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Autore: fanniex    07/12/2012    2 recensioni
Questa one-shot non è nata originariamente come seguito di “Punishment is harsh”, una o.s. che ho postato qualche tempo fa, anche se idealmente lo è. Bensì come risposta ad un quesito di un’amica: " Che cosa faresti se ti trovassi a dover condividere, per un lasso di tempo relativamente breve, uno spazio ristretto in compagnia di qualcuno per cui faresti follie? " Partendo da lì, il mio cervello che lavora ormai a senso unico ha fatto il resto!
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Good Things Come to Those Who Wait'
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Questa one-shot non è nata originariamente come seguito di “Punishment is harsh”, una o.s. che ho postato qualche tempo fa, anche se idealmente lo è. Bensì come risposta ad un quesito di un’amica. < Che cosa faresti se ti trovassi a dover condividere, per un lasso di tempo relativamente breve, uno spazio ristretto in compagnia di qualcuno per cui faresti follie? > Partendo da lì, il mio cervello che lavora ormai a senso unico ha fatto il resto!
Avrete la bontà di leggere e compatirmi il giusto necessario? Aspetto i vostri insulti con tanta trepidazione!
P.S. Il titolo della storia non ha nulla a che vedere con l’omonimo film interpretato da Robert Downey Jr. Mi piaceva e l’ho usato. È tutto!
Disclaimer: È inutile ribadire che si tratta solo di un parto della mia fantasia, che non possiedo ALCUN diritto sul nome e sul corpo di Jared Leto (se non sempre nella fantasia di cui sopra!), e che mi scuso con eventuali fan di Bieberon che dovessero ritenersi offese.
Kisses!

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UNO STRANO CASO

 
Non appena svoltò l’angolo, diede un’occhiata terrorizzata a Leicester Square e il respiro le si mozzò in gola. “Santissimo Cazzo!” pensò, “Ho viaggiato nel tempo e sono stata catapultata dentro ad un concerto dei Beatles?” Davanti a lei, la piazza brulicava di persone, che costituivano una massa informe di corpi invasati e senza freni.

Di solito era piuttosto informata su quello che succedeva in città, ma evidentemente questa volta si era persa qualcosa. Passò in rassegna rapidamente quelle che potevano essere le opzioni. Escluse subito una prima cinematografica. Non le risultava in uscita nessun film in grado di radunare così tanta gente. Non dopo il capitolo finale di Harry Potter di un paio d’anni prima. Qualche cerimonia di premiazione? Sì, poteva essere! Oppure un concerto? Perché no! E vista l’età della folla verso cui stava camminando si sarebbe potuto benissimo trattare di uno di quei teen idol che impazzavano tra i ragazzini e che a lei provocavano attacchi acuti di orticaria.
Il cellulare le squillò mentre si trovava ancora a distanza di sicurezza.

“Ti prego, dimmi che stai arrivando?”

George la stava aspettando al Milord, un elegante ristorante francese lontano soltanto poche decine di metri. Purtroppo dal lato opposto di Leicester Square!

“Scusa, ma hai visto in che cacchio di condizioni è la piazza? … Come diavolo faccio ad attraversarla?” Si guardò in giro, in cerca di una via d’uscita. “Sarò costretta a cambiare strada e prendere una via laterale … magari proseguire verso Charing Cross ...”

“Non mi importa come farai … ma vedi di essere qui entro cinque minuti!” Tagliò corto George. Era decisamente contrariato e lei poteva benissimo immaginarsene la ragione. “Lo sai che l’Istituto Greyshott potrebbe essere uno dei nostri sponsor più importanti?” Le chiuse il telefono in faccia senza aggiungere altro.

