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Autore: terry_love    12/12/2012    2 recensioni
“Era bastato uno sguardo, solamente uno sguardo e nel mio cuore ci furono “i fuochi d’artificio”, questa era l’espressione che usava spesso mia figlia Sofia quando era molto felice…”
Come avevo scritto, eccomi con una nuova storia su Calliope e Arizona.
A narrare la storia è Calliope. Tutto inizierà dal loro primo incontro e terminerà alla nona stagione. Ci saranno momenti di tenerezza, felicità, emozione, ma anche tristezza. Spero tanto che questa nuova storia vi piaccia! Mi farebbe piacere poter conoscere le vostre opinioni.
Vi auguro una buona lettura!
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Più stagioni
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Era bastato uno sguardo, solamente uno sguardo e nel mio cuore ci furono “i fuochi d’artificio”, questa era l’espressione che usava spesso mia figlia Sofia  quando era molto felice. Lo stesso giorno, mi recai da Mark, mio migliore amico nonché padre di nostra figlia. Lo trovai in giro per i corridoi dell’ospedale, lo salutai e gli chiesi chi fosse la nuova dottoressa dell’ospedale. Lui mi guardò e mi disse: ”come mai vuoi sapere chi è il nuovo capo chirurgo di pediatria?”
 “così , perché oggi l’ho incontrata per i corridoi..” cercai di sminuire il mio interesse per lei, intanto, avevo già scoperto che lavorava in pediatria, era un buon passo avanti! Ma Mark  mi conosceva ormai troppo bene e mi disse: ”Callie …” pronunciò il mio nome in maniera provocatoria come per dire: ”Callie! Come mai tutto questo interesse verso questa dottoressa?!?” Così un po’ incavolata perché mi faceva stare sulle spine, gli dissi che volevo sapere chi fosse, solo perché mi ricordava una mia cara amica conosciuta tanto tempo fa e dalla somiglianza potevano essere anche cugine o addirittura sorelle, gli dissi che questa mia amica si chiamava Katy e quella nuova dottoressa mi aveva fatto tornare in mente tanti ricordi. Conclusi la mia spiegazione in maniera eccellente, naturalmente Mark aveva creduto ad ogni singola parola che avevo pronunciato. Ci sapevo fare con l’improvvisazione!  Quando mentivo chiunque mi credeva,  perché un mio pregio, è quello di essere credibile e sicura di quello che dico in ogni circostanza. Mark fu spiazzato da quello che dissi e mi rispose: “ ok Callie, tranquilla! Si chiama Arizona, è eccellente nel svolgere il suo lavoro, è un bel bocconcino ma è fidanzata quindi provarci con lei è stato inutile. Questa cosa è inaccettabile, cioè, io sono il golden boy dell’ospedale!  sono un Dio! E lei rifiuta le mie provocazioni?!? “ poi il suo fidanzato è un biondino tutto perfettino che non meriterebbe stare con una come Arizona!!” lo fermai mettendogli la mano sula bocca e gli dissi: “Mark!! Ci hai provato con la prima dottoressa nuova che ti è capitata d’avanti?! Avevi detto che eri cambiato e poi ti comporti in questo modo?!”
