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Autore: Lily DeLarosa    04/12/2012    1 recensioni
Mitsuiko si è appena risvegliata e la sua vita è cambiata. Non ha più nessuno su cui contare, il suo nuovo corpo robotico ha necessità che non conosceva e di cui deve prendere atto.
- “Livello carburante 15%, attenzione, urge rifornimento H2O”. Arrestai subito la mia corsa, quasi scioccata.
« Ho un livello di carburante?! », esclamai, rimanendo calma. « ho bisogno di acqua... », pensai poi guardandomi intorno.
Ripresi a correre, al limite umano. Dopo pochi minuti avvertii una strana sensazione, poi l'odiosa voce nella mia testa si fece risentite.
“Livello carburante 4%... arresto immediato della memoria”.
*È la mia prima storia originale, spero abbiate pietà di me. L'ho già postata nel mio forum, ma nessuno ha commentato, quindi mi esprimo qui! ;)
Genere: Avventura, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Giappone. 17 Dicembre 2843

Non c’era più nulla attorno a me. Faticavo a respirare e non mi sentivo più le braccia, né le gambe.
Era tutto completamente desolato, alcun palazzo, alcuna casa, alcuna persona.
Nessun suono, silenzio assoluto.
Faceva male, sentivo dolore alle tempie e all’addome.
Il cuore, sentivo batterlo piano contro il mio petto, era fastidioso e mi mozzava il respiro.
Il paesaggio che mi circondava, così come l’assenza assoluta di suoni, erano immondi.
Certo che gli incubi… sono verosimili…”

A farmi riaprire gli occhi furono delle fitte lancinanti in tutto il corpo, tentai d’alzarmi, ma le braccia e le gambe non eseguivano i miei ordini, provai ad urlare, ma non sentivo la mia voce, la gola bruciava tremendamente.
Ombre astratte apparivano e sparivano dal mio campo visivo, avevo paura, tremavo. Cercai di alzarmi nuovamente, ma ogni tentativo era inutile. Che fossi stata legata o sedata? Non ero lucida, non lo capivo.
Non avvertivo altro che dolore, unico ed allucinante dolore e non riuscivo a comprendere se fosse sogno o realtà, se in seguito mi addormentai o svenni o rimasi cosciente.
Fu un fischio assordante a farmi rendere conto che non sognavo. Fui assalita di rumori forti, che si affievolirono lentamente.
Sentivo respiri, battiti continui e irregolari, voci sussurranti troppo vicine, sentivo ronzii e continui “bip”. Il dolore era meno straziante e pungente, ma lo percepivo ancora, in modo abbastanza forte.
« M-mamma? », sgranai gli occhi a sentire quel suono. L’avevo immaginata o quella voce roca e gutturale era la mia? Non ebbi il coraggio di avere conferma e riprovare.
« Non c’è la tua mamma, piccolina », il cuore cominciò a battermi forte, ma non riuscivo a sentirlo, sapevo soltanto che batteva più del normale. « ma sei al sicuro qui, non temere. Ora riposa e, quando ti sveglierai, non avrai più dolore ».
Sentii un fastidio al braccio, poi, poco dopo, tutto tornò confuso. Ricordavo a malapena quella dolce voce rassicurante, ma non si trattava della mia mamma. Sono convinta che dopo mi addormentai.

Attivazione processo… attendere.”
Aspettai due secondi, poi mi alzai, sbuffando. Sistemai alcune cose e mi diressi in una stanza, quella stanza.
Avanzai per diversi corridoi, tutti uguali, bianchi e odoranti di disinfettante, luci altrettanto bianche e porte del medesimo colore.
Mi fermai dinnanzi a una di queste ultime, inserii la password, del tutto inutile dato che era a conoscenza di tutti, ed entrai.
Non era molto spaziosa ed era semivuota. Il continuo soffiare e ronzare dei macchinari era snervante e fastidioso. Sbuffai nel vedere quella noiosa donna con la sua noiosa convinzione che io fossi un miracolo della natura.
« Puntualissima come sempre, Mitsuiko », sfoggiò un sorriso smagliante, uno di quelli sinceri, senza malizia.
« È di programma », risposi seccata, non dandoglielo a vedere. Mi tolsi i vestiti, distendendomi su di un lettino. Percepivo la pelle fredda e un po' ruvida riscaldarsi quasi immediatamente a contatto con la mia.
« Lo so che sono noiose tutte queste analisi, ma sono necessarie », mi spiegò per l'ennesima volta. Sembrava che mi adorasse e che mi trattasse come una figlia, ma non poteva farlo notare.
