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Autore: Kanchou    22/06/2007    8 recensioni
Prequel. Alex Row a diciotto anni, la vanship, il volo, la libertà, il cielo. L'amore all'ombra del Grand Stream. "Vuoi essere il mio navigatore, Yuris?"
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alex Rowe, Altro Personaggio, Sophia Forrester, Vincent
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Luoghi e personaggi presenti in questo racconto appartengono a Gonzo e a chi ne detiene i diritti. Non scrivo a scopo di lucro e nessuna violazione del copyright è intesa.
Per citare, riprendere, tradurre questa storia in parte o in toto dovete avere il mio esplicito permesso.


………………………..


Skywriting


di Kanchou



Noi, noi due, abbiamo annullato tutto, fuorché la libertà, fuorché la gioia.

(Walt Whitman)


1.

“Per il cielo, il ragazzo vola come un dio!” esclamò George Head, attorcigliando un baffo tra la punta delle dita. Se ne stava appoggiato con la schiena al fianco argentato della vanship, la creatura volante che aveva costruito con le proprie mani per il primo pilota di Anatorey, il genio dell’aria e suo più grande amico, Hamilcar Valca. Hamilcar, appunto, un passo avanti a lui, le mani in tasca e lo sguardo volto al cielo con un’espressione ironica, rispose: “E non ha nemmeno sei mesi di volo…”

La vanship che sfrecciava a qualche decina di metri sopra le loro teste combinando spavaldamente una catena di looping tagliava il blu come la lama di una sciabola.

“Fa venire i brividi” disse George. “Alla sua età…Così freddo, preciso.”

Hamilcar si voltò verso l’amico. Sorrideva, più che con le labbra, con gli occhi gentili, nei quali l’azzurro delle pupille aveva la stessa freschezza dell’acqua pura. Per un attimo a George venne in mente il volto simpatico del figlioletto di Hamilcar, il piccolo Claus, che aveva ereditato quegli occhi e forse lo stesso spirito di sognatore inguaribile del padre.

“No,” disse Hamilcar “Alex non è freddo. Uno che fa un Immelmann turn come quello non può essere freddo” disse tornando a puntare con lo sguardo la vanship sfrecciante nel cielo. “Guarda: quella è passione controllata, concentrata in ogni gesto.”

La vanship scese in picchiata su di loro, li sfiorò, fece venire uno spavento a George, e atterrò senza tante smancerie a pochi metri di distanza. Alex, il pilota, saltò giù dall’abitacolo sull’erba verde del campo di addestramento di Hamilcar Valca a Nordkhia. Si muoveva con un passo lento ma secco, elegante, senza alcun ondeggiamento delle spalle e della testa, effetto della lunga istruzione militare, della nascita aristocratica e del carattere indolente. Gettò via il casco, passò distrattamente una mano tra i capelli, neri, densi, che si erano attaccati alla fronte, e si avvicinò, gli occhi puri e sfuggenti, l’espressione vagamente corrucciata e sulle labbra il casuale accenno di un sorriso, come per dire Sì, mi sono accorto di voi, che aveva il potere di stimolare l’umorismo di George e di far innamorare qualsiasi essere di sesso femminile si trovasse nei paraggi.

“L’Immelmann era largo” si limitò a dire Hamilcar.

Alex chinò la testa e annuì mitemente. “Vuoi che torni su a rifarlo?”

Hamilcar adorava Alex per dettagli come questi, per la sua mitezza, per l’intensità e la serietà con cui portava avanti i propri impegni, e lo amava ogni giorno di più, come un figlio o un fratello minore. “Ti ho trovato un navigatore” annunciò.

Gli occhi lunghi, ambrati del ragazzo s’illuminarono. Da quando aveva cominciato a volare, Hamilcar gli aveva assegnato navigatori sempre diversi. Tra i suoi piloti Alex era l’unico senza un navigatore proprio, uno con il quale avesse trovato quella sintonia che permettesse di volare con perfetto accordo. Sulla vanship due persone dovevano diventare una sola – era un’alchimia fondamentale. Per Alex non avere ancora un proprio navigatore era una macchia di cui dare la colpa a se stesso, all’individualismo esasperato che l’aveva portato a entrare spesso in conflitto con la disciplina dell’Accademia imperiale. Ma Hamilcar, che considerava Alex il migliore, oltre che destinato ad una sorte ancora incerta ma senza dubbio speciale, sapeva che il suo navigatore non poteva essere una persona qualsiasi. Il navigatore di Alex avrebbe dovuto essere una persona come lui, uno che volava in un cielo diverso dagli altri, un cielo più alto e puro. E questa volta l’istinto gli diceva che l’aveva trovato.

“Quando volerà con me?” domandò Alex.

“Domani.”

“Ma bada” aggiunse George, che aveva una gran voglia di dire la sua sull’argomento. “Per come la vedo io, questo navigatore ti metterà in riga.” Scoppiò a ridere e gettò una pacca pesante sulla spalla del ragazzo. Così, continuando a ridere, se ne andò con Hamilcar verso l’hangar.

Alex rimase da solo, fermo sul prato verde del campo di addestramento. La brezza che gli accarezzava i capelli e faceva tintinnare la cinghia della giacca da aviatore era il respiro stesso della sua anima.


§§§


2.

A diciotto anni Alex non aveva la fatuità o la leggerezza dei ragazzi della sua età e nemmeno l’ambizione della carriera militare. Quella che bruciava nel cuore di Alex era un’ambizione diversa, sebbene non avesse ancora una direzione definita. Alex desiderava essere il migliore non per sovrastare gli altri, ma per essere libero. Essere sopra gli altri significava non dover obbedire a nessuno, non dover essere umiliato da nessuno. A Hamilcar obbediva, certo, ma soltanto perché si fidava di lui.