 “ Io sono cambiato! Ma di certo non mi hanno fatto la lobotomia Callie!”. Fui interrotta dal suono del mio cercapersone, quindi fui costretta a interrompere la conversazione su Arizona e corsi per i corridoi dell’ospedale, fino ad arrivare all’uscita ed aspettare l’ambulanza con il mio grave paziente. Passai il pomeriggio in sala operatoria, quando uscii erano le 8 di sera, non tardissimo come al solito,  così con la mia stanchezza addosso ritornai a casa. Ero triste e disorientata da quello sguardo e da quella donna che paragonai ad un’isola, sì, proprio ad un isola  luminosa e soleggiata, dalla sabbia dorata come i suoi capelli e circondata dall’oceano azzurro come i suoi occhi. Ed io ero stata un illusa a pensare per un attimo, che avrei potuto avere una possibilità con lei. Quando tornai a casa, la mia tristezza fu spazzata subito via da mia figlia, che come mi vide entrare, mi corse incontro saltando alle mie gambe e dicendo: “mamma!!! Oggi sei arrivata più presto! Mi sei mancata tantissimo. Sai, questa mattina sono stata con papà Makk e abbiamo giocato insieme, invece, pomeriggio  papà è dovuto andare a lavorare e la babysitter non è bella come te e non ha il tuo bellissimo sorriso, quindi sono stata calma fino ad ora che sei arrivata mammina. Ti voglio tanto bene”. Mi diede un grosso bacio e mi strinse forte, amavo la semplicità di mia figlia, lei era il mio tutto, era l’unica cosa che mi faceva restare in vita nonostante mi sentivo morta dentro, la amavo più di ogni altra cosa al mondo. Dopo aver parlato con Sofia della nostra giornata, andai in cucina a preparare una cenetta per noi due. Mangiammo e appena finimmo, mettemmo apposto. Sofia mi aiutò a sparecchiare, la adoravo quando cercava in tutti i modi di darsi da fare per farmi capire che lei era sempre disponibile per me nonostante fosse così piccola e ingenua. Ormai era abbastanza tardi, così la portai nel suo letto e lei mi chiese, come ogni sera, di raccontarle una delle mie storie modificate, quella sera scelsi cappuccetto rosso. Iniziai a raccontare: “tanto tempo fa c’era una bambina che veniva chiamata cappuccetto rosso, perché indossava sempre una mantellina con il cappuccio rosso. Un giorno decise di preparare tante cose buone per andare a trovare sua nonna e portargliele. Ma prima di uscire di casa, la mamma la avvisò dicendole  di non parlare con gli sconosciuti” fui fermata da Sofia che mi disse: ”mamma, pecché non poteva parlare con le persone?”
 “tesoro mio, devi sapere che non tutta la gente che si incontra per strada è gente buona, non si sa mai chi si può incontrare” le dissi in maniera seria per farle capire e lei mi rispose: “ mamma hai ragione, stamattina  per esempio, quando ero al parco con papà Makk, c’era un signore che sgridava forte un bambino, che aveva dato un calcio troppo forte al pallone e lo aveva colpito, io ho avuto paura e ho stretto forte forte le gambe di papà Makk e mi sono nascosta dietro di lui” disse tutto con il suo visino da cucciola che mi faceva sempre sciogliere il cuore. Così per rassicurarla le dissi: ”amore mio, quando sei con noi non devi  mai più avere paura, capito?” 
“ si si mamma, ora però per favore continua con la storia”. Annuii facendole un sorriso e ripresi: “Allora, ehm, dov’ero rimasta? Ah, giusto! Cappuccetto uscì di casa, per andare da sua nonna doveva attraversare il bosco, così  si incamminò per il sentiero con il suo cestino di cose buone. Più andava avanti e più tutto diventava buio, perché i folti rami e le foglie degli alberi, non facevano filtrare i raggi del sole. Ma cappuccetto non aveva per niente paura perché era una bambina coraggiosa e forte”. 
“come te mamma?”
 “ si si, proprio come me!” le sorrisi e continuai: “ cappuccetto stava quasi per arrivare dalla nonna, ma ad un tratto, da dietro un albero, sbucò un lupo! Alto come papà”. 
“mamma! papà Makk è un lupo?!?” disse un po’ terrorizzata e io  scoppiai a ridere, mia figlia era sempre così straordinaria! Non appena finii di ridere le dissi: “ma no piccola mia! Dico solo che il lupo era alto tanto quanto papà!”
 “capito mamma, scusa,   non ti interrompo più”
 “tranquilla tesoro mio” e ricominciai a raccontare: “il lupo le disse che aveva tanta fame e l’avrebbe mangiata ma cappuccetto rosso cercò di contrattare con lui dandogli il suo cestino pieno di cose buone. Il lupo ingoiò in un sol boccone il cestino e le disse che non bastava, quindi l’avrebbe mangiata ugualmente, ma cappuccetto rosso gli disse: ”ora basta! Se ti permetti a sfiorarmi ti metterò KO, perché sono cintura quasi nera di karate!” il lupo non la ascoltò e si gettò per prenderla, ma lei, con un salto straordinario, diede un calcio sul muso del lupo che cadde a terra perdendo i sensi. Così, la piccola cappuccetto rosso poté andare spensierata da sua nonna e vissero tutti felici e contenti”. 