« Sai che i risultati saranno identici, perché mai devo ripetere questa seccatura ogni santo mese? », mi lamentai. Senza rispondermi, forò la mia pelle con una siringa, fu fastidioso, ma passò subito. Sospirò, portando via il sottile ago d'acciaio dal mio pallido braccio, dischiuse le labbra lentamente, come per prepararsi a parlare, e mi guardò negli occhi. La sua tristezza, la si poteva quasi toccare, percepire, fluiva dai suoi occhi e se io non fossi stata io, ne sarei stata presa. Non pronunciò alcuna parola, richiuse la bocca e sospirò per una seconda volta.
« Non uscirò mai più da qui, vero? », mormorai, più che a lei lo dissi a me stessa.
« Beh, - cominciò, posando la siringa precedente e prendendone un'altra, che mi infilò nella pelle dell'altro braccio, questa volta iniettandomi qualcosa, di poca importanza per me. ̶« non è detto che tu debba rimanere in eterno qui, sai da cosa dipende e... ».
« … e rimarrò in eterno qui! », le completai la frase, fingendomi alterata per quello che potevo. Non osò più parlare fino alla fine di tutti i controlli.
« Puoi attendermi qui per un attimo? », chiese e senza aspettare risposta si voltò e uscì dalla stanza. I suoi lunghi capelli amaranto si mossero a tempo dei suoi passi leggiadri e aggraziati. Alta e bella assomigliava ad una ballerina, che ad ogni movimento sembrava cimentarsi in un'armoniosa danza.
Pareva impossibile che una ninfa come lei facesse parte di quest'orda di orchi. Eppure si trovava lì, al mio fianco ogni giorno, m'aveva insegnato a camminare e a parlare, a convivere con la “nuova me”. Se solo avessi saputo e, soprattutto, potuto farlo, l'avrei amata come una madre.
In lontananza sentii i suoi passi avvicinarsi, svelta, ma leggera come sempre. Aveva fretta.
Apparì alla porta, i suoi occhi cristallini erano contornati da un'espressione di inquietudine e ansia, ma allo stesso tempo di eccitazione e trepidazione e il suo viso contratto in una smorfia di chi prova una cosa nuova, attesa da tempo.
« Ti porterò via di qui Mitsuiko, te lo giuro! », esclamò con la voce tremante, poco convinta, ma tenace. La mia espressione impassibile però la arrestò per un istante, poi cercai di fingermi stupita o qualche sentimento simile e mi alzai.
Dopoché accadde tutto molto in fretta, troppo perché ricordassi tutto, o meglio, ignorai completamente tutto ciò che accadde, cominciando a considerare solo le ultime scene.
La porta grande, in acciaio, protetta da password, si aprì dinnanzi a me e io corsi in avanti, accelerando pazzescamente. Sentii degli spari lontani dopo pochi secondi dalla mia partenza, che mi davano conferma che non avrei più rivisto quegli occhi cristallini e quei passi di danza. Addio Mamma...
Non avevo mai testato la mia velocità né ne ero a conoscenza, ma il poco istinto che m'era rimasto dentro mi suggeriva di correre. Il mio campo visivo fu invaso di numeri e coordinate.
Attivazione GPS in corso... attendere”
Mi fermai di botto, alzando un polverone intorno a me. La parte artificiale del mio cervello stava prendendo l'iniziativa, non poteva capire che mi avrebbero rintracciata in questo modo.
« Spegniti! Spegniti! », cominciai ad urlare ripetutamente. Essendo circondata dal nulla non correvo certo il rischio di essere sentita. Continuavo a vedere numeri e lettere.
Provai a concentrarmi, chiusi gli occhi e cercai di controllarmi.
Disattivazione memoria in corso... attendere”
Rimasi per un attimo paralizzata. « mi sto per spegnere... », fu il mio pensiero spontaneo. Finii nel panico.
In pochi istanti provai quella sensazione di terrore che non avevo mai provato, poi realizzai. Non mi sarei spenta io...
Dopo qualche secondo iniziai a provare mille sensazioni, tutte mi si accavallarono nella mente e sul corpo.
Avvertii angoscia, soprattutto, poi stanchezza fisica e altro. Non capivo bene. Percepivo il calore pizzicante del sole sulla pelle e le pietre pungenti sotto i piedi scalzi.
I numeri e le coordinate sparirono dalla mia vista, trattenni il respiro, nel terrore che mi sarei disattivata. Aspettai qualche secondo, ma il sole era cocente e il mio corpo ne risentiva.
