4)Ciao, è
mattina, sono sobria e ti amo.
I
tarli non sono facili da
estirpare – soprattutto quelli mentali – sono
subdoli: si scavano una tana e
rimangono lì. E più tenti di eliminarli
più si ritraggono verso il fondo di te stessa,
lasciando solo buchi e dubbi.
Questa notte non ho
dormito molto, l’immagine di Tom che si prende gioco di me
per un po’ di sesso
e l’immagine del ragazzo che si sfoga perché i
suoi si sono separati non
combaciano: sono come due pezzi disuguali di un puzzle che da perfetto
è
diventato distorto.
Il pezzo di favola che
credevo di aver vissuto sta diventando distorta e la cosa peggiore
è che sono
io a renderla sempre di più così e solo per le
parole di un ragazzino.
Per quel che ne sono,
potrebbe essere stato solo l’orgoglio offeso di Mark a
parlare, ma lui è anche
il miglior amico di Tom e lo conosce sicuramente meglio di me.
E tutto si arrotola ancora
di più su sé stesso.
Circolo vizioso, spirale
malata, chiamatela come volete, so solo che mi sta stritolando
lentamente.
Il giorno dopo a scuola
sono su un altro pianeta e per la prima volta non sono poi
così felice che Tom
mi faccia compagnia a pranzo.
Parlo poco e lo studio,
cercando di analizzare ogni suo gesto e ogni sua parola per metterla a
favore
di una o dell’altra ipotesi.
Sto impazzendo.
Quando la scuola finisce
me ne vado a casa senza aspettarlo e faccio i compiti per il weekend
come un
automa.
Arrivata la sera, decido
di trascorrerla fuori complice il fatto che papà
è fuori per un convegno –
ossia una vacanza con l’amante – e
mamma fa
il turno di notte, ammazzandosi di lavoro per niente.
Mi vesto con poca cura:
una felpa troppo grande per me nera con un teschio davanti, dei jeans
troppo
lunghi e perciò risvoltati e i miei amati anfibi.
Esco e mi dirigo nella
piazza del paese: deserta.
La maggior parte dei miei
compagni – dotati di una macchina – sono a San
Diego, a Poway rimangono solo i
pischelli e gli sfigati come me.
Mi siedo su una panchina e
mi fumo una sigaretta guardando questo vuoto e sentendomi sola e
alienata, chi
sono io?
Solo una ragazzina senza
nulla di speciale.
Per quale ragione Tom
dovrebbe interessarsi a me?
Per nessuna ragione, forse
Mark ha detto la verità, forse almeno lui è stato
onesto a suo modo.
Il tarlo ha vinto e io
sento una crepa che mi parte nell’anima, come se io fossi
ghiaccio la
spaccatura si allarga sempre più dando origine ad altre
crepe grandi e piccole.
Ok.
Mi alzo e con un’andatura
da zombie e l’aria un po’ imbambolata mi dirigo al
seven eleven dietro la
piazza e mi compro un altro pacchetto di sigarette e approfittando
della
cassiera stordita anche una confezione da sei di birre.
La tizia si beve senza
problemi la bugia che io abbia ventun’anni e non mi chiede
nemmeno un
documento.
Esco dal supermercato e mi
siedo cinquecento metri più in là sul
marciapiede, in un tratto buio e apro la
prima birra. Il sapore è amaro e piuttosto forte per me che
sono astemia, ma
lentamente mi ci abituo. Con lunghe e frequenti pause finisco la prima
lattina
e poi apro la seconda, nel frattempo inizia a piovere. Non una
pioggerellina e
nemmeno un temporale, una tempesta tropicale di quelle con i contro
coglioni;
tutto quello che faccio è tirarmi su il cappuccio e
continuare a bere,
indifferente all’acqua.
Ben presto sono zuppa e i
miei piedi sono immersi nell’acqua che scorre veloce nel
canale di scolo vicino
al marciapiede.
