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Autore: Vengeance_Christ    04/12/2012    4 recensioni
Abbassai il viso e lo baciai delicatamente su un angolo della bocca, tenendo premute le mie labbra per pochi istanti «Buona notte Johnny» sussurrai.
E vi giuro su tutto ciò che ho di più caro, che in quel momento vidi un timido sorriso disegnarsi sul volto di Johnny, accompagnato da un leggero rossore sulle sue guance paffute.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Johnny Christ, The Rev, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stay the Night – I don’t wanna say Goodbye

 

L'ennesimo party in casa Vengeance stava per volgere al termine, ed io, insieme al resto della mia band, ero a dir poco ubriaco.
Mi ero rifugiato qualche minuto in bagno a lavarmi il viso, sperando di riprendermi un po’, giusto il tempo di tornare a casa e fiondarmi nel mio amato letto.
Ci capitava spesso di organizzare serate come quella. Gli ingredienti erano pochi ed essenziali: la casa di Zacky, tutti noi e tanto, tantissimo alcool.
Ci piaceva anche uscire, andare in giro per pub, ma stando in casa eravamo più tranquilli in caso qualcuno avesse deciso di esagerare.
Quel qualcuno era Johnny, il più piccolo del gruppo. Sì, piccolo, ma in quanto a bevute si sapeva far valere... e non poco. Insieme a me e Brian era quello che reggeva di più l’alcool nella band.
Quella sera però aveva davvero esagerato e si era ritrovato sotto il tavolo di legno, con una mano che teneva stretta in un pugno una bottiglia di birra ormai vuota.
«Dici che dobbiamo metterlo a letto?» cercò di dire il proprietario di casa, tenendosi a Brian per non cadere.
«Quello dorme ovunque, anche se lo lasciassimo lì, non se ne accorgerebbe» gli rispose Brian passandosi più volte le mani sul volto, cercando di rimanere sveglio «e poi che fastidio dà, scusa? Domani lo riporterai a casa».
Matt, che si stava addormentando sul divano, assisteva alla scena con gli occhi semi chiusi, cercando di capirci qualcosa. «Sì, e se deve sboccare ti alzi tu in piena notte? Non ti credo, Gates» tornò a chiudere gli occhi, rilassandosi.
«Lo porto a casa io» annunciai uscendo dal bagno, passandomi una mano tra i capelli corvini, cercando di sistemarli alla bell'e meglio.
Ormai era diventata un'abitudine occuparmi del piccolo Johnny.
Purtroppo per me, in cambio avevo ricevuto solo dei "Grazie" tirati fuori dalla sua bocca con la forza. Era tipico di Christ assumere questo comportamento. E non lo faceva solo con me, ovvio. Voleva dimostrare che di essere in grado di occuparsi di se stesso da solo, senza l'aiuto di nessuno.
Ammirevole, certo.
Se non fosse che ora stava dormendo, ubriaco, sotto a un tavolo, con una bottiglia che non voleva più lasciar andare.
«Sicuro di volertene occupare tu, Jimmy? Non preferisci restare qui a dormire anche tu e rientrare a casa domattina?» Zacky si era seduto sul tavolo, trascinando con sé Brian che, come un cagnolino, l’aveva seguito senza perdere il contatto con lui. 
Annuii alle parole del chitarrista più piccolo e sfoggiai un sorriso, abbassandomi poi verso Johnny che continuava a dormire beatamente a terra. «Stasera ci ha dato dentro mica da ridere questo piccoletto» lo guardai sorridendo, accarezzandogli leggermente la cresta che ormai era andata a farsi benedire. Era tanto carino, il piccolo Christ. Sì, quando dormiva. Quando all’apparenza sembrava docile e tenero. In realtà Johnny aveva un bel caratterino. Si divertiva a fare il sostenuto con tutti, ma in realtà sapevo che lì, chissà dove, c’era una sua parte che non era così fredda e distaccata. Sapevo che in fondo anche lui era un coccolone e, in un modo o nell’altro, sarei riuscito a scovare quella parte.