La faceva facile lui! Sentì improvvisamente un caldo insopportabile che la assaliva. E ancora non si era avvicinata alla massa. Diede nuovamente una lunga occhiata ai due lati della piazza. No! Non poteva deviare. Ci avrebbe messo almeno mezz’ora, cambiando strada! I suoi occhi tornarono un’altra volta sulla folla di ragazzini. Certo che se fosse passata lì in mezzo, chissà che aspetto avrebbe avuto, giunta dall’altra parte? Rabbrividì al solo pensiero.
Si specchiò un attimo in una vetrina di un negozio. Era appena uscita da lavoro, ma si era comunque vestita carina, in previsione della cena al Milord. Carina, almeno secondo i suoi canoni. Camicetta di seta di un verde oliva brillante, gonna nera aderente lunga fino al ginocchio, un paio di sabot scuri impreziositi da brillantini, stile anni ’70. Dopotutto, si trattava di una cena di lavoro! Non avrebbe potuto presentarsi in jeans e t-shirt come al suo solito. Anche se forse, vista la situazione, in questo momento le avrebbero fatto più comodo.
Non poteva indugiare oltre, perciò si decise a muoversi. Avrebbe costeggiato la piazza, nel lato verso sud, cercando di tenersi quanto più lontana dalla calca. Sì, probabilmente ci avrebbe messo più di cinque minuti, ma con un po’ di fortuna sarebbe potuta arrivare indenne dall’altra parte.
Per qualche decina di metri la buona sorte aveva deciso davvero di assisterla. Zigzagò qua e là tra ragazzine in lacrime e grossi cavi elettrici che strisciavano sul selciato come anaconde. C’era anche la televisione, allora! Di che si trattava? Avevano allestito una puntata speciale di X-Factor in diretta da Leicester Square?

All’improvviso non avvertì più l’asfalto sotto i suoi piedi, ma si sentì sollevare da una misteriosa forza centrifuga che cominciò a farla fluttuare senza una meta ben precisa. Non immaginava che il crowd surfing potesse essere tanto nauseante. Si accorse di stare urlando con tutta la sua forza, implorando di essere rimessa a terra, ma inutilmente. Lei, nelle mani di quel popolo di esaltati, aveva la stessa rilevanza di un sacchetto di plastica sballottato dal vento. Il fiume di gente straripava in tutte le direzioni, come neanche il Tamigi avrebbe potuto fare. Prima o poi il fiume l’avrebbe condotta da qualche parte. Non le restava altro che lasciarsi trasportare a riva. Con la coda dell’occhio intravide alla sua sinistra una schiera di macchine scure parcheggiate approssimarsi pericolosamente e avvertì il primo urto. La folla l’aveva appena sbattuta contro una delle auto, procurandole una leggera botta al braccio. Non fece nemmeno in tempo ad assorbire il colpo che il pressante volo non richiesto era già ricominciato. Ballonzolò contro diverse altre macchine prima di venir depositata per qualche istante a ridosso dell’ennesima berlina di lusso dai vetri oscurati. Questa volta non si fece cogliere impreparata. Come sentì di avere riacquistato libertà di movimento, afferrò la maniglia della portiera, la fece scattare, e ci si fiondò dentro, scalciando con le gambe verso quei mostri informi che avrebbero potuto risucchiarla ancora una volta.

“Cazzo! Questa è una macchina privata!” Le urlò una voce, visibilmente irritata.

Nella concitazione del momento, non si era nemmeno accorta che nella macchina ci fosse qualcuno e che gli ci si era addirittura seduta sopra. Si voltò per rispondergli a tono, spronandolo ad essere più gentile nei confronti di una povera sciagurata in cerca di un porto sicuro, vista la situazione fuori controllo in cui versava la piazza, ma quando incrociò gli occhi dell’uomo che l’aveva appena redarguita, le parole le si bloccarono in gola sostituite da un largo sorriso inebetito.

“Non posso crederci!” Riuscì a bisbigliare, mentre lui la scrutava fisso, con quei suoi occhi profondi e penetranti come metallo fuso.

Gli era bastata una frazione di secondo per riconoscerla. Aveva pensato a lei spesso durante questi ultimi mesi. Forse anche troppo spesso! Considerando che tra loro non c’era stato che qualcosina appena più di niente. Ma il ricordo del tocco audace della sua mano sulla sua ‘bacchetta magica’, del sapore della sua bocca e della sua pelle, era stato veramente arduo da cancellare. E ora era lì, in quella macchina, in braccio a lui. Ancora più invitante di quanto la ricordasse, ora che abiti decisamente più leggeri e meno inibitivi avevano preso il posto del pesante abbigliamento con il quale l’aveva conosciuta l’inverno precedente.