Allegria.
Finisco la seconda birra e
inizio la terza, ormai ci ho preso gusto, anche se la mia testa gira
sempre di
più e alzarmi mi sembra
un’impresa ridicola, impossibile e disperata.
Un lampo squarcia il
cielo, illuminandolo a giorno.
Prosit, mi dico
mentalmente, alzando la bottiglia verso il cielo che si sta aprendo in
due.
Finisco anche la terza e
sto per iniziare la quarta quando sento dei passi lungo il marciapiede:
sta
arrivando qualcuno e questo mi manda in panico.
Inizio a tremare
violentemente e a
borbottare frasi
sconnesse, i passi si fermano: lo sconosciuto ora è accanto
a me.
“Jen?”
Chiede una voce che
conosco bene.
Tom?
“Tom?”
Si siede accanto a me,
incurante del diluvio universale e storce le labbra quando vede le
lattine
vuote.
“Cosa diavolo stai facendo
sotto la pioggia?
Vuoi vedere se vai prima
in coma etilico o con una bella polmonite?”
“Che ti importa?”
Biascico io, facendo per
aprire la lattina, ma lui mi ferma e me la toglie dalle mani. La apre
lui e la
beve lui.
“Certo che mi interessa!
Sei mia amica!”
“Lo fai solo per portarmi
a letto!”
Intanto mi alzo, ma un
capogiro rischierebbe di mandarmi a terra se non ci fosse lui, che mi
acchiappa
al volo.
Senza dire niente mi
prende in braccio e
mi porta via, io
protesto per un po’ poi un’improvvisa sonnolenza ha
la meglio su di me e le
luci si spengono su questo pietoso show.
Mi
risveglio al caldo,
avvolta in un asciugamano e in una coperta sdraiata sul mio letto, Tom
è seduto
sulla sedia della mia scrivania.
Ha gli occhi semichiusi e
le braccia rilassate, sembrerebbe stia dormendo, ma se lo conosco sono
certa
che lui sia sveglio in realtà.
“Tom.”
Chiamo piano.
Ho la testa che mi si
spacca e ho i brividi di freddo.
“Ben svegliata Jen. Perché
diavolo ti stavi ubriacando sotto la pioggia?
Sei un’incosciente!”
“Tu vuoi solo portarmi a
letto!”
“Se ti avessi voluto
portare solo a letto non avrei fatto la figura della mammoletta
piangendoti
addosso come un cretino!”
“L’hai fatto solo per
farmi credere che fossi un ragazzo sensibile in modo da facilitarti
l’opera!
Voi ragazzi fate così, prima fate tutti i carini, poi
sparite.”
“Io non l’ho fatto per
quello, ma tu non mi credi, vero?”
Pausa di silenzio.
“No, non mi credi. Io non
l’ho fatto per portarti a letto, con le ragazze come te solo
gli stronzi lo
fanno e non sapevo avessi questa opinione di me.
Ora me ne vado, Jen.
Buona vita e … ti voglio
bene.”
Detto questo lascia la stanza.
Il rumore della porta
d’ingresso che sbatte mi riscuote e mi fa capire che
è reale, che se ne sta
andando, che lo sto perdendo.
Ogni fibra del mio essere
grida di fermarlo, ma il tarlo continua a mangiarmi.
Il mio cervello mi rimanda
le sue parole come un disco rotto, se avesse voluto portarmi solo a
letto non
avrebbe fatto la mammoletta: vero, ai ragazzi non piace sentirsi deboli.
Se avesse voluto portarmi
solo a letto avrebbe avuto migliaia di occasioni in queste settimane e
non l’ha
fatto, mi è rimasto pazientemente accanto come un amico.
Mi è rimasto così accanto
che ha buttato giù Mark dal piedistallo e mi ha fatto
innamorare sul serio di
lui: non solo una semplice infatuazione.
Il mio è amore e questo mi
paralizza di nuovo.