Sofia prima di addormentarsi dopo la storia, mi abbracciò e mi disse: "mamma sei bravissima in tutto, le tue storie sono bellissime come te. Ti voglio tanto bene e buona notte, ricordati che se la notte ti senti troppo sola, puoi venire da me nel mio lettino, oppure puoi farmi venire nel tuo, così stiamo più comode". Le diedi un grosso bacio e le bagnai il viso con le mie lacrime: "amore se mi sentirò troppo sola verrò da te, sei la mia stellina luminosa, la cosa più importante al mondo che ho, anche io ti voglio un mondo intero di bene stellina mia! quando avrai bisogno la mia camera è a neanche 5 passi dalla tua e puoi venire a farmi compagnia quando vorrai o quando ne avrai bisogno. Dolce notte e con il mio bacio magico,farai sogni d'oro e incantati. La baciai sulla fronte e mi recai verso la mia camera. Quando entrai pensavo a mia figlia che era così meravigliosa, era il mio genietto. Nella mia camera la tristezza mi calò addosso, come la notte cala sul giorno e mi venne in mente il ricordo di quello sguardo, di quegli occhi, di quell'isola. Sapevo che era stupido pensarci, ma quella donna era lì nei miei pensieri che mi ossessionava e mi faceva male. Guardai il letto e la solitudine si impossessò di me così come la tristezza. Quel letto era così grande ma così vuoto, mi infilai e occupai un piccolo spazio. Avrei dovuto, come ogni sera, scaldarlo da sola. Il sonno a differenza della tristezza non voleva gettarmisi addosso e la sua immagine era lì impressa nella mia mente,  nei miei pensieri continuamente. Quella notte lei fu il  desiderio che mi cullò fino a farmi addormentare. La sognai ma il mattino dopo del sogno ricordai solo il suo viso.
 
Appena sveglia, mi alzai dal letto andando verso il bagno, avevo la faccia stanca e si vedeva che avevo pianto. Mi lavai il viso con acqua fredda per svegliarmi un po’, poi preparai la colazione e andai da Sofia che non appena si svegliò accettò di farsi portare sulle mie spalle come ogni mattina. Mangiammo e ci preparammo insieme, una volta pronte, la accompagnai al nido e poi mi recai a lavoro. Prima di entrare fissai la facciata dell'ospedale pensando a cosa avrei fatto quel giorno se l'avessi rivista, cosi prima di entrare, andai al bar vicino l'ospedale e presi un caffè, il secondo quella mattina. Entrai e andai negli spogliatoi dove mi tolsi il giubbotto di pelle nera e lo appesi nel mio armadietto, poi mi tolsi le scarpe coi tacchi, i pantaloni, la maglietta e mi misi la divisa blu da primario di chirurgia ortopedica, infilai il camice Bianco e poi attaccai alla tasca il mio cartellino. Infine infilai le scarpe da ginnastica. Ero pronta per un nuovo giorno di lavoro. Chiusi lo sportello dell'armadietto e mi incamminai per i corridoi dell'ospedale fino ad arrivare nel mio reparto. Di Arizona non c'era traccia e non la vidi neanche nei 4 giorni successivi, ma io nonostante non la vedessi mai,  continuavo ad essere cullata ogni sera dal desiderio di lei e mi svegliavo con in mente il suo sguardo. Al lavoro pregavo Dio che  potessi incontrarla e parlarci o anche poterla vedere per un millesimo di secondo. Ma erano 5 giorni e di lei non c'era la minima traccia forse perché era  impegnata tanto nel suo lavoro. Il sesto giorno mentre controllavo un mio paziente mi suonò il cerca persone perché stava arrivando un’urgenza. Corsi per i corridoi dell'immenso ospedale e arrivai fuori dove sbattei contro lo sguardo di quella donna che in ogni secondo di quella settimana avevo tanto desiderato di imbattermi.  Rimasi incantata alla vista della mia isola. Vederla  così vicina mi faceva sentire meglio, mi faceva sentire più viva e non mi era più difficile respirare.  "Piacere Arizona Robbins primario di chirurgia pediatrica, oggi lavoreremo insieme!" disse entusiasta sorridendomi e porgendomi la mano con quel suo magnifico sorriso che illuminava quella brutta giornata di Seattle. 