Sapeva che persone come il suo istruttore-amico erano rare. Gli anni dell’Accademia gli avevano insegnato che persino tra i militari la cavalleria è soltanto una maschera per coprire debolezza e meschinità. Essere stato il miglior allievo, aver lavorato ogni giorno per perfezionare se stesso, non l’aveva risparmiato dall’invidia dei compagni e dall’ottusa severità dei superiori nei confronti di una personalità carismatica e sfuggente come la sua. Schivo, taciturno e intelligente com’era, si era mosso abilmente per evitare il peggio, ma aveva compreso che l’Accademia era lo specchio fedele di quella che sarebbe stata la carriera militare. Persino con Vincent, il suo migliore amico, aveva soltanto accennato a questo disagio. Lo spensierato Vincent non poteva comprenderlo perché era fatto per vivere nel mondo, non sopra il mondo come lui.

Poi Alex aveva visto la vanship di Hamilcar Valca passare nel cielo e in un attimo aveva capito il vero significato della parola volare. Non avere il comando prestigioso di una nave, non servire Anatorey nei cieli. Il cielo mette a nudo il vero carattere di un uomo e la natura dei suoi sogni. Hamilcar voleva cambiare il mondo a partire dal cielo. E fresco di Accademia, Alex aveva sorpreso tutti non chiedendo di prendere servizio sulla nave dell’ammiraglio Mad-thane ma di cominciare l’addestramento come pilota di vanship.

“Sei il solito pazzo” gli aveva detto Vincent.

“Mmhh” era stata la risposta di Alex, e agitando scherzosamente una mano in segno di saluto si era voltato ed era andato via.


§§§


3.

C’erano giorni in cui il cielo non chiedeva altro che di essere accarezzato, blandito, penetrato dalla vanship: libero dalle nuvole, blu intenso, quasi finto, ti faceva perdere il senso del tempo e della distanza, come il sesso fatto bene, come una donna appassionata. Alex era arrivato al campo di addestramento con questo pensiero, avendo tenuto gli occhi fissi al cielo per tutto il tempo del tragitto. La primavera era esplosa nel cielo di Anatorey, l’aria profumava di tutti gli odori. Volare non sarebbe stato così bello fino all’anno successivo.

“La tua vanship è già pronta là fuori” gli disse George, senza staccare l’attenzione dal motore che stava revisionando. “E non l’ho preparata io, oggi.”

“Mi sbaglio o stamattina George se la ride sotto i baffi più del solito?” pensò Alex, ma non volle dargli la soddisfazione di farsi prendere in giro per qualcosa di cui non aveva ancora capito la natura. Indossò il casco di cuoio e si mosse verso la vanship.

Era persino accesa, e sul sedile posteriore, quello del navigatore, una persona stava già in posizione, casco in testa, occhiali para-vento e tutto quanto al suo posto.

“Sei tu Alex Row?” gli disse quella persona.

Una ragazza. Ecco perché George sghignazzava e gongolava dal giorno prima.

Alex annuì.

“Io sono Euris.” La ragazza sorrise sotto le grandi lenti degli occhiali da volo. “Sei in ritardo.”

George l’aveva sicuramente istruita ben bene per farlo irritare e divertirsi alle sue spalle.

“Bene, Euris. Vedo che cerchi di farmi sentire subito a mio agio col nuovo navigatore.”

“Non è detto che io decida di esserlo.”

Alex fece finta di non aver sentito, entrò nell’abitacolo e fissò le cinghie e la cintura di sicurezza. Prima di indossare gli occhiali, si voltò indietro.

“Perché mi attacchi, Euris? Hai forse paura che io non ti voglia?”

La ragazza rispose qualcosa, ma Alex non lo sentì perché aveva messo in moto la vanship, che rullò sul prato e si alzò rombando nel cielo, dritta contro il sole. In un attimo l’hangar e le vanship non ancora decollate diventarono macchioline di tutti i colori del metallo, l’argento, il piombo, il rame, contro il verde ondeggiante della terra. Euris non si era fatta cogliere di sorpresa e aveva dosato con abilità l’iniezione di carburante e il giusto livello di pressione. La vanship scivolò rapidamente ad altezze smisurate.

“La ragazza è un navigatore di classe” pensò subito Alex, ma si guardò bene dal ripeterlo ad alta voce.

“Con chi volavi prima, Euris?” domandò gridando nel vento.

“Con Hamilcar. Mi ha istruito lui, insieme a George” gridò lei.

Alex non si aspettava una risposta del genere. Hamilcar e George non avevano molto tempo da sprecare e quella ragazza non si era mai vista nell’arsenale di Nordkhia. Questo significava che Hamilcar l’aveva istruita durante i periodi in cui lasciava Nordkhia, per esempio quando andava nella città imperiale per incontrarsi con il Consigliere imperiale Marius Bassianus e per visionare la costruzione della super-corazzata Silvana.

“Non te la prendere” disse Euris, notando che Alex rimaneva soprappensiero. “Vedila così: con me, Hamilcar ha voluto farti un gran bel regalo: il miglior navigatore di Anatorey dopo lo stesso George Head.”

“Complimenti per la modestia!” esclamò Alex. “E adesso, se non ti dispiace, miglior navigatore, potresti dirmi le istruzioni di Hamilcar per oggi?”

“Nessuna istruzione. Ha detto che oggi puoi fare quello che ti pare.”

“Non chiedo di meglio.”

Alex virò senza avvertire, e per mettere subito le cose in chiaro scese in picchiata, fece un fiesler da manuale, tornò su, il tutto tagliato perfettamente, come un coltello. Euris non fece nemmeno un errore, lo assecondò come se gli avesse letto nel pensiero.

