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Autore: Sherazad_93    09/12/2012    2 recensioni
Tre ragazzi, improvvisamente catapultati dall'anno 2008 all'anno 1212.
Una tirannia che devastava il feudo di Pontremoli e un cavaliere che sembra essere dalla loro parte sino alla morte.
Lorenzo, Elena e Mia di chiedevano da mesi il motivo del loro viaggio nel tempo...Poi una profezia..che di li a pochi mesi si sarebbe realizzata, ma per mano di chi?
Sarebbero riusciti a sconfiggere la tirannia? A riportare alla pace e alla prosperità il Castello del Piagnaro e gli abitanti di Pontremoli?
13 e 14 Marzo 1212...la notte della Profezia.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo
La stanza era larga più o meno una quindicina di braccia e alta otto.
Regnava nauseante un odore di chiuso e muffa contrastato dall’aria pura che entrava attraverso le due grate in una lotta senza fine.
L’ossigeno veniva consumato velocemente, non tanto dal veloce respiro del ragazzo, quanto dalle due fiaccole: una appesa al soffitto accanto ad una delle librerie piccole e basse che popolavano la stanza, un’altra nella mano del giovane.
Vi erano quattro piccole librerie in tutto, molto piccole, con quattro scaffali e occupate da pochi e scarsi volumi.
La libreria accessibile ne conteneva a miriadi; quella conteneva i volumi Proibiti e quindi poche eccezioni.
La sua casacca rendeva noto che faceva parte della Fanteria, una delle due fazioni addestrata da Messer Ivan. Era di pelle di un colorito marrone chiaro,con al centro del petto uno scudo con stampata una Croce. Pochi bottoni d’argento pullulavano su di essa.
Sotto la casacca, una maglia di lana marrone per poter resistere al freddo, un paio di calzamaglia argentee e i classici stivali di cuoio spessi.
La cotta di maglia gli stava dando fastidio e gli punzecchiava la pelle  fredda come era e non faceva altro che aumentare le percezioni e l’ansia.
Poteva essere scoperto da un momento all’altro, e per lui potrebbe essere stata la fine. La fine di tutto. La fine anche di quell’incubo che lo aveva riportato realmente indietro nel tempo. Nel Medioevo. Nell’anno 1212.
Qualche giorno prima aveva sentito delle voci. Voci che parlavano di questa Maledetta Biblioteca Proibita, sorvegliata da un unico lucchetto immane che il ragazzo aveva forzato con tutte le sue forze. Conteneva, dicevano i due uomini, segreti inesplorabili.
Voleva sapere perché, voleva sapere l’origine di tutto questo. Non erano lì per caso, lui lo sentiva.
Non era successo tutto questo a loro solo per caso.
Si passò disperato una mano tra i capelli lunghi e mori.
Davanti a se, un manoscritto, poggiato su un antico tavolo di legno marcio. Il Manoscritto delle Dinastie. In nessun altro libro aveva trovato risposte. Allora si era ridotto anche a guardare nell’ultimo.. Trattando delle dinastie, che avevano governato il feudo, inizialmente non capiva il motivo per il quale era stato posto in quel luogo così segreto e inaccessibile.
Poi capì; al suo interno vi erano scritte anche profezie e leggende. Soprattutto fatti che andavo direttamente contro la tirannia che in quel momento opprimeva il Castello del Piagnaro e i suoi dintorni.
Non poteva essere e non voleva crederci. Si sentiva il collo e l’anima pesante. Il suo stesso destino pesante.
Improvvisamente, era comparsa una catena d’oro massiccio al collo che terminava con una Croce d’oro, ricca di pietre preziose grande quando una mano .
La pietra che dominava tutto il ciondolo, era un rubino al centro della Croce.
Pura magia; un’apparizione dal nulla. Il simbolo; il fatidico simbolo che segnava il suo destino e la sua regalità. Il suo potere. Messer Pietrone, il tiranno, non avrebbe mai permesso che il suo trono passasse nelle mani di quel ragazzino.
Giravano voci, che il tiranno, diciotto anni prima, avesse ucciso il cugino Lorenzo I, in quel momento feudatario della zona e che avesse lasciato il suo erede, Lorenzo II,nel bosco a soli pochi mesi dalla nascita, in pasto alle bestie feroci e che la sete di potere gli avesse annebbiato la mente.
Si sentì venir meno. Anche la sedia parve crollare sotto il suo peso. Era una specie di antico trono, ormai malandato che avevano appositamente buttato il quel luogo dove nessuno sarebbe dovuto entrare.
I suoi occhi verdi lampeggiavano alla luce della fiaccola che teneva tra le mani.
Il volto latteo e la bocca spalancata per poter placare l’ansia che gli stava corrodendo lo stomaco e congelando i polmoni.
Sul grande libro dalle pagine ormai gialle stinte, che parevano quasi bruciate, una miniatura centrale.
Un dipinto raffigurante lui stesso nei panni del Principe. Del Principe Santo del Castello.
 Oltre la somiglianza impressionante, ciò che lo aveva fatto intuire che tale ragazzo fosse lui era stata la Croce che aveva appesa al collo.
Nella miniatura ve ne era una esattamente identica.
Respirò, e voltò pagina.
Un’altra dannata miniatura. Lui e quella che doveva essere sua moglie, la Regina.
La Regina era lei, la ragazza di cui tanto era innamorato. Quella ragazza dai capelli rossi che, con i loro boccoli raggiungevano la sommità inferiore del seno,fino a qualche tempo prima.
Erano uniti, si tenevano per mano e lei era di una bellezza folgorante.
Quell’abito dal color prugna le stava di incanto e la corona la rendeva forte. Sulle sue spalle si apriva come un ventaglio bianco e una ragnatela di perle dorate le copriva il capo e la fronte era inondata da qualche ciondolo.
Aveva un volto duro e teso, come lui .
Data, 30 Maggio 1212. Matrimonio.
Tornò alla pagina precedente, sudando.
Come lo avrebbe detto all’amica?
Sotto la miniatura che lo rappresentava una didascalia in latino che lui, senza sapere ne come ne perché, seppe decifrare.
 
“Ne la notte tra lo dì tredicesimo e quattordicesimo del mese di Marzo, di codesto Santo anno del Signore, il Principe tornerà e riporterà pace e prosperità tra le genti del suo feudo, appartenente a lui sin dalla nascita. Il Principe Lorenzo II, figlio di Lorenzo I e sua madonna Eleonora di Massa ritornerà e riprenderà ciò che gli spetta.”
 
Un compito. Importante, davvero importante. Tutte quelle genti gli appartenevano e le avrebbe dovute salvare dalla tirannia di Messer Pietrone. Era un uomo spietato. Come avrebbe fatto?
Si prese il volto tra le mani.
Era il tredici di Febbraio..tra un mese doveva succedere. Doveva farlo accadere.
Rumore di passi. Voci alte e concitate vibravano nell’aria.
Spaventato portò la mano alla Croce e la strinse sino allo spasmo; sino al punto in cui dalla pelle fuoriuscì una goccia di sangue.
Poi la grande porta di legno marcio si aprì.
Quasi tirò un sospiro di sollievo.
Erano le sue amiche che, come ed insieme a lui, erano cadute in quell’incubo, facenti parte anch’esse della Fanteria.
 
“Perché ci stai mettendo così tanto!? Sono cinque ore che sei qui dentro!  Stavamo morendo di paura per te! Adesso stiamo rischiando tutti e tre la vita a causa tua, lo sai questo!? Non sappiamo nemmeno se domani rivedremo la luce del Sole soltanto perché respiriamo troppo forte, figurati se ci trovano qui dentro! Doveva essere una scappata Lorenzo! Non puoi permetterti di stare qui ancora un secondo di più!”.
 
La voce di Elena riecheggiò nell’aria. La figura della ragazza amata lo tranquillizzò.
 
“Hai ragione..perdonami, ti prego.”.
 
Lei si avvicinò e lo strinse spaventata, piangendo.
Era innamorata, e non voleva perderlo.
 
“Elena ha ragione. Adesso scappiamo, vi prego!!”, sussurrò terrorizzata Mia.
 
“Aspetta. Hai scoperto qualcosa?”, chiese Elena a Lorenzo.
 
“Si, venite, vi faccio vedere.”.
 
Il suo volto bianco le spaventò entrambe.
 
Lui fece vedere la miniatura e la scritta.
 
“Non riesco a capire cosa c’è scritto..”, disse Elena.
 
Lui le decifrò tutto quello che vi era scritto. Le ragazze in un sussulto simultaneo si fissarono, bianche come fantasmi.
Poi Elena, a labbra spalancate si voltò nuovamente verso di lui.
 
“Sai altro?”.
 
Lui la fissò; non voleva scoprisse che qualche mese più in la si sarebbero sposati se non avessero trovato via di uscita.
 
“Lorenzo..SAI QUALCOSA!?”.
 
La sua voce riecheggiò.
 
“MA SEI IMPAZZITA!?”, urlò anche Mia.
 
Elena fissava irata Lorenzo. Era chiaro quanto premesse sulla pagina successiva del manoscritto per non farla voltare.
Lei dette una botta forte al suo braccio e la voltò.
Fece in tempo a vedere la miniatura ma non ciò che vi era scritto poiché Lorenzo l’aveva scansata di nuovo.
 
“LORENZO CHI E’ QUELLA!?”.
 
Lui stette zitto, più ansimante che mai. I tre si fissarono ma Elena pareva un demone infuriato e aveva compreso.
Ansimava per la rabbia, digrignava i denti , dilatava le narici e quei capelli rossi ondeggiavano violenti.
Ormai erano corti sino alle spalle, tagliati dalla violenza della spada del tiranno ma i boccoli non volevano sparire.
La ferita alla mano era ancora sotto le cure dell’erborista che allo stesso tempo era cuoco che si era deciso ad aiutarla dopo averla vista sanguinare per ore a causa del taglio che il tiranno le aveva inferto dopo che lei aveva deciso di salvare i suoi amati capelli.
 
“Lorenzo..io..”.
 
Passi.  Passi veloci, metallici.
Urla vive di uomini. Elena prese Mia per un braccio.
 
“FORZA LORENZO VIENI!”.
 
Prese anche lui, ma non si mosse. Come fosse incollato al pavimento.
Fissava placido la porta, come in attesa del suo destino.
 
“LORENZO TI PREGO!”.
 
Niente.
Loro si appostarono alla parete est, dove regnava il buio totale. Erano invisibili.
Mentre Elena piangeva e Mia tremava, il tiranno fece irruzione con i suoi scagnozzi.
Messer Pietrone fissava Lorenzo e se avesse potuto applicare la forza del suo sguardo come forza fisica , Lorenzo sarebbe stato polvere in un solo piccolo istante.
Era senza elmo e senza copricapo della cotta di maglia.
Era un uomo dalla bellezza lacerante eppure la sua ingordigia e la sua cattiveria lo rendevano un verme. Una feccia. Portava la solita casacca di velluto rossa, la cintura di cuoio alla vita e la spada nel fodero.
I capelli castani, che si arricciavano divenendo boccoli alla fine del collo, erano sciolti.
Messer Ivan era alla sua sinistra e Messer Iben alla sua destra.
Iben addestrava la Cavalleria, l’altra fazione ed era molto più riverente a Pietrone di quanto non lo fosse Ivan.
Vedendo Ivan ,un luccichio di speranza si illuminò negli occhi fradici di Elena.
Altri soldati erano con loro.
 
“MALEDETTO!  TU DOVEVI ESSERE MORTO! TU DOVEVI ESSERE NEL BOSCO MANGIATO DAI CORVI DA ANNI! INVECE SEI QUA! NON MI RUBERAI IL TRONO! TI RENDERO’ CIBO PER I MIEI DRAGHI PRIMA ANCORA CHE TU POSSA GRIDARE DI DOLORE!”.
 
L’urlo di Pietrone ruppe il silenzio in mille pezzi, e spezzò il cuore di Elena che sentiva la stretta ferrea di Mia alla mano.
Stava per scattare in avanti. Per lei, loro tre, era come fossero una cosa sola.
 
“Ferma Elena ti prego!”.
 
Il bisbiglio si sentì e percorse l’aria come una lieve corrente elettrica. Ivan le vide, gli altri per fortuna no. Evidentemente lui era più vicino.
 
“ARRESTATELO. DOMANI SARA’ GIUSTIZIATO NELLA PIAZZA PRINCIPALE DEL CASTELLO .FARO’ VEDERE AGLI ALTRI QUANTO POTERE HA MESSER PIETRONE..CHE SERVA DI LEZIONE..A TUTTI!!” ,disse il tiranno con volto truce.
 
Poi si incamminò verso la parete est, da dove era giunto il rumore di voci.
 
“Ci penso io Messer Pietrone, lei pensi pure al ragazzo.”. Ivan stoppò con il braccio Pietrone. Non avrebbe dovuto fare un gesto così esplicito nei confronti del suo supremo comandante, ma gli venne istintivo. Doveva difenderle a costo della vita.
Pietrone lo guardò accigliato, ma si fidava ciecamente del suo soldato.
Si bloccò e lo lasciò andare.
Ivan sparì nel buio, il suo mantello nero a fargli da ombra. Lui aveva l’elmo di ferro pesante che sul capo gli lasciava dei solchi profondi e l’armatura. Doveva essere il suo turno di guardia alle porte del castello quella notte.
Si portò davanti a loro e vide chiaramente come i loro corpi tremassero per il terrore e come Elena e Mia piangessero. La loro tensione era percepibile nell’atmosfera densa della stanza.
 
“Che ci fate voi qua!?”, disse scuotendo Elena per le braccia lievemente, tanto da non farsi vedere.
 
“Ivan…Volevamo sapere perché siamo qua,cosa ci ha portati qui..ti prego aiutaci..non voglio morire..”, scoppiò in lacrime, le braccia strette tra le mani di Ivan.
 
Lui la guardò duro ma con un misto di compassione.
 
“Adesso spacco le ringhiere arrugginite di questa finestra e farò finta di cercare qualcuno. Appena mi allontano mentre copro con il mio corpo la finestra, dovete arrampicarvi e raggiungere in meno tempo possibile la vostra stanza. Sono stato chiaro!?”.
 
Elena annuì , Mia la guardava piangendo.
 
Ivan si spostò e ruppe con la spada le grate, guardò fuori e urlò.
 
“C’E’ QUALCUNO!? CHIUNQUE SIA VENGA FUORI O SARA’ GIUSTIZIATO!”.
 
Ovviamente, nessuno rispose.
I cavalieri si voltarono tutti verso di lui e quando la risposta non giunse, Ivan si rivoltò verso il tiranno.
 
“Nessuno Mio Signore. Nemmeno un’ombra maledetta.”.
 
Pietrone si fidava e con viso truce si voltò verso Lorenzo che nel frattempo era stato bloccato con delle pesanti catene ai polsi, un cappuccio sulla testa e stava per essere portato via dai soldati.
Mentre Ivan si incamminava verso di loro Elena lo tirò per un braccio.
 
“Sei impazzita!? Se ci hanno visti moriremo tutti lo sai!?”.
 
Lei lo guardò, sfatta dal dolore.
 
“Ti prego…aiutalo…ti prego Ivan…”, la voce estremamente rotta dal pianto.
 
Lui si placò e la guardò con sguardo placido.
 
“Farò il possibile..Ma non scamperà alla punizione. Non posso permettermi di espormi troppo altrimenti moriremo tutti per semplici sospetti o comunque Messer Pietrone non si placherà. Troverò un modo per farlo sfuggire alla morte, ma una punizione dovrà subirla. Mi dispiace..”.
 
“Grazie Ivan..grazie infinitamente..”.
 
Lui sorrise lievemente. Gli occhi verdi che erano visibili anche al buio.
 
“MESSER IVAN!! INDUGI!? COSA TI PASSA PER LA TESTA!?”.
 
Ivan sussultò.
 
“No Mio Signore.. Controllavo nelle mura della stanza..Ogni singolo angolo deve essere perlustrato..ritengo..”.
 
“BRAVO IL MIO ATTENDENTE. ADESSO VIENI, ANDIAMO!”.
 
Ivan andò, senza neanche voltarsi. Pietrone lo stava fissando.
Appena la porta fu chiusa le ragazze sgattaiolarono dalla finestrella.
Si arrampicarono sui mattoni della parete esterna del castello. Dall’interno non avrebbero potuto vederle.
Ci misero svariate manciate di minuti, attente a non cadere, a non scivolare e a non fare rumore.
Elena si fece nuovamente male alla mano che ricominciò a sanguinare.
Giunsero alla finestra esterna della loro camera. Era aperta, fortunatamente. L’avevano lasciata in quel modo sino al momento in cui erano andate a cercare Lorenzo.
Appena giunte in camera di strinsero forte fino a farsi male e piansero.
 
“Spero che Ivan riesca a fare qualcosa..Riesca ad evitare la sua morte..se lui muore muoio anche io.”, sussurrò Elena.
 
“Ed io con voi..”, Mia.
 
Elena si avvicinò alla finestra, osservando il bosco proprio lì vicino, dove si narrava alloggiassero streghe e spiriti maligni.
Una di queste infestava il castello.
 
“Spero la strega possa uccidere Pietrone questa notte stessa.”, disse Elena.
 
L’amica le si avvicinò e le mise una mano sulla spalla. Fuori persisteva un buio denso e i rami degli alberi contorti e nudi facevano accapponare la pelle.
Non avrebbero dormito.
Il loro amico era nelle mani di Messer Ivan.
 
 
 
 
 
 
  
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