Le uniche cose che sentivo erano il rumore dei miei respiri e il soffio del vento caldo. Mi circondava una landa desolata.
Mi guardai le mani, poi i piedi e cercai un modo per riprendermi. Mi concentrai nuovamente cercando di riattivarmi.
Attivazione memoria in corso... attendere”, fu la risposta quasi immediata. Dopo due secondi svanì tutto quello che provavo, notai la mia vista migliorare d'istante così come l'udito e la forza fisica. Per la prima volta capii che ero una vera e propria macchina.
Ricominciai a camminare, poi a correre, veloce, sempre più veloce.
Non avvertivo la minima stanchezza, nonostante le miglia percorse a gran velocità.
Livello carburante 15%, attenzione, urge rifornimento H2O”. Arrestai subito la mia corsa, quasi scioccata.
« Ho un livello di carburante?! », esclamai, rimanendo calma. « ho bisogno di acqua... », pensai poi guardandomi intorno.
Ripresi a correre, al limite umano. Dopo pochi minuti avvertii una strana sensazione, poi l'odiosa voce nella mia testa si fece risentite.
Livello carburante 4%... arresto immediato della memoria”.
Non ebbi il tempo di pensare né di esclamare un'imprecazione, questa volta mi spensi davvero.

Quando cominciai a riprendere i sensi, mi sembrava quasi di sognare e, per la prima volta, la mia mente fu invasa da un susseguirsi di immagini: la guerra, le bombe, visi ignoti e conosciuti. Vedevo in quelle foto scattate nella mia mente orribili ricordi accompagnati dal rimbombo dei suoni di quel tempo. Memorie d'un tempo che non avrei mai voluto vivere.
Aprii gli occhi, avvertendo sulla pelle qualcosa di morbido e pizzicante, una vecchia coperta logora e sporca. Mi drizzai a sedere e mi guardai attorno, istintivamente strofinandomi gli occhi. Era tutto poco luminoso, sudicio e puzzolente, un mondo opposto da quello da cui provenivo. Mi alzai e barcollando cercai una via d'uscita e, soprattutto, il responsabile del mio spostamento. Tirai sulle spalle la pesante coperta, quasi a brandelli, per coprirmi dal lieve fresco, avvicinandomi ad una porta, da cui proveniva una tenue luce, simile a quella della luna.
Guardai tenendomi nascosta dietro lo stipite, sbalordendomi del fatto che non si trattava della luce della luna, bensì di quella di un computer acceso, sulla cui tastiera batteva qualcuno coperto da un mantello e da un cappuccio.
Il ticchettio delle sue dita lavoratrici mi era familiare e quasi mi rilassava. Decisi di rischiare facendomi vedere.
« Ben sveglia, ragazzina », mi disse, quasi come un rimprovero, non appena mossi un piede all'interno della stanza. « avevi intenzione di restare a guardare per molto lì? », continuò. Non mi rivolse nemmeno uno sguardo, era troppo occupato al PC. Scossi la testa in una negazione, tacendo.
Continuò a battere, finché non tirai un sospiro di impazienza e di noia. Fu lì che mi rivolse lo sguardo per la prima volta. Il suo viso non lo vedevo bene, ma potevo affermare benissimo che si trattasse di un giovane, dagli occhi stanchi e dalla voce roca, magari per le troppe sigarette.
Mi scrutò dalla testa ai piedi per alcuni secondi. « se hai fame in quella scatola c'è del pane », mormorò infine sciogliendomi dal suo sguardo. Attesi un po' prima di rispondere, poi tentai di sembrare decisa.
« Voglio dell'acqua! », la voce mi tremò comunque. Ancora senza guardare indicò un punto. Seguii con gli occhi la direzione del suo braccio, non c'era nessuno per farmi un'iniezione né qualcosa per farlo da sola. Mi rivoltai verso il ragazzo, era tornato a battere con le mani al PC, visibilmente stanco e annoiato.
« Mi prendi in giro? », gli ringhiai a voce bassa, mi guardò perplesso, poi i suoi occhi si accesero prima di curiosità, poi di compiacimento.
« Ci sono delle bottiglie d'acqua lì, dove ti ho indicato », cominciò, sospirando ed alzandosi. Era abbastanza alto, più di me, si stiracchiò, scrocchiandosi le dita e il collo, e mi si avvicinò. « puoi bere con quelle », mi disse continuando. Lo fulminai con lo sguardo, stupendomi di riuscire a farlo e mi avvicinai all'acqua. Ora che si era avvicinato potevo vedere il suo viso. Come avevo visto prima era un giovane dagli occhi stanchi e arrossati, di colore scuro come i capelli arruffati e sporchi di sudore e polvere, la barba era incolta.
