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Autore: Majii    10/12/2012    1 recensioni
Athena, diciassettenne dal nome strano, è una ragazza ricca, figlia di un importante imprenditore e di una dottoressa altrettanto di spesso. Athena, però, preferisce tenersi questa condizione per sé: a scuola, nessuno sa chi sono i suoi genitori e l'unica persona che la conosce davvero è Luna, la sua migliore amica, ed è anche l'unica che sa dove vive e com'è davvero la sua vita.
Athena, a scuola, tende sempre a non mostrarsi troppo e odia essere al centro dell'attenzione. Ma ben presto sarà oggetto dell'attenzione di qualcuno..
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Pioveva. Come sempre, da sette giorni a quella parte. Mentre Arturo mi portava a scuola, osservavo le gocce rincorrersi sul finestrino. Non amavo andare a scuola con l'autista di famiglia, ma i miei genitori non ammettevano storie: o andavo a scuola con l'autista, o potevo scordarmi la scuola pubblica. Solo per questa minaccia non mi lamentavo di Arturo. Non che avessi qualcosa contro di lui, anzi, era simpaticissimo e non mi chiamava mai “signorina Athena” come tutto il personale che avevamo a casa. Odiavo essere chiamata in quel modo e odiavo anche gli sguardi straniti delle persone che sentivano il mio nome. Non avevo mica scelto io il mio nome di battesimo! Stavo rimuginando di nuovo sul mio nome quando Arturo si fermò nel piccolo parcheggio a 100 metri dalla scuola. Quando gli avevo comunicato la mia decisione di non farmi lasciare davanti i cancelli, l'autista aveva sorriso e non aveva replicato nulla, sapeva come mi sentivo. Non so quante volte lo ringraziai per questo.
Stavo scendendo dalla macchina quando una piccola minicar mi sfrecciò di fianco, bagnando i miei leggins con le costellazioni, i miei preferiti.
“Athena, vuole che la porto a casa a cambiarsi?” Arturo accorse dandomi del Lei come sempre.
“No, Arturo. Lascia stare. Faccio come fanno tutti: aspetto che si asciughino” Risposi, lanciandogli il mio sorriso a trentadue denti.
Continuai la mia passeggiata verso la scuola. A differenza di altri, a me il liceo piaceva. Mi permetteva di staccare la spina dalla mia vita, dal mio essere figlia-di-un-grande-imprenditore. E poi lì avevo conosciuto Alice, la mia migliore amica, l'unica che mi conosceva davvero e che sapeva di chi ero figlia. Sì, perché nessuno, tranne la preside e il vicepreside, sapeva chi era mio padre. Sono sempre stata abile nel nasconderlo e nel farlo tenere segreto: sono quattro anni che frequento questo liceo e per quattro anni sono riuscita a tenerlo nascosto. Non ho mai voluto che si sapesse delle mie condizioni più che adagiate, del patrimonio plurimilionario che mio padre possiede e dei grandi successi di mia madre nell'ambito della medicina.
Come di consuetudine la mia migliore amica mi aspettava davanti al cancello, con la sua borsa enorme con le borchie a tracolla, i capelli raccolti in una coda disordinata e il suo impeccabile look da copertina. Oggi indossava dei skinny jeans chiari con uno dei suoi cappotti di marca. Anche lei era figlia di un imprenditore e dopo averla conosciuta ho scoperto che suo padre aveva collaborato con il mio. Aver scoperto una persona che poteva capire com'era essere figli di persone così in vista mi ha sempre reso felice.
“Athii! Alleluia, ma quanto ci hai messo? Oh santissimi numi, cos'hai combinato ai leggins?” domandò allarmata non appena vide le mie gambe fradice.
“Ali, scusa, ma come puoi vedere, ho avuto un problema con le strade”
“Non capisco proprio perché non permetti ad Arturo di portarti fino ai cancelli!”
“Lo sai perché..”
“E va bene. Allora, ci sono novità da ieri sera?”
“Sì. Mia madre si è fissata con lo Zumba e ha deciso di trascinarmi in palestra con lei. Cavolo, l'ultima volta che mi ha portato a fare cardio stavo schiattando.”
Alice scoppiò a ridere e dopo due secondi iniziai anche io. Eravamo le uniche due sotto la pioggia che ridevano come due sceme e, come se non bastasse, tutti ci fissavano.