Passavo tanto tempo con lui, ormai il nostro rapporto si era rafforzato parecchio, ma ancora non ero riuscito a sbloccarlo come volevo.
«Sì, stasera si è voluto divertire» Zacky sorrise insieme a me, guardandolo dall’alto della sua postazione, appoggiando la testa alla spalla di Brian e facendolo sistemare meglio tra le sue braccia, stringendolo a sé. «C’è da dire che era da tanto che non organizzavamo feste come questa, però» disse Gates a bassa voce, chiudendo gli occhi e circondando a sua  volta i fianchi di Zacky con le braccia, facendogli dei leggeri grattini sulla schiena.
Guardai i due chitarristi scuotendo leggermente la testa, mentre cercavo di tirare fuori da sotto il tavolo il corpo del bassista, che non si degnava di collaborare.
«Tu piuttosto stai bene, Jimmy?» Zacky mi guardava con uno sguardo assonnato, come se si stesse per addormentare da un momento all’altro. Gli sorrisi annuendo, mentre mi caricavo sulle spalle Johnny, cercando di non svegliarlo «Sto bene, mi sono ripreso. Adesso metto a letto questo nano e poi torno a casa mia» lo feci sdraiare delicatamente sul divano libero, spostandomi poi verso l’appendiabiti per prendere i nostri fidati giubbotti di pelle nera. «Ho parecchio sonno anche io, ma resisto» continuai dopo aver vestito Johnny della sua giacca. Neanche sua madre si sarebbe presa cura di lui come stavo facendo in quel momento.
Zacky annuì chiudendo gli occhi, restando sempre attaccato a Brian, che doveva essersi addormentato tra le braccia del chitarrista. Li guardai sorridendo dolcemente mentre mi sistemavo la mia giacca «Secondo me domattina sarete ancora così, voi due» parlai a bassa voce mentre sollevavo di nuovo Christ tenendolo in braccio ben stretto, facendogli appoggiare la testa sulla mia spalla.
Dalla bocca di Zacky uscii solo un borbottio, un suono indecifrabile che mi fece capire che ormai sia lui che Brian erano nel mondo dei sogni e ci sarebbero rimasti per diverse ore.
Controllai di aver preso tutto: chiavi di casa, cellulare, portafoglio e uscii dall’abitazione di Vee lanciando un ultimo sguardo a Matt, che dormiva beatamente sul divano. 


Camminavo tranquillo, con calma, tenendo quello scricciolo d’uomo tra le mie braccia.  Come ho già detto, non era la prima volta che mi capitava una cosa del
genere. Devo dire che anche lui, a modo suo, si prendeva sempre cura di me. Avendo quel caratterino un po’ chiuso e sostenuto, non gli piaceva manifestare troppo l’affetto che provava, ma sapeva come farlo capire.
Ormai la prassi la conoscevo a memoria. Arrivato davanti a casa sua prendevo le chiavi che teneva nella tasca interna del giubbotto, lo portavo in camera sua, lo sistemavo nel letto e sgattaiolavo fuori di casa.
Semplice ed efficace, come sempre.
Lui sapeva che ero io a riaccompagnarlo quando capitavano serate come quella, e mi ripagava facendo lo stesso con me. Certo, non mi portava fin sopra in casa, però mi stava vicino, non mi lasciava andare finché le mie condizioni non sarebbero state accettabili.
Quindi eccomi qua, a frugare nella piccola tasca del suo giubbotto alla ricerca del mazzo di chiavi. Appena sentì che muovevo la mano nella sua giacca, Johnny alzò di scatto la testa dalla mia spalla e si guardò intorno, spaesato. I suoi piccoli occhi erano stanchi, gonfi e rossi e scrutavano tutto ciò che gli stava intorno, cercando di capire dove fosse e con chi fosse.
Sfilai il mazzo di chiavi ed infilai quella più grossa nella serratura, girandomi a guardarlo, sorridendogli dolcemente «Ben svegliato, Johnny» tornai a guardare la serratura ed aprii la porta senza fatica «Ora ti porto a letto, non preoccuparti» entrai in casa ed appoggiai con cura le chiavi sul mobile all’ingresso, chiudendo poi la porta alle mie spalle. 
Johnny, che non aveva ancora spiccicato una parola, si dimenò tra mie braccia cercando di liberarsi dalla mia presa «Lasciami andare, Sullivan» Obbedii e mi sistemai il giubbotto «Riesco a camminare anche da solo, non c’è bisogno che mi porti a casa ogni volta» parlava sbiascicando senza neanche guardarmi in faccia, barcollando pericolosamente verso il divano.
Prontamente mi avvicinai a lui e lo afferrai per i fianchi, fermandolo «Tu dove vuoi andare da solo che non ti reggi neanche in piedi? Non te ne vai da nessuna part senza di me, chiaro?».
Johnny si passò una mano sugli occhi più volte, cercando di tenerli aperti «So cavarmela benissimo da solo» cercò di liberarsi di nuovo dalla mia stretta «anche da ubriaco!». Provai a lasciarlo andare di nuovo, tenendomi comunque vicino a lui in caso avesse rischiato di cadere di nuovo. Speranze vane, perché non fece in tempo a camminare mezzo metro che già si stava ritrovando con la faccia spiaccicata al parquet.
Di nuovo lo acchiappai tenendolo stretto «Dicevi, Christ?» inclinai il viso per guardarlo negli occhi, ma il suo sguardo era fisso nel vuoto, inespressivo.
«Johnny? Johnny che hai?» lo scossi delicatamente, come per farlo riprende da quella specie di trance nel quale era finito. Dopo qualche secondo scosse leggermente la testa e portò le mani sulle tempie, premendo forte «Se eviti di scuotermi potrebbe andare meglio, grazie». Sospirai un po’ seccato dal suo comportamento. Non aveva mai reagito così male quando lo riportavo a casa. Sì, certo, aveva sempre qualcosa da ridire, ma quella sera sembrava più scocciato del solito. Notai subito che premeva le mani sulla testa, anche questo era un fatto strano. Johnny era solito ubriacarsi e star male, ma in vent’anni che lo conoscevo non l’avevo visto così conciato.
«Andiamo, dai» sospirai e lo sollevai gentilmente ma di peso, quasi bloccandolo per non permettergli di scappare. Sentivo che in qualche modo cercava di dimenarsi, ma smise poco dopo, ormai arreso.
Entrai nella sua camera da letto e lo adagiai lentamente sul materasso, aiutandolo a togliersi il giubbotto.
«Adesso stai qui tranquillo e dormi, va bene?» mi sedetti accanto a lui dopo avergli rimboccato le coperte come una brava mammina e iniziai ad accarezzargli i capelli, nella speranza di calmarlo un po’. Sapevo che i capelli erano il suo “punto debole” e quando glieli accarezzavo, si rilassava sempre.
La sua risposta fu semplice e chiara: si girò di spalle e s’infilò per bene sotto le coperte, staccandosi del tutto da me «Non ho bisogno della mamma» mugugnò da sotto le coperte, rannicchiandosi e stringendosi più forte la testa tra le mani.
«Johnny che ti senti? Me lo vuoi dire? Non farmi preoccupare, per favore». Il bassista scosse la testa «Non ho niente. Ho sonno e mal di testa, domani mi sarà passato tutto. Buona notte». Sospirai e lo lasciai fare. Forse erano i post-sbronza che lo rendevano così acido e intrattabile.
Quella notte comunque decisi di passarla con lui. Non mi fidavo, troppe cose non andavano come dovevano.  Mi alzai dal letto avvicinandomi alla porta della sua camera. Il divano sarebbe andato benissimo per me.
«Io mi metto a dormire sul divano Johnny, non torno a casa. Se hai bisogno, chiamami».
Di scatto lui si girò verso di me, tenendosi ancora di più la testa che doveva girargli parecchio, visto il movimento brusco che aveva appena fatto «Tu ora vai a casa, Jimmy. Io sto bene, ho solo bisogno di dormire». Lo fissai negli occhi, avvicinandomi al suo viso «No. Io sto qua» lo risistemai di nuovo nel letto, contro la sua volontà e mi allontanai dalla sua stanza senza dire niente. Chiusi la porta e scesi in salotto.


Mi ero sistemato come meglio potevo sul divano di pelle nera, con un cuscino trovato per caso sistemato sotto la testa, giusto per non farmi venire il torcicollo. Scarpe, jeans e maglietta erano disposti con cura su una poltrona poco distante. Ormai era notte fonda ed erano passate un paio d’ore da quando avevo lasciato Christ nel suo letto.
Dormivo beatamente, ormai la sbronza mi era passata. E anche se fosse, in qualche modo dovevo farmela passare, visto che c’era da badare a quel nanerottolo.
Mi svegliai di soprassalto quando sentii qualcosa muoversi sul divano. Aprii gli occhi pensando di trovare Peanut, il cagnolino di Johnny, ma no, non era lui.
Con mia sorpresa trovai proprio Christ, sdraiato con me sul divano.
Sentivo il calore del suo corpo vicino al mio. La sua piccola e morbida schiena nuda che premeva sul mio petto, come se volesse incollarla ad esso e non staccarsi mai più. Spostai la testa in avanti e lo guardai dormire. Il respiro lento e regolare, le braccia incrociate al petto e un’espressione seria sul viso. Guardandolo mi scappò l’ennesimo sorriso e avvolsi le mie braccia intorno ai suoi fianchi, tenendolo più vicino a me. Sentii le sue mani posarsi sulle mie, stringendole debolmente. Abbassai il viso e lo baciai delicatamente su un angolo della bocca, tenendo premute le mie labbra per pochi istanti «Buona notte Johnny» sussurrai.

E vi giuro su tutto ciò che ho di più caro, che in quel momento vidi un timido sorriso disegnarsi sul volto di Johnny, accompagnato da un leggero rossore sulle sue guance paffute.

L’indomani mattina, un raggio di sole che puntava dritto sui miei occhi, mi svegliò. Mi stiracchiai qualche secondo, cercando di riprendere la sensibilità di tutte le parti del mio corpo ed aprii gli occhi, stropicciandoli con forza. Non appena li aprii, guardai davanti a me. Johnny non c’era, ma su un bracciolo del divano, appallottolata, c’era la maglietta che aveva addosso la sera prima e i jeans, abbandonati a terra.
Confuso, mi alzai, mettendomi seduto e mi guardai intorno, sperando di vederlo da qualche parte. Lentamente poggiai i piedi a terra ed i gomiti sulle ginocchia, passandomi più volte una mano tra i capelli. Non potevo aver sognato, era stato troppo reale. Johnny aveva dormito davvero sul divano con me, ne ero più che certo! Sentii dei rumori in cucina che attirarono la mia attenzione. Spostai lo sguardo verso la porta scorrevole di legno che separava i due locali e mi alzai, aprendola e sbirciando dentro. 
E il piccolo Christ era lì, in boxer, che preparava la colazione. Mi appoggiai allo stipite della porta a braccia incrociate e lo guardai, sorridendo.
Poco dopo se ne accorse e mi guardò, spostando subito lo sguardo, come se fosse imbarazzato «Non ti vesti, Jimmy? Sei ancora in boxer». Guardai prima il mio abbigliamento, poi lui «Anche tu non sei da meno, piccolo». Mi avvicinai sedendomi al tavolo, tamburellando con le dita sul legno.
Si avvicinò dopo qualche minuto posando una tazza di caffè dinanzi a me e un piatto con due croissant strabordanti di nutella al centro del tavolo. Ecco, questo era uno di quei piccoli gesti di cui vi parlavo, che era suo solito fare per ringraziarmi.
«Il caffè è già zuccherato. Due, vero?» mi chiese sedendosi di fronte a me, tenendo stretta in mano la sua tazza. Gli sorrisi ed annuii. Sapeva tutto di me.
