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Autore: Alessia_Way    11/12/2012    2 recensioni
“Perché?”, dice in un sussurro e quasi riesco a sentirlo, “Mi hai promesso che mai più l’avresti fatto”, continua con lo stesso tono di voce[...]
“Ho tanti motivi per farlo, lo sai. Mi è difficile dir di no”, mormoro tenendo lo sguardo basso[..]
“Non è il modo migliore di sfuggire a tutti i problemi. Ti fai solo tanto male, rischi di ucciderti. Vuoi davvero farlo?”
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Nuovo personaggio | Coppie: Frank/Gerard
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Salve di nuovo a tutte!
Sono passati mesi dall'ultima OS vero? Beh, non smetto mai di scriverne u.u 

Vorrei farla breve perchè ho poco tempo e poi non vorrei annoiarvi. Spero che sia di vostro gradimento, anche se non è presente la solita cosa scontata che poi capirete. Ringrazio di tutto cuore lei, scrittrice che ammiro e che adoro e nonchè mia beta personale u.u xCyanide Spero la conosciate perchè è davvero brava! SEGUITELA *prepara le forche ma le riposa*. Ah, e questa la dedico a lei. 
Ciao donnaH, grazie di tutto *^*





Would You Like To Try?

Di nuovo la stessa storia. Stessa ora, stessi ragazzi, stesso armadietto. Cambiassero una volta tanto, ma ‘sti cazzi. Quando ti abitui ad una cosa è impossibile o meglio impensabile voler cambiare un qualcosa.
Cerco di non muovervi in quell’armadietto fottutamente stretto e sento i ragazzi, Josh, Mike e Matt, che ridono battendo dei pugni sull’armadietto come per farmi male. Mi spalmo sul fondo dell’armadietto per non essere spinto e aspetto che se ne vadano, poi sospiro. Da ben tre anni che vado avanti in questo modo, cerco sempre di rispondere agli atti di bullismo ma sono troppo debole. Lo ammetto, non ho paura di dirlo perché negarlo sarebbe da veri idioti. All’esterno, posso sembrare un ragazzo che può superare ogni cosa ma dentro… Dentro chi mi conosce sul serio? Chi mi conosce a fondo? Mh? Forse neanch’io mi conosco davvero, forse ho anche paura di conoscermi.
Non ho mai provato a mettermi contro il bullismo che ho subito negli ultimi tre anni, mai. Non ne ho avuto il coraggio e a questo, credo di saper dare una risposta: paura di ricevere una fottuta risposta, di quelle che fanno davvero male, le parole e i pugni. Ecco. Si, forse è questa la vera risposta, ma ovviamente non ne do mai una vera e propria.
Ricordo ancora come è cominciato tutto, oh… Lo ricordo alla perfezione. Era un giorno come tutti, mi ritrovavo con i miei compagni di classe, ovviamente il gruppo maschile e credo che mi abbiano visto in atteggiamenti poco “consoni”, parere loro, con uno dei quattro ragazzi del gruppo, Tim. Siamo solo ottimi amici e ogni tanto ci va di scherzare, nulla di che. Come si può ben presupporre, questo scatenò una voglia matta di picchiare, di divertirsi ai bulli più famosi della scuola. Proprio mentre uscivo dall’istituto, alla fine delle lezioni, cominciarono a strattonarmi e picchiarmi a sangue. Mia madre se ne accorse ma, essendo bravo a mentire, poche volte, dissi solamente che cadevo spesso per le scale esterne della scuola e mi facevo parecchio male. Tutto qui.
Ma mentire non è facile, non lo è mai stato per me. Sono un essere debole, quindi ogni cosa che mi fa star male dentro mi porta al pianto, ai tagli profondi, all’alcool quasi. Nessuno lo sa, nessuno se ne accorge e da un lato mi fa piacere, meno rompipalle in giro. Ma da un altro lato… Si sa bene: cosa vogliono le persone deboli? Un eroe. Forse, la parola “eroe” è esagerata ma secondo me è perfetta. Un eroe, si, di quelli che ti salvano la vita con un sorriso, con la sola presenza al tuo fianco. Di quelli che tu ritieni perfetti. Ma no, chiedo troppo e lo so bene. Nessuno è un eroe, nessuno è disposto ad aiutare un fottuto depresso che si taglia perché debole, pieno di problemi con se stesso, che non si accetta. Chi lo farebbe? Un pazzo, ma d’altronde sono tutte persone “normali”.