“Interessante” disse Euris. “E’ tutto quello che sai far…”

Alex aveva già capovolto la vanship di 180° e stava andando a tutta velocità a volo rovescio. La manovra gli riuscì talmente bene che, appena rimessa la vanship in posizione, non poté trattenere la curiosità di vedere la faccia della ragazza. Euris si fece trovare mentre sbadigliava. “Non c’è male. Ma quando arriva il bello?” gli disse.

Hamilcar l’aveva fatta grossa ad aver scelto per lui l’unico navigatore capace di fargli saltare i nervi.

“Sai, non vorrei tornare a terra col navigatore in red-out.”

“Per questo non c’è problema.”

“Allora si fa sul serio?”

“Sul serio.”

E Alex cominciò la più lunga, la più assurda ed estrosa esibizione di volo acrobatico, un fuoco d’artificio, un delirio di tutte le figure, dalla lettera A alla Z del manuale di volo. A terra gli altri piloti non credevano ai propri occhi, si erano radunati attorno a Hamilcar per chiedere se Alex non fosse impazzito, e George se la rideva come un matto.

In questa follia aviatoria, mentre Euris seguiva docilmente e prontamente la fantasia spericolata del pilota e il sangue gorgogliava nelle vene sottoposto a sbalzi di pressione e di velocità e sciogliendo la sensazione del tempo e dello spazio, lassù, nel cielo più azzurro dell’anno, accadde qualcosa, una magia, un’esplosione silenziosa. Accadde ciò che non era mai accaduto con nessuno. Alex sentì pulsare all’unisono col proprio il cuore di Euris, respirò col suo respiro, pensò con la sua mente. Euris sapeva volare come lui, e mentre la sensazione di lei cresceva, più nitida, più intensa ogni momento, Alex sentiva di poter far meglio, di poter volare come non aveva mai volato, leggero e veloce come non era mai stato, sicuro perché c’era lei. E sapeva che la stessa forza, la stessa commozione aveva catturato anche il cuore di lei.

Non c’era più nulla da dire. Tornarono a terra in silenzio, spensero la vanship, slegarono le cinghie in silenzio. Saltarono giù nello stesso istante, ma Euris si mosse come se volesse scappare.

“Aspetta!” gridò Alex.

Euris si fermò. Mentre immobile gli dava le spalle, Alex poté notare per la prima volta la figura snella e delicata sotto la forma pesante della giacca da aviatore.

“Sarai il mio navigatore…” disse, con la voce che gli spariva nell’emozione, “Euris?”

La ragazza chinò la testa in segno di assenso. Mosse un altro passo, e Alex, il cuore impazzito nel petto, la trattenne per una spalla, la costrinse a voltarsi.

“Non andare” le ordinò.

Delicatamente, le tolse dal viso gli occhiali para-vento. I propri, li aveva già gettati via, sul prato ai piedi della vanship. Ecco, con sgomento, li riconobbe: gli occhi scuri, dolcissimi, di lei erano quelli che non credeva potessero esistere al mondo, lo specchio dei propri, gli unici capaci di comprenderlo. Stavano incollati ai suoi, e in quel momento era come se lui e lei, uniti dagli occhi, stessero appesi in equilibrio su un filo invisibile. Un voce gli parlava nel cuore e gli diceva: “Vedimi, perché io ti vedo.” Alex liberò i capelli corvini dal casco.

Lei lo comprese, fece lo stesso. E Alex rimase senza respiro. Dal casco sprizzò un’onda di capelli lucenti dello stesso colore delle foglie d’autunno, delle bacche e dei frutti di bosco, profumati come le nocciole, le castagne, le resine nascoste degli alberi. Si sentì perduto in quel colore vivo, e d’un tratto avvertì dolorosamente il desiderio di toccarla, di sfiorare con le labbra quella massa ondeggiante, di affondarvi col capo.

Avevano poco tempo, George, Hamilcar e tutti gli altri stavano arrivando.

“Rispondimi” la implorò.

Euris, la ragazza avventurosa e spavalda che poco prima l’aveva sfidato e aveva giocato con lui, travolta dal sentimento nuovo, gigantesco che le era appena esploso nel cuore, trovò soltanto un filo di voce dentro di sé. Tremando gli rispose: “Sì, sarò il tuo navigatore.”


§§§


4.

Passarono settimane. Insieme vinsero la gara di Horizon Cave, e in un modo talmente nuovo e temerario da entrare nella leggenda della corsa. Hamilcar assegnò loro le missioni più difficili. Cominciarono le prime perlustrazioni del Grand Stream, i primi scontri con la Gilda. La vanship di Alex compariva e spariva senza lasciare traccia, pulita e silenziosa come un felino. Euris perfetta lo assecondava, lo sosteneva. Una volta si fecero quasi catturare, e tornarono al campo esausti ma euforici.

In quelle settimane Alex si affezionò alla famiglia di Hamilcar, da poco trasferita non lontano dal campo di aviazione, a Nordkhia. Cominciò a prendere forma definitiva il piano segreto contro la Gilda di Delphine, la missione di pace a Disith, oltre il Grand Stream, e il grande, quasi impossibile sogno della Silvana.

Ma tra loro due le cose non furono facili. In cielo era tutto perfetto come nel momento segreto che avevano condiviso il primo giorno, diventavano una cosa sola, un’unità armoniosa. Ma appena mettevano piede a terra non riuscivano a fare a meno di avvicinarsi e di respingersi, di tormentarsi, e di lasciarsi poi tutte le volte con una sensazione di infelicità, di frustrazione, di rabbia, come se non potessero fare a meno di scontrarsi, di lottare l’uno contro l’altra, come le nubi in una tempesta.