« Qui usate le bottille d'acqua? Non usate ancora le iniezioni? », mentii, cercando di non mostrare la mia inesperienza nel mondo esterno. Mi fissò per un po', con gli occhi chiusi in una fessura, per scrutarmi. Non capii se sorrise o fece una smorfia di incomprensione, mi si avvicinò e mi porse un contenitore d'acqua, lo guardai.
« Mi spiace, qui si beve soltanto con queste », disse agitandomi il cilindro vitreo davanti al viso, « vuoi o non vuoi? », lo osservai intensamente, cercando di capire cosa volesse dire con quelle parole, ma non avevo altra scelta. O in quel modo sarei rimasta spenta. Presi tra le mani il cilindro, lo scrutai; l'acqua al suo interno sembrava tanto fresca quanto irraggiungibile per me. In cerca di suggerimento guardai i suoi occhi, con lo stesso sorriso-smorfia mi indicò che avrei dovuto stappare l'involucro di vetro. Lo feci e per lo strattone che diedi un po' d'acqua mi cadde sulla mano, era davvero fresca. Provai una strana sensazione, che fosse stata sete?
Ricercai i suoi occhi, con la mano fece un movimento, come se avesse avuto lui il cilindro, o come l'aveva chiamata lui, la bottilla. Mosse la mano dal basso verso l'alto, vicino le labbra. Imitai i suoi movimenti e l'acqua fredda mi finì addosso, sul corpo nudo. La coperta mi scivolò e finì a terra. Emisi un gemito di sorpresa e lasciai cadere a terra l'involucro di vetro. Il ragazzo rise di gusto, con la sua voce roca, per poi finire tossendo.
« Dammi dell'acqua, bastardo! », gli urlai contro. Tornò quasi d'istante serio, prese la bottilla e mi si avvicinò, portando una mano verso il mio viso. D'istinto mi ritirai, riparandomi il volto con le braccia. Mi afferrò con vigore la destra allontanandola, soffocai un grido.
« Vuoi o non vuoi che ti faccia bere? », sbuffò tirandomi per farmi avvicinare. Lo osservai, e sentii una nuova sensazione, la paura. Portò la bottilla vicino le mie labbra, le dischiusi leggermente. La inclinò fin quando l'acqua non toccò le stesse. Istintivamente la feci scivolare nella mia bocca, aiutando le sue mani ad alzare l'involucro per averne di più. Presi più acqua che potevo, avidamente. Sentii un leggerissimo fischio, poi la tanto odiata, ma attesa voce ritornò a farsi sentire.
livello carburante in aumento...”
Sorrisi lievemente, notando i miei sensi ridestarsi.
livello carburante 76%; attivazione processi...”
Allontanò la bottilla da me, vuota, gettandola dove capitava, poi mi guardò.
« Vestiti, non voglio più vederti così », disse voltandosi e ritornando al PC.

Dovevano essere passate un paio d'ore, mi ero vestita con dei cenci e per tutto il tempo non avevo fatto altro che guardare il giovane lavorare.
« Qual è il tuo nome? », chiesi quasi all'improvviso, senza un motivo preciso, solo perché la noia mi stava divorando. Non mi guardò, non voleva rispondermi, poi nascose uno sbuffo con un sospiro.
« Credo Luu, l'ho dimenticato. E il tuo quale sarebbe? », fece spallucce, mi rispose con leggerezza e con forzata educazione.
« Mitsuiko... ».
« Ah! Sei del posto allora! Devi avere della parti di ottima qualità se sei nata qui! », esclamò togliendo gli occhi dal PC e dedicandosi a me, con strano interesse. Rimasi stupita, ma non lo davo a vedere.
Tentennai nel parlare, mi precedette.
« Ormai a questo mondo tutti sono cyborg, tutti. Anche se per una minima parte ». Lo scrutai, anche lui era un cyborg? O almeno, anche una parte di lui lo era?
Lo fissai sbalordita, com'era possibile che io non sapessi nulla? Com'era possibile che lei non mi avesse mai parlato di nulla del mondo esterno? Sentii una strana sensazione prendermi, inspiegabile...
« Tu che hai di robotico? », mi chiese. Stranamente sul suo volto si dipinse un sorriso gentile, mi accorsi della sua sincerità. Potevo rispondergli senza mentire.
« Tutto ». Sgranò gli occhi, poi sorrise con una certa ironia. « Tecnologia giapponese... sapevo che sarebbero arrivati a questo punto... », si alzò dalla postazione del computer e si stiracchiò nuovamente.