Mi passo una mano fra i capelli e prendo il piccolo fermaglio, mio grandissimo “amico”, dalla tasca e cerco di aprire la serratura dell’armadietto riuscendoci, così da poter uscire e quasi il neon del corridoio mi acceca e stropiccio gli occhi, tentando di abituarmi ad esso. Mi guardo intorno e sento solo un bellissimo silenzio, che però diventa fastidioso. Viene successivamente spezzato da un paio di tacchi, dal fondo del corridoio e mi giro verso il rumore che mi mostra appunto la figura alta della preside. Sono cazzi adesso.
“Iero! Lei è ancora qui?”, alza leggermente la voce alterata, venendomi incontro e si ferma davanti a me, spostando il peso su una gamba e picchiettando continuamente il piede a terra, in attesa di una risposta.
“Mi scusi, Mrs Molly. Vado subito in classe”, mormoro annuendo e guardo la figura slanciata della preside, nonostante l’età abbastanza grande, che mi fissa con sguardo severo e annuisce.
“Meglio per lei. Forza, vada!”, continua con la stessa voce e va via, facendo ricominciare quel fastidioso rumore di tacchi. Sbuffo e mi guardo intorno, incamminandomi per ritornare di fretta in classe e apro la porta, ricevendo uno sguardo fulminante da parte della professoressa e, senza aprire bocca mi affretto a sedermi al mio posto, ultimo banco. Mi giro alla mia sinistra e vedo Gerard che mi fissa con un sopracciglio alzato. Scuoto la testa, segno che gliene parlerò alla fine della lezione e lui capisce, tornando a concentrarsi sulla spiegazione dell’insegnante, seguito da me. L’unico problema era che feci davvero fatica a rimanere concentrato su ciò che diceva la mia professoressa perché non facevo altro che guardare Gerard al mio fianco. Lui era una di quelle persone sempre solari, tranquille, col sorriso perennemente stampato sul volto e tanto contagioso. Era una persona dolcissima, pronta ad aiutare il prossimo e a mettersi nei guai. Di quelle ingenue, fragili allo stesso tempo. E’ sempre stato un ottimo amico, abbiamo istaurato un bellissimo rapporto sin dal primo anno di liceo. Avrei detto che persone come lui, così “noiose” come pensano in molti, non vorrei neanche conoscerle ma Gerard… Gerard è un eccezione fatta e finita. Mi sento quasi onorato ad avere una persona accanto come lui. Perché così, sono rare e se le trovi fai bene a tenerle strette. Con Gee c’è sempre stato… Come dire, un rapporto molto importante che nel passare degli anni non abbiamo mai rotto o rovinato. Sarebbe una cosa orribile, sul serio. Ne morirei se dovesse succedere qualcosa di brutto nel nostro rapporto amichevole, perché tengo molto a lui.
Il problema forse è uno solo, ma neanch’io sono riuscito a capire che cazzo mi stia succedendo. Forse per orgoglio personale non vorrei neanche ammetterlo. Mi sento troppo ossessivo nei suoi confronti, vederlo mi fa venire le farfalle allo stomaco tutte le volte che lo vedo, sentirlo dire “Ciao Frankie”… Quel grazioso nomignolo dato e detto da lui quasi mi fa sciogliere. Okay, so di essere bisessuale da un po’ di anni a questa parte ma… La sola idea che io mi possa essere innamorato di Gerard, mio migliore amico sin dal primo liceo. Lui sa tutto di me ed io so tutto di lui. Forse questa è l’unica cosa che io gli abbia nascosto in questi anni. Insomma, dirlo al diretto interessato non mi sembra una cosa da niente! Ci vuole solo pazienza, forse… Magari, questa si può rivelare solo una cotta iniziata per caso. Pazienza, solo pazienza. Cosa che io, Frank Iero, non possiedo.