“Io non posso crederci!” Replicò lui, sorridendole. “Non dovevi organizzare tutto questo solo per rivedermi?”

Risero entrambi, apertamente, mentre lui, da vero gentleman, la fece scendere dalle sue ginocchia ed accomodare al suo fianco.

“Che diavolo ci fai qui?” Gli domandò, cercando di aggiustarsi alla meglio i vestiti, stropicciati dalle spinte della folla. “Non vorrai mica dirmi che tutto il macello qui fuori è a causa tua?”

Lui la fissò per un istante. Poi chiuse gli occhi e appoggiò la testa allo schienale, sospirando.

“Certo che no!” Sentenziò, con un filo di voce. “M’impiccherei se fosse così!”

Lei continuava a non capire ma evitò di fargli altre domande. Attese che lui proseguisse di sua iniziativa.

“C’è una serata speciale in onore di Justin Bieber, all’Auditorium.”

Ah! Ecco! Ora le cose cominciavano ad avere senso.

“E tu sei qui per assistere?” Gli chiese ancora, non riuscendo a trattenere una risata.

Lui riaprì gli occhi verso di lei. Era una fortuna che fosse ancora accaldata dalla fatica in modo che lui non potesse accorgersi di quanto era arrossita.

“È una specie di tributo per il ragazzo.” Sbuffò l’uomo, senza staccarle gli occhi di dosso. “In qualche intervista, ho avuto la malaugurata idea di lasciarmi andare a delle inutili dichiarazioni nei suoi confronti. E la mia etichetta mi ha incastrato in questa cosa. … Sai com’è? … Sono in promozione con il nuovo album!”

“Dichiarazioni del tipo?” Per schivare il suo sguardo, si era girata di tre quarti sul sedile, piegando una gamba sotto il suo corpo, mentre l’altro ginocchio era rischiosamente a contatto con la gamba di lui.

Lui distolse solo per un attimo lo sguardo dai suoi occhi, indirizzandolo verso quel ginocchio nudo, che chiedeva soltanto di essere sfiorato dalle sue dita.

“Del tipo che mi sento come un suo padre putativo!”

La risata squillante di lei lo svegliò dal pensiero di dove sarebbero potute arrivare le sue dita, salendo sempre più su. Avevano un conto in sospeso, dopotutto!

“Te l’ho detto già una volta che dovresti stare più attento a quello che dici in pubblico!” Perché rideva sempre di lui nei momenti topici? “Finirai col metterti seriamente nei guai una volta o l’altra.”

Lui scosse la testa e sorrise. Sapeva che aveva pienamente ragione. Non si era più volte maledetto anche lui per lo stesso identico motivo? Si girò anche lui di tre quarti, imitando la sua posizione.

“E tu? Non dirmi che sei qui per lui?” Le domandò, tornando a guardarla fisso negli occhi.

“Mi hai scoperta!” Rispose lei, allargando le braccia a mo’ di resa. “Confesso! Non riesco a vivere senza Bieberon!”

“Seriamente! Che ci fai qui?”

“Ho un appuntamento per cena in Cranbourn St.” Diede una rapida occhiata attraverso il finestrino oscurato. “Che per mia sfortuna è al di là della piazza!”

“Per tua fortuna, vorrai dire? Dato che ora sei qui con me!” Lui approfittò della sua momentanea distrazione e le appoggiò la mano sul ginocchio. Lei si girò di scatto, presa alla sprovvista dal suo gesto. Ma, invece che scostarsi, come lui stesso avrebbe potuto aspettarsi, gli sorrise. Anche lei ricordava fin troppo bene la sensazione calda e morbida del tocco della sua mano.

“Appuntamento galante?”

“Sì! Io, George e due anziani ruderi dell’Istituto Greyshott!” A quella risposta la mano di lui cominciò a vagare lievemente intorno al suo ginocchio, rendendole veramente complicato continuare a parlare. “È una fondazione che … tutela la memoria storica e George …” si fermò un istante per trattenere un impercettibile gemito, “… spera che … finanzino la distribuzione del suo … film.”

La mano di lui si fermò. “L’ho visto! È bellissimo!” Lei lo fissò stupita. “Sì! L’ho visto davvero. Al DocNyc. Tratta della battaglia di Bosworth, no? Molto interessante!” Lo sguardo di lei era sempre più sconcertato. “Ehi! Non fare quella faccia. Voi Inglesi ci giudicate sempre rozzi e ignoranti, solo perché siamo Americani!”

“Come siamo permalosi! … È che non credevo che ti saresti messo a guardare tutti i film in concorso al festival! … Un uomo super impegnato come te.”

Le sue dita ripresero a giocare con il ginocchio di lei.

“Infatti! Non li ho mica visti tutti … anzi a dir la verità ho visto solo il vostro …” le fece l’occhiolino e lei ricambiò con un sorriso malizioso, “… ma non ti illudere! L’ho visto solo in quanto cavia del tuo esperimento sociologico!”

Lei affondò il viso nello schienale del sedile per contenere il più possibile il fragore di un’altra risata.

“A proposito! Come proseguono le tue ricerche?”

La ragazza si girò appena, giusto per appoggiare la guancia allo schienale, e assunse un’espressione fintamente imbronciata.

“Direi piuttosto male!” Dichiarò seria, ma soltanto per pochi istanti. “Lo sapevo che non sarei stata altrettanto favorita dalla buona sorte. … Sai com’è, Mick Jagger ha settant’anni e Pete Doherty è un tantino troppo squilibrato per fornire risultati attendibili ai miei studi!”

Mentre lei parlava, la mano dell’uomo saliva con una lentezza studiata lungo la sua coscia, procurandole piccoli brividi che andavano opportunamente a contrastare il calore della sua pelle, accesa dalla temperatura ormai estiva, dal vortice umano di pochi minuti prima, e soprattutto dall’eccitazione mai sopita per quel contatto.

“Ti chiedi mai che cosa sarebbe potuto succedere quella sera?” Le domandò lui, proseguendo la delicata danza della sua mano. “Se il tuo amico non ci avesse interrotto?”

Se lo chiedeva? Non aveva pensato ad altro per settimane, forse mesi!

“Qualche volta!” Rispose, simulando una naturale indifferenza.

“E? … Che cosa ti rispondi?”

Lo guardò ancora una volta, non riuscendo a trattenere un sorriso soddisfatto sulle sue labbra. Era più bello che mai! La sua ultima fatica cinematografica aveva forse lasciato qualche segno di troppo. Il suo viso era ancora piuttosto scavato e dei piccoli solchi erano comparsi intorno ai suoi indescrivibili occhi. E, benché avesse riguadagnato qualche chilo di carne in più su quella sua invidiabile struttura ossea, la sua magrezza era tuttora eccessiva. Tutto questo la scioccava anche maggiormente. Quest’uomo avrebbe davvero potuto martoriarsi in modi inimmaginabili ed essere sempre così dannatamente seducente!

“Non saremmo mai arrivati fino in fondo!” Decretò lei.

Lui si irrigidì a quella risposta, fermando il movimento della sua mano. “Perché dici così? Non mi eri sembrata tanto insensibile al mio fascino!”

La ragazza spalancò gli occhi incredula. “Io no! Sono fatta di carne … molto più di te!” Gli disse, puntandogli un dito contro il petto magro ma tonico. “Ma tu ti saresti tirato indietro!”

Ora fu lui a strabuzzare gli occhi sbigottito. Come poteva affermare una cosa del genere?

“Non pretendo di conoscerti a fondo … anzi non ti conosco affatto!” Continuò lei. “Ma so che probabilmente giochi a questo gioco da quanto … vent’anni? … Immagino che ti sia già preso tutte le soddisfazioni possibili! … Non voglio sostenere che ormai tu sia troppo vecchio per questo tipo di divertimenti … né che ti stia dedicando ad una vita monastica di astinenza … non fraintendermi! Ma non credo che una sveltina con una sconosciuta, in una saletta riservata di un teatro, ti avrebbe appagato davvero! … A meno che la sconosciuta non fosse una bellissima modella con un corpo mozzafiato, capace d’intrigarti al primo sguardo!”