 "piacere Callie Torres primario di chirurgia ortopedica, sarà un piacere poter lavorare con lei"
 "anche per me sarà un piacere Calliope".
Calliope?! Calliope?!  No, non mi sbagliavo aveva detto proprio Calliope!! come sapeva il mio nome per intero? glielo avevano detto i miei amici?  oppure aveva chiesto informazioni su di me?  In quel momento furono mille le domande che mi passarono per la mente, poi pensai: “Basta Calliope! Basta!  Arizona è fidanzata e non pensa neanche lontanamente a te! È una cosa impossibile essere più che amica con lei! Finiscila di pensarci!” sembravo  una pazza che dice a se stessa di smetterla. Ecco cos'ero! una pazza!  che più tempo passava e più s'innamorava di quella donna straordinariamente straordinaria e stupenda . L'ambulanza arrivò e per fortuna mi fece distrarre. Il paziente era una ragazzina che era caduta mentre faceva una scalata in montagna con gli amici,  non aveva allacciato bene le funi di sicurezza, un piede le era scivolato e dopo pochi secondi si era ritrovata a terra. Per fortuna si trovava ad una altezza di pochi metri, altrimenti non sarebbe sopravvissuta. La portai d'urgenza in sala operatoria. Mentre le infermiere e l'anestesista la preparavano per l'operazione, io stavo lavandomi mani e braccia per rendermi sterile e indossare poi  camice, mascherina, guanti e cuffia. Ero pronta e restai in quella sala per molte ore. Come minimo aveva 50 ossa rotte, ma quando uscii ero fiera del lavoro e stanca dall'operazione, mi tolsi tutto. Mi trovai di fronte Arizona che mi disse una cosa che da molto tempo nessuno mi aveva detto più:  "ottimo lavoro Calliope!" le sorrisi e le dissi che avevo fatto solo del mio meglio. Potevo tornare a casa così la salutai e ritornai dalla mia stellina. Da quel giorno vidi Arizona più spesso. Era diventata la mia droga. Non riuscivo ad andare avanti tutto il giorno senza poterla vedere e più tempo passava più cercavo qualche pretesto per poterla vedere e parlarci. Ci conoscemmo un po’ meglio e diventammo amiche e io mi innamoravo di lei sempre di più.  Lei ogni giorno se ne andava con il suo ragazzo, una volta l'avevo pure vista che entrava in macchina, dava un bacio sulla guancia del suo ragazzo  e sparivano per le tante strade di Seattle. Tutto questo mi metteva tristezza e io la desideravo troppo.  Così, un giorno, la incontrai per i corridoi e mi disse: "Ehi Calliope! è da tanto che non parliamo! ti va se pranziamo insieme oggi?
"certo che mi va Arizona!” stavo per dirle che  dovevo andare, ma una forza invisibile mi fece agire diversamente, così le presi la mano e le dissi: “Arizona, seguimi per favore” e lei incuriosita mi venne dietro. Andammo dritte, poi girai a destra e poi di nuovo a destra e la trascinai nella stanzetta di guardia dicendole: “ciò che sto per fare è stupido, infantile, folle, ma io non resisto più e devo capire”. Le presi il viso fra le mie mani e la baciai. Non mi fermò anzi mi infilò le mani fra i capelli baciandomi anche lei insistentemente. Ero confusa, ma mi sentivo viva, respiravo, non ero morta, ero sana e salva sulla mia bellissima isola, circondata dell'oceano azzurro come i suoi occhi. Baciarla  era una sensazione di libertà, di salute, di felicità, ero innamorata di Arizona. Mi allontanai e sussurrai: “scusami tanto, davvero, scusami.  Lo so, è da folli, ma io dovevo capire, perdonami so che sei fidanzata, la cosa può restare tra noi, non ne faremo parola con nessuno.