Ho paura di essere ferita
di nuovo.
- Ora me ne vado, Jen.
Buona vita e
… ti voglio
bene.”-
Queste parole superano
qualsiasi paura del futuro che io possa avere, all’idea che
lui non sia più
nella mia vita la mia crepa si allarga fino a inghiottirmi.
Devo scusarmi, devo
provarci.
Febbrilmente mi rimetto
un’altra felpa, degli altri pantaloni e degli altri anfibi ed
esco a cercarlo
senza ombrello, incurante della pioggia.
Giro per un po’ per la
città deserta, attraverso le strade che conosco bene senza
guardare.
È un comportamento
suicida, me ne rendo conto quando vedo due fari troppo vicini a me e
deduco che
una macchina ben presto mi ridurrà a una poltiglia
sanguinolenta di carne e
sangue.
Non succede.
Un corpo maschile mi
spinge più in là e poi preme su di me con il suo
respiro affannato e il battito
del cuore accelerato. Guardo le mani e le riconosco, sono quelle di Tom.
Senza pensarci troppo
sovrappongo le mie.
“Grazie.”
Mormoro grata.
“Grazie e scusa per tutto
quello che ti ho detto prima. Io..”
“Non è questo il luogo per
parlarne, alziamoci e facciamolo sul marciapiede almeno.”
Si alza e mi guida verso
il marciapiede, senza prendermi per mano.
“Scusa, scusa per tutto
quello che ti ho detto.
Non penso che tu abbia fatto tutto quello che hai fatto solo per
portarmi a
letto, Mark me l’ha detto e io ho preferito credere a lui
come un’idiota.
Scusami per non avere
avuto fiducia in te, scusami, scusami scusami.
Se potessi tornare indietro non penserei un solo secondo a quello che
mi ha
detto.
Ti prego, non andartene
dalla mia vita.
Ti prego, rimani.
Ti, prego, ho bisogno di
te.”
Lui tace.
“Ok, ho bruciato la mia
occasione. Vai pure, Tom.
Buona vita e ti voglio
bene anche io.”
Non alzo la testa, ma
sento i suoi passi allontanarsi sempre
di più.
Se ne è andato.
L’ho perso.
Mi siedo per terra e
comincio a piangere, incurante del temporale tutt’ora in
corso, il dolore è
troppo forte per aspettare di arrivare a casa.
Non
so quanto tempo
rimango in quella posizione – incurante di tutto e di tutti –sotto la
pioggia battente, in una città
deserta. So solo che a un certo punto sento di nuovo dei passi
– i suoi passi –
avvicinarsi e il mio cuore salta un battito.
Mi appoggia una felpa
bagnata addosso e sussurra piano: “Vai a casa Jen, ti
prenderai una polmonite.”
“Non mi importa niente e
non vado da nessuna parte se tu non rimani nella mia vita.”
Lo sento sospirare.
“Ti credo, Jen. Accetto le
tue scuse.”
“Dimmi che non lo dici
solo per farmi alzare da qui…”
Non sento la tua risposta
perché svengo di nuovo.
Amen.
Quando mi risveglio sono
di nuovo avvolta da una salvietta e da una coperta e Tom siede di nuovo
sulla
sedia della mia scrivania, che deja-vu!
“Grazie.”
“Prego, non volevo averti
sulla coscienza. Ora me ne…”
“NO!”
Urlo, tentando di scendere
dal letto e facendolo accorrere.
“Ti prego rimani, sei
bagnato fradicio e fuori c’è ancora in corso il
diluvio universale.”
Lui tace.
“Ti prego, non lasciarmi
da sola, anche se lo merito.”
“D’accordo. Mi faccio una
doccia e arrivo.”
Esce dalla stanza e sento
il rumore dell’acqua della doccia che scorre in bagno e
questo mi fa rilassare
per un po’.
