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Autore: Aniel_    05/12/2012    3 recensioni
È la fine dell'Apocalisse: Sam si è lasciato cadere nella gabbia con Michael e Lucifer, Bobby è morto e Dio decide di riportare indietro Castiel, privandolo però dei suoi poteri. Non ha nessun altro Dean accanto, se non quello stesso angelo caduto.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quinta stagione
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Fandom: Supernatural
Pairing/Personaggi: Dean/Castiel 
Rating: Pg13
Betavampiredrug
Genere: angst, introspettivo, triste
Warning: slash, what if
Summary: è la fine dell'Apocalisse: Sam si è lasciato cadere nella gabbia con Michael e Lucifer, Bobby è morto e Dio decide di riportare indietro Castiel, privandolo però dei suoi poteri. Non ha nessun altro Dean accanto se non quello stesso angelo caduto.
Note: questa one shot è stata scritta sul prompt 
58."Mi intendo di inquietudine, di quel piccolo inferno personale che ciascuno di noi si porta dentrodella mia cartellina per la Maritombola di maridichallenge e sul prompt what if  della mia tabellina di auverse 
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono, per niente, e la cosa non potrebbe rendermi più triste.


Melancholy were the sounds on a winter's night

 
Dean rimase inginocchiato sul terriccio scaldato dal sole per alcuni minuti, forse ore. Immobile nello stesso punto, gli occhi, appannati dal sangue e da una spessa patina di lacrime quasi incastrata tra le ciglia, puntati sui quattro anelli che adesso giacevano freddi, senza alcuna utilità.
Come me.
Il sole scottava sulla sua pelle e sulle ferite e per un momento si beò del dolore che le ossa rotte gli provocavano: un dolore fisico, sordo e spietato, capace di portargli via l'aria ad ogni accenno di movimento, un dolore capace di smorzare per qualche istante quello della propria anima.
L'anima.
È colpa mia, si ripeté in silenzio, più di una volta. Se solo suo padre non avesse fatto quel patto per salvargli la pelle, se fosse rimasto lui con Sammy indirizzandolo verso la strada giusta, Dean non avrebbe venduto la propria anima, non sarebbe finito all'inferno, non avrebbe spezzato il primo sigillo, non ci sarebbe stata nessuna apocalisse, nessun Diavolo da combattere, nessun Sam che si lasciava cadere con gli occhi chiusi e le braccia aperte nel vuoto, come quegli angeli che aveva sempre pregato da bambino.
Ma Dean aveva sbagliato, aveva dato il via alla fine e adesso che quella stessa fine era stata scongiurata, si ritrovò a fare i conti con gli errori che aveva commesso, le decisioni che lo avevano portato fin lì, le persone che aveva visto morire.
Si voltò nella speranza cieca di sentire la mano di Bobby posarsi sulla propria spalla, il tocco di qualcuno che non lo avrebbe mai abbandonato, ma non sentì o vide nulla a parte il corpo del vecchio cacciatore accasciato a terra, con gli occhi aperti e vitrei rivolti al cielo.
Dean era circondato da sangue, morte e dolore e si chiese se il gioco valesse davvero la candela: quanto tempo sarebbe passato prima che una nuova minaccia gravasse sul mondo? Uno, due, cinque anni? Cosa avrebbe fatto lui, solo contro tutti?
Il cacciatore chiuse gli occhi e inspirò lentamente prima di accarezzare il terreno con dolcezza, quasi combattuto dall'idea di poggiarvi un orecchio sopra per sentire qualcosa, qualsiasi cosa, ma si trattenne. «Ci vediamo, Sammy.» rantolò, mentendo a se stesso, consapevole di non poter rivedere mai più quel gigante del suo fratellino sorridergli, lamentarsi della sua musica, dormire sul laptop, abbracciarlo dopo una caccia pericolosa.
Si tirò in piedi, barcollando vistosamente, mentre una nuova scarica di dolore gli arrivava dritta al cervello facendolo annaspare. Deglutì dopo qualche secondo e si diresse verso Bobby, trascinandolo affannosamente verso l'Impala. Lanciò uno sguardo vuoto alla pozza di sangue accanto alla quale giaceva il vecchio cacciatore: anche Castiel se n'era andato. Si era ribellato, era caduto e poi morto per colpa sua. Un fottuto angelo del Signore, millenario ed etereo, morto, esploso come un palloncino ad aria compressa.
Sarebbe stato solo l'ennesimo nome, l'ennesima tacca nella lista delle persone che avevano perso la vita per colpa sua.
Mise in moto, il rombo del motore della sua bambina come unica compagnia.
«Andiamo a casa, Bobby» mormorò, prima di pigiare il piede sull'acceleratore.
 