Suona la campanella, finalmente le lezioni sono finite per oggi. Mi dirigo quasi di corsa fuori la classe senza aspettare nessuno e mi dirigo verso il mio armadietto, lasciando dei libri non utili al pomeriggio per scambiarli con altri.
“Sei scappato!”, una voce familiare mi fa girare e vedo che Gerard mi fissa con un sorriso, mentre ridacchia e si passa una mano fra i capelli. Potrei staccarla a morsiquella mano…
“Si, scusami. Ma lo sai come sono sempre, corro quando finiscono le lezioni”, ridacchio quasi nervosamente, leggermente scosso da quel gesto e ritorno al mio armadietto, chiudendolo con il codice e mi volto per vedere Gerard fare lo stesso scambio fatto da me.
“Lo so, ti conosco fin troppo bene!”, ride guardandomi e chiude l’armadietto, per poi dirigersi verso l’uscita affiancato da me.
“Lo immaginavo benissimo! Ma quasi mi hai fatto pensare che quel dettaglio l’avessi dimentica-”, non riesco a finire la frase che mi sento strattonare all’indietro e portato in un angolo più nascosto della scuola.
“Mi pare che la lezione di oggi non ti sia bastata”, sogghigna quello stronzo di Matt, mentre mi scaraventa con la schiena al muro e non posso neanche aprire bocca che ricevo immediatamente un pugno sull’occhio e sulla bocca.
“Matt! Devi fargli male!”, urla quasi, con tono divertito Josh e ricevo un pugno violento sulle costole che mi fa piegare in due dal dolore. Me lo sentivo che sarebbe finita in questo modo, penso mentre mi accascio dolorante a terra e continuo a ricevere calci e pugni su tutto il corpo quando poi non sento più nulla. Solo una voce dannatamente familiare che urla arrabbiato verso i ragazzi e li fa allontanare come tanti conigli.
“Frankie? Frankie, stai bene?”, sussurra la voce allarmata e mi giro con gli occhi lucidi verso la voce ma non riesco a focalizzare la vista a causa delle lacrime. Ma so chi è, so che è lui, il mio eroe.
“G-gee…”, mormoro con il labbro sanguinante e sbatto le palpebre e finalmente riesco a vedere Gerard chino su di me, con viso spaventato e preoccupato che mi accarezza i capelli. Non riesco a rispondere, quindi Gerard mi prende in braccio con cautela e mi accompagna fuori l’istituto, già completamente vuoto.
“Ti accompagno a casa”, continua e mi guarda ma scuoto la testa cercando di farmi rimettere giù. Mi sento un invalido, non voglio che lui sia costretto ad accompagnarmi, soprattutto con me in braccio.
“No, Gee. Davvero, posso camminare”, sussurro scendendo da lui e mi tengo per un attimo al suo braccio, cercando di rimanere in piedi a causa delle gambe doloranti.
“Frank, fatti accompagnare a casa. Non puoi neanche reggerti in piedi. Vieni da me, su”, insiste tornando a prendermi in braccio, incurante del fatto che porto lo zaino e comincia a camminare diretto verso casa sua ed io, senza protestare, allaccio le braccia attorno il suo collo per tenermi a lui.
In casi come questi, dopo certe aggressioni, mi trascinavo a fatica a casa, arrivando come un morto. Mi accasciavo a terra davanti l’entrata e mia madre quando se ne accorgeva mi tirava su e mi spediva al piano di sopra, dicendomi di darmi una ripulita. Ovviamente, non si è mai curata di controllare che cosa avessi, che cosa mi fosse successo… Mai. L’unico che mi chiedeva, quando passava ogni pomeriggio a casa mia per i compiti, era appunto Gerard e spesso veniva anche suo fratello Mikey ad aiutarlo, visto che eravamo anche grandi amici, ma veniva solo quando poteva e la scuola glielo permetteva. Mi aiutava pure a curare i tagli ed i lividi e spesso mi passava delle creme che comprava lui stesso appositamente per me, sotto i miei quasi rimproveri, e si comportava così, tutte le volte che accadeva. Stavolta, lui mi stava riportando a casa, salvatomi direttamente durante l’aggressione e si stava prendendo cura di me, tutto in modo diverso.
