Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
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Autore: Justawallflower_    11/12/2012    1 recensioni
Alex. Jake. Una migliore amica inaspettata e..LUI.
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1.LOVE YOU MOM
" IO  NON CI VOGLIO ANDARE!" dico prima di uscire sbattendo la porta. Mia madre mi raggiunge nella veranda con la coperta sulle spalle, si siede nel dondolo vicino a me e dice: "Devi capirlo, io non posso più occuparmi di te, mandarti da tuo padre sarà la cosa migliore, per entrambe" 
" E chi si prenderà cura di te? Non posso lasciarti proprio adesso" 
"I dottori si prenderanno cura di me, e molto probabilmente anche la signora Capocci verrà a farmi compagnia" 
"Oh beh chi non vorrebbe passare la serata con quella pazza e le sue 15 palle di pelo!" rispondo sarcastica.  
"Almeno non mi sentirò sola. Tesoro so che è difficile, pensi che per me sia facile lasciarti andare? Ma dobbiamo essere forti. Non preoccuparti per me, ti prometto che ci sentiremo tutte le sere." dice mamma accogliendomi tra le sue braccia.
"Ma io voglio stare quì con te, non posso andare a vivere da un uomo che molto probabilemnte si è dimenticato della nostra esistenza" chiudo gli occhi e inspiro il suo profumo, è dolce, sono certa che mi mancherà.
"Questo non puoi dirlo, per Natale e i compleanni ha sempre mandato regali e bigliettini di auguri" mi rammenta.
"Non me ne faccio niente di quella robaccia per ricconi, l'unica cosa di cui avevo bisogno era un padre, che mi abbracciasse quando tornava dal lavoro, e invece non c'era. E poi sta in America, è dall'altra parte del mondo! Non puoi costringermi." 
"Invece si, tu ci andrai, che ti piaccia o no. Non tollero discussioni. E ora vai a preparare le valige, partirai domani stesso." 
Dopo aver incassato il colpo entro in casa fiondandomi in camera. Odio litigare con mia madre, ma non capisco perchè mi voglia mandare in America da quella sottospecie di padre che mi ritrovo. Lei sta male e proprio per questo dovrei starle vicino. 
Prendo la valigia e ci butto dentro tutto quello che mi passa sottomano, non è giusto che me ne debba andare da casa mia, è assurdo! Mi siedo sbuffando sul letto e fisso il grande specchio davanti a me. E' incredibile come l'apparenza possa ingannare. Esteriormente posso sembrare una dicisettenne matura e indipendente, ma dentro sono come una bambina che ha ancora bisogno della mamma. E tra un pensiero e l'altro mi addormento.


                                                                                                  ***
"No, no, non farlo! Stupido di un gatto! No Fred resisti, parlami! No andare verso la luce, noo.." 
"Alex! Alex!" Dice mamma scuotendomi per le spalle.
"Che c'è?" Chiedo aprendo un occhio.
"Stavi parlando nel sonno" Risponde lei
"Una delle bestie della signora Capocci stava per mangiarsi Fred!"
"Ma cos..non voglio sapere. Forza è ora di alzarsi, devi andare in aeroporto!"
"Ma io non ci voglio andare" mi lamento girandomi dall'altra parte del letto.
"Ti ho fatto i pancake" cantilena lei uscendo dalla camera. 
"E va bene mi alzo, ma solo per i pancake" urlo. 
Con grande fatica metto un piede fuori dal letto, e poi l'altro e infine mi tiro su. Scendo le scale con la velocità di un bradipo, faccio colazione, assicurandomi che Fred nuoti ancora felice nella sua vaschetta, e sempre molto lentamente mi preparo. Con la valigia in mano esco di casa sedendomi in macchina, e ci dirigiamo verso l'aeroporto. Il viaggio dura troppo poco, e appena arriviamo le lacrime che ho cercato di trattenere mi invadono gli occhi e le guance. La mamma mi abbraccia, quanto mi mancherà. Quando sento la voce metallica dell’altoparlante gracchiare il mio volo, a malincuore mi stacco da quella meravigliosa donna, da quella roccia alla quale ero rimasta aggrappata per diciassette anni, e mi allontano, senza salutare, senza dire niente, per non rendere il tutto più doloroso di quanto non lo sia già. Dopo il check-in salgo in aereo e prendo posto, guardo fuori dal finestrino e guardo per l’ultima volta il panorama del mio paese, assorbendone ogni dettaglio, da poter far tornare a galla nei momenti di nostalgia.


16 ORE DOPO…
Finalmente l’aereo atterra a Los Angeles, la città che diventerà la mia casa. Scendo dall’aereo, recupero i bagagli e mi siedo in una panchina aspettando che “l’uomo” mi venga a prendere. Sto trafficando col cellulare quando a un certo punto un tizio sulla quarantina mi si presenta davanti con un sorriso smagliante, lo fisso aspettando che si identifichi.                                                                                           
“Ciao piccola!” Esclama con troppa enfasi. Lo guardo esterrefatta.                                                                     
“E tu sei..?!” 
  
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