“Entriamo va. Sai com'è Athena, io non voglio rovinare le mie nuove Hogan!”
“Ma smettila, Ali. Lo so che non te ne frega niente delle scarpe.”
“Vero.” e scoppiò di nuovo in una fragorosa risata mentre entravamo a scuola.

Raggiungemmo i nostri posti in fondo alla classe vicino al nostro solito gruppo di amiche. Loro sapevano che ero ricca, ma non mi avevano mai chiesto nulla e quando venivano a casa mia se ne stavano in adorazione davanti all'enorme televisore al plasma del salotto. Tuttavia, non sapevano che mio padre era il famoso Massimo Geroge della Geroge Holdings, multinazionale conosciuta praticamente ovunque e che cresceva, nonostante la crisi, in borsa. Erano solo a conoscenza della carriera in ambito medico di mia madre, Chiara Mariani. Per loro ero semplicemente Athena, una ragazza normale, ma dal nome particolare, alta 1.67 con i lunghi capelli castani chiari pieni di ciocche colorate e con gli occhi blu elettrico che, quando serviva, sapeva divertirsi ed esserci per tutti. E questo era esattamente ciò che volevo: essere considerata non per i miei soldi, bensì per quello che ero, una semplicissima ragazza di diciassette anni.
Io e Alice iniziammo un'accesa discussione su l'economia insieme alle nostre amiche quando Lisa, una nostra compagna molto facile, entrò accompagnata dalla sua nuova conquista.
“Ciao ragazze. Vi presento Pablo, è spagnolo ed è qui per il gemellaggio organizzato dalla scuola. E' in 4K però.. che peccato, vero Pablo?” e lo baciò in un modo indecente.
Io e le ragazze la ignorammo e continuammo con il nostro discorso sul bilancio, in attesa dell'arrivo del professore. Quando arrivò in classe mi concentrai sulla lezione, come facevo sempre per mantenere intatta la mia media dell'otto e mezzo. Altra condizione dettata dai miei genitori per farmi studiare in una scuola pubblica.
Stavo incominciando ad addormentarmi quando finalmente la campanella annunciò l'inizio dell'intervallo.
Scesi con le mie amiche, come sempre, e andai al bar a prendermi un panino di quelli seri con speck, rucola e brie.
Stavo uscendo dal bar con il mio gustoso spuntino quand'ecco che un ragazzo mi viene addosso. Alzai lo sguardo leggermente incavolata, ma non appena scoprii chi era mi fermai imbambolata. Era Riccardo Collezzi, il ragazzo che avevo sempre ammirato da lontano. Bello, bellissimo anzi, ma che non si rendeva conto di esserlo e che se ne stava con gli amici ignorando completamente le ragazze che gli sbavavano dietro. Alto, moro, occhi verde smeraldo e dilatatore all'orecchio destro. Tutte le volevano, ma nessuna lo aveva. Nessuna perché Riccardo era fidanzato con una delle ragazze più conosciute, e secondo voci indiscrete una delle più facili, della scuola: Marta Calesse. Lei era la tipica gnocca: lunghi capelli biondi, vestiti di marca, tette in vista e camminata sensuale.
Ho sempre guardato Riccardo con fascino, fin dalla prima superiore, ma non ho mai sentito la necessità di avvicinarlo forse perché mi bastava vederlo qualche volta in corridoio. Inoltre, io ho avuto delle storie e l'idea di averne una con il Colli, come tutti lo chiamano, non mi ha mai sfiorato. Alice mi prese per il braccio e mi trascinò in classe, continuando a parlare a macchinetta del ragazzo che le piaceva, Matteo, e che, secondo me, ricambiava. A quanto pare questa volta il Broccolo, soprannome dato al ragazzo, l'aveva guardata in modo strano e si era girato dall'altra parte.
“Ah, chi li capisce gli uomini! Un momento ti guardano con occhi pieni di desiderio e ti rivolgono un sorriso da sesso selvaggio e il momento dopo non ti guardano neanche. Che palle, oh”
“Alice, te l'ho detto, gli piaci. Se non provasse qualcosa per te non ti bacerebbe sbattendoti contro un muro appena ne avrebbe l'occasione, eh!”
“Ma cosa vuol dire! Potrebbe avere istinti sessuali sempre e comunque. È un maschio, Athi.”
Ed ecco la campanella. L'ora che mi aspettava era sicuramente quella che odiavo di più, latino.