Apre subito la porta di casa, annunciando di essere tornato ma non riceve nessuna risposta, segno che la sua famiglia era fuori e suo fratello ancora a scuola.
“Okay, ti porto in camera mia e mi aspetti che vado a prendere le creme, mh?”, sussurra scendendo le scale ed entra nella sua stanzetta “sotterranea” e mi depone sul letto, accarezzandomi i capelli.
“Non riesco neanche a muovermi, non scappo”, sussurro per sdrammatizzare un po’ e lui sorride, baciandomi la guancia poi esce di corsa dalla stanza per salire ai piani superiori.
Mi sistemo meglio sul letto e mi guardo intorno, poggiando le mani sul grembo e torno a meravigliarmi nel vedere quella piccola stanza, piena di ricordi, arte e di sciocchezze. Si, perché Gee tiene spade da supereroi, piccoli gadget dedicati ad essi e vari poster, tutti riferiti agli eroi. Vedo anche i suoi disegni, quei disegni perfetti realizzati dalle sue mani e progettati dalla sua fantasia. Anch’essi ritraggono eroi ma diversi: cupi, tristi, a volte felici e colorati, di tutti i generi. Il più delle volte sono eroi tristi e stanchi. Ciò che mi fanno capire, è che sono stanchi di salvare vite su vite, sconosciute e amiche e che da un lato aspettano che qualcuno arrivi per salvare loro. Ma sanno che non accadrà mai ma continuano a fare la loro vita. E mi ci vedo, io in quei disegni posso rispecchiarmi. Ma non perché mi sento un “eroe” perché non lo sono, dico solamente che in tutta la mia vita non ho fatto altro che aiutare le persone che mi sono state vicine senza ricevere un “grazie” o un aiuto come per ricambiare. E da bravo coglione che sono, non mi sono mai permesso di smettere e continuavo, continuavo, senza ringraziamenti. Ora non vorrei sembrare un tipo che se la gente non ricambia, comincia ad incazzarsi. Ovviamente io lo capisco che la gente non vuole aiutare uno come me… Forse perché sono una persona davvero negativa su tutto ma come posso essere diversamente con tutti i lividi che segnano un corpo fragile come il mio?
Ma proprio nel momento in cui questo pensiero aveva affollato la mia mente, rientra Gerard con dei flaconi e delle bende. Credo che potrei anche ringraziarlo.
“Rieccomi qui. Pronto?”, mi rivolge un sorriso, mentre chiude la porta e annuisco.
“Sono sempre pronto, non lo sai?”, ridacchio e lui fa lo stesso mentre poggia i flaconi sulla sua scrivania e si siede al mio fianco, facendomi cenno di togliermi la maglia leggermente sporca di sangue. Ricordo ancora l’imbarazzo quando me lo chiese la prima volta, e il rossore che c’era nelle nostre guance non è più paragonabile ad adesso. Oramai sono azioni naturali, le nostre, quasi come se fossero diventate una specie di abitudine. Un abitudine in cui mi trovo bene, a mio agio… Che mi piace.
Tolgo la maglia completamente sporca e rimango quasi allibito nel vedere tutti i nuovi lividi più scuri e più numerosi rispetto alle altre volte. Non so se è una mia impressione ma sento Gerard ringhiare abbastanza sonoramente e così alzo lo sguardo verso di lui sentendolo mormorare fra i denti un “Bastardi” parecchio incazzato. Lo fa spesso quindi gli prende una mano, nonostante la mia sia gelida e intreccio le dita alle sue come per calmarlo.
“Non riesco neanche a calmarmi stavolta. Peccato che sono scappati”, sibila con sguardo arrabbiato e passa appena le dita sul mio petto pieno di lividi.
“Come hai fatto?”, sussurro e lo guardo, ancora sorpreso dalla sua reazione avuta a scuola, “Come?”.
Non risponde. Continua solamente ad accarezzarmi i lividi sul petto e guardo la sua mano, notando che le dita non toccano del tutto la mia pelle ma la sfiorano semplicemente. Ha un effetto contrario al solletico e mi piace tanto, più del lecito.
“Non lo so”, sussurra dopo qualche minuto, “Non so cosa mi sia preso. Non ti ho più visto e allora ho cominciato a cercarti, solo dopo avevo pensato al peggio e… Ho tentato di allontanarli. Ti stavano uccidendo e per poco non li picchiavo, tanto era l’odio dentro di me”, ammette e alza lo sguardo sui miei occhi che lo stavano fissando meravigliati.
“Ma… Scusami se lo dico, io così non ti ho mai visto. In tre anni tu non hai mai avuto dei attacchi del genere-”.
“Lo so”, attacca subito dopo e annuisce, “Ero sorpreso anch’io di come stavo reagendo. Non sono mai stato un tipo violento… Odio la violenza”, abbassa di nuovo lo sguardo ed aumento la stretta sulla sua mano.
“Non è mai la risposta, me l’hai sempre insegnato. Ma… Sai spiegarmi il perché?”.
“No. Non ci riesco”, sussurra e lo vedo mordicchiarsi le labbra, “Forse perché odio la violenza su le altre persone. Forse… Odio il fatto che ti abbiano picchiato davanti a me in un modo terribile e preso dalla voglia di salvarti… Volevo dare una lezione a loro”, conclude e rimango stupito da quello che sento.L’ha detto davvero?
Gee nota la mia espressione e annuisce come per confermare le parole che ha detto. Rimango fermo, a fissarlo con la stessa espressione ma non ho intenzione di rimanere in questo modo per troppo tempo così porto una mano sulla sua maglietta e lo attiro a me per abbracciarlo forte, per quanto riuscissi a causa del dolore causato dai lividi. Lui non è per niente sorpreso, anzi ricambia piano la stretta facendo attenzione a non farmi male.
“Finalmente… Per la prima volta, riesco a dire un grazie alla persona che non mi ha mai deluso. Ma è un grazie vero, di quello che non si dice tanto per dire”, sussurro continuando a stringerlo e sento la sua mano che mi accarezza la schiena con dolcezza, “Ti ringrazio per avermi salvato la vita ancora una volta, mio Superman”, mi stacco appena da lui e lo guardo negli occhi, i miei più lucidi e pieni di lacrime. Il suo viso è a pochi centimetri dal mio e mi sta sorridendo, con la punta del naso attaccata alla mia. Sbatto velocemente gli occhi solo per poter guardare i suoi e mi ci perdo: un invitante e caldo pozzo verde misto con ambra, che mi spiegano, che mi parlano del suo carattere. Ho sempre amato i suoi occhi perché hanno sempre trasudato lealtà e fedeltà, ma anche dolcezza.
Ma qualcosa di diverso, sostituisce quel calore amichevole con un aria quasi imbarazzante. Più lo guardo negli occhi, più ho voglia di baciarlo ma non posso. Non posso rovinare un’amicizia costruita e fortificata in tre lunghi anni, sarebbe da veri stupidi, sarebbe da me. Ovviamente Gerard capisce che c’è qualcosa che non va così mi allontano a malincuore da lui solo per non fargli sospettare nulla.
“Tutto bene, vero?”, sussurra un po’ confuso ed io annuisco tornando a sdraiarmi fra i cuscini leggermente dolorante. Sto combattendo pure contro la voglia di dirgli cosa provo per lui ma devo trattenermi, devo pensare alla nostra amicizia e non posso rovinarla per uno stupido sentimento. Devo trattenermi, devo trattenermi.
Gee vedendomi in difficoltà controlla, senza perdere tempo e per bene, i lividi cominciando a prendere il flacone di crema per passarne un po’ sul mio petto, nella speranza che il dolore si attenui. Poi scorgiamo con mio grande stupore un grosso livido con un taglio parecchio profondo che sanguina sul mio fianco e si affida così alle bende per coprirlo dopo averlo disinfettato con cura.
“Dovresti fare l’infermiere. O il dottore!”, gli dico convinto e lo sento ridere, mentre scuote la testa, senza smettere di spalmare la crema con leggerezza sui miei lividi.
“Lo sai che è quello che non voglio. La mia strada è la musica, così come per te, o i fumetti”, sorride verso di me e non posso non ricambiare il sorriso alle sue parole.
Una delle cose che ci accomuna: la musica. È stato un caso che abbiamo scoperto di amarla entrambi, solo perché lui canticchiava mentre facevamo i compiti insieme e poi ha scoperto la mia chitarra in camera mia. E credetemi… Sentire Gerard Way che canta i Misfits, gli Iron Maiden e altri gruppi, è qualcosa di assolutamente splendido. Persino una volta, quando gli chiesi quale fosse la sua canzone preferita e mi rispose con “Dig Up Her Bones” dei Misfits, che guarda caso la mia era proprio quella, si mise a cantarla e rimasi talmente incantato dalla sua voce dolce e vellutata che mi ci vollero più di cinque minuti per potermi riprendere. Suonammo e cantammo insieme anche, sempre cover dei nostri gruppi preferiti e a dire il vero fu un esperienza indimenticabile. Da allora, quando ci capita, dedichiamo un po’ del nostro tempo alla musica solo per staccare la spina dal mondo. Per noi, è una valvola di sfogo, quella che ci tiene in vita e appunto solo con la musica e il disegno, per lui, riusciamo a sentirci bene in un universo parallelo dove nessuno può giudicarci, picchiarci, insultarci, ma rimaniamo noi stessi, senza nasconderci, dietro maschere che mostriamo al mondo reale, da occhi indiscreti o sguardi invidiosi.
“Frank? Sei con me?”, la voce di Gee mi fa ritornare coi piedi per terra e ritorno a collegare i pensieri a ciò che mi circonda. Mi sta guardando, mentre ridacchia piano ed io in risposta arrossisco, abbassando lo sguardo sul mio petto ricoperto di lividi lucidi a causa della crema e annuisco velocemente.
“Si, scusa. Mi ero messo a pensare”, sussurro sorridendo e mi gratto la testa un po’ in imbarazzo ma vedo subito l’espressione di Gerard cambiare radicalmente e la cosa mi spaventa, “Tutto okay?”.
Prende il mio braccio e lo tira verso di se, facendomi capire tutto; cerco di sottrarmi alla sua presa ma è talmente forte che mi è impossibile.
“Cosa fai?”, gli dico e lui guarda i miei polsi pieni di cicatrici orizzontali e verticali, altri tagli ancora freschi con qualche traccia di sangue. Mi guarda con occhi quasi delusi e tristi e mi si spezza il cuore a vederlo in quel modo perché l’ultima cosa che voglio è proprio vedere Gerard triste, soprattutto se la causa è proprio il sottoscritto.
“Perché?”, dice in un sussurro e quasi riesco a sentirlo, “Mi hai promesso che mai più l’avresti fatto”, continua con lo stesso tono di voce, senza lasciare i miei occhi ma io da brava persona timida qual’ero rompo il “collegamento” di occhi e guardo in basso, sentendomi quasi in colpa.
“Ho tanti motivi per farlo, lo sai. Mi è difficile dir di no”, mormoro tenendo lo sguardo basso e sento le sue dita lievi sui miei tagli e strizzo appena gli occhi perché tocca quelli più sensibili, quelli ancora aperti.
“Non è il modo migliore di sfuggire a tutti i problemi. Ti fai solo tanto male, rischi di ucciderti. Vuoi davvero farlo?”, mormora con voce rotta e alzo lo sguardo verso di lui, scoprendo i suoi occhi lucidi e mi mordo forte le labbra. Odio vederlo in questo modo… Il suo sorriso, a parere mio, è la cosa più bella che esista, prima dei suoi occhi credo. Ha già sofferto tanto per la famiglia, dove i suoi genitori non vanno molto d’accordo né con lui e né fra di loro, e la cara nonna, al quale lui tiene davvero tanto, che a causa della vecchiaia sta male. E ogni volta che me ne parla, vedo la paura nei suoi occhi che quasi lo attanaglia e lo distrugge. Solo per non farlo sentire in quel modo, solo per non vederlo stare male, faccio di tutto pur di fargli riacquistare quel sorriso sereno. E vedere proprio il suo sorriso morire, anche per colpa mia, uccide una parte di me, quella che gli vuole bene ma lo ama allo stesso tempo.
“Quello che voglio non è morire. A volte lo desidero talmente tanto che arrivo a questo”, sussurro e gli indico tutte le cicatrici, ormai chiuse ma altre aperte da pochi giorno, orizzontali lungo tutto il braccio, “Sai come si dice vero?”, lo guardo e lo vedo scuotere la testa mentre mi accomodo seduto sul letto e guardo ancora i tagli, “Secondo me questa frase dice tutto, ed è davvero perfetta: è lungo la via, no attraverso la strada”, passo un dito lieve sulle cicatrici e con la coda dell’occhio vedo Gee annuire, come se anche per lui la frase parla da sola.
“Ma perché lo fai? Quali sono i veri motivi”, rialzo lo sguardo e forse non fu una cosa giusta farlo perché mi stava fissando, quei occhi puntati ed oramai fissi nei miei. Non potevo sfuggire a quelli, era una presa troppo forte come lo era stata la sua mano sul mio polso. Scappare mi è proibito.
“La maggior parte li sai. Mia madre che continua a fregarsene se torno a casa mezzo morto, mio padre non c’è mai e se c’è è troppo ubriaco dopo i concerti che fa. La scuola, il bullismo e…”, mi mordo le labbra, cercando di non dire quello che stavo pensando e vedo gli occhi di Gee mutare da calmi a curiosi, fin troppo.
“E…?”, sussurra avvicinandosi verso di me e di nuovo; quella vicinanza a me fin troppo bramata, ancora quella voglia di poggiare le labbra sulle sue e dirgli che mi sono innamorato di lui, alla follia. Ma poi mi chiedo se dirglielo è giusto, se non finirà male come penso.
Poi prendo un respiro più profondo e mi dico che non posso più tenermi tutto dentro, così decido di dirglielo, “E la paura di perderti per sempre se ti dico che sono follemente innamorato di te”, sussurro con voce talmente bassa che ho paura che lui non mi abbia sentito e strizzo gli occhi abbassando finalmente lo sguardo per paura di vedere i suoi occhi cambiare ancora una volta. Non lo sento, non vedo che si muove e il mio cuore comincia a battere furiosamente, quasi a voler uscire dalla cassa toracica ed esplodere fuori. Alzo così timidamente lo sguardo verso di lui e vedo che mi sta fissando ancora con occhi sbalorditi e bocca semiaperta. Ho combinato un fottuto casino. Bravo, Frank, bravo.
“I-io… Scusami”, mi limito a dire con voce rotta per la troppa paura e mi trattengo dal non scoppiare in lacrime proprio in quel momento non adatto. Poi vedo la sua mano muoversi e stringe forte la mia, facendo intrecciare le dita alle proprie e lo assecondo ancora mezzo intontito e incapace di capire cosa voglia fare.
“Perché paura?”, dice solamente dopo quel lungo silenzio e quasi mi sento meglio ma non troppo.
“Perché… In questi tre anni abbiamo instaurato una forte amicizia, tanto da arrivare a confidarci dei nostri segreti l’un l’altro. Io mi sono sempre fidato di te e tu ti sei sempre fidato di me. Nessuno mai ha provato a deludere l’altro, forse per paura di  perderlo o perché non ce n’era neanche il bisogno di farlo. Ma sai come sono io, e tu… Tu mi hai sempre attratto, sin dal primo giorno. Poi mi sono reso conto che magari era solo una cotta passeggera, ma tutto ricominciava quando mi sorridevi o addirittura mi rivolgervi la parola. Ho cercato di farla finita, anche quando siamo diventati amici ma senza risultato: c’ero troppo dentro. E quando si è in queste situazioni è difficile scapparne. Forse lo sai quanto me su questo ma… Gee, non posso nascondere un amore come quello che provo per te. Sono una persona debole e mi sono lasciato andare solo adesso”, concludo con un profondo respiro e lo guardo, poggiando una mano sul petto a voler in qualche modo calmare i battiti incessanti del cuore. Non ho mai parlato così tanto e sentirmi subito dopo libero di un grande peso che tentava di soffocarmi. Da un lato mi sento così, dall’altro predomina la paura che lui possa anche solo incazzarsi e lasciarmi solo. Tutto quello che vedo però mi stupisce: scuote piano la testa mentre porta la mano libera sulla mia guancia e si avvicina ancora di più a me per poggiare le labbra su un angolo delle mie, lasciandomi un piccolo bacio, “Pensi che sia così bastardo da abbandonarti? Pensi anche che io… non ti voglia?”, sussurra sulla mia pelle e spalanco ancora di più gli occhi, sorpreso dalle sue parole. Sposto gli occhi su di lui, vedendolo che ritorna di fronte a me e continua ad accarezzarmi con dolcezza la guancia, sorridendomi.
“M-mi stai dicendo che anche tu…”, non riesco a finire la frase che lui annuisce velocemente, tenendo sempre quel piccolo sorriso.
“Si, come hai detto tu… Dalla prima volta che ci siamo visti. In poche parole è andata come per te. La stessa volta che ti ho incontrato, lo stesso sentimento, la stessa paura di perderti…”, annuisce senza smettere di guardarmi e aumento la stretta alla sua mano, avvicinandomi ancora di più a lui. Sento che man mano il mio cuore smetta di battere furiosamente e lascia spazio ai battiti dolci e lenti che mi fanno sospirare più tranquillo. Non me lo sarei mai aspettato… Gerard non mi aveva mai confidato di essere bisessuale o altro come me. Io gli avevo sempre dimostrato, o meglio fatto capire che c’erano ragazzi davvero carini nella nostra scuola, ma io parlavo di più di lui, e non avevo mai capito o percepito da parte sua certi interessi. Più che altro si limitava a parlare delle ragazze, cosa che mi facevano davvero ingelosire ma sotto riuscivo a capirlo che mai e poi mai si sarebbe interessato ad uno come me. Ora era tutto diverso, tutto cambiato e finalmente avevo capito e non potevo non sentirmi felice, dopo troppo tempo.
“Tu non mi hai mai detto nulla, se ti piaceva qualche ragazzo… Io ho cercato di fartelo capire che, in qualche modo, di tutti i ragazzi che dicevo, per me il migliore eri tu”, gli dico sincero e lo vedo arrossire violentemente mentre abbassa lo sguardo.
“Non l’ho mai detto per vergogna, tutto qui. Avevo paura che magari mi avessero sentito i ragazzi della nostra classe, sempre pronti ad insultarci. Io ho paura di loro, lo sai benissimo”.
“Ma potevi dirlo a me, sai che non ti avrei mai giudicato”.
“Lo so, ma la vergogna era troppa. Quindi mi limitavo alle ragazze… Anche se guardavo solo te”, ammette con un sorriso e torna a guardarmi, e ricambio.
“Adesso che sappiamo tutto”, dico dopo qualche minuto, “Che… Vorresti fare? Dico… Mi hai capito no?”, comincio a borbottare rosso in viso e lui ridacchia mentre mi passa la maglietta per farmela indossare.
“Tu… Vuoi provarci?”, si mordicchia le labbra e lo guardo con un sorriso più accentuato e annuisco veloce.
“Proviamoci. Non costa nulla poi, no?”, faccio spallucce e lui ridacchia, stringendomi di più la mano e acconsente con un “Si” deciso.
Da quella piccola promessa, dopo esserci sdraiati uno accanto all’altra su quel letto troppo piccolo e stretto per due persone, dopo aver parlato e dopo esserci addormentati accoccolati, iniziammo a frequentarci, osando una volta tanto un po’ di più. Ovviamente il primo bacio era ancora lontano ma avrei aspettato per quello. In fondo, ci stavamo provando e avevamo tutto il tempo che volevamo a nostra disposizione.

                                        

 

 

   
 
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