« Anche tu...? », trovai il coraggio solo per fare una parte della domanda, mi bloccai e non riuscii a continuare.
Battette due dita sulla testa, sospirando. « Sono limitato a questo. Una cosuccia rispetto a te », bofonchiò. Sembrava un bambino deluso del proprio giocattolo, mi scappò un sorriso, che subito mutò in una smorfia di curiosità.
« Cos'è successo, Luu? », domandai avvicinando il viso al suo. Fece spallucce, visibilmente colpito dalla domanda.
« Non me lo ricordo, ricordo solo che mi hanno cambiato il cervello... »
« Ma te l'hanno cambiato malissimo! Non ricordi nulla! », esclamai quasi indignata. Rifece spallucce, poi mi indicò una scatola. Mi ci avvicinai fulminea ed iniziai a frugarci dentro. Era praticamente vuota e puzzolente, c'era solamente un piccolo chip impolverato. Lo presi tra due dita, gli chiesi di cosa si trattasse, ma rispose semplicemente alzando le spalle. Attesi la voce artificiale nella mia mente.
Riconoscimento dati...,”
« Che fai...? », lo ignorai e gli feci segno di tacere.
Memoria totale 14412 KB, memoria utilizzata 12560 KB, memoria documenti 8006 KB, memoria... cartella compressa...”
Sgranai gli occhi, mi avvicinai a quel giovane robot.
« Questa... questa è la tua memoria! », esclamai. Gli occhi di Luu sembrarono brillare, me la strappò di mano e la inserì, sotto la nuca. I suoi occhi si accesero di una luce nuova, si guardò in torno, poi guardò me.
« Hai ritrovato la mia memoria, te ne sono grato, Mitsuiko! Comunque, mi chiamo Luushin, – sorrise , - sì, non ricordavo bene neanche il mio nome », ammise subito poi. Gli sorrisi a mia volta, convinta di aver fatto una buona azione.
In un attimo gli si scurì il volto. Tentennai.
« Sei un bravo cyborg – mormorò cupo, indietreggiai di un passo – devi essere più cauta, mia cara. Se io fossi stato un cyborg Anomalo, saresti finita male... », mormorò. Tirai un sospiro di sollievo, poi riflettei sulle sue parole. La mia mente fu invasa di domande.
« Come sei finito qui? », dissi alla fine. La sua espressione mutò, non di molto, ma parve rasserenarsi. Si avvicinò al computer, che per tutto il tempo ci aveva fatto compagnia col suo ronzio.
« Non dovrei dirtelo, ma so che sei una brava ragazza, quindi posso svelarti questo piccolo segreto... che resterà tra noi », sorrise. Deglutii sperando il meglio e aspettandomi il peggio. Aspettò un paio di minuti prima di parlare.
« Sono un ribelle – cominciò, sospirando – anche se a dirla tutta sembro uno scarto di fabbrica », spense il PC e mi si riavvicinò.
« Cos'era successo alla tua memoria? », continuai a domandare, senza aspettare eventuali aggiuntive alla sua precedente risposta.
« Sei curiosa! – ridacchiò cominciando a frugare tra degli scatoloni polverosi – Tempo fa sono stato aggredito da alcune Fiere, ma me la sono cavata fortunatamente con la perdita della memoria », spiegò distratto. Allungai il collo per vedere cosa stesse cercando, mi alzai addirittura sulle punte.
« Di che razza sei? », disse di punto in bianco. Rimasi interdetta. Accorgendosene mi si avvicinò.
« Non conosci assolutamente nulla a quanto pare. Il “genio” che ti ha creata è stato davvero bravo... ».
« Mia madre era davvero un genio! Si è sacrificata apposta per farmi fuggire! », urlai interrompendolo. Rimase immobile a fissarmi, rifletteva visibilmente. Socchiuse gli occhi per un istante, poi mormorò una cosa che non avrei mai voluto sentire.
« Sei davvero convinta che si trattasse di tua madre? ».
Sapevo che non era la mia vera madre, sapevo che lei mi aveva costruita per far di me una macchina da guerra, sapevo che un giorno si sarebbe disfatta di me, ma sapevo benissimo che quando mormorava di nascosto dalle cimici e dalle telecamere che mi voleva bene, non mentiva...
In quell'istante la parte artificiale della mia mente fu completamente disattivata e la parte naturale si annebbiò. Aggredii quell'uomo, colpendolo prima con un pugno, poi con un calcio. Fu tutto veloce, perché quando mi toccò sul petto, non fui capace più di nulla.

  
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