La lezione fu veramente un inferno, mille versioni da fare, mille compiti per il giorno dopo e sguardi omicidi da parte del professore.
Continuai la mia giornata scolastica nel migliore dei modi e quando la campanella suonò aspettai dieci minuti come accadeva di solito prima di uscire. Alice attese con me, era abituata al mio modo di fare, al mio voler evitare la folla. Come accadeva spesso, la invitai a casa mia e lei accettò di buon grado come sempre.
Arturo ci aprì la portiera posteriore con il suo solito sorriso e ci portò a casa.
“Cazzo, non mi abituerò mai all'immensità di casa tua.” Alice era sempre così fine. E non era l'unica che non si era ancora abituata. Casa mia era davvero enorme e non sembrava una villa vittoriana, tutt'altro: era la tipica casa ultramoderna. Le pareti che davano all'esterno erano costernate di vetrate enormi e tutto l'arredamento interno era contemporaneo con quadri e pezzi d'arte di grande valore. I miei genitori avevano poi deciso che per una casa tanto grande servisse anche un giardino altrettanto immenso. Insomma, la proprietà dei miei genitori era di 200 ettari. Ogni volta che Alice veniva da me rimaneva un attimo allibita, con gli occhi a cuoricino e non la smetteva di guardarsi attorno. Anche dopo quattro anni aveva questa reazione. Le altre mie amiche non erano da meno. Ogni volta che venivano le portavo nella piccola, in confronto alla vera e propria casa, dependance che si affacciava sulla piscina, rimanevano a bocca aperta e non la smettevano di farmi i complimenti. E la cosa più imbarazzante succedeva quando mio padre veniva a salutare. Ok, era un gran bell'uomo a detta di molte, ma era pur sempre mio padre e vedere le mie amiche sbavare ogni volta che entrava in una stanza non era il massimo per me.
“E dai, Alice. Come se casa tua fosse piccola”
La mia migliore non fece in tempo a ribattere che entrò in scena mio padre, Massimo Geroge in persona con sorriso smagliante al seguito. “Ciao ragazze”
Ed ecco anche la tanto imbarazzante espressione facciale di Alice: occhi spalancati e bocca aperta. Eppure lo conosceva da quattro anni, accidenti.
“S-sal..” Alice si fermò subito dopo l'occhiataccia che mio padre le riservò. “Ciao Max” Così andava decisamente meglio per mio padre.
“Ciao papà”
“Su entrate, oggi ho cucinato io.”
“Oh, Max non vorrà mica farci morire.” Alice era sempre la solita: scherzava con mio padre allegramente pur dandogli del lei.
“Alice cara, se non la smetti di darmi del lei ti caccio fuori di casa.” Lo disse con un tono freddo e distaccato assurdo, ma con il sorriso sulla faccia.
“Va bene, Max! Riformulo la frase: -Oh Max, non vorrai mica farci morire- Ti piace ora?”
“Ora sì, Alice”
Iniziarono a battibeccare su tutte le cose più improponibili, come d'altronde facevano sempre. Cominciavano sempre così: sguardo assassino di mio padre quando Alice gli dava del Lei, ma finivano sempre a discutere su tutto e tutti come due pettegole.
Corsi su in camera mia e posai la cartella sul piccolo divanetto incastrato nel muro e lo stesso fece Alice poi, raggiungemmo mio padre in cucina e ci sedemmo sul grande piano in mezzo alla cucina. Mio padre aveva fatto la pizza, ma ci aveva messo sopra di tutto: prosciutto, patatine, wurstel, rucola e mozzarella di bufala. Era veramente deliziosa, ci sapeva fare in cucina, e Alice non smise un attimo di fare complimenti e di fare strani versi con cui apprezzava ciò che ingeriva.
Mio padre, dal canto suo, non la smetteva di farci domande, sulla scuola, sugli alunni dell'istituto e sui professori, ma anche sui ragazzi –argomento assolutamente tabù con lui- e sulla vita sentimentale tragica di Alice.
“Massimo, non parliamo di questo argomento per favore. I maschi sono tutti scemi, senza offesa naturalmente”
“Alice, ma non dire così. Cosa è successo?”
“Vedi..” E iniziò il suo monologo su Matteo. Mio padre, con mia grande sorpresa, la ascoltava con attenzione e interveniva spesso, insultando il suddetto ragazzo che ignorava la mia migliore amica. Fu così che passammo un’ora intera sedute sugli sgabelli in cucina con mio padre e Alice a discutere sulle reazioni che i ragazzi adolescenti hanno. Per mia fortuna, il discorso fu interrotto da una chiamata che mio padre ricevette.