Aveva parlato talmente velocemente che le sue parole non avevano nemmeno fatto in tempo ad entrargli nelle orecchie e si erano immediatamente conficcate nel suo cervello. Aveva ragione! Su quasi tutto! Era solo un gioco per lui? Sì, il più delle volte! Sarebbe arrivato fino in fondo? Non sapeva rispondere!

“Mi sbaglio forse?” Insistette la ragazza.

“No! Probabilmente no!” Rispose, levando definitivamente la mano dalla sua gamba. Con il dispiacere di entrambi. Chissà se lei si sarebbe aspettata una risposta diversa? La spiò con un rapido sguardo mentre lei tornava ad una posizione di seduta più normale. Era una punta di delusione quella che poteva scorgere nei suoi occhi?

“Tu, allora, saresti arrivata fino in fondo?” Le chiese, sussurrando appena quelle parole.

Lo guardò da cima a piedi. Era fermamente convinta di quello che gli aveva appena detto, ma anche se si fosse sbagliata, se il suo gioco fosse proseguito come da copione, avrebbe accettato di ridursi a semplice pedina sulla sua scacchiera? Conoscendosi la risposta poteva essere una sola!

“Non lo saprai mai!” Gli sussurrò a sua volta, ridendo allegramente.

“La pianterai mai di ridermi in faccia? … Hai la capacità di farmi sentire un idiota!”

Non capì perché lo fece, ma le passò un braccio intorno alla vita e la tirò a sé, facendole appoggiare la testa sulla sua spalla, cingendola con l’altro braccio. Ne lei sapeva perché glielo lasciò fare.

“C’è solo una cosa su cui sei in errore!” Le disse, soffiandole sopra i capelli corti e lisci.

“Strano! Io non sbaglio mai!”

Le si avvicinò all’orecchio e le mormorò impercettibilmente. “Non hai avuto bisogno di essere una bellissima modella con un corpo mozzafiato per intrigarmi!”

Il cellulare di lei squillò, frantumando l’incantesimo di quel momento.

“Porca Puttana!” Urlò George dall’altro capo del telefono. “Si può sapere dove cazzo sei finita? È mezz’ora che ti aspetto.”

Riacquistò la lucidità necessaria a farle capire che la sua vita la stava aspettando fuori da quella macchina scura, oltre Leicester Square. Gettò lo sguardo verso il finestrino dalla parte di lui e le parve di scorgere un esile corridoio di strada libera tra le auto e i palazzi.

“Sarò lì tra pochi minuti! Non temere!”

Chiuse la comunicazione e si girò verso l’uomo, che aveva ancora un braccio stretto intorno alla sua vita. Gli sorrise.

“Devo andare! O George si farà venire un altro dei suoi terribili attacchi di andropausa!”

Si accinse a scavalcarlo per poter uscire dalla sua portiera, ma, non appena gli fu sopra, lui la bloccò sulle sue gambe. La avvicinò ancora di più a sé per baciarla. A fondo e con perizia. E lei, di rimando, esplorò la sua bocca, cercando di imprimersi nella mente ogni più piccolo dettaglio, dalla forma della sua lingua alla superficie liscia dei suoi denti. Poi si staccò, a malincuore.

“Non voglio aspettare di imbattermi in te in un ascensore la prossima volta!” Le disse a bassa voce, imbronciando lievemente il suo bel viso.

“Il destino è già stato piuttosto benevolo con noi, non trovi?”

“Forse ci sono ancora un paio di cose che non sai di me!” Le sfiorò il naso con le labbra. “Primo: sono un uomo terribilmente impaziente!” Le labbra risalirono lungo la fronte. “Secondo: sono un perfezionista! … Detesto lasciare qualcosa incompiuto.”

Lei si staccò nuovamente prima che lui potesse scendere ancora sulla sua bocca.

“Ah! Allora abbiamo un paio di cose in comune! … 303 Walcot Road, interno 7!” Gli lasciò un bacio pieno di promesse. “Arrivederci, Jared!”

Aprì la portiera e scese. “A presto, Francesca!” La salutò, prima che lei se la richiudesse alle spalle e sparisse dalla sua vista, un’altra volta.
   
 
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