"Calliope schh" mi mise un dito sulla bocca. 
"La prima volta che ci siamo conosciute mi hai detto che ti chiamavi Callie ma io ti ho chiamata Calliope. Dal primo giorno che i nostri sguardi si sono incontrati incidentalmente, non ho fatto altro che pensare a te e cercare informazioni su di te dai tuoi amici e ho curiosato nel tuo curriculum e nei tuoi fascicoli. Mark era mio complice, dal primo giorno che ti ho incontrata mi ha aiutata. Mi ha raccontato che tu hai chiesto informazioni di me, così ho pensato che avrei avuto una chance. Ho cercato di farti capire che ero interessata a te, ma sembrava che tu pensassi ad altro. Ah giusto! Dimenticavo di dirti che io non sono fidanzata! Il ragazzo con cui esco ogni sera, è mio fratello e sto cercando di passare il più tempo possibile con lui perché vuole arruolarsi nell'esercito. Gli occhi mi si inumidirono nel sentire quelle parole, poi cominciarono a sgorgare dei fiumi salati e cristallini dai miei occhi che non cessavano di scendere. Lei, dalla mia reazione, ebbe paura di aver detto qualcosa di sbagliato e mi chiese scusa, ma io le dissi: "non devi scusarti, tu mi hai salvata. Io ero morta dentro e ora qui con te mi sento viva, sento che il mio cuore è ripartito, tu sei la mia isola di salvezza, riesco a respirare e per la prima volta la felicità e il destino non mi stanno voltando le spalle! Quando sembrava che io pensassi ad altro era vero. Infatti io pensavo a come non pensare a te, perché il pensiero di te mi perseguitava giorno e notte , mi ossessionava e ti sognato, ti desideravo,  piangevo e pregavo che ti incontrassi". Non mi fece parlare un secondo di più che mi baciò. Quel bacio aveva il sapore salato delle mie lacrime e dell'amore che io provavo per lei. Da quel giorno ero sbocciata come una rosa. Ero più allegra e frizzante e questo rese mia figlia ancora più  contenta. Il rapporto con Arizona andava alla grande. 
 
Un giorno, decisi di raccontare ad Arizona l'ultima cosa di me che non sapeva. Sofia. La incontrai per i corridoi, era stanchissima, aveva appena finito di operare e mi feci seguire nella cameretta. Lì  iniziò a parlare lei: "Adoro i bambini, io li adoro. Ma un giorno non vorrei mai averne uno per nessuna ragione, per esempio oggi, un bambino stava morendo a causa dell'abbraccio della madre".  La fermai: "ma tu lo hai salvato! Gli hai salvato la vita e noi siamo entrambe medici!  
“si ma io non penso di volerne ugualmente.  posso accettare l'idea di un cane, di due cani, dei polli, ma i bambini? proprio no!"  Scoppiai a piangere la felicità mi stava voltando le spalle, come al solito ero destinata ad essere infelice. Tra un singhiozzo e l'altro le dissi: "Arizona ti ho portata qua, in questa stanza,  per raccontarti dell'ultima cosa che c'era da sapere su di me! La cosa più importante della mia vita,  a cui tengo più di qualunque altra cosa al mondo e che mi ha tenuto per ogni istante in vita fino ad ora. Io ho una figlia e si chiama Sofia e il padre è Mark ora come la mettiamo? corsi via piangendo. Le cose che sentii in quella stanza mi ferirono. Mi rifugiai in un altra stanzetta a sfogarmi da sola, come ero abituata a fare prima di Arizona. Piansi a lungo, poi dopo circa due ore, arrivò Arizona anche lei con le lacrime che le rigavano il viso e mi disse: "ti scongiuro perdonami!  Calliope, perdonami! Io quando apro bocca rovino tutto! parlo senza pensare, perché sono presa dalla rabbia e dalla paura e non bado a ciò che dico, ti prego! sì, ho detto che non avrei voluto figli, ma ho anche  detto che adoro i bambini e posso provarci se ci sei tu, posso affrontare qualsiasi cosa. Voglio conoscere Sofia che è la bambina più fortunata del mondo ad avere te come mamma, Calliope!  