempo non riuscivo a riposare? Ho l’impressione di aver dormito per
anni.
Questa
volta non l’ho sognata, non è venuta a torturarmi come fa ogni notte. Mi ha
abbandonato.
Ma
il suo profumo è ancora nelle mie narici, nonostante io mi senta bene. Libero.
Un
respiro lungo, pesante. Il respiro del sonno.
Volto
leggermente la testa verso la sedia a lato del letto, vicino all’armadio.
Lei
è ancora qui.
Ma
questa volta è vera. Ha dormito su quella sedia...per quanto? Una settimana, un
mese, un anno?
E’
bellissima...la mia carnefice.
Apre
piano gli occhi, sbatte le ciglia nerissime più volte.
Sta
sorridendo. Sorride a me.
-
Vincent...ti sei svegliato! – grida incredula mentre si alza dallo scomodo
giaciglio per correre qui.
Corre
da me.
Le
sue braccia mi cingono il collo, le sue mani si insinuano nei miei capelli, il
suo respiro sulla mia pelle mi stordisce.
-
Mi hai fatto spaventare, stupido! Ho dovuto dar fondo alla mia scorta di
granpozioni per farti riprendere... Ieri sera temevo che fossi
morto...stupido...razza di stupido... - le sue lacrime scorrono calde sul mio
braccio.
Era
preoccupata per me, tanto da piangere...
Scosta
il viso dal mio petto, mi poggia le lebbra umide di pianto sulla fronte. Sono
così morbide.
-
La febbre è passata...avrei potuto cucinarci le uova sulla tua fronte, sai? –
ridacchia sollevata mentre si allontana.
Un
lampo con le sembianze di Reeve mi attraversa la mente. Devo sapere.
Devo
sapere perché le stava tenendo la mano, devo sapere perché rideva, devo sapere
perché era con lei.
-
Dov’è Reeve? – il mio tono di voce è più cupo di quanto volessi, lei spalanca
gli occhi, come spaventata.
-
Hai cercato di sparargli, ma sei svenuto prima di poter fare fuoco. Cosa ti era
preso? – ...non è una risposta.
-
Dov’è Reeve? – deve rispondermi. Voglio sapere.
-
Al quartier generale della WRO, suppongo. – sembra delusa, le sue labbra si
piegano appena in un innocente broncio rosso.
Si
alza, si volta verso la sedia.
Ma
io la voglio vicino a me. Le afferro un polso, tirandola verso il letto, su cui
si appoggia di peso per non cadermi addosso.
-
Che cavolo fai, vampiro?! – anche arrabbiata è stupenda.
Ora
riesco finalmente a dare un nome alla mia ossessione. Desiderio. Amore. Poco
male se mi ci sono voluti mesi per capirlo, adesso mi è chiaro.
Lei
è la mia distruzione e la mia salvezza, l’oscurità della morte e la luce del
mattino.
Ma
prima devo sapere. L’attesa, in fondo, sarà breve...
-
Perché eri con lui? – la fisso in quei suoi meravigliosi occhi screziati, che
splendono come cristalli.
Arrossendo,
si ritrae stizzita come una bambina obbligata ad ingoiare una medicina amara.
Alza le mani al viso, sventolandomele davanti freneticamente. E’ adorabile,
quando lo fa. Per quanto mi sforzi di restare serio, proprio non ci
riesco...solo lei può strapparmi un sorriso con tanta semplicità.
-
Io...no, no, no...ma che...ma cosa pensi?!?Come puoi, Vince! – questo mi basta.
Non resisto più...averla così vicina...
La
mia mano passa delicata dietro al suo collo sottile, attirandola verso la mia
bocca.
Finalmente
la posso baciare.
Non
se l’aspettava, è rimasta immobile, pietrificata, con le mani ancora aperte,
bloccate.
Non
respira nemmeno, devo averla davvero sconvolta.
Non
ho mai supplicato nessuno, nella mia lunga vita. Ma per lei, lei soltanto...lo
farei.
Ti prego...non fuggire.
Sento
le sue labbra dischiudersi lentamente sulle mie, mentre affonda ancora una
volta le mani nei miei capelli.
Avverto
una carezza leggera,vellutata, quasi timida, sul palato. La sua lingua si fa
all’improvviso più audace, cerca la mia e l’imprigiona in un bacio profondo,
inaspettato.
Sto
bruciando dove mi ha toccato.
Ma
prima che io possa fare qualsiasi cosa lei si scosta, sorridendo, e poggia un
dito sulle mie labbra ancora formicolanti, che fremono per un secondo assaggio.
-
Sei proprio uno stupido... – bisbiglia in un soffio, abbracciandomi e premendo
il suo bellissimo volto contro il mio petto.
-
Yuffie... – le parole escono da sole dalla mia gola, nemmeno ricordo di averle
pensate – ...senza di te mi sento impazzire. – e mi rendo conto che è una
verità tanto semplice, da non poter essere fragile.
Carissimi
lettori, grazie di essere arrivati fin qui, immagino lo sforzo!
Spero
che questa one-shot vi sia piaciuta, nonostante tutto.
Mi
rendo conto che i personaggi sono un po’ OOC, sebbene il mio proposito iniziale
fosse l’opposto...ma per mettere questi due insieme un po’ di OOC ci
vuole!^^ Siate comprensivi!
La
prima parte mi piace abbastanza, ma ho la nettissima impressione che avrei
dovuto troncare la storia più o meno verso la metà (precisamente a “Il
silenzio, finalmente”)...peccato che non ce l’abbia fatta, terrorizzata
all’idea di far morire questo povero nonnetto attanagliato dalla sua solitudo e
dalla sua ossessione ancora tanto oscura...così...alla fine l’ho solo fatto
svenire. Perdonatemi!
Eh...immagino
che qui si capisca quando uno scrittore è serio o meno...beh, ma che non sono
una persona seria lo sapevo già...ora lo sapete anche voi. ^_^
Ora
che vi ho stressato abbastanza non mi resta che salutarvi!
Ossequi,
La vostra
V_pooh