Quando torna ha un
asciugamano avvolto intorno alla vita – cosa che causa un
aumento del mio
battito cardiaco – e arrangia un letto di fortuna ai piedi
del mio.
Ci si sdraia senza dire
una parola.
“Vieni qui, starai
scomodo.”
“Va bene così.”
Non vuole nemmeno
avvicinarsi a me, che cazzo ho fatto?
Stupida Jen!
Non so cosa fare, mi alzo
a spegnere la luce e provo a mettermi a letto, ma mi sembra troppo
grande e
vuoto per me sebbene sia il solito da una vita.
Senza dire niente scivolo
lentamente giù e – titubante – alzo la
coperte del letto improvvisato e mi
rannicchio dietro di lui, stando attenta a non toccarlo.
Lo sento sospirare – fitta
al cuore, inulto a me stessa per la mia stupidità
– e cerco di far finta di
dormire. il silenzio della stanza è opprimente e pieno di
cose buie: la mia
voglia di abbracciarlo, il mio desiderio di non aver mai detto tutte
quelle
cazzate che solo poco fa mi sembravano sacrosante verità, la
sua voglia di
andarsene, il suo essere rimasto deluso da me.
All’improvviso lo sento
parlare da solo.
“Fortuna che dorme,
fortuna che non ha mai saputo che la amo.”
Trattengo il respiro, ma
nemmeno due secondi dopo mi sfugge un rumore indefinito.
“Sei scomoda qui, torna a
letto.”
La sua voce è piatta.
“No, sto bene qui.”
“Forse è meglio non stare
troppo vicini, non sono la persona adatta a te: hai ragione.”
“No, io avevo torto.
Sei tu la persona adatta a
me.
Sei tu che ti sei
avvicinato a me e sei rimasto nonostante avessi insultato il tuo
migliore
amico.
E te ne sono grata.
Sei tu che hai continuato
a rimanere, dando sempre più una piega migliore alla mia
vita.
Sei tu che mi hai salvata
e non parlo di stasera.
Ho letto da qualche parte
che le persone non fanno rumore quando si rompono, per questo nessuno
se ne
accorge.
Tu te ne sei accorto, non
so come e mi hai raccolto e aggiustato.
Senza di te non sarei qui.
Perciò, ti prego continua
a rimanermi accanto, anche se non me lo merito.”
Lui rimane in silenzio.
“Il problema è che per te
sono solo un amico, non mi ami, io invece ti amo, Jen.
E rimanerti accanto mi fa
male.”
“E se ti sbagliassi?”
Lo sento irrigidirsi.
Si volta piano e negli
occhi ha la stessa fragilità di quando mi ha detto che i
suoi avevano
divorziato.
“Cosa significa?”
“Che non è come credi, che
per me non sei solo un amico.
Significa che ti amo anche
io.”
Arrossisco, ma cerco di
tenere gli occhi fissi nei suoi, non voglio che pensi che stia mentendo.
“Sei ubriaca, non sai
quello che dici, Jen.
Domani, da sobria,
potrebbe farci male.”
“Non sono ubriaca, Thomas
Matthew DeLonge. Sono una stupida di prima categoria, ma sono sobria e
ti prego
– ti prego con tutto il cuore – dammi
un’altra possibilità.
Dammi la possibilità di
dimostrarti che non mento e che c’è un futuro per
noi.
Ti prego.”
Gli occhi mi si fanno
lucidi e qualche lacrima sfugge, nonostante tenti di trattenerle.
Lui allunga una mano e me
le asciuga e poi si alza in piedi e mi tende una mano.
“Vieni, non volevi andare
a letto?”
Sorrido e lo seguo in
silenzio.
Si sdraia e io mi accuccio
sul suo petto, sentendo il suo respiro e il suo cuore accelerare i
battiti.
“Sei davvero sobria?”
“Sì.”
“Mi ami davvero?”
“Sì?”
“E Mark?”
Prendo fiato.
