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Autore: Layla    10/12/2012    1 recensioni
Alla fine del video di "Josie" viene lasciato intendere che Mark e Josie saranno una coppia.
Il formarsi di questa coppia ferisce una ragazza che si considera la migliore amica di Mark e che è innamorata di lui e che da lui viene improvvisamente ignorata senza un motivo. è qui che interviene Tom.
Tom che si interessa a lei e che le dimostra che non tutti sono come Mark e che alla fine andrà tutto bene.
Per tutti.
"Ricado pesantemente sulla panchina con le lacrime agli occhi, spero vivamente che non mi vedano, ma sembrano decisi a venire da questa parte.
Che faccio?
Ci pensa Tom a risolvere a modo suo la situazione prendendomi in contropiede.
Con una mossa rapida fa in modo che io vada dietro di lui e poi mi attira a sé e mi bacia.
Non un bacio a stampo, un bacio di quelli con la lingua.
Un bacio di quelli che non ti scordi.
Un bacio a cui io rispondo.
Che cazzo sto facendo?"
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mark Hoppus, Nuovo personaggio, Tom DeLonge
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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4)Ciao, è mattina, sono sobria e ti amo.

 

I tarli non sono facili da estirpare – soprattutto quelli mentali – sono subdoli: si scavano una tana e rimangono lì. E più tenti di eliminarli più si ritraggono verso il fondo di te stessa, lasciando solo buchi e dubbi.
Questa notte non ho dormito molto, l’immagine di Tom che si prende gioco di me per un po’ di sesso e l’immagine del ragazzo che si sfoga perché i suoi si sono separati non combaciano: sono come due pezzi disuguali di un puzzle che da perfetto è diventato distorto.
Il pezzo di favola che credevo di aver vissuto sta diventando distorta e la cosa peggiore è che sono io a renderla sempre di più così e solo per le parole di un ragazzino.
Per quel che ne sono, potrebbe essere stato solo l’orgoglio offeso di Mark a parlare, ma lui è anche il miglior amico di Tom e lo conosce sicuramente meglio di me.
E tutto si arrotola ancora di più su sé stesso.
Circolo vizioso, spirale malata, chiamatela come volete, so solo che mi sta stritolando lentamente.
Il giorno dopo a scuola sono su un altro pianeta e per la prima volta non sono poi così felice che Tom mi faccia compagnia a pranzo.
Parlo poco e lo studio, cercando di analizzare ogni suo gesto e ogni sua parola per metterla a favore di una o dell’altra ipotesi.
Sto impazzendo.
Quando la scuola finisce me ne vado a casa senza aspettarlo e faccio i compiti per il weekend come un automa.
Arrivata la sera, decido di trascorrerla fuori complice il fatto che papà è fuori per un convegno –  ossia una vacanza con l’amante – e mamma fa il turno di notte, ammazzandosi di lavoro per niente.
Mi vesto con poca cura: una felpa troppo grande per me nera con un teschio davanti, dei jeans troppo lunghi e perciò risvoltati e i miei amati anfibi.
Esco e mi dirigo nella piazza del paese: deserta.
La maggior parte dei miei compagni – dotati di una macchina – sono a San Diego, a Poway rimangono solo i pischelli e gli sfigati come me.
Mi siedo su una panchina e mi fumo una sigaretta guardando questo vuoto e sentendomi sola e alienata, chi sono io?
Solo una ragazzina senza nulla di speciale.
Per quale ragione Tom dovrebbe interessarsi a me?
Per nessuna ragione, forse Mark ha detto la verità, forse almeno lui è stato onesto a suo modo.
Il tarlo ha vinto e io sento una crepa che mi parte nell’anima, come se io fossi ghiaccio la spaccatura si allarga sempre più dando origine ad altre crepe grandi e piccole.
Ok.
Mi alzo e con un’andatura da zombie e l’aria un po’ imbambolata mi dirigo al seven eleven dietro la piazza e mi compro un altro pacchetto di sigarette e approfittando della cassiera stordita anche una confezione da sei di birre.
La tizia si beve senza problemi la bugia che io abbia ventun’anni e non mi chiede nemmeno un documento.
Esco dal supermercato e mi siedo cinquecento metri più in là sul marciapiede, in un tratto buio e apro la prima birra. Il sapore è amaro e piuttosto forte per me che sono astemia, ma lentamente mi ci abituo. Con lunghe e frequenti pause finisco la prima lattina e poi apro la seconda, nel frattempo inizia a piovere. Non una pioggerellina e nemmeno un temporale, una tempesta tropicale di quelle con i contro coglioni; tutto quello che faccio è tirarmi su il cappuccio e continuare a  bere, indifferente all’acqua.
Ben presto sono zuppa e i miei piedi sono immersi nell’acqua che scorre veloce nel canale di scolo vicino al marciapiede.
Allegria.
Finisco la seconda birra e inizio la terza, ormai ci ho preso gusto, anche se la mia testa gira sempre  di più e alzarmi mi sembra un’impresa ridicola, impossibile e disperata.
Un lampo squarcia il cielo, illuminandolo a giorno.
Prosit, mi dico mentalmente, alzando la bottiglia verso il cielo che si sta aprendo in due.
Finisco anche la terza e sto per iniziare la quarta quando sento dei passi lungo il marciapiede: sta arrivando qualcuno e questo mi manda in panico.
Inizio a tremare violentemente e  a borbottare frasi sconnesse, i passi si fermano: lo sconosciuto ora è accanto a me.
“Jen?”
Chiede una voce che conosco bene.
Tom?
“Tom?”
Si siede accanto a me, incurante del diluvio universale e storce le labbra quando vede le lattine vuote.
“Cosa diavolo stai facendo sotto la pioggia?
Vuoi vedere se vai prima in coma etilico o con una bella polmonite?”
“Che ti importa?”
Biascico io, facendo per aprire la lattina, ma lui mi ferma e me la toglie dalle mani. La apre lui e la beve lui.
“Certo che mi interessa! Sei mia amica!”
“Lo fai solo per portarmi a  letto!”
Intanto mi alzo, ma un capogiro rischierebbe di mandarmi a terra se non ci fosse lui, che mi acchiappa al volo.
Senza dire niente mi prende in braccio  e mi porta via, io protesto per un po’ poi un’improvvisa sonnolenza ha la meglio su di me e le luci si spengono su questo pietoso show.