Euris, che aveva conquistato la propria indipendenza dalla vita più tranquilla che il padre, Marius Bassianus, avrebbe voluto per lei, era troppo orgogliosa per ammettere di avere bisogno di Alex e di desiderarlo più di ogni cosa al mondo. Persino quando si lanciavano nei lunghi e ormai proverbiali battibecchi, la forza trascinante della personalità di Alex, la bellezza timida e disarmante dei suoi occhi mettevano a dura prova la regola che aveva imposto a se stessa: “Non dipendere da nessun uomo.”

Per Alex la questione era diversa. Cedere al sentimento che lo spingeva verso di lei significava resuscitare quel lato della propria vita che teneva nascosto come un segreto. Alex era solo al mondo, aveva perso i genitori quando era piccolo e per sopravvivere si era convinto di non avere bisogno dell’affetto di nessuno. Se avesse permesso a Euris di prendere il suo cuore, si sarebbe sentito debole, indifeso come una lumaca senza guscio, avrebbe dovuto ammettere di avere bisogno di amare e di essere amato.

Non sapeva che erano proprio i suoi silenzi e i momenti in cui si allontanava da tutto, come se non gli importasse di nulla, nemmeno di se stesso, ad attrarla verso di lui, come se Alex le risvegliasse nelle viscere un desiderio prepotente di proteggerlo, di curare la sua solitudine.

“Alex.”

Il ragazzo sollevò gli occhi dalle carte e i grafici aperti sul prato davanti all’hangar. Euris gli stava spiegando la meccanica dei ricognitori della Gilda.

“Credi che sia divertente lavorare con te?”

Il ragazzo mosse le sopracciglia in modo interrogativo.

“Sto parlando da un’ora e tu non hai mai detto niente, non hai ma fatto nemmeno una domanda. Se non te ne importa niente, finiamola qui.”

Alex si rabbuiò nello sgradevole sentimento della delusione. L’aveva ascoltata con rispetto e attenzione. Aveva apprezzato la sua conoscenza profonda, la sua capacità di esporla con l’intelligenza degna di un ingegnere della Gilda. Aveva assecondato il piacere di imparare da lei. Non parlando, lasciandola libera di seguire i suoi pensieri, si era persino sentito vicino a lei, lì sulla terra del prato, come sulla vanship in volo. Euris non poteva non averlo capito. Lo stava provocando, stava cominciando una nuova battaglia.

Si alzò in piedi e prima di andarsene verso l’hangar, le rispose freddamente: “Hai bisogno di complimenti da me? Non credevo fossi tanto insicura.”

Euris era rimasta immobile sull’erba. Rannicchiata, col mento appoggiato sulle ginocchia, combatteva per non corrergli incontro. L’aveva fatto di nuovo, aveva trovato il modo di ferirlo proprio quando era più indifeso. Proprio quando, silenziosamente, delicatamente come faceva lui, la faceva sentire felice.


§§§


5.

La piccola Sophia ebbe la prova di quanto fossero vere le dicerie sulla squadra di vanship di Hamilcar Valca, e in particolare su una certa coppia di pilota e di navigatore, quando vide scendere Alex e Euris dalla vanship. Nella città imperiale si diceva che a Nordkhia stesse nascendo una nuova concezione del cielo. Sophia comprese che non si trattava soltanto di nuove tecniche di volo e nemmeno di un fatto di meccanica. Quelle persone avevano portato al volo ciò che ancora non aveva: una visione.

Appena la vanship fu atterrata nel solito modo essenziale e elegante, Sophia corse verso la pista con tutta la grazia di una fanciulla di 10 anni e una considerazione molto scarsa del proprio rango imperiale. A un certa distanza dalla vanship, tuttavia, si fermò. Euris e il suo pilota erano già in piedi ad attenderla, ma le apparvero diversi da come si aspettava. Sembrava che ancora non si fossero accorti di toccare terra, sembrava che un’energia particolare, una specie di vento di vita, di gioia, di libertà facesse vibrare l’aria intorno a loro. Erano semplicemente luminosi. Fu come un folgorazione, a Sophia parve di non avere mai visto nulla di più bello.

“Sophia!” gridò Euris, e la bambina le corse tra le braccia. Sophia era la cugina di Euris, era cresciuta insieme a lei, nella città imperiale. Marius si era occupato di lei come un padre, compensando la mancanze affettive di una bambina che aveva perduto la madre troppo presto e che per padre aveva un imperatore.

A Alex parve curioso vedere come Euris si lasciasse andare alla commozione di rivedere quella fanciulla. La piccola sembrava, tuttavia, una persona speciale. Per l’aspetto e la statura dimostrava dieci anni o poco più, nonostante avesse già indossato la divisa dei cadetti dell’Accademia, ma nel suo contegno, nel suo sorriso, negli occhi gentili e intelligenti e persino nella voce c’era qualcosa che la faceva apparire più adulta. Quella bambina incuteva rispetto.

Onorando le dovute forme di corte, Euris introdusse Alex alla principessa. Alex s’inchinò leggermente e subito sorrise, ma con un sorriso strano, un sorriso serio, di quelli che si rivolgono alle persone come per comunicare che ci si attende molto dalla loro conoscenza. La piccola gli rispose con lo stesso tipo di sorriso, ma arrossendo.

“Abbiamo deciso di essere socievoli oggi, eh, Alex?”

La voce apparteneva a un’altra persona che si era avvicinata nel frattempo. Sarebbe bastato il tono canzonatorio a farne riconoscere il proprietario. Accanto a Sophia adesso c’era un ragazzo della stessa età e della stessa altezza di Alex, ma con i capelli biondo scuro, gli occhi azzurri, e, a compensare la postura disinvoltamente militare, un’espressione beffarda e canagliesca sulla faccia.

“Che bella sorpresa…” disse Alex nel modo più scherzosamente disinteressato di tutto il suo repertorio.

L’altro gli aveva già buttato un braccio intorno alle spalle, facendogli pesare addosso il peso di mezzo corpo. Si staccò soltanto per fare un inchino a Euris appena Sophia lo presentò come Vincent Alzey. Vincent, essendo il più caro amico di Alex e non avendolo visto da mesi, si era offerto di farle da scorta durante la sua visita a Nordkhia.

“Euris,” disse solennemente Vincent “io sono quello che ha sopportato Alex per anni prima di te.”

La ragazza era divertita. Se quello era il migliore amico di Alex, non si poteva immaginare una coppia più assurda. Tanto Alex era riservato, tanto Vincent esuberante. Eppure qualcosa sembravano avere in comune, forse una fermezza d’animo, un modo sottile di essere nobili senza sforzarsi di apparirlo. Due cavalieri da leggenda, se le leggende fossero state ancora possibili nei tempi in cui vivevano.

“Vi ho portato un regalo speciale.”

Alex sospirò. “Fammi indovinare. Per caso del caffè?”

“Un ottimo caffè, vecchio mio. Che ci berremo allegramente adesso.”

“Vince, dovresti trovarti una ragazza.”

Più tardi l’hangar di Nordkhia risuonava di risate e di racconti. Il caffè non fu lasciato solo, ma poté godere della compagnia dei dolci di cui la moglie di Hamilcar non mancava mai di rifornire tutta la squadra.

Euris e Sophia avevano raccontato della loro vita insieme. Vincent aveva fatto morire dal ridere le ragazze con aneddoti divertenti sull’Accademia e sul tirocinio a bordo, il cui principale protagonista era Alex. Alex aveva sorriso, sforzandosi di non sembrare divertito più del dovuto per non dare troppa soddisfazione a Vincent. In realtà, sapeva che proprio questo tipo di atteggiamento era la miccia che scatenava l’umorismo dell’amico, e quindi, semplicemente, cercava di mantenersi nella parte.

Intanto lui e Euris, come se quella piacevole compagnia avesse innescato una tregua delle loro ostilità, si cercavano contro la propria volontà scambiandosi sguardi silenziosi. E quando lei non se ne accorgeva, Alex poteva osservarla, pensando a quanto quella ragazza fresca e intelligente, che regalava la sua luminosa dolcezza a tutti tranne che a lui, fosse diventata la sua ossessione, il suo tormento, e l’unica possibile causa di ogni sua felicità.

La piccola Sophia le somigliava molto, era esattamente lo stesso tipo di bellezza serena ed elegante, più probabile in un dipinto che nella vita reale. Ma ciò che rendeva soprattutto bella Sophia, e che avrebbe reso splendida la donna, era tutto ciò che la distingueva da Euris: gli occhi verdi, l’espressione intenta, la particolare, semplice umanità del suo sguardo.

“Insomma, a parte ubriacarvi, fare a botte, cacciarvi nei guai, che altro avete fatto negli ultimi otto anni?” domandò Euris.

“E’ vero” disse Sophia. “In Accademia si parla di voi come di una leggenda.”

A queste parole, inaspettatamente, Vincent addolcì l’espressione. Scambiò un’occhiata con Alex e col più ruffianesco dei sorrisi disse: “La leggenda era lui. Io ero soltanto il pianeta più vicino al Sole.”

Dopo, le ragazze uscirono all’aria aperta per scambiarsi le loro confidenze, sotto un sole che la piccola vedeva sempre troppo poco, e quasi mai per svago, lei che invece non sembrava fatta per vivere nella cupezza delle sale ufficiali e tra le pareti metalliche delle navi. Vincent ne approfittò per affrontare il vecchio amico su una questione che lo preoccupava, il vero motivo per cui si era spinto fino a Nordkhia.

“Girano strane voci su una certa vanship che s’infiltra troppo spesso nei territori della Gilda. In che storia ti sei messo, Alex?”

Alex, come per sminuire la serietà dell’argomento, abbandonò languidamente la testa sullo schienale della poltrona.

“Nell’unica storia possibile” rispose, e più che alle parole dell’amico sembrava interessato alle gocce di caffè fluttuanti sul fondo della tazza che rigirava nella mano. “E dovresti farlo anche tu, Vince.”

Vincent scosse la testa. Alex era proprio senza speranza, ostinato a impegnarsi nelle cose come fossero sempre un caso di vita o di morte. Eppure chi dei due era quello da disapprovare? In fondo, lui, Vincent, poteva permettersi di essere così, leggero e opportunista, soltanto perché sapeva che al mondo c’era almeno un uomo idealista e puro come Alex.

“Ah, Alex” disse. “Io sono quello che sta sempre dalla parte del più forte, non ti ricordi?”


§§§


6.

Alex incontrò Marius Bassianus, il padre di Euris, dopo l’incidente con la Gilda.

Era accaduto all’improvviso, in un settore vicino al Grand Stream.

Avevano visto un lampo rapidissimo in lontananza, come il riflesso di uno specchio, e l’avevano seguito. Poco sopra il letto di nuvole il colpo di falce di una mitragliata aveva attraversato la linea di volo della vanship. Erano stati attaccati da un velivolo di classe stella della Gilda.

“Alex,” disse Euris con una voce che non le aveva mai sentito “tu puoi farcela.”

E dopo, quando erano tornati a terra sani e salvi, Alex aveva pensato che non sarebbero sopravvissuti all’attacco, se Euris non gli avesse parlato così.

La vanship non era armata, a parte la pistola nascosta sotto il sedile. Sforzando la vanship con le acrobazie, contrastando con l’imprevedibilità i movimenti scattanti dell’avversario, Alex era riuscito a distrarre il pilota della Gilda e farlo schiantare a tutta velocità contro una parete di roccia. La classe stella si era frantumata come un bicchiere di cristallo.

Poi era accaduto qualcosa che aveva fatto venire a Euris la pelle d’oca.

La vanship era atterrata nel punto in cui il velivolo nemico si era schiantato. Il pilota ancora vivo aveva cominciato a sparare dai rottami. Alex l’aveva avvicinato dalle spalle e l’aveva freddato con un colpo di pistola alla testa.

Euris era diventata isterica. “Era necessario? Non sarebbe stato meglio cercare di sapere perché ci ha attaccato?” gli aveva gridato con la voce tremante di orrore.

Alex non aveva risposto, ma le aveva rivolto uno sguardo indecifrabile.

Qualche giorno dopo Marius l’aveva convocato.

Alex non tornava al palazzo imperiale da mesi. L’ultima volta indossava ancora la divisa bianco-azzurra e il berretto dell’Accademia. Non aveva mai provato soggezione in quelle sale, ma una sensazione di inutilità, come se tutto ciò che si trovava in quel luogo fosse soltanto il relitto di una storia morta, che non aveva alcuna relazione con ciò che accadeva fuori, nel cielo dei nuovi tempi. Persino il gorgoglio dell’acqua che scorreva abbondante sotto i pavimenti di marmo era spento, senza freschezza.

Marius, il consigliere, appariva vecchio senza esserlo ancora. Non per le rughe e l’aspetto autoritario, ma per l’indefinibile gravezza con la quale gli eventi dolorosi della sua vita – la distruzione della sua famiglia, la fuga dalla Gilda, l’amministrazione del potere alla corte di Anatorey – ne avevano plasmato il corpo e avevano portato ai suoi occhi chiarissimi una triste saggezza.

Alex era molto più alto di lui, ma sentiva – in un modo che lo infastidiva e lo affascinava nello stesso tempo – che dal vecchio veniva una forza che aveva il potere di dominarlo.

Perciò, mentre il consigliere lo studiava con occhi freddi e tristi, puntò apposta i propri occhi nei suoi.

“Quando ho affidato mia figlia a Hamilcar eravamo d’accordo che non sarebbe stata messa in situazioni di pericolo. Soprattutto in contatto con la Gilda” disse il consigliere.

“Hamilcar non c’entra.”

“E’ stata tua l’idea di portarla in quel settore?”

Alex annuì.

“E sai dirmi perché vi hanno attaccato?”

“Per la Gilda di Delphine non c’è bisogno di alcun motivo. Volevano dare un esempio.”

Marius martellò nervosamente il bracciolo della poltrona con la punta delle lunghe dita bianche.

“In questi anni ho conosciuto molti piloti come te” disse. “Teste calde, avventurieri che si esibiscono in cielo come in un teatro. Gente che preferisce il cielo perché crede che sia più semplice, più pulito. Persino i militari si arroccano nelle navi per mantenere la purezza di una disciplina che sarebbe assurda sulla terra. Tu, Alexander Row? Che hai intenzione di fare in questo cielo?”

Per un momento Alex abbassò lo sguardo. Dentro di sé, come una folgorazione, trovò una sola risposta. Essere libero, essere me stesso. Insieme a lei. E dopo, rendere il nostro mondo libero come siamo noi. Quando sollevò gli occhi, avevano una strana delicatezza, come di velluto.

“Se facessi io la stessa domanda a voi, quanto sareste sicuro della riposta?” disse.

Marius gli rispose con un sorriso lieve. Quel giorno decise di affidare ad Alex l’addestramento della squadra di vanship della Silvana.


§§§


7.

Era uno dei rari momenti in cui riuscivano a non torturarsi. Stavano seduti sul prato di Nordkhia a guardare le prime stelle del crepuscolo e a sorseggiare un ottimo vino.

“Ti ha spiato, in questi anni” diceva Euris. “A mio padre sei sempre piaciuto. E ora che voli con Hamilcar…”

“Sei gelosa, per caso?”

La ragazza sorrise. “Sì. Ma non per quello che pensi. Ti accetta così perché sei un uomo. Per me, invece, avrebbe voluto una vita diversa. È orgoglioso di me, credo, ma è un padre, ha paura. Se l’avessi ascoltato, a quest’ora sarei già la moglie di qualcuno. Magari uno uscito dall’Accademia.” Scoppiò a ridere e continuò: “Quelli dell’Accademia…E tu in fondo sei proprio uno di loro. Eccome se lo sei!”

“Se lo fossi davvero, non sarei qui.”

“Ma si vede da come ti muovi. E ora anche da come tieni in mano quel bicchiere. E’ come se avessi le spalline cucite sulla pelle.”

“Anche tu sarai sempre una dama di corte” scherzò Alex. “Nonostante ti sforzi di non sembrarlo.” Pensava al suo modo di camminare, al collo sempre diritto e mai rigido, morbido come quello di un cigno.

“Che vuoi dire?”

Alex chinò leggermente la testa per sorriderle e una ciocca di capelli gli cadde sulla fronte, sempre la stessa, sul lato destro. In quel momento le apparve più adorabile del solito.