*°*°*

 
Dean decise di dormire sul divano quella notte. L'odore di bruciato appestava l'aria in maniera quasi insopportabile, ancora più del ricordo di chi avesse lasciato tra le fiamme.
Aveva bruciato il corpo di Bobby nel pomeriggio, lo aveva visto ardere e aveva sperato che da qualche parte lo stesse ringraziando per il funerale che ogni cacciatore avrebbe voluto.
Ma Bobby non lo avrebbe ringraziato, la sua anima non sarebbe andata in Paradiso; al contrario, sarebbe scesa giù, sempre più giù, sino alle porte dell'Inferno, dove Crowley lo avrebbe accolto con un ghigno malevolo sul viso.
Non aveva altro Dean: un vecchio amico all'inferno e un fratello in un buco.
Quel pensiero lo schiacciò contro il divano, portandogli via le forze, la rabbia, persino le lacrime. Si sentiva vuoto, solo, abbandonato.
Per un istante la voce della falsa Mary prodotta da Zachariah grattò le pareti della sua coscienza: tutti ti abbandonano, Dean. Lo hai notato? Mamma, papà, persino Sam. Ti sei mai chiesto perché?Magari non è colpa loro. Magari, sei tu.
Il suono fastidioso del campanello lo fece trasalire: sbatté le palpebre più volte, cercando di focalizzare nel buio la pistola e il coltello a serramanico che aveva nascosto sotto il tavolo. Impugnò la pistola e nascose il coltello nella tasca posteriore dei jeans, dirigendosi lentamente verso l'entrata; poggiò la canna dell'arma sul legno e aprì la porta.
«Ciao Dean» annunciò una voce familiare.
Dean aggrottò la fronte e aprì le labbra dalle quali, però, non uscì alcun suono. Castiel era lì, di fronte a lui, i vestiti sporchi e macchiati di sangue, l'espressione vagamente stanca e afflitta, che lo fissava con un'intensità che gli portò via ogni reazione vagamente sensata.
Il suo corpo scattò al posto suo e la sua mano afferrò il coltello d'argento, avvicinandolo al viso dell'altro. «Chi sei?» sputò fuori con rabbia.
Non poteva essere davvero Castiel: lui lo aveva visto esplodere per mano di Lucifer.
L'impostore strizzò le palpebre e inclinò il capo. «Sono io, Dean.»
Il cacciatore rise e scosse il capo. «No, Lucifer ti ha ucciso.» replicò, sicuro.
Le labbra dell'altro si strinsero in una sottile linea di carne per poi lasciare sfuggire un sospiro rassegnato. Questi avvicinò una mano verso la lama impugnata da Dean e vi strinse attorno il palmo, fin quando il cacciatore non vide chiaramente poche gocce scarlatte pendere dal pugno chiuso. Prima che Dean potesse fare o dire qualcosa, l'altro afferrò la fiaschetta d'acqua santa che Bobby teneva nel cassetto di un mobile vicino e rovesciò il contenuto sul proprio viso.
«Non sono un mutaforma, né un demone. Sono io, Dean.» ripeté ancora, accennando un sorriso triste che Dean non riuscì a comprendere.
Il cacciatore tirò via malamente la lama, approfondendo il taglio sul palmo dell'angelo, il quale gemette a labbra serrate.
«Come puoi essere vivo?» domandò dopo qualche secondo.
Castiel abbassò lo sguardo, incerto. «Credo che sia stato Dio a riportarmi indietro» ipotizzò.
«Oh sì, i miei complimenti al tuo papà. Ha fatto proprio un ottimo lavoro!» ribatté, ironico. «E cosa mi dici di Sam? O di Bobby? Perché qui ci sei solo tu?»
Dean cercò di ignorare quella vaga allusione che aveva appena lasciato andare nell'aria: non voleva che Castiel pensasse che non fosse felice di vederlo o che lo avrebbe volentieri scambiato con la vita di Bobby o Sam. Non era così.
«L'anima di Bobby è salva. Per Sam non so cosa dirti. È stata una sua scelta, Dean.»
Dean tacque per qualche minuto, prima di raggiungere l'altro a grandi falcate afferrandolo per il bavero del trench. «Riportami indietro. Indietro nel tempo.»
Il viso di Castiel si incupì ancora. «Dean...»
«Solo un viaggio, due persone, Cas. Io e te. Ti prego.»
«Non posso.»
«Non puoi o non vuoi?» chiese Dean, piccato.
«Non posso! Va bene?» rispose l'angelo, spingendolo via.
Dean fece per ribattere quando notò il palmo dell'altro e la ferita inferta poco prima aperta e gocciolante, e poi il suo viso, così spento, così triste da fargli male al cuore.
«Perché non guarisci?» chiese, più pacato, temendo la risposta.
Castiel sorrise amaramente, un'espressione così estranea sul suo viso. «Perché non sono più un angelo, Dean. Dio mi ha riportato indietro ma sono...» la sua voce si spezzò all'improvviso.
«...umano.» concluse Dean, al suo posto.
Tacquero il resto del tempo. Il silenzio del salotto fu spezzato solo da qualche gemito basso di Castiel mentre Dean medicava la ferita e la fasciava con attenzione. Scacciò il ricordo di quante volte avesse svolto la medesima operazione su Sam e anche se Castiel era diventato umano, riuscì comunque a leggergli dentro.
O almeno, questo è quello che pensò Dean quando l'angelo continuò a tacere.
 

