Storia scritta per un concorso del forum, ma che
avevo in mente già da tanto tempo. Si ambienta nel periodo che
intercorre tra Dragonball e Dragonball
Z… non credo ci sia molto altro da dire, scoprirete
tutto leggendo. Commentate numerosi!
Pre-maman
di Gan_HOPE326
L’orologio
alla parete non era che un bianco e sterile cerchio, e le lancette, due brevi
linee nere, scandivano il tempo con una lentezza esasperante.
Sulla
parete di fronte, una ragazza magra e nervosa giocherellava con i suoi lunghi
capelli neri, arricciandoli tra le dita.
Accanto a
lei, una grassa signora di mezza età con le dita piene di anelli pesanti
sfogliava una rivista di abbigliamento i cui modelli erano ormai passati di
moda da un pezzo; uno di quei giornali d’antiquariato che si possono trovare
solo negli studi medici.
La
segretaria, segaligna e severa, i capelli biondicci tirati all’indietro,
batteva sulla tastiera del computer con una cadenza precisa come quella di un
metronomo.
Chichi continuava
a fissare lo sguardo, alternativamente, sull’una o sull’altra cosa, cercando il
segno di un cambiamento, qualunque cosa le facesse percepire lo scorrere del
tempo in quella sala d’attesa che cominciava a sembrarle irreale. L’orologio,
la ragazza magra, la signora di mezza età, la segretaria, di nuovo l’orologio.
La lancetta
lunga aveva fatto un piccolo scatto in avanti: un altro minuto era passato.
Si guardò
accanto. Goku stava sulla sedia in una posizione rigida e leggermente
innaturale, a disagio come lo era sempre indossando abiti civili.
Vedendolo
muoversi e rigirarsi alla ricerca di una sistemazione più comoda, pensò “Beato
lui che sa estraniarsi da qualunque problema”; e subito dopo, “Non si preoccupa
per nulla. Non capisce quanto è seria la situazione”.
Era la sua
angoscia che si tramutava in rancore; ma lei non se ne rendeva conto, e
continuava a inveire mentalmente contro suo marito, come se la colpa di ciò che
era successo fosse stata sua.
Cercò di
rasserenarsi posando le mani sul suo ventre gonfio e rotondo. Sentire la
creatura che si muoveva lì dentro, in quel piccolo ambiente chiuso e liquido,
nei mesi passati le aveva sempre dato un senso di calma senza pari; ma ora non
funzionava più.
Quel gesto
le riportava solo alla mente la lettera, e la lettera era il motivo per cui ora
si trovava in quella sala d’aspetto, tremante, a implorare che quelle maledette
lancette nere si decidessero a girare un po’ più velocemente, e che venisse
finalmente il suo turno di entrare.
La porta si
aprì, la segretaria fece un gesto. Entrò la ragazza magra, senza smettere di
rigirarsi un ricciolo di capelli neri tra l’indice e il pollice.
La porta si
richiuse, e Chichi pensò che il momento in cui sarebbe toccato a lei era un po’
più vicino, e ne fu sollevata, e ne ebbe paura.
La lettera era arrivata solo il
giorno prima.
Quel pomeriggio, entrando in cucina,
Chichi era stata leggermente stordita da una sorta di molesto fetore, di cui
non riuscì subito ad identificare la fonte. Nel suo stato era diventata
particolarmente sensibile agli odori, a quelli sgradevoli in particolare, e
sentì subito salirle la nausea e una leggera vertigine. Dovette sedersi; non le
dispiacque, anche perché, con il peso che dovevano sopportare, le sue gambe ora
si stancavano molto più facilmente. Si guardò intorno con indolenza e
finalmente capì cosa fosse a puzzare così fastidiosamente: il lavello, o meglio
quello che esso conteneva. Pile infinite di piatti sporchi, su cui si erano
ormai incrostati i resti dei pasti dei giorni scorsi, attirando sciami di
insettini velocissimi che tremolavano nella luce che filtrava dalle tende
semichiuse.