Non riusciva a staccare gli occhi da quella piccola asimmetria nera sulla sua fronte, e ad un tratto si trovò a pensare che con lui tutto diventava imprevedibile. Accanto a Alex sembrava di vivere al confine tra le cose, come in un eterno, sereno crepuscolo, quando si perdeva il limite tra la luce e il buio, e il viola del cielo dava alle stelle una brillantezza pura e malinconica. Pensò con un brivido alla sua ferocia, quando aveva sparato al pilota della Gilda, e alla sua mancanza di rimorso. All’improvviso tutto le parve chiaro: anche quello era Alex, non meno del ragazzo mite e silenzioso che tutti conoscevano, e con una vertigine violenta comprese quanto sarebbe stato travolgente, pericoloso il suo amore.

Perciò si affrettò, prima che lui potesse risponderle, a cambiare argomento.

“L’hai mai vista?” chiese Euris. “La Silvana, dico.”

“Una volta” rispose Alex. “Un enorme traliccio di acciaio. Mi chiedo se sarà mai finita.”

“Credo che sia soprattutto una questione di moneta. A mio padre ne serve ancora tanta, e visto che non è l’imperatore a pagare…”

Alex non rispose. C’era un pensiero che da tempo gli frullava nella testa. Una pazzia forse senza senso. Alex era ricchissimo. E se avesse pagato lui la costruzione della Silvana, o almeno una parte? Non era forse il sogno di Hamilcar e di tutti loro farla volare? E non erano forse i sogni le uniche cose per cui valesse la pena di combattere in questo mondo? Ma in fondo non erano affari suoi, non era il caso di intromettersi, almeno per il momento.


§§§


8.

Un giorno, al culmine glorioso di quella primavera che poi, negli anni, Alex avrebbe ricordato senza più gioia, col dolore di un ferita che non si rimarginava, profonda nella carne, nei nervi torturati, tornavano da un volo lungo, libero e senza altro scopo che quello di godere il piacere del cielo. Nessuno dei due avrebbe ammesso che ora, quel piacere, era diventato talmente intenso da far male soltanto perché, volando insieme, lo condividevano.

Nordkhia era già all’orizzonte, tutta splendente di verde e d’acqua, ma in quel momento, col sole ancora alto e l’aria che stordiva per l’odore d’erba e di fiori, nulla sembrava più assurdo che riportare la vanship nell’hangar.

Alex indicò con un gesto della mano la prateria meravigliosa sulla quale l’ombra della vanship scivolava spezzandosi nell’oscillazione morbida e vibrante dei fili d’erba, dei papaveri, delle margherite. “OK” accennò Euris con il pollice, e virando con la solita eleganza la vanship si adagiò sulla distesa deserta come un cigno sull’acqua. D’un tratto, allo spegnersi del motore, si trovarono in un’immensa bolla di pace e nel fruscio sterminato di un mare color smeraldo.

Alex saltò dalla vanship, stirò i muscoli intorpiditi, si spogliò di casco e giubbotto e si gettò per terra, a pancia all’aria, sparendo nell’erba alta. Vedeva soltanto gli steli che si chiudevano attorno al corpo come una culla, verde scuro in controluce con l’azzurro del cielo.

Chiuse gli occhi. Nel fruscio discreto del vento sull’erba, gli sembrò di udire anche il passo di Euris che scendeva dalla vanship e avanzava in mezzo agli steli. Un impulso che conosceva bene gli diceva di alzarsi e avvicinarsi a lei, ma egli lo ignorò, come le altre volte.

A occhi chiusi, gli pareva di vederla camminare, quel passo leggero ma atletico, il collo diritto che sembrava quello di una danzatrice. Vedeva, seguendo il fruscio, le sue mani bianche che sfioravano l’erba, prima con la palma, poi con il dorso. Lei che si fermava, che si guardava intorno come una gazzella intenta ad ascoltare. I capelli sciolti che si concedevano al vento, il loro colore di bacche mature. Lei che si fermava…

Alex sollevò il corpo, si alzò in piedi. Lei era lì, ferma a qualche passo da lui. Di spalle, i capelli mossi lievemente dal vento. Una figura snella e delicata emersa per incanto da un mare color smeraldo.

“Euris” mormorò lui.

Vide le sue spalle tremare, come se la sua voce l’avesse ferita.

Euris si voltò e, raccogliendo tutto il proprio coraggio, sollevò il viso, cercò i suoi occhi. Piangeva. Lacrime lunghe scivolavano sulle guance abbronzate. Stava usando le ultime difese per non arrendersi, stava ancora lottando, ma era finalmente lei, dolce e luminosa, e senza maschera.

“Sono scappata, Alex” disse tremando. “E sono stata così stupida! Non posso farci niente. Io ti amo.”

Crollò, in un istante, come un muro di fango, anche la fortificazione del cuore di Alex. Si guardarono come il primo giorno, abbandonati l’uno negli occhi dell’altra, sospesi insieme nel vuoto su un filo invisibile.

Ci sarebbero stati poi, nelle settimane seguenti, baci lenti, momenti dolcissimi di carezze, di sospiri, di parole appena sussurrate, brividi intensi scatenati soltanto da dita e labbra che sfioravano la pelle, l’amore disciolto per tutta la lunghezza della notte come un volo perfetto, e quando l’alba arrivava, si continuava a volare nel cielo vero, leggeri, liberi, felici. Ma quel giorno, nel verde, si presero disperatamente, violentemente, come due folli, cercandosi con le labbra fino a farsi male, strappando via, impacciati per la passione, i vestiti, senza più capire che cosa toccassero e baciassero, lottando l’uno con il corpo dell’altra perché non erano uno solo, perché stringersi, avvolgersi, penetrarsi non bastava mai a darsi e a prendersi fino in fondo.

Alla fine si svegliarono come da un delirio, stravolti, sorpresi di essere l’una nelle braccia dell’altro e di stringere quel corpo posseduto poco prima. Euris sollevò il capo su di lui, i capelli scivolarono, gli accarezzarono il petto. Continuarono a fissarsi fuori del tempo, teneramente. Poi la ragazza, gli occhi bruni persi in quelli ambrati di lui, sussurrò: “Giurami che il tuo cuore, tutto quanto, è mio, senza riserve, senza paura.”