 

Mi risveglio al caldo, avvolta in un asciugamano e in una coperta sdraiata sul mio letto, Tom è seduto sulla sedia della mia scrivania.
Ha gli occhi semichiusi e le braccia rilassate, sembrerebbe stia dormendo, ma se lo conosco sono certa che lui sia sveglio in realtà.
“Tom.”
Chiamo piano.
Ho la testa che mi si spacca e ho i brividi di freddo.
“Ben svegliata Jen. Perché diavolo ti stavi ubriacando sotto la pioggia?
Sei un’incosciente!”
“Tu vuoi solo portarmi a letto!”
“Se ti avessi voluto portare solo a letto non avrei fatto la figura della mammoletta piangendoti addosso come un cretino!”
“L’hai fatto solo per farmi credere che fossi un ragazzo sensibile in modo da facilitarti l’opera! Voi ragazzi fate così, prima fate tutti i carini, poi sparite.”
“Io non l’ho fatto per quello, ma tu non mi credi, vero?”
Pausa di silenzio.
“No, non mi credi. Io non l’ho fatto per portarti a letto, con le ragazze come te solo gli stronzi lo fanno e non sapevo avessi questa opinione di me.
Ora me ne vado, Jen.
Buona vita e … ti voglio bene.”
Detto questo lascia la stanza.
Il rumore della porta d’ingresso che sbatte mi riscuote e mi fa capire che è reale, che se ne sta andando, che lo sto perdendo.
Ogni fibra del mio essere grida di fermarlo, ma il tarlo continua a mangiarmi.
Il mio cervello mi rimanda le sue parole come un disco rotto, se avesse voluto portarmi solo a letto non avrebbe fatto la mammoletta: vero, ai ragazzi non piace sentirsi deboli.
Se avesse voluto portarmi solo a letto avrebbe avuto migliaia di occasioni in queste settimane e non l’ha fatto, mi è rimasto pazientemente accanto come un amico.
Mi è rimasto così accanto che ha buttato giù Mark dal piedistallo e mi ha fatto innamorare sul serio di lui: non solo una semplice infatuazione.
Il mio è amore e questo mi paralizza di nuovo.
Ho paura di essere ferita di nuovo.
- Ora me ne vado, Jen.
Buona vita e … ti voglio bene.”-
Queste parole superano qualsiasi paura del futuro che io possa avere, all’idea che lui non sia più nella mia vita la mia crepa si allarga fino a inghiottirmi.
Devo scusarmi, devo provarci.
Febbrilmente mi rimetto un’altra felpa, degli altri pantaloni e degli altri anfibi ed esco a cercarlo senza ombrello, incurante della pioggia.
Giro per un po’ per la città deserta, attraverso le strade che conosco bene senza guardare.
È un comportamento suicida, me ne rendo conto quando vedo due fari troppo vicini a me e deduco che una macchina ben presto mi ridurrà a una poltiglia sanguinolenta di carne e sangue.
Non succede.
Un corpo maschile mi spinge più in là e poi preme su di me con il suo respiro affannato e il battito del cuore accelerato. Guardo le mani e le riconosco, sono quelle di Tom.
Senza pensarci troppo sovrappongo le mie.
“Grazie.”
Mormoro grata.
“Grazie e scusa per tutto quello che ti ho detto prima. Io..”
“Non è questo il luogo per parlarne, alziamoci e facciamolo sul marciapiede almeno.”
Si alza e mi guida verso il marciapiede, senza prendermi per mano.
“Scusa, scusa per tutto quello che ti ho detto.
Non penso che tu abbia fatto tutto quello che hai fatto solo per portarmi a letto, Mark me l’ha detto e io ho preferito credere a lui come un’idiota.
Scusami per non avere avuto fiducia in te, scusami, scusami scusami.
Se potessi tornare indietro non penserei un solo secondo a quello che mi ha detto.
Ti prego, non andartene dalla mia vita.
Ti prego, rimani.
Ti, prego, ho bisogno di te.”
Lui tace.
“Ok, ho bruciato la mia occasione. Vai pure, Tom.
Buona vita e ti voglio bene anche io.”
Non alzo la testa, ma sento i suoi passi allontanarsi  sempre di più.
Se ne è andato.
L’ho perso.
Mi siedo per terra e comincio a piangere, incurante del temporale tutt’ora in corso, il dolore è troppo forte per aspettare di arrivare a casa.

 

Non so quanto tempo rimango in quella posizione – incurante di tutto e di tutti  –sotto la pioggia battente, in una città deserta. So solo che a un certo punto sento di nuovo dei passi – i suoi passi – avvicinarsi e il mio cuore salta un battito.
Mi appoggia una felpa bagnata addosso e sussurra piano: “Vai a casa Jen, ti prenderai una polmonite.”
“Non mi importa niente e non vado da nessuna parte se tu non rimani nella mia vita.”
Lo sento sospirare.
“Ti credo, Jen. Accetto le tue scuse.”
“Dimmi che non lo dici solo per farmi alzare da qui…”
Non sento la tua risposta perché svengo di nuovo.
Amen.
Quando mi risveglio sono di nuovo avvolta da una salvietta e da una coperta e Tom siede di nuovo sulla sedia della mia scrivania, che deja-vu!
 “Grazie.”
“Prego, non volevo averti sulla coscienza. Ora me ne…”
“NO!”
Urlo, tentando di scendere dal letto e facendolo accorrere.
“Ti prego rimani, sei bagnato fradicio e fuori c’è ancora in corso il diluvio universale.”
Lui tace.
“Ti prego, non lasciarmi da sola, anche se lo merito.”
“D’accordo. Mi faccio una doccia e arrivo.”
Esce dalla stanza e sento il rumore dell’acqua della doccia che scorre in bagno e questo mi fa rilassare per un po’.
Quando torna ha un asciugamano avvolto intorno alla vita – cosa che causa un aumento del mio battito cardiaco – e arrangia un letto di fortuna ai piedi del mio.
Ci si sdraia senza dire una parola.
“Vieni qui, starai scomodo.”
“Va bene così.”
Non vuole nemmeno avvicinarsi a me, che cazzo ho fatto?
Stupida Jen!
Non so cosa fare, mi alzo a spegnere la luce e provo a mettermi a letto, ma mi sembra troppo grande e vuoto per me sebbene sia il solito da una vita.
Senza dire niente scivolo lentamente giù e – titubante – alzo la coperte del letto improvvisato e mi rannicchio dietro di lui, stando attenta a non toccarlo.
Lo sento sospirare – fitta al cuore, inulto a me stessa per la mia stupidità – e cerco di far finta di dormire. il silenzio della stanza è opprimente e pieno di cose buie: la mia voglia di abbracciarlo, il mio desiderio di non aver mai detto tutte quelle cazzate che solo poco fa mi sembravano sacrosante verità, la sua voglia di andarsene, il suo essere rimasto deluso da me.
All’improvviso lo sento parlare da solo.
“Fortuna che dorme, fortuna che non ha mai saputo che la amo.”
Trattengo il respiro, ma nemmeno due secondi dopo mi sfugge un rumore indefinito.
“Sei scomoda qui, torna a letto.”
La sua voce è piatta.
“No, sto bene qui.”
“Forse è meglio non stare troppo vicini, non sono la persona adatta a te: hai ragione.”
“No, io avevo torto.
Sei tu la persona adatta a me.
Sei tu che ti sei avvicinato a me e sei rimasto nonostante avessi insultato il tuo migliore amico.
E te ne sono grata.
Sei tu che hai continuato a rimanere, dando sempre più una piega migliore alla mia vita.
Sei tu che mi hai salvata e non parlo di stasera.
Ho letto da qualche parte che le persone non fanno rumore quando si rompono, per questo nessuno se ne accorge.
Tu te ne sei accorto, non so come e mi hai raccolto e aggiustato.
Senza di te non sarei qui.
Perciò, ti prego continua a rimanermi accanto, anche se non me lo merito.”
Lui rimane in silenzio.