“Accidenti, Goku, possibile che non si possa
mai contare su di te?”
Qualche giorno prima si era sentita
particolarmente male e, temendo di sforzarsi troppo e finire per partorire
prematuramente, aveva stabilito con suo marito che avrebbe trascorso un po’ di
tempo a letto, a riposare. Tranquilla, le aveva detto lui, penso a tutto io.
Queste rassicurazioni non l’avevano convinta un granché: ed ecco la prova
definitiva di come la sua diffidenza fosse motivata. Figurarsi se un ragazzo di
appena vent’anni che aveva trascorso l’infanzia vivendo come un selvaggio tra
le montagne poteva tenere pulita e ordinata e una casa! Sicuramente era
scappato ad allenarsi da qualche parte.
Chichi si carezzò la pancia.
-
Dovrò pensarci io a rimetterlo in
riga, eh, piccolo? Quando nascerai tu, io non avrò solo un bambino a cui
badare: ne avrò due. E scommetto che tu sarai quello che mi darà meno
grattacapi.
Sorrise e si lasciò andare alla
sonnolenza che sempre le prendeva in quei lunghi pomeriggi di attesa; noiosi,
certo, ma la noia era persino dolce, trascorsa in compagnia del suo piccolo
passeggero, a cercare di immaginare il suo volto, se fosse un maschio o una
femmina, a fare progetti su come l’avrebbe cullato, allattato, educato, a
parlargli sottovoce. Come sarebbe diventato, una volta cresciuto, il piccolo…
già, quale sarebbe stato il suo nome? Bah, a questo ci avrebbe pensato dopo,
assieme a Goku. Alto, bello… ma non era detto che sarebbe stato un maschio,
giusto? Comunque, se fosse stato un maschio… alto, bello, muscoloso no: per
quello bastava e avanzava papà! Su questo Chichi era sicura, sarebbe stata
categorica. Niente altri guerrieri in famiglia, niente allenamenti e arti
marziali. Suo figlio non sarebbe diventato uno che lasciava i piatti da lavare
alla moglie incinta per poter andare a spaccare rocce a colpi di onde
kamehameha! E se fosse stata una femmina, invece? Allora sarebbe stata
certamente una bambina splendida, con due occhi grandi e…
Si svegliò d’improvviso quando si
accorse di essersi addormentata. Il collo le doleva parecchio perché l’aveva
appoggiato alla spalliera della sedia in una posizione assurdamente scomoda,
così girò la testa da ogni lato per sgranchire i muscoli intorpiditi, e le
cadde lo sguardo sulla busta.
Non l’aveva notata, prima. Era una
busta bianca e rettangolare, lasciata sul tavolo senza particolare attenzione,
dove doveva averla messa Goku; sull’intestazione spiccava un simbolo che Chichi
riconobbe subito come quello della clinica ginecologica di East City alla quale
aveva affidato tutti i controlli sulla propria salute e su quella del bambino.
I risultati delle analisi del sangue le erano arrivati pochi giorni prima, ed i
valori erano risultati tutti in regola, dai dosaggi ormonali a quella malattia
dal nome strano (to…toko…toxoplasmosi? Sì, le pareva si chiamasse così) che si
prendeva una sola volta nella vita, e non doveva assolutamente accadere nel
periodo della gravidanza, o il piccolo ne avrebbe sofferto. Era risultato, per
sua fortuna e tranquillità, che lei quella malattia l’aveva già avuta anni
prima senza nemmeno rendersene conto. Così, quello doveva per forza essere il
referto dell’ecografia della settimana scorsa. Gliel’aveva fatta un infermiere,
in uno stanzino buio del laboratorio, dove la luce aliena dello schermo e il
suono ossessivo del battito cardiaco del bambino, monitorato da un altro
marchingegno, le avevano messo addosso un angoscia indicibile. Dopo mezz’ora di
quell’esperienza straniante l’infermiere l’aveva praticamente spinta fuori,
dicendole che prima di avere i risultati bisognava che il dottore esaminasse le
immagini, che comunque non c’era niente da temere, da quel poco di esperienza
che aveva gli pareva tutto perfettamente normale, e in ogni caso di lì a un
paio di giorni le sarebbe arrivato il referto a casa.
Senza troppa ansia, ancora immersa
nella sua torpida sonnolenza, Chichi aprì la busta e ne estrasse un foglio intestato
con poche righe scritte al computer. Saltò i convenevoli e lesse direttamente
il corpo della lettera, costringendosi a focalizzare l’attenzione su ogni
sillaba per non addormentarsi di nuovo:
…siamo spiacenti di
comunicarLe che dall’ecografia morfologica risultano delle gravi anomalie di
cui non ci pare opportuno discutere in questa sede. La preghiamo, quindi, di
venire alla clinica entro dieci giorni dalla data di invio della presente, per
un colloquio privato con il dr. Maeda, che si occuperà del Suo caso. Qualora…
Fuori soffiava un vento pigro, e il
sole del pomeriggio illuminava la campagna con una luce quasi feroce. Nessun
rumore nell’aria affocata, solo il silenzio.
Chichi posò il foglio sul tavolo,
senza staccare gli occhi da quelle parole.
Fuori, e dentro, solo il silenzio.
La porta si
riaprì dopo quasi un’ora, riscuotendo Chichi dai suoi pensieri. La ragazza
magra, ora, sembrava avere qualcosa di diverso. Era ancora leggermente
stordita, incerta nei movimenti.
In quella
clinica facevano anche interventi in ambulatorio. Quelli dovevano essere i
postumi dell’anestetico.
Cos’aveva
di diverso?
“Sta
piangendo” osservò Chichi.
La ragazza
magra tirò fuori un fazzoletto con cui si sfregò frettolosamente gli occhi,
asciugandosi le lacrime.
Chichi capì
cos’era cambiato, in lei. Non era una cosa che si potesse vedere. Era uscita un
po’ più leggera di quando era entrata. In quell’ambulatorio aveva lasciato
qualcosa; qualcosa che forse avrebbe desiderato tenere con sé.
…dall’ecografia
morfologica risultano delle gravi anomalie…
“Mai”,
decise Chichi, guardandosi la pancia. “Qualunque cosa abbia, per quanto grave
possa essere. Io non lo farò mai”.
L’aveva
aspettato troppo, desiderato troppo, quel figlio. Fin da quando era bambina e
cullava i bambolotti, non aveva sognato altro. Non le importava come sarebbe
stato. Gli avrebbe comunque voluto bene.
Ebbe per un
istante l’idea assurda che Goku potesse ostacolare questa sua decisione, e lo
fissò con rabbia, come se già questo timore si fosse avverato. Poi si rese
conto di quanto folle la stava rendendo la sua ansia e cercò di non pensare più
a nulla.
“O io stessa mi sentirò in colpa per aver immaginato tutte
queste cattiverie”
Goku vide
la ragazza che usciva dalla sala d’aspetto con passo svelto, senza guardare gli
altri, cercando di nascondere le lacrime. Non capì perchè piangesse, ma gli dispiacque ugualmente per lei. Si chiese cosa avessero
potuto farle, là dentro, per farla intristire tanto.
Stavolta
era la signora di mezza età ad entrare. Goku osservò con sospetto la porta che
si apriva per inghiottirla. Era meno preoccupato di Chichi, ma non perché ci
tenesse meno di lei al bambino. Piuttosto, era diffidente nei confronti di
tutti quei dottori saccenti, di quei macchinari
astrusi, di quelle strane procedure cui sua moglie si sottoponeva da mesi.
Potevano essere necessarie tante complicazioni per una cosa naturale come far
nascere un bambino? Chichi gli aveva spiegato come una di quelle analisi avesse rivelato che il loro figlio soffriva probabilmente di
qualche malattia. E se anche fosse, aveva ribattuto
lui, a che ci serve saperlo prima che nasca? Chichi, a questo, non aveva risposto nulla, era semplicemente scoppiata a
piangere. Goku si era pentito della propria stupidità, l’aveva consolata e
aveva deciso di smetterla di infastidirla con i suoi commenti da ignorante.
“Lei queste
cose le sa molto meglio di me, di sicuro”.
Si voltò a
guardare sua moglie, che sembrava quasi aggrappata alla sedia, tanto era
nervosa e angosciata. Tremava. Le posò leggermente una mano sulla pancia, e lei
sorrise appena, ricordandosi di quando Goku aveva fatto la prima volta quel
gesto, alcuni mesi prima.
Era cominciato tutto
quando Chichi aveva rivelato a Goku di essere incinta, e lui si era
ritrovato costretto a chiederle cosa volesse dire. Lei gli parlò di tutto ciò
che c’era da sapere. Gli spiegò che avrebbe portato dentro di sé un bambino, il
loro primo figlio, che sarebbe cresciuto nel suo ventre per un bel po’ e che,
quando sarebbe venuto il momento, il piccolo sarebbe uscito (“Ma come fa a sapere quando è il momento giusto?” “E’ la natura, Goku, non
preoccuparti. Le cose succedono quando devono
succedere.”), e loro avrebbero dovuto prepararsi ad accoglierlo. E poi cominciò
a parlare di quel bambino, come fosse già una persona
vera, lì, davanti a loro, con un volto e un nome, e di tutto quello che avrebbe
significato nelle loro vite un simile avvenimento.
Goku rimase perplesso. Non che non
capisse cosa stesse succedendo, solo non si capacitava del perché Chichi
fosse così felice ed eccitata. Personalmente, lui non aveva mai pensato a sé stesso nel ruolo di padre, né trovava niente di così
strano nella nascita di un bambino. Nel mondo c’era così tanta gente, chissà
quanti bambini nascevano ogni giorno! Così, nonostante
lui avesse cercato di mostrarsi contento, Chichi si era accorta che il suo era
un entusiasmo finto, troppo esitante per essere sincero. Quando Goku era
davvero felice lo dimostrava con tanto trasporto che era impossibile non
esserne contagiati, la sua era una gioia spontanea e
senza freni. Ma sua moglie lo conosceva troppo bene
per arrabbiarsi di fronte a questa freddezza. Non ti preoccupare, Goku, gli
disse, so che per ora non lo capisci, ma aspetta nove
mesi e lo capirai. Per me è già vivo, è vero, è qui dentro, ma tu adesso non te
ne rendi conto. Solo nove mesi, e lo capirai.
Invece aveva dovuto aspettare molto meno. Una sera Chichi si era abbandonata
mezza addormentata su una sedia di legno, poco dopo aver cenato, mentre Goku
spegneva gli ultimi tizzoni che ancora si ostinavano a bruciare nel camino con
la loro luce rossastra. Ad un tratto, un tocco leggero la svegliò. Goku le
aveva posato la mano sulla pancia, e aveva uno sguardo
strano, confuso, sorpreso.
L’aveva sentito. Era solo una
fiammella, una voce solitaria che sussurrava in mezzo alle urla di una folla
infinita, quasi sommersa dall’aura molto più forte di
Chichi, che la ospitava dentro di sé. Un debolissimo spirito che però lo diceva
chiaro e tondo.
“Io esisto.”
A Goku non era mai capitato di percepire
una cosa simile. Non sapeva cosa fare, e alla fine riuscì solo a dire:
-
E’ proprio qui dentro…
E scoppiò a ridere. Proprio in quel momento, “lì dentro”, il piccolo
dovette pensare che era il caso di farsi notare,
perché sferrò il suo primo calcetto, facendo sobbalzare la mamma.
-
E’ forte quasi quanto te, Goku!