“Te lo giuro, Euris, amore mio.”


§§§


9.

Al ritorno, la sera, Hamilcar li convocò nel suo ufficio al centro dell’arsenale. Ufficio per modo di dire: si sarebbe definito meglio un laboratorio pieno di modellini, pezzi di vanship smontati, carte nautiche di Anatorey, Disith e del Grand Stream e disegni di velivoli, arrotolati o aperti ovunque, sulle pareti, sulle scaffalature, sui tavoli. Spiccavano il modellino delle vanship gemelle, quelle di Hamilcar e di Alex, e nel posto d’onore quello fascinoso della Silvana, dalla sagoma simile a un corvo.

George stava in poltrona con le gambe appoggiate su un tavolo, Hamilcar mezzo seduto sul bordo dello stesso. Le facce sognanti di Alex e Euris non lasciavano molti dubbi sul modo in cui i due ragazzi avessero trascorso il pomeriggio, e infatti Hamilcar sentì sciogliersi il cuore d’affetto vedendoli entrare. Ma l’atmosfera, nella stanza, era tutt’altro che rilassata, così come le espressioni dei due istruttori.

“Ne siete al corrente soltanto voi due” disse Hamilcar. “Da domani cominciamo a prepararci per la missione a Disith e il Grand Stream.”

“Per quando?” chiese Alex.

“Due mesi.”

“Più o meno per il compleanno della mia piccola Lavie” aggiunse George.

Silenzio. Poi Hamilcar, come se ciò che stava per dire gli pesasse, continuò: “Tu, Euris, resti a casa. Precisa richiesta di tuo padre.”

Euris arrossì violentemente. “Sciocchezze!” esclamò.

Alex la attirò un poco a sé stringendole piano un braccio e mormorandole: “Ti prego…”

“No” disse la ragazza. Sembrava calma, ora. Fece una passo verso i due istruttori e disse: “Chi è il pilota migliore dopo di te, Hamilcar?”

“Alex” rispose serio Hamilcar.

“E tu, George,” continuò la ragazza “chi è il navigatore migliore dopo di te?”

George esitò per un momento, aggrottò le ciglia e rispose: “Tu, piccola.”

“Bene” disse Euris. “E quale navigatore, se non io, allora, ha il dovere di volare con Alex in una missione come questa?”

Di nuovo silenzio, finché Euris riprese: “Hamilcar, sul tuo onore, se io non mi chiamassi Euris Bassianus, ci sarebbe qualche motivo per farmi rimanere a terra?”

“Ora basta, Euris!” Questa volta era Alex quello arrabbiato. “Te lo dico io qual è il motivo: non permetterò che tu rischi la vita, che la mia donna rischi la vita così!”

“La tua donna non permetterà che tu rischi la vita senza di lei” rispose Euris.

Hamilcar accennò a intervenire, ma la ragazza lo interruppe. “No” disse con voce ferma. “Nessuno m’imporrà di rimanere a terra, né mio padre né Hamilcar né lo stesso imperatore. E nemmeno tu, Alex.”

Alex, intanto, aveva una guerra nel cuore. Solo Euris era importante per lui, adesso, e sentiva che l’unico modo per salvarla, testarda e orgogliosa com’era, consisteva nel ritirarsi lui stesso dalla missione, a rischio di buttare via tutto ciò per cui aveva lottato fino a quel momento e persino l’amicizia con Hamilcar.

“E tu!” disse Euris, rivolgendosi d’un tratto solo a lui. “Non provare a lasciare questa missione per causa mia! Che uomo saresti? Se un altro meno bravo di te prendesse il tuo posto e morisse durante la missione perché tu hai voluto proteggere me, come ti sentiresti? E come mi sentirei io? Come potrei rispettarti poi?”

Alex, sentendosi perduto, si adombrò. In realtà, l’amava perché era così, tenace e libera. Libera persino da lui, ed egli non aveva il diritto di proteggerla se lei non lo desiderava. Ma come? Come poteva lasciare che si mettesse in pericolo? Come poteva assecondarla? Ricominciava quella lotta con lei, il suo carattere contro il suo, uguali e opposti.

Hamilcar capì che sarebbe toccato a lui di chiudere la questione. “Vedo che non c’è molta scelta, dunque. Hai vinto tu, Euris. Significa che cercheremo di preparare questa missione al meglio.”

Euris si gettò addosso a Hamilcar per abbracciarlo. Lei e Alex lasciarono i due istruttori nell’ufficio ed uscirono soli, camminando verso la pista, nella notte serena e senza luna. Alex cupo non aveva più detto una parola. Lei gli prese la mano nella sua, calda, quasi materna, addolcendo la sua ritrosia. Si vedevano a stento alla luce delle stelle, ma si sentivano intensamente, fino al nucleo nascosto delle loro anime.

“Vedrai, Alex, ce la faremo. Perché io e te voliamo più in alto di questo. Forti, liberi.”

Alzarono, per un comune istinto, il capo verso il cielo.

Lassù, dentro la notte, appollaiato come un predatore, il Grand Stream li attendeva.



Questa fanfic (la prima da me scritta in assoluto, aprile 2007) è soprattutto uno studio dei personaggi ispirato dai brani “Beautiful fields” e “Skywriting” della OST e dal flashback dell’episodio 14 “Etude Lavie”, oltre che dai disegni preparatori del characters designer Murata per Alex Row diciottenne. La storia si svolge dieci anni prima di quella raccontata nell’anime.

  
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