“Il problema è che per te sono solo un amico, non mi ami, io invece ti amo, Jen.
E rimanerti accanto mi fa male.”
“E se ti sbagliassi?”
Lo sento irrigidirsi.
Si volta piano e negli occhi ha la stessa fragilità di quando mi ha detto che i suoi avevano divorziato.
“Cosa significa?”
“Che non è come credi, che per me non sei solo un amico.
Significa che ti amo anche io.”
Arrossisco, ma cerco di tenere gli occhi fissi nei suoi, non voglio che pensi che stia mentendo.
“Sei ubriaca, non sai quello che dici, Jen.
Domani, da sobria, potrebbe farci male.”
“Non sono ubriaca, Thomas Matthew DeLonge. Sono una stupida di prima categoria, ma sono sobria e ti prego – ti prego con tutto il cuore – dammi un’altra possibilità.
Dammi la possibilità di dimostrarti che non mento e che c’è un futuro per noi.
Ti prego.”
Gli occhi mi si fanno lucidi e qualche lacrima sfugge, nonostante tenti di trattenerle.
Lui allunga una mano e me le asciuga e poi si alza in piedi e mi tende una mano.
“Vieni, non volevi andare a letto?”
Sorrido e lo seguo in silenzio.
Si sdraia e io mi accuccio sul suo petto, sentendo il suo respiro e il suo cuore accelerare i battiti.
“Sei davvero sobria?”
“Sì.”
“Mi ami davvero?”
“Sì?”
“E Mark?”
Prendo fiato.
“Ti è mai capitato di confondere un’infatuazione con l’amore?
Io di Mark ero solo infatuata, invece a te ti amo.
Non chiedermi perché, non lo so.
Mi piaci.
Mi piacciono i tuoi capelli ossigenati, mi piacciono i tuoi occhi castani, i tatuaggi, i piercing.
Starei ore a sentirti parlare di skate, cospirazioni e della band. Adoro come gesticoli, il tuo strano umorismo e la vocina in falsetto che fai ogni tanto.
Adoro i tuoi sorrisi, sia quelli sghembi, sia quelli innocenti da bambino. Mi sciolgono.
E poi adoro la tua vicinanza e come baci.”
A questo affondo la testa nel suo petto. Lui ridacchia e mi scompiglia i capelli.
“Ehi, occhi blu. Grazie.
Nessuno mi aveva mai guardato così a fondo come te.”
“Mi piace il soprannome occhi blu.”
“Cosa c’è di strano in questo soprannome? Hai davvero degli occhi bellissimi, starei delle ore a guardarli e a sentirti sclerare.”
Questa volta rido io e alzo il volto, lui me lo accarezza lentamente e io mi abbandono al suo tocco.
Mi era mancato.
Quasi inaspettatamente mi bacia ed è come l’altra volta: insicuro e timido come non lo è mai di solito.
Mi dà tutto il tempo per cacciarlo, ma io appoggio delicatamente la mia mano sulla sua nuca e lo attiro a me per approfondire il bacio.
Non scherzo, lo deve capire.
Lo sento sorridere sulle mie labbra e il bacio diventa più violento, le nostre lingue si cercano, si attorcigliano, si combattono.
Alla fine sia lui che a me scappa un gemito, gli accarezzo piano gli zigomi.
“Mi credi?”
“Sì.”
Strofina il suo naso contro il mio.
“Jennifer Jenkins, vuoi essere la mia ragazza?”
“Sì, sì, sì!”
Lui ride e mi bacia di nuovo, mentre fuori romba l’ennesimo tuono.
“Sei gelida.”
Esclama accarezzandomi la schiena.
“Anche tu, sei stato in giro tutto il tempo, vero?”
“Sì.”
“Sei un pazzo!”
“Tu hai fatto lo stesso, quindi sei una pazza anche tu!”
“Siamo perfetti per stare insieme!”
Sbadiglio prima di cadere in un sonno profondo, felice come non lo sono mai stata.

 
La mattina dopo mi sveglio sul suo petto, fuori piove ancora e mi accorgo che lui mi sta guardando.
Apparentemente sembra calmo, ma c’è un qualcosa che stona e che indica come sotto sotto sia ansioso di sapere qualcosa.
“Buongiorno.”
“Buongiorno Tom. Sono sobria, è mattina e ti amo.”
Lui sorride.
“Buongiorno occhi blu. È mattina, piove da far schifo e ti amo anche io.”
Ci baciamo e finalmente mi sento in pace e felice.
Lui non se ne andrà.
Gli ho rivelato i miei sentimenti e mi ha creduto, posso iniziare a dimostrargli quanto tenga a lui.
“Mi fiderò sempre di te.”
“Grazie, non voglio trascorrere un’altra notte sotto l’acqua.”
Ridiamo insieme.
Mi sembra il modo migliore per iniziare la giornata e una nuova fase della mia vita.
E tutto grazie a lui.
In fondo devo ringraziare Josie, ma non glielo andrò certo a dire.

Angolo di Layla.

Scusate se non ho risposto all'unica recensione,  volevo farlo prima, ma poi è uscito Boxing day e nun c'è bisogno che dica altro v.v

Quella canzone è TANTO TANTO TANTO TANTO amore <3

Ringrazio MatyOtaku per la recensione.

Ps: questo è il penultimo capitolo.

   
 
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