“Ragazze, è stato bello, ma ora vado su in ufficio. Il lavoro mi attende.” Detto questo se ne andò.
Dieci minuti dopo io e Alice eravamo chiuse in camera mia, sedute sul piccolo divano rivolto verso la televisione con in mano i joystick dell’xbox.
“Cazzo, Athena. Tuo padre è veramente un figo! Lascia stare il suo bellissimo aspetto esteriore – 36 anni portati benissimo, devo dire- i suoi ragionamenti.. ah, se non fosse tuo padre me lo sposerei.”
“Eddai Alice! È sempre mio padre!” E scoppiai a ridere. Il modo in cui Alice parlava di mio padre mi faceva sempre ridere: aveva sempre quest’aria sognante come se il mio papà fosse un modello.
In effetti, tutte le ragazze che leggevano articoli su di lui facevano commenti di questo genere. Mio padre aveva 36 anni, capelli neri e occhi blu elettrico, come i miei. Era così giovane perché lui mia madre mi ebbero molto giovani. Infatti, lei mi partorì quando aveva 16 anni, e ora ne ha 33 ed è una gran bella donna anche lei a detta di molti. Nonostante l’età, i miei decisero di rimanere insieme anche con tutte le complicazioni che una neonata dava. Mio padre riuscì a laurearsi in ingegneria e a creare un suo impero tecnologico e anche mia madre finì l’università portando a casa una laurea in medicina.
Durante il periodo in cui i miei genitori finivano l’università, abitavamo tutti nella depadance della casa in campagna dei miei nonni paterni e io passavo la giornata con i miei nonni che mi coccolavano e viziavano.
Non appena la nuova impresa di mio padre partì e diede i suoi frutti, i miei genitori decisero di cominciare ad iniziare una vita da soli, solo noi tre, e ci trasferimmo in un appartamento in centro così che mio padre potesse recarsi in ufficio nel minor tempo possibile e mia madre andare nel centro ricerca in tutta tranquillità. Ci trasferimmo quando io avevo 4 anni e quando ne avevo 10 la casa in cui sto ora, l’enorme villona ultratecnologica, era in costruzione. Abitavo lì da cinque anni e mezzo e ancora non mi ero abituata a tutte le comodità che avevamo, all’enorme palestra, alla piscina interna, a quella esterna e alle tantissime stanze sparse per la casa.
Io e Alice stavamo giocando ancora i videogiochi, quando qualcuno bussò alla mia porta: mia mamma.
“Ciao amore. Ciao Ali.” Aveva il suo solito sorriso smagliante. Mia madre aveva i capelli castani lunghi fino alla vita, che quel giorno portava raccolti in un elegante chignon, e due occhi verdi come lo smeraldo. Non aveva nessuna ruga sul viso e dimostrava alla perfezione i suoi 33 anni.
“Ciao, mamma.”
“Vedo che state giocando di nuovo a quel gioco.. Non è che potrei unirmi a voi?”
La guardai con gli occhi fuori dalle orbite e lo stesso fece Alice. Certo, capitava che si fermasse con noi a parlare qualche volta, ma mai prima di allora aveva espresso il desiderio di giocare ai videogiochi con noi, soprattutto a quel tipo di gioco a cui stavamo giocando noi.
“Ragazze, smettetela di guardarmi così. Posso giocare o no?”
“C-certo, Chiara.” Alice ebbe la cortezza di rispondere per me, io ero ancora imbambolata con la bocca aperta.
“Bene, vado a mettermi una tuta e arrivo.”
Dieci minuti più tardi io, la mia migliore e mia mamma eravamo sedute sul divanetto con in mano tre joystick pronte a giocare.





Ciao a tutti, eccomi qui con una nuova storia (per chi è già a conoscenza dell'altra che ho pubblicato). Questo capitolo è una semplice introduzione, come si può ben capire. Qui vengono definiti un po' i personaggi principali e spero tanto che, come prima occhiata, ciò che ho scritto sia di vostro gradimento. Se qualcosa non vi è chiaro, o avete qualche correzione/reclamo da fare, vi prego di scriverlo in una recensione. un bacio, Serena :)
  
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