*°*°*

 
Il primo vero sorriso che incurvò le labbra di Dean arrivò una mattina di novembre, piovosa e cupa. Afferrò lo spazzolino da denti e vi versò sopra una piccola dose di dentifricio per poi lanciare il tubetto vuoto nella pattumiera.
Avrebbe dovuto comprarne dell'altro, specialmente adesso che Castiel aveva iniziato a lavarsi i denti utilizzando più dentifricio di quanto ne fosse, tuttavia, necessario.
Fu il lamento che arrivò dal box doccia che lo fece, inizialmente, trasalire: conoscendo quel moccioso probabilmente doveva essersi appena accecato con il sapone.
.«Gli occhi, Cas» borbottò, risciacquandosi la bocca.
«Argh...Dean, brucia» si lamentò l'altro.
Dean alzò gli occhi al cielo. «Devi tenere chiusi gli occhi quando insaponi i capelli. Adesso risciacqua e vedrai che il bruciore passerà» rispose, esasperato.
Ai lamenti però, si aggiunsero diversi colpi di tosse.
«Devi chiudere anche la bocca. Dio! cosa c'è di così difficile?»
«Sto soffocando» replicò Castiel, la voce stridula e strozzata.
Il cacciatore chinò il capo, sconfitto, e aprì il box quel tanto da permettergli di infilare la mano e afferrare il tubo flessibile. Castiel rabbrividì quando uno spiffero gelido gli lambì la schiena, portandolo ad indietreggiare verso le piastrelle interne, lontano da Dean e dal getto d'acqua.
«Che stai facendo?» chiese perplesso il cacciatore.
Castiel, con gli occhi ancora serrati e una strana espressione stropicciata sul volto, rabbrividì nuovamente. «F-freddo» balbettò, stringendo i denti.
«Se magari ti avvicinassi al getto d'acqua non sentiresti così freddo.»
Ma Castiel scosse di nuovo il capo, insaponato dalla testa ai piedi, cieco a tempo indeterminato e con la voce strozzata e tremante, e Dean non riuscì neanche ad ammonirsi, ricordarsi quanto fosse stupido e fraintendibile ciò che aveva intenzione di fare, ma si limitò scivolare al suo interno e chiudere il box alle proprie spalle. Avvicinò il tubo flessibile al viso di Castiel, i cui movimenti stentati e improvvisi gli inzupparono la maglia che indossava in pochi minuti, fin quando non si ritrovò, paradossalmente, fradicio quanto l'altro e con qualche strato di vestiti incollato addosso.
Dean evitò accuratamente di toccarlo, come se il contatto potesse nuocergli, e sciacquò via ogni residuo di shampoo e bagnoschiuma, fin quando l'altro non fu in grado di riaprire nuovamente gli occhi, arrossati e lucidi.
«Ti ringrazio, Dean» mormorò, così tenero e impacciato che Dean sentì qualcosa contorcersi nel proprio stomaco, così forte da fare quasi male. Non doveva essere facile per quell'impiastro dover fare i conti con faccende così umane e al tempo stesso così estranee.
«Cerca solo di non farci l'abitudine» sbottò, poco convinto.
Castiel inclinò il capo, perplesso. «Credevo che lavarsi fosse necessario per un essere umano. Qualcosa da dover ripetere tutti i giorni.» osservò.
«Sì, certo. Quello che intendo è che non lo si può fare insieme, ecco.» puntualizzò.
«Perché?»
Possibile che quel moccioso non ci arrivasse da sé?
«Perché siamo due amici, Cas. E siamo due uomini. E due amici uomini non fanno la doccia insieme. Non si fa e basta.»
«Ma...» aggiunse confuso l'altro «ma se non si fa e basta perché abbiamo appena fatto la doccia insieme, Dean?»
Dean avvampò e indietreggiò, rischiando di scivolare e rompersi l'osso del collo in un minuscolo box doccia accanto ad un ex angelo nudo.
«Non abbiamo fatto la doccia insieme. Io ho i vestiti addosso e ti stavo solo aiutando dato che non sei in grado di insaponarti i capelli senza attentare alla tua vita!» spiegò, paonazzo.
«Oh. Capisco. Grazie per il tuo aiuto, Dean. Non sapevo che lo shampoo potesse essere pericoloso fino a questo punto. Non avevo mai rilevato composti nocivi, non potevo immaginarlo.»
Dean chiuse gli occhi e schiaffò senza troppe cortesie un telo abbastanza ampio sul viso dell'altro e solo perché non riuscì proprio a farne a meno - quei comportamenti ridicoli e quelle frasi davvero folli sapevano essere, per certi versi, adorabili dopotutto- Dean sorrise come non faceva più da settimane.
 