Io non riesco a immaginarmi un attimo a stare senza te. Se  ci sei tu potremmo avere 5 anzi 10 figli, perché sei una donna fantastica e con te, io posso affrontare le tempeste come un bravo marinaio. Se ci sei tu con me supereremo insieme qualsiasi cosa perché io ti amo Calliope! e saremo un ottima famiglia noi tre" continuando a piangere la baciai, poi le spiegai: “Sofia ha 3 anni e mezzo, tra poco ne compirà 4. È  una bambina intelligente che ama le persone felici e ama le persone che sanno regalarti un sorriso non appena incontrano il tuo sguardo, proprio per questo a lei non piace la sua babysitter perché dice che non è bella come me e non ha il mio sorriso. Sofia quando è felice dice che ha i fuochi d'artificio nel cuore e anche io ce li ho ogni volta che ti vedo o ti sono vicina. Ama giocare al dottore infatti la sua camera sembra una mini sala operatoria. Ama le storie modificate e ha la capacità di capire lo stato d'animo di una persona. Lei è stata la mia àncora di salvezza , la tempesta che spazzava via la mia tristezza ogni volta che tornavo da lavoro. Arizona fermami! Perché non finirei mai di parlare di lei, perché lei è tutto quello che ho, è la mia stellina. È mia figlia. Anche io ti amo Arizona e saremo un'ottima famiglia”. Mi baciò, 
quel bacio fu un esplosione di amore perché io l'amavo e lei amava me. La felicità non mi aveva voltato le spalle,  potevo continuare ad essere felice e insieme avremmo potuto essere un ottima famiglia.
 
Quel giorno avevo il pomeriggio libero e scelsi di passarlo con la mia stellina Sofia e per farla conoscere ad Arizona. In ospedale, la mattina, invitai Arizona a venire al parco con noi pomeriggio e lei accettò senza pensarci su. Dalla sua risposta capii che era felice e nello stesso tempo curiosa di poter conoscere mia figlia, la cosa mi fece piacere. Alle tre e mezzo ci incontrammo al parco Arizona era lì già da un bel pezzo. Quando vide Sofia restò a bocca aperta evidentemente la bellezza di mia figlia l'aveva colpita. Arizona si avvicinò e disse: "piacere!! mi chiamo Arizona e sono un chirurgo proprio come tua mamma!! Noi due siamo felici e tu sei davvero bellissima!!" disse tutto allegramente e con quel suo sorriso a dir poco magnifico stampato sul viso, poi le diede un bacio sulla guancia. Tutto  colpì naturalmente mia figlia, che modificò la sua espressione di sorpresa, in un'espressione eccessivamente felice. Da come conoscevo Sofia, potevo affermare che era stata catturata da Arizona. Intanto Arizona si era abbassata alla sua altezza e  Sofia le disse: "piacere io mi chiamo Sofia Sloan Torres e sono felice di conoscetti!! Sai, mi sono accorta che mamma è sempre contenta ora, mente prima, a volte, anche se sorrideva, aveva gli occhi un po’ tristi. Quindi sei tu la persona che in questo periodo ha fatto diventare mamma più felice e sorridente?!" esclamò tanto allegra. "Sofia credo proprio di si" disse sorridendole. 
"Grazie mille Arizona! Mi piace il tuo sorriso, sai?! Perché è come quello di mamma e sei bella come mamma e a me piacciono le persone che sorridono pecché sono luminose. E tu e mamma siete luminose".
"ma davvero?!? Grazie Sofia!" Mia figlia riusciva a fare entrare nel suo mondo fantastico chiunque, in quel momento Arizona era entrata e me ne accorgevo dal fatto che guardava la mia Sofia con allegria, leggerezza e stupore. 
"Posso abbracciarti?" le disse Sofia, 
"certo che puoi, piccola" Sofia la abbracciò stringendole forte il collo e senza mollare aggiunse: "mamma vieni anche tu, non stare lì a guardare! Questo è un abbraccio di gruppo!" Mi aggiunsi a quell'abbraccio, Arizona mi diede un bacio e Sