Stay the Night – I
don’t wanna say Goodbye
L'ennesimo party
in casa Vengeance stava per volgere al
termine, ed io, insieme al resto della mia band, ero a dir poco
ubriaco.
Mi ero rifugiato qualche minuto in bagno a lavarmi il viso,
sperando di riprendermi un po’, giusto il tempo di tornare a
casa e fiondarmi
nel mio amato letto.
Ci capitava spesso di organizzare serate come quella. Gli
ingredienti erano pochi ed essenziali: la casa di Zacky, tutti noi e
tanto,
tantissimo alcool.
Ci piaceva anche uscire, andare in giro per pub, ma stando in
casa eravamo più tranquilli in caso qualcuno avesse deciso
di esagerare.
Quel qualcuno era Johnny, il più piccolo del gruppo.
Sì,
piccolo, ma in quanto a bevute si sapeva far valere... e non poco.
Insieme a me
e Brian era quello che reggeva di più l’alcool
nella band.
Quella sera però aveva davvero esagerato e si era ritrovato
sotto il tavolo di legno, con una mano che teneva stretta in un pugno
una
bottiglia di birra ormai vuota.
«Dici che dobbiamo metterlo a letto?»
cercò di dire il
proprietario di casa, tenendosi a Brian per non cadere.
«Quello dorme ovunque, anche se lo lasciassimo lì,
non se ne
accorgerebbe» gli rispose Brian passandosi più
volte le mani sul volto,
cercando di rimanere sveglio «e poi che fastidio
dà, scusa? Domani lo
riporterai a casa».
Matt, che si stava addormentando sul divano, assisteva alla
scena con gli occhi semi chiusi, cercando di capirci qualcosa.
«Sì, e se deve
sboccare ti alzi tu in piena notte? Non ti credo, Gates»
tornò a chiudere gli
occhi, rilassandosi.
«Lo porto a casa io» annunciai uscendo dal bagno,
passandomi
una mano tra i capelli corvini, cercando di sistemarli alla bell'e
meglio.
Ormai era diventata un'abitudine occuparmi del piccolo
Johnny.
Purtroppo per me, in cambio avevo ricevuto solo dei
"Grazie" tirati fuori dalla sua bocca con la forza. Era tipico di
Christ assumere questo comportamento. E non lo faceva solo con me,
ovvio.
Voleva dimostrare che di essere in grado di occuparsi di se stesso da
solo,
senza l'aiuto di nessuno.
Ammirevole, certo.
Se non fosse che ora stava dormendo, ubriaco, sotto a un
tavolo, con una bottiglia che non voleva più lasciar andare.
«Sicuro di volertene occupare tu, Jimmy? Non preferisci
restare qui a dormire anche tu e rientrare a casa domattina?»
Zacky si era
seduto sul tavolo, trascinando con sé Brian che, come un
cagnolino, l’aveva
seguito senza perdere il contatto con lui.
Annuii alle parole del chitarrista più piccolo e sfoggiai un
sorriso, abbassandomi poi verso Johnny che continuava a dormire
beatamente a
terra. «Stasera ci ha dato dentro mica da ridere questo
piccoletto» lo guardai
sorridendo, accarezzandogli leggermente la cresta che ormai era andata
a farsi
benedire. Era tanto carino, il piccolo Christ. Sì, quando
dormiva. Quando all’apparenza
sembrava docile e tenero. In realtà Johnny aveva un bel
caratterino. Si
divertiva a fare il sostenuto con tutti, ma in realtà sapevo
che lì, chissà
dove, c’era una sua parte che non era così fredda
e distaccata. Sapevo che in
fondo anche lui era un coccolone e, in un modo o nell’altro,
sarei riuscito a
scovare quella parte.
Passavo tanto tempo con lui, ormai il nostro rapporto si era
rafforzato parecchio, ma ancora non ero riuscito a sbloccarlo come
volevo.
«Sì, stasera si è voluto
divertire» Zacky sorrise insieme a
me, guardandolo dall’alto della sua postazione, appoggiando
la testa alla
spalla di Brian e facendolo sistemare meglio tra le sue braccia,
stringendolo a
sé. «C’è da dire che era da
tanto che non organizzavamo feste come questa,
però»
disse Gates a bassa voce, chiudendo gli occhi e circondando a sua volta i fianchi di Zacky
con le braccia,
facendogli dei leggeri grattini sulla schiena.
Guardai i due chitarristi scuotendo leggermente la testa,
mentre cercavo di tirare fuori da sotto il tavolo il corpo del
bassista, che
non si degnava di collaborare.
«Tu piuttosto stai bene, Jimmy?» Zacky mi guardava
con uno
sguardo assonnato, come se si stesse per addormentare da un momento
all’altro.
Gli sorrisi annuendo, mentre mi caricavo sulle spalle Johnny, cercando
di non
svegliarlo «Sto bene, mi sono ripreso. Adesso metto a letto
questo nano e poi
torno a casa mia» lo feci sdraiare delicatamente sul divano
libero, spostandomi
poi verso l’appendiabiti per prendere i nostri fidati
giubbotti di pelle nera.
«Ho parecchio sonno anche io, ma resisto» continuai
dopo aver vestito Johnny
della sua giacca. Neanche sua madre si sarebbe presa cura di lui come
stavo
facendo in quel momento.
Zacky annuì chiudendo gli occhi, restando sempre attaccato a
Brian, che doveva essersi addormentato tra le braccia del chitarrista.
Li
guardai sorridendo dolcemente mentre mi sistemavo la mia giacca
«Secondo me
domattina sarete ancora così, voi due» parlai a
bassa voce mentre sollevavo di
nuovo Christ tenendolo in braccio ben stretto, facendogli appoggiare la
testa
sulla mia spalla.
Dalla bocca di Zacky uscii solo un borbottio, un suono
indecifrabile che mi fece capire che ormai sia lui che Brian erano nel
mondo
dei sogni e ci sarebbero rimasti per diverse ore.
Controllai di aver preso tutto: chiavi di casa, cellulare,
portafoglio e uscii dall’abitazione di Vee lanciando un
ultimo sguardo a Matt,
che dormiva beatamente sul divano.
Camminavo tranquillo, con calma, tenendo quello scricciolo
d’uomo tra le mie braccia.
Come ho già
detto, non era la prima volta che mi capitava una cosa del
genere. Devo dire
che anche lui, a modo suo, si prendeva sempre cura di me. Avendo quel
caratterino un po’ chiuso e sostenuto, non gli piaceva
manifestare troppo
l’affetto che provava, ma sapeva come farlo capire.
Ormai la prassi la conoscevo a memoria. Arrivato davanti a
casa sua prendevo le chiavi che teneva nella tasca interna del
giubbotto, lo
portavo in camera sua, lo sistemavo nel letto e sgattaiolavo fuori di
casa.
Semplice ed efficace, come sempre.
Lui sapeva che ero io a riaccompagnarlo quando capitavano
serate come quella, e mi ripagava facendo lo stesso con me. Certo, non
mi
portava fin sopra in casa, però mi stava vicino, non mi
lasciava andare finché
le mie condizioni non sarebbero state accettabili.
Quindi eccomi qua, a frugare nella piccola tasca del suo
giubbotto alla ricerca del mazzo di chiavi. Appena sentì che
muovevo la mano
nella sua giacca, Johnny alzò di scatto la testa dalla mia
spalla e si guardò
intorno, spaesato. I suoi piccoli occhi erano stanchi, gonfi e rossi e
scrutavano tutto ciò che gli stava intorno, cercando di
capire dove fosse e con
chi fosse.
Sfilai il mazzo di chiavi ed infilai quella più grossa nella
serratura, girandomi a guardarlo, sorridendogli dolcemente
«Ben svegliato,
Johnny» tornai a guardare la serratura ed aprii la porta
senza fatica «Ora ti
porto a letto, non preoccuparti» entrai in casa ed appoggiai
con cura le chiavi
sul mobile all’ingresso, chiudendo poi la porta alle mie
spalle.
Johnny, che non aveva ancora spiccicato una parola, si
dimenò
tra mie braccia cercando di liberarsi dalla mia presa
«Lasciami andare,
Sullivan» Obbedii e mi sistemai il giubbotto
«Riesco a camminare anche da solo,
non c’è bisogno che mi porti a casa ogni
volta» parlava sbiascicando senza
neanche guardarmi in faccia, barcollando pericolosamente verso il
divano.
Prontamente mi avvicinai a lui e lo afferrai per i fianchi,
fermandolo «Tu dove vuoi andare da solo che non ti reggi
neanche in piedi? Non
te ne vai da nessuna part senza di me, chiaro?».
Johnny si passò una mano sugli occhi più volte,
cercando di
tenerli aperti «So cavarmela benissimo da solo»
cercò di liberarsi di nuovo
dalla mia stretta «anche da ubriaco!». Provai a
lasciarlo andare di nuovo,
tenendomi comunque vicino a lui in caso avesse rischiato di cadere di
nuovo.
Speranze vane, perché non fece in tempo a camminare mezzo
metro che già si
stava ritrovando con la faccia spiaccicata al parquet.
Di nuovo lo acchiappai tenendolo stretto «Dicevi,
Christ?»
inclinai il viso per guardarlo negli occhi, ma il suo sguardo era fisso
nel
vuoto, inespressivo.
«Johnny? Johnny che hai?» lo scossi delicatamente,
come per
farlo riprende da quella specie di trance nel quale era finito. Dopo
qualche
secondo scosse leggermente la testa e portò le mani sulle
tempie, premendo
forte «Se eviti di scuotermi potrebbe andare meglio,
grazie». Sospirai un po’
seccato dal suo comportamento. Non aveva mai reagito così
male quando lo
riportavo a casa. Sì, certo, aveva sempre qualcosa da
ridire, ma quella sera
sembrava più scocciato del solito. Notai subito che premeva
le mani sulla
testa, anche questo era un fatto strano. Johnny era solito ubriacarsi e
star
male, ma in vent’anni che lo conoscevo non l’avevo
visto così conciato.
«Andiamo, dai» sospirai e lo sollevai gentilmente
ma di peso,
quasi bloccandolo per non permettergli di scappare. Sentivo che in
qualche modo
cercava di dimenarsi, ma smise poco dopo, ormai arreso.
Entrai nella sua camera da letto e lo adagiai lentamente sul
materasso, aiutandolo a togliersi il giubbotto.
«Adesso stai qui tranquillo e dormi, va bene?» mi
sedetti
accanto a lui dopo avergli rimboccato le coperte come una brava mammina
e
iniziai ad accarezzargli i capelli, nella speranza di calmarlo un
po’. Sapevo
che i capelli erano il suo “punto debole” e quando
glieli accarezzavo, si
rilassava sempre.
La sua risposta fu semplice e chiara: si girò di spalle e
s’infilò per bene sotto le coperte, staccandosi
del tutto da me «Non ho bisogno
della mamma» mugugnò da sotto le coperte,
rannicchiandosi e stringendosi più
forte la testa tra le mani.
«Johnny che ti senti? Me lo vuoi dire? Non farmi preoccupare,
per favore». Il bassista scosse la testa «Non ho
niente. Ho sonno e mal di
testa, domani mi sarà passato tutto. Buona notte».
Sospirai e lo lasciai fare.
Forse erano i post-sbronza che lo rendevano così acido e
intrattabile.
Quella notte comunque decisi di passarla con lui. Non mi
fidavo, troppe cose non andavano come dovevano.
Mi alzai dal letto avvicinandomi alla porta della sua
camera. Il divano
sarebbe andato benissimo per me.
«Io mi metto a dormire sul divano Johnny, non torno a casa.
Se hai bisogno, chiamami».
Di scatto lui si girò verso di me, tenendosi ancora di
più la
testa che doveva girargli parecchio, visto il movimento brusco che
aveva appena
fatto «Tu ora vai a casa, Jimmy. Io sto bene, ho solo bisogno
di dormire». Lo
fissai negli occhi, avvicinandomi al suo viso «No. Io sto
qua» lo risistemai di
nuovo nel letto, contro la sua volontà e mi allontanai dalla
sua stanza senza
dire niente. Chiusi la porta e scesi in salotto.
Mi ero sistemato
come meglio potevo sul divano di pelle nera,
con un cuscino trovato per caso sistemato sotto la testa, giusto per
non farmi
venire il torcicollo. Scarpe, jeans e maglietta erano disposti con cura
su una
poltrona poco distante. Ormai era notte fonda ed erano passate un paio
d’ore da
quando avevo lasciato Christ nel suo letto.
Dormivo beatamente, ormai la sbronza mi era passata. E anche
se fosse, in qualche modo dovevo farmela passare, visto che
c’era da badare a
quel nanerottolo.
Mi svegliai di soprassalto quando sentii qualcosa muoversi
sul divano. Aprii gli occhi pensando di trovare Peanut, il cagnolino di
Johnny,
ma no, non era lui.
Con mia sorpresa trovai proprio Christ, sdraiato con me sul
divano.
Sentivo il calore del suo corpo vicino al mio. La sua piccola
e morbida schiena nuda che premeva sul mio petto, come se volesse
incollarla ad
esso e non staccarsi mai più. Spostai la testa in avanti e
lo guardai dormire.
Il respiro lento e regolare, le braccia incrociate al petto e
un’espressione
seria sul viso. Guardandolo mi scappò l’ennesimo
sorriso e avvolsi le mie
braccia intorno ai suoi fianchi, tenendolo più vicino a me.
Sentii le sue mani
posarsi sulle mie, stringendole debolmente. Abbassai il viso e lo
baciai
delicatamente su un angolo della bocca, tenendo premute le mie labbra
per pochi
istanti «Buona notte Johnny» sussurrai.
E vi giuro su
tutto ciò che ho di più caro, che in quel
momento vidi un timido sorriso disegnarsi sul volto di Johnny,
accompagnato da
un leggero rossore sulle sue guance paffute.
L’indomani
mattina, un raggio di sole che puntava dritto sui
miei occhi, mi svegliò. Mi stiracchiai qualche secondo,
cercando di riprendere
la sensibilità di tutte le parti del mio corpo ed aprii gli
occhi,
stropicciandoli con forza. Non appena li aprii, guardai davanti a me.
Johnny
non c’era, ma su un bracciolo del divano, appallottolata,
c’era la maglietta
che aveva addosso la sera prima e i jeans, abbandonati a terra.
Confuso, mi alzai, mettendomi seduto e mi guardai intorno,
sperando di vederlo da qualche parte. Lentamente poggiai i piedi a
terra ed i
gomiti sulle ginocchia, passandomi più volte una mano tra i
capelli. Non potevo
aver sognato, era stato troppo reale. Johnny aveva dormito davvero sul
divano
con me, ne ero più che certo! Sentii dei rumori in cucina
che attirarono la mia
attenzione. Spostai lo sguardo verso la porta scorrevole di legno che
separava
i due locali e mi alzai, aprendola e sbirciando dentro.
E il piccolo Christ era lì, in boxer, che preparava la
colazione. Mi appoggiai allo stipite della porta a braccia incrociate e
lo
guardai, sorridendo.
Poco dopo se ne accorse e mi guardò, spostando subito lo
sguardo, come se fosse imbarazzato «Non ti vesti, Jimmy? Sei
ancora in boxer».
Guardai prima il mio abbigliamento, poi lui «Anche tu non sei
da meno,
piccolo». Mi avvicinai sedendomi al tavolo, tamburellando con
le dita sul
legno.
Si avvicinò dopo qualche minuto posando una tazza di
caffè
dinanzi a me e un piatto con due croissant strabordanti di nutella al
centro
del tavolo. Ecco, questo era uno di quei piccoli gesti di cui vi
parlavo, che
era suo solito fare per ringraziarmi.
«Il caffè è già zuccherato.
Due, vero?» mi chiese sedendosi di
fronte a me, tenendo stretta in mano la sua tazza. Gli sorrisi ed
annuii.
Sapeva tutto di me.
«Come stai? Ti è passato il mal di
testa?» giravo lentamente
il cucchiaino nel caffè guardandolo negli occhi, ma lui si
limitò a scuotere la
testa tenendo lo sguardo fisso sulla sua tazza rossa.
«Capito…magari è meglio se prendi
qualcosa, no?» inclinai la
testa sperando di incrociare il suo sguardo, ma niente. Scosse di nuovo
la
testa senza guardarmi in faccia.
«E come mai stanotte sei venuto a trovarmi mentre
dormivo?»
picchiettai gentilmente il cucchiaino sul bordo della tazza per farlo
gocciolare al suo interno, appoggiandolo poi sul tavolo.
A quelle parole Johnny s’irrigidì e mi
guardò dritto negli
occhi «Non è vero! Non ho dormito con te, che vai
dicendo? Sei ancora ubriaco
da ieri sera?»
Lo guardai con sguardo interrogativo «Ma davvero?
Perché io
sono certo di non aver visto nessun’altra maglietta oltre la
mia, prima di
addormentarmi. Mentre stamattina ai piedi del divano ce n’era
una. E sono
pronto a scommettere che era la stessa che avevi indosso ieri
sera» presi un
croissant e gli diedi un morso, senza spostare lo sguardo dal bassista
«Ah, e
anche i jeans, giusto» parlai a bocca piena, annuendo, sotto
lo sguardo di
Christ che si faceva sempre più cupo
ed
imbarazzato.
«Sì, e quindi? Anche se lo avessi
fatto?» prese il suo
croissant e lo divorò come se non mangiasse da mesi.
Lo guardai perplesso, finendo di mangiare la mia brioche.
«Non c’è niente di male, non
c’è bisogno che ti scaldi
troppo» lo spiai ridendo, mentre finivo di sorseggiare il mio
caffè. Lui finì
velocemente la sua dose di caffeina e si alzò, prendendo
entrambe le tazze e il
piatto, lasciandoli nel lavandino. Si appoggiò con entrambe
le mani al bordo e
strinse gli occhi, emettendo un sottile lamento di dolore.
Mi avvicinai di corsa a lui e gli accarezzai la schiena,
tenendogli il viso con una mano «Johnny, che succede? Che
cos’hai?»
Lui scosse la testa «Niente» sibilò
portandosi una mano sulla
fronte, premendola forte. «Non è vero che non hai
niente Johnny, parla!»
strinsi di poco la presa sul suo viso e lo girai verso di me per
guardarlo
dritto negli occhi, incitandolo a parlare. Mi guardò con la
coda dell’occhio
«Mi fa ancora male la testa, tutto qui»
sussurrò cercando di rilassarsi, sperando
di alleviare un po’ il dolore.
Sospirai e lo presi per le spalle senza distogliere lo
sguardo da lui «Torniamo a letto, tu non stai per niente
bene. La sbronza di
ieri sera è stata eccessiva, anche per uno come
te».
Senza fiatare annuì alle mie parole e si appoggiò
con la
testa al mio petto, chiudendo gli occhi.
Cinsi saldamente le sue spalle con un braccio e lo guardai
sorridendo «Su, vieni» gli sorrisi rassicurante,
incitandolo ad incamminarsi
verso la camera da letto senza lasciare la presa e mi seguì
senza proferire
parola.
Sapeva che avevo ragione, anche se si ostinava a fare il
sostenuto.
Entrai in camera sua e fu il primo a sdraiarsi sul suo lato
preferito del grande letto matrimoniale. Lo seguii sdraiandomi dalla
parte
opposta, avvicinandomi lentamente a lui.
«Sei comodo?» sussurrai tirando il lenzuolo sui
nostri corpi
«Se vuoi ti lascio il mio cuscino, non è un
problema».
Christ scosse la testa e si avvicino di più a me, stringendo
le sue braccia intorno ai miei fianchi ed appoggiando la testa alla mia
spalla
«No, sto bene così» sussurrò
con un filo di voce, chiudendo gli occhi.
Era la prima volta che Johnny prendeva questo tipo di
confidenza con me.
Che la sua parte tenera finalmente fosse uscita allo
scoperto? Abbassai la testa e lo baciai sulla fronte, premendo forte le
mie
labbra. Come quella notte, lo vidi sorridere ed arrossire. Fu
così che decisi
di fare un azzardo.
Posai una mano sul suo viso e glielo alzai leggermente verso
di me, tenendogli il mento tra due dita. Lo guardai negli occhi,
sorridendogli
dolcemente. Amavo i suoi occhi, mi perdevo ogni volta.
Avvicinai lentamente il mio viso al suo ed appoggiai le
labbra sulle sue. Vidi i suoi occhi spalancarsi, guardandomi stupito e
in quel
preciso istante riuscii a percepire il suo respiro bloccato da quel
contatto.
Sorrisi sulle sue labbra e chiusi gli occhi, continuando a baciarlo
mentre gli
accarezzavo lo zigomo con il mio pollice, cercando di calmarlo. Li
chiuse anche
lui, imitandomi e provò a rilassarsi, iniziando a muovere
timidamente le labbra
sulle mie, quasi come se avesse paura, come se fosse spaventato. Lo
strinsi più
forte a me ed approfondii il bacio, facendogli schiudere le labbra
andando alla
ricerca della sua lingua. Con stupore vidi che dopo pochi secondi anche
lui mi
assecondava, mi cercava, come se non aspettate nient’altro
che quel momento.
Premeva sempre di più le sue calde e morbide labbra sulle
mie, facendo giocare
la sua lingua con la mia per qualche istante, lentamente, come se
andasse al
rallentatore. A mia volta assecondai i suoi movimenti, portando
entrambe le mani
sulla sua schiena, tirandolo sempre più vicino a me e
facendo aderire il suo
petto al mio. Si lasciò stringere, rilassando i muscoli e
facendo scorrere le
sue piccole dita sul mio petto, fermandosi una volta arrivato alle
spalle,
stringendole prontamente.
Christ istintivamente portò una mano tra i miei capelli ed
iniziò a giocarci distrattamente. Ci guardammo
un’ultima volta negli occhi,
così diversi ma, in quel momento, così uguali. La
stessa luce, la stessa
serenità, la stessa felicità.
Okaaaaay eccomi di nuovo qua. Ebbene sì, un'altra Jimohnny, ma stavolta una OS.
Mi è venuta in mente così, dal nulla e l'ho scritta nel giro di un paio d'ora. E' molto semplice, non è niente di che, però la trovo tanto dolce e tenera c.c
Spero piaccia a voi quanto piace a me :3
Alla prossima!
xoxo
JC <3