*°*°*

 
Dean rientrò in casa molto tardi - o molto presto, dipende dai punti di vista- il giorno della vigilia di Natale. Aveva bevuto, più di quanto il suo corpo riuscisse a sopportare, aveva vomitato, aveva flirtato con diverse sconosciute, aveva ignorato le insistenti chiamate di Castiel.
Aprì la porta con lentezza, rallentato nei movimenti dal feroce mal di testa post-sbronza, e percorse il corridoio come se fosse qualcun altro ad avere il controllo del suo corpo. Camminò a tentoni nell'oscurità fin quando non sentì un respiro pesante e regolare provenire dal divano. Accese la abatjour posizionata vicino alla porta e rimase allibito di fronte a quello che gli si parò davanti: il tavolo del soggiorno - abitualmente stracolmo di libri polverosi e scartoffie della peggior specie trovate chissà dove da Bobby- era stato sgombrato e apparecchiato per due persone: due piatti, due bicchieri, una bottiglia di vino rovesciata e vuota, una cena ormai fredda rimasta intatta dalla sera precedente.
Castiel dormiva accovacciato sul divano, disteso su un fianco in posizione fetale, stringendo debolmente tra le dita il cellulare che Dean gli aveva procurato.
Nonostante Dean sapesse che quel gesto non avrebbe dovuto minimamente toccarlo - perché, dannazione, non aveva voglia e di certo non aveva l'umore di festeggiare il Natale dopo quello che aveva vissuto!- quella consapevolezza non servì a farlo sentire meno stronzo di quanto in realtà fosse stato, specialmente nei confronti di quel moccioso imbranato.
Improvvisamente il cacciatore capì di non essere stato il solo ad aver perso tutto, ma il solo a non  aver tentato di andare avanti. Era questo quello che stava facendo, Dean: scucirsi da solo le ferite che Castiel tentava disperatamente di richiudere, o al meglio, di lenire. E lui non se ne preoccupava, non lo ringraziava, si limitava a lasciarlo solo, su un freddo divano la vigilia di Natale, a pensare magari che la colpa fosse sua.
Si avvicinò cautamente al divano, scuotendo l'altro con dolcezza: non voleva che si spaventasse.
Castiel schiuse gli occhi lentamente e fece sfarfallare le lunghe ciglia diverse volte prima di focalizzare il ragazzo chino su di lui.
«Sei tornato» biascicò, con la voce roca e impastata di chi ha dormito troppo o troppo poco.
«Sono tornato» ripeté, accennando un sorriso.
Castiel si stropicciò gli occhi con i pugni chiusi e fece per alzarsi, un tentativo inutile dato che il vino e la stanchezza lo fecero traballare diversi secondi prima di farlo ricadere sul divano con un tonfo ovattato.
Dean lo afferrò per un braccio e lo tirò su con facilità, improvvisamente del tutto lucido. «Andiamo, ti porto di sopra.» disse, portandosi il braccio dell'altro sulle spalle e sostenendolo per la vita.
«Ce la faccio da solo» obiettò l'altro, impettito, ma non oppose molta resistenza e lasciò che l'amico lo conducesse, con un po' di fatica, verso il piano superiore.
Quando Dean lo adagiò sul letto lo sentì sbuffare e serrare le palpebre con violenza, come se non volesse vederlo, come se volesse convincerlo ad andarsene e lasciarlo da solo; quasi si convinse a lasciare la stanza in silenzio quando Castiel si decise a parlare, trascinando ogni parola come se gli costasse un'immane fatica.
«Non hai risposto alle mie chiamate» mormorò, e non sembrava affatto arrabbiato o piccato, solo deluso. Non voleva essere un rimprovero ma un'ammissione e Dean non ebbe proprio la forza di voltargli le spalle ancora una volta e ignorare cosa stesse succedendo.
Prese un respiro profondo e si accomodò sulla poltrona vicina al letto. «Lo so. Mi dispiace.» rispose, tutto a un tratto così stanco, così triste, così vuoto.
«Pensi di essere il solo a soffrire? Pensi che io me la stia passando bene?» domandò retorico Castiel, stringendosi le coperte addosso. «Tu hai perso un fratello e un amico, io ho perso decine e decine di fratelli e amici, alcuni dei quali ho ucciso con le mie stesse mani. Sono morto...tante volte. Sono tornato indietro e adesso sono umano e l'unica persona per la quale abbia lottato ha iniziato a voltarmi le spalle. Sono sempre stato solo un mezzo, per te. Un'arma da usare quanto ne avevi bisogno, un'enciclopedia da sfogliare quando i conti non tornavano. Nient'altro. Credevo che fossimo una famiglia...ma a quanto pare mi sbagliavo.»
Dean sentì la voce dell'amico spezzarsi e affievolirsi a ogni parola, la sua testa affossarsi sempre di più sul cuscino celandolo al suo sguardo. «Cas, io...» iniziò, ma questi, con un colpo di reni, gli diede le spalle, rannicchiandosi al meglio sotto le coperte.
E Dean non riuscì proprio a farne a meno: lo raggiunse e lo costrinse a voltarsi, premette entrambi i palmi sul suo petto immobilizzandolo sul materasso. Inspirò lentamente, cercando le parole che a quanto pare avevano deciso di rimanere incastrate in gola, bloccate da un muro di cemento che presto sarebbe andato in frantumi - lo sentiva, era già accaduto- risalendo sino ai suoi occhi per poi riversarsi nel vuoto come macigni, lacrime di dolore e smarrimento.
Deglutì rumorosamente, costringendo se stesso a parlare, pronunciare anche solo una maledettissima parola, ma il corpo cedette al suo posto e le sue mani si aggrapparono alle spalle di Castiel mentre il petto dell'amico accoglieva il suo viso. Rimase immobile Dean, per qualche minuto, aggrappato all'altro come se ne dipendesse la sua stessa vita e quasi non si accorse delle mani gentili che raggiunsero la sua schiena, accarezzandola con lenti movimenti circolari, cullandolo e facendolo sentire più al sicuro di quanto fosse mai stato.
«Da quando sono umano avverto delle strane...sensazioni» confessò Castiel, stringendolo un po' più vicino a sé. «Quando ti vedo sorridere è come se tutto il dolore, tutta l'angoscia sparisse improvvisamente. Non lo capisco, Dean. Le emozioni umane sono così corrosive e non riesco a controllarle. A volte ne provo più di una contemporaneamente e mi sembra di impazzire.»
Dean non rispose ma rimase in attesa, accoccolandosi al meglio tra le braccia dell'altro, trovando quel luogo caldo così giusto e accogliente da chiedersi perché non ci avesse pensato prima. Sentì una mano di Castiel raggiungere la sua nuca e giocherellare con i capelli più corti.
«E quando non ci sei, quando non rispondi alle mie chiamate, quando non ho idea di dove tu sia sento qualcosa di diverso. È come se tutte le emozioni venissero risucchiate lasciando solo un enorme vuoto...è qualcosa che preme nel petto e nello stomaco, un'inquietudine che non mi lascia dormire ed è come...»
«È come l'inferno.» concluse Dean, al suo posto, soffiando la risposta sul suo petto. «Ne so qualcosa.»
Castiel tacque e Dean ebbe quasi l'impressione di poter vedere la sua fronte aggrottarsi e le labbra stirarsi debolmente. «E come si supera?» chiese, incerto.
Il cacciatore rotolò su un fianco, stringendosi il corpo caldo di Castiel addosso in un letto troppo piccolo per accoglierli entrambi. Non gli rispose, non disse altro. Chiuse gli occhi con le braccia di Castiel ancorate alla vita e con la sensazione che avrebbe potuto sistemare tutto, o anche solo rimettere alcuni pezzi al loro posto.
Non fu il Natale migliore di sempre ma fu quello in cui Dean si sentì meno solo.

 
*°*°*

 
Gennaio portò con sé un nuovo anno e un nuovo freddo, uno di quelli impossibili da combattere solo con una coperta addosso. Dean si rigirò più volte sul proprio letto e quando fu del tutto certo di non potersi riaddormentare nemmeno tramortendosi contro un muro, abbandonò quel rifugio caldo e morbido e scese cautamente al piano di sotto, cercando di ridurre al meglio l'inquietante scricchiolio delle assi di legno che avrebbero sicuramente svegliato Castiel nella stanza accanto.
Erano giorni che l'altro non riusciva a dormire e quando finalmente cadeva in sonni profondi degni di nota, Dean faceva di tutto per non disturbare il suo riposo.
In punta di piedi raggiunse la cucina e accese il piccolo televisore pronto a passar a miglior vita: erano mesi ormai che le cose si mantenevano piuttosto tranquille, mesi in cui Dean non aveva cacciato ma era rimasto presente nell'ambiente. Aveva fatto qualche telefonata, giusto per tenere la situazione sotto controllo, aveva dato qualche consiglio ma niente di più.
Stranamente la cosa non lo infastidì né lo fece sentire sollevato. Si sentiva in stallo Dean, bloccato in un problema, relegato in una casa dalla quale non poteva e non voleva uscire.
Si lasciò cadere pesantemente sul divano e si strofinò gli occhi con le mani, erano ancora le otto del mattino e per un secondo - un velocissimo secondo insignificante- si chiese se non fosse il caso di risalire al piano di sopra e controllare Castiel.
Non che volesse guardarlo dormire, questo era chiaro, ma solo perché...magari voleva guardarlo dormire, magari voleva sentirsi meno solo in quella stanza silenziosa, magari, sì.
Ma le sue idee scoppiarono come bolle di sapone quando lo stesso Castiel varcò la soglia del salotto, vestito di tutto punto, i jeans che cadevano morbidi fasciandogli perfettamente le gambe sottili, un maglioncino scuro e l'immancabile trench stropicciato e consunto.
«Buongiorno Dean» esordì allegro, scuotendo il capo e facendo ondeggiare i capelli bagnati.
Fuori nevicava e Castiel era uscito molto presto con addosso un impermeabile.
Il genio dell'anno.
«Pensavo fossi di sopra» rispose Dean, guardandolo con sospetto. Non era la prima volta che l'altro usciva senza avvertirlo ma sentiva chiaramente qualcosa di strano, in particolare visto il pacco che teneva stretto tra le dita.
«Sono andato in città, in quella tavola calda» spiegò, sfilandosi il trench e poggiando il pacco sul tavolo.
«Perché?»
Castiel si raggelò sul posto, guardandolo con un'espressione confusa stampata in viso. Dopo qualche secondo si decise a rispondere. «Pensavo di dover comprare qualcosa...per oggi.»
Dean fece per ribattere - il comportamento di quel moccioso iniziava a farsi davvero singolare- quando i suoi occhi puntarono sul calendario appeso al muro.
Oh.
«Dean? Stai bene?»
Dean sbatté le palpebre. «Come...» si schiarì la voce «come lo sapevi?»
«Io lo so e basta. L'ho sempre saputo.» rispose l'altro, facendogli più vicino.
Dean evitò il suo sguardo e lo superò, aprendo il pacco nel tentativo di ignorare qualsiasi contatto visivo. «Una torta di mele» osservò, tirandola fuori - semplice, profumata, senza fronzoli, grande abbastanza per due persone- «hai buon gusto per essere uno che non ha mai assaggiato un dolce in vita sua.»
Il cacciatore non si accorse della propria voce spezzata, né degli occhi improvvisamente appannati, ma riuscì solo a percepire le mani dell'altro posarsi sulle sue spalle costringendolo a voltarsi e un secondo dopo si ritrovò stretto in un abbraccio caldo e accogliente, con il viso premuto sul collo dell'amico - così bianco, sottile, delizioso - e le sue labbra all'altezza dell'orecchio.
«Mi dispiace, Dean. Non era mia intenzione turbarti. Io credevo che fosse una tradizione umana inoffensiva, non volevo, non...»
Dean si sporse verso di lui senza neanche rendersene conto, alla ricerca di un contatto che gli facesse capire che non era affatto turbato, che non lo era più da qualche settimana, che quell'inquietudine e quell'angoscia erano state completamente risucchiate via dalle sue attenzioni, che aveva iniziato a sentirsi meglio pur non avendo fatto nulla per dimostrarglielo.
Dean trovò quel contatto morbido in un bacio a fior di labbra, troppo fugace e delicato per potersi definire davvero tale. Più una carezza, un'impalpabile carezza che fece tremare l'altro.
«Grazie per la torta, Cas.» disse quando il silenzio si fece esasperante.
Castiel annuì, più di una volta. «Buon compleanno, Dean.»
 

*°*°*

 
Quello fu probabilmente il re dei cliché della vita di Dean Winchester: un film romantico passato quasi per sbaglio in tv, fiumi di alcol, il giorno di San Valentino, il telecomando finito a terra mentre le sue mani si insinuavano curiose sotto il tessuto di una maglietta, il sapore inebriante di un'altra persona sulle labbra, entrambi troppo assuefatti per ricordare il momento esatto che aveva dato inizio a quella battaglia di morsi, baci e carezze.
Il re dei cliché, per l'appunto.
Ma Castiel si rivelò così arrendevole sotto le sue mani, così morbido e perfetto che Dean mandò al diavolo qualsiasi buon senso, buon senso che - per essere coerente al cliché del momento- non faceva che ricordargli chi stesse baciando, di chi fosse il nome che stava sussurrando, di chi fossero le mani che lo stavano accarezzando.
Al diavolo, fu il pensiero che mise tutto a tacere.
Si tirò addosso Castiel senza troppe cortesie, su un divano troppo piccolo e troppo scomodo, inebriato e lucido al tempo stesso. E Castiel gemette, in un modo che fece capitolare ogni accenno di raziocinio facendolo sentire, per la prima volta dopo tanto tempo, nel posto giusto al momento giusto.
Castiel fece aderire il suo corpo nudo a quello di Dean, nel tentativo di scaldarlo, troppo stanco per alzarsi e afferrare una coperta che potesse coprirli. Dean lo strinse un po' più vicino, sentendo ancora il suo sapore sulle labbra, e gli passò pigramente una mano tra i capelli.
«La senti ancora quella sensazione di cui mi hai parlato due mesi fa?» domandò incerto.
Castiel si mosse appena nel suo abbraccio. «Qualche volta.» ammise, prima di aggiungere un sommesso «ma non in questo momento.»
E Dean non era bravo con le parole, non lo era mai stato e mai lo sarebbe stato. Ma quell'angelo aveva sempre vegliato su di lui e continuava a farlo, senza poteri e senza domani; continuava ad amarlo come se fosse la cosa più preziosa del pianeta e lui vi si era aggrappato come un naufrago in mezzo al mare.
Perché Castiel era un posto sicuro in cui tornare, era casa e accettazione, era un ricordo delle persone che amava che mai gli avrebbe fatto del male, un focolare caldo in un lungo inverno.
«Sono felice che tu abbia deciso di venire qui» sospirò contro la sua pelle.
Castiel rispose con un bacio asciutto sulla sua spalla, appena sopra il marchio della sua stessa mano. «Anche io.» rispose.
Rimasero stretti l'uno all'altro ancora un po' fino ad addormentarsi. Nessun incubo, quella notte, li avrebbe svegliati.
   
 
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