“Ti è mai capitato di
confondere un’infatuazione con l’amore?
Io di Mark ero solo
infatuata, invece a te ti amo.
Non chiedermi perché, non
lo so.
Mi piaci.
Mi piacciono i tuoi
capelli ossigenati, mi piacciono i tuoi occhi castani, i tatuaggi, i
piercing.
Starei ore a sentirti
parlare di skate, cospirazioni e della band. Adoro come gesticoli, il
tuo strano
umorismo e la vocina in falsetto che fai ogni tanto.
Adoro i tuoi sorrisi, sia
quelli sghembi, sia quelli innocenti da bambino. Mi sciolgono.
E poi adoro la tua
vicinanza e come baci.”
A questo affondo la testa
nel suo petto. Lui ridacchia e mi scompiglia i capelli.
“Ehi, occhi blu. Grazie.
Nessuno mi aveva mai
guardato così a fondo come te.”
“Mi piace il soprannome
occhi blu.”
“Cosa c’è di strano in
questo soprannome? Hai davvero degli occhi bellissimi, starei delle ore
a
guardarli e a sentirti sclerare.”
Questa volta rido io e
alzo il volto, lui me lo accarezza lentamente e io mi abbandono al suo
tocco.
Mi era mancato.
Quasi inaspettatamente mi
bacia ed è come l’altra volta: insicuro e timido
come non lo è mai di solito.
Mi dà tutto il tempo per
cacciarlo, ma io appoggio delicatamente la mia mano sulla sua nuca e lo
attiro
a me per approfondire il bacio.
Non scherzo, lo deve
capire.
Lo sento sorridere sulle
mie labbra e il bacio diventa più violento, le nostre lingue
si cercano, si
attorcigliano, si combattono.
Alla fine sia lui che a me
scappa un gemito, gli accarezzo piano gli zigomi.
“Mi credi?”
“Sì.”
Strofina il suo naso
contro il mio.
“Jennifer Jenkins, vuoi
essere la mia ragazza?”
“Sì, sì, sì!”
Lui ride e mi bacia di
nuovo, mentre fuori romba l’ennesimo tuono.
“Sei gelida.”
Esclama accarezzandomi la
schiena.
“Anche tu, sei stato in
giro tutto il tempo, vero?”
“Sì.”
“Sei un pazzo!”
“Tu hai fatto lo stesso,
quindi sei una pazza anche tu!”
“Siamo perfetti per stare
insieme!”
Sbadiglio prima di cadere
in un sonno profondo, felice come non lo sono mai stata.
La mattina dopo mi sveglio
sul suo petto, fuori piove ancora e mi accorgo che lui mi sta guardando.
Apparentemente sembra calmo, ma c’è un qualcosa
che stona e che indica come
sotto sotto sia ansioso di sapere qualcosa.
“Buongiorno.”
“Buongiorno Tom. Sono
sobria, è mattina e ti amo.”
Lui sorride.
“Buongiorno occhi blu. È
mattina, piove da far schifo e ti amo anche io.”
Ci baciamo e finalmente mi
sento in pace e felice.
Lui non se ne andrà.
Gli ho rivelato i miei
sentimenti e mi ha creduto, posso iniziare a dimostrargli quanto tenga
a lui.
“Mi fiderò sempre di te.”
“Grazie, non voglio
trascorrere un’altra notte sotto l’acqua.”
Ridiamo insieme.
Mi sembra il modo migliore
per iniziare la giornata e una nuova fase della mia vita.
E tutto grazie a lui.
In fondo devo ringraziare
Josie, ma non glielo andrò certo a dire.
Angolo di Layla.
Scusate se non ho risposto all'unica recensione, volevo farlo prima, ma poi è uscito Boxing day e nun c'è bisogno che dica altro v.v
Quella canzone è TANTO TANTO TANTO TANTO amore <3
Ringrazio MatyOtaku per la recensione.
Ps: questo è il penultimo capitolo.