Risero entrambi, e quella volta
Chichi ne fu sicura, perché lui l’aveva contagiata, perché ridevano insieme, di
una risata spontanea e senza freni, Goku adesso aveva capito, era davvero felice.
Finalmente,
venne il momento. Anche la signora di mezza età uscì dallo studio e se ne andò, lasciando dietro di sé un odore strano e
sgradevole, profumo misto a sudore. La segretaria consultò il suo computer
premendo svelta qualche tasto, quindi annunciò che il
dottor Maeda era pronto per il prossimo consulto.
-
Tocca
ai signori Son, adesso. – precisò.
Chichi
strinse forte la mano di Goku e insieme si alzarono e imboccarono la porta.
C’era un corridoio lungo e bianco, dopo, pieno di porte chiuse; in fondo,
finalmente, c’era lo studio del dottore, e la risposta al dubbio che li
assillava entrambi. Si sedettero sulle poltroncine, giusto di fronte alla
scrivania dove il dottor Maeda si affaccendava su
mucchi di carte e istantanee ecografiche.
-
Oh,
voi siete i signori di… ma… sedetevi, sedetevi, prego.
Sono da voi tra un minuto.
Si alzò in
fretta e scappò via in uno stanzino laterale. Era un tipo smilzo, occhialuto,
con i capelli troppo grigi per la sua età, che sembrava muoversi a scatti. Chichi
e Goku non riuscirono a reagire a quella foga. Restarono fermi, incantati,
sulle poltroncine, a guardarsi l’un l’altro.
-
Sembra
molto preoccupato – osservò Chichi – Non vorrà dire
che…
-
Non
spaventiamoci prima del tempo. – disse Goku.
-
Sì.
E’ meglio.
Finalmente,
il dottore tornò. Stringeva tra le mani una busta gialla, che aprì e svuotò sul
tavolo. Era piena di piccole fotografie indecifrabili, chiazze bianche e nere
senza apparente logica. In alcune di esse si potevano
intravedere sembianze umane: la sagoma di una testa, una mano, una gamba.
-
Ecco
le ecografie. Io le ho guardate tutte, le ho guardate e riguardate e… penso che
non ci siano dubbi. Sono molto dispiaciuto, ma vi invito
a non disperarvi. Sono sicuro che qualcosa si potrà fare. Un piccolo
intervento, subito dopo il parto, e poi… ecco…
Il dottor Maeda pareva sempre più confuso e imbarazzato. Balbettava
un po’. Frugò tra le foto sul tavolo, cercandone qualcuna in
particolare, fece crollare parte di quella montagna di fogli sul pavimento e
alla fine si ritrovò con la scrivania più disordinata di prima, e senza
l’ecografia che cercava. Il suo evidente nervosismo mise ancora più angoscia
addosso a Chichi e Goku. Continuavano a stringersi le mani: e Goku,
preoccupato, finì per stringere così forte che Chichi dovette avvisarlo con un
gemito sommesso di allentare la presa, o le avrebbe rotto
qualche osso. L’altro si scusò, e tornarono ad ascoltare il dottore.
-
Certo,
qualcosa bisogna pur fare. Ma non temete, vedrete che…
risolveremo tutto, ecco. Ci posso pensare io stesso. Non penso sia il sintomo
di qualcosa di ancora più grave, e se il problema è tutto lì, si può sistemare,
penso. Per quanto, devo ammetterlo, sia la prima volta per me… insomma, in
tutta la mia carriera, e persino sui libri, non avevo
mai visto una cosa simile…
-
INSOMMA,
CI VUOLE DIRE COSA C’E’ CHE NON VA IN NOSTRO FIGLIO? –
gridò infine Chichi, angosciata ed esasperata.
Il dottor Maeda tirò un sospiro, rassettò le carte, si ricompose.
Cercò di darsi un’aria rilassata e professionale. Posò le mani sulla scrivania,
davanti a sé, e si protese leggermente in avanti.
-
Vostro
figlio – disse – ha la coda.
FINE