«Come stai? Ti è passato il mal di testa?» giravo lentamente il cucchiaino nel caffè guardandolo negli occhi, ma lui si limitò a scuotere la testa tenendo lo sguardo fisso sulla sua tazza rossa.
«Capito…magari è meglio se prendi qualcosa, no?» inclinai la testa sperando di incrociare il suo sguardo, ma niente. Scosse di nuovo la testa senza guardarmi in faccia.
«E come mai stanotte sei venuto a trovarmi mentre dormivo?» picchiettai gentilmente il cucchiaino sul bordo della tazza per farlo gocciolare al suo interno, appoggiandolo poi sul tavolo.
A quelle parole Johnny s’irrigidì e mi guardò dritto negli occhi «Non è vero! Non ho dormito con te, che vai dicendo? Sei ancora ubriaco da ieri sera?»
Lo guardai con sguardo interrogativo «Ma davvero? Perché io sono certo di non aver visto nessun’altra maglietta oltre la mia, prima di addormentarmi. Mentre stamattina ai piedi del divano ce n’era una. E sono pronto a scommettere che era la stessa che avevi indosso ieri sera» presi un croissant e gli diedi un morso, senza spostare lo sguardo dal bassista «Ah, e anche i jeans, giusto» parlai a bocca piena, annuendo, sotto lo sguardo di Christ che si faceva sempre più cupo  ed imbarazzato.
«Sì, e quindi? Anche se lo avessi fatto?» prese il suo croissant e lo divorò come se non mangiasse da mesi.
Lo guardai perplesso, finendo di mangiare la mia brioche.
«Non c’è niente di male, non c’è bisogno che ti scaldi troppo» lo spiai ridendo, mentre finivo di sorseggiare il mio caffè. Lui finì velocemente la sua dose di caffeina e si alzò, prendendo entrambe le tazze e il piatto, lasciandoli nel lavandino. Si appoggiò con entrambe le mani al bordo e strinse gli occhi, emettendo un sottile lamento di dolore.
Mi avvicinai di corsa a lui e gli accarezzai la schiena, tenendogli il viso con una mano «Johnny, che succede? Che cos’hai?»
Lui scosse la testa «Niente» sibilò portandosi una mano sulla fronte, premendola forte. «Non è vero che non hai niente Johnny, parla!» strinsi di poco la presa sul suo viso e lo girai verso di me per guardarlo dritto negli occhi, incitandolo a parlare. Mi guardò con la coda dell’occhio «Mi fa ancora male la testa, tutto qui» sussurrò cercando di rilassarsi, sperando di alleviare un po’ il dolore.
Sospirai e lo presi per le spalle senza distogliere lo sguardo da lui «Torniamo a letto, tu non stai per niente bene. La sbronza di ieri sera è stata eccessiva, anche per uno come te».
Senza fiatare annuì alle mie parole e si appoggiò con la testa al mio petto, chiudendo gli occhi.
Cinsi saldamente le sue spalle con un braccio e lo guardai sorridendo «Su, vieni» gli sorrisi rassicurante, incitandolo ad incamminarsi verso la camera da letto senza lasciare la presa e mi seguì senza proferire parola.
Sapeva che avevo ragione, anche se si ostinava a fare il sostenuto.
Entrai in camera sua e fu il primo a sdraiarsi sul suo lato preferito del grande letto matrimoniale. Lo seguii sdraiandomi dalla parte opposta, avvicinandomi lentamente a lui.
«Sei comodo?» sussurrai tirando il lenzuolo sui nostri corpi «Se vuoi ti lascio il mio cuscino, non è un problema».
Christ scosse la testa e si avvicino di più a me, stringendo le sue braccia intorno ai miei fianchi ed appoggiando la testa alla mia spalla «No, sto bene così» sussurrò con un filo di voce, chiudendo gli occhi.
Era la prima volta che Johnny prendeva questo tipo di confidenza con me.
Che la sua parte tenera finalmente fosse uscita allo scoperto? Abbassai la testa e lo baciai sulla fronte, premendo forte le mie labbra. Come quella notte, lo vidi sorridere ed arrossire. Fu così che decisi di fare un azzardo. 
Posai una mano sul suo viso e glielo alzai leggermente verso di me, tenendogli il mento tra due dita. Lo guardai negli occhi, sorridendogli dolcemente. Amavo i suoi occhi, mi perdevo ogni volta. Posso dire tranquillamente che amavo tutto di Johnny, dal primo pregio all’ultimo difetto. La sua compagnia mi faceva stare bene, mi sentivo tranquillo e amavo l’idea di protezione che gli suscitavo quando lo stringevo tra le mie braccia. Lui mi guardò di rimando e notai subito che si era incantato a guardare i miei occhi. Lo faceva sempre ogni fottuta volta. S’incantava, entrava in trance, come se sprofondasse nel blu dei miei occhi, rapito.
Avvicinai lentamente il mio viso al suo ed appoggiai le labbra sulle sue. Vidi i suoi occhi spalancarsi, guardandomi stupito e in quel preciso istante riuscii a percepire il suo respiro bloccato da quel contatto. Sorrisi sulle sue labbra e chiusi gli occhi, continuando a baciarlo mentre gli accarezzavo lo zigomo con il mio pollice, cercando di calmarlo. Li chiuse anche lui, imitandomi e provò a rilassarsi, iniziando a muovere timidamente le labbra sulle mie, quasi come se avesse paura, come se fosse spaventato. Lo strinsi più forte a me ed approfondii il bacio, facendogli schiudere le labbra andando alla ricerca della sua lingua. Con stupore vidi che dopo pochi secondi anche lui mi assecondava, mi cercava, come se non aspettate nient’altro che quel momento. Premeva sempre di più le sue calde e morbide labbra sulle mie, facendo giocare la sua lingua con la mia per qualche istante, lentamente, come se andasse al rallentatore. A mia volta assecondai i suoi movimenti, portando entrambe le mani sulla sua schiena, tirandolo sempre più vicino a me e facendo aderire il suo petto al mio. Si lasciò stringere, rilassando i muscoli e facendo scorrere le sue piccole dita sul mio petto, fermandosi una volta arrivato alle spalle, stringendole prontamente. Irrigidii le mani sulle sue scapole come per bloccarlo, per non farlo più scappare da me. Ora che era con me, ora che era mio, non me lo sarei più fatto scappare. Per niente al mondo. Mi staccai dopo qualche istante, restando comunque a pochissimi centimetri dalle sue labbra, interrompendo quel mix di passione mista a dolcezza che si era andata a creare nel giro di pochi minuti e lo guardai raggiante, baciandolo un’ultima volta. Mi guardò sorridendomi timidamente, tornando ad appoggiare la testa alla mia spalla, tenendo comunque lo sguardo fisso su di me.Appoggiai la testa sul cuscino e lo feci accomodare tra le mie braccia, accarezzandogli lentamente la nuca senza smettere di guardarlo.
Christ istintivamente portò una mano tra i miei capelli ed iniziò a giocarci distrattamente. Ci guardammo un’ultima volta negli occhi, così diversi ma, in quel momento, così uguali. La stessa luce, la stessa serenità, la stessa felicità. Ci addormentammo dopo pochi minuti, insieme, l’uno tra le braccia dell’altro, come non era mai successo prima d’ora.

Una cosa era certa, anche se non l’avevamo detta esplicitamente: sapevamo che quella sarebbe stata la prima di una lunga serie.

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Okaaaaay eccomi di nuovo qua. Ebbene sì, un'altra Jimohnny, ma stavolta una OS.
Mi è venuta in mente così, dal nulla e l'ho scritta nel giro di un paio d'ora. E' molto semplice, non è niente di che, però la trovo tanto dolce e tenera c.c
Spero piaccia a voi quanto piace a me :3
Alla prossima!
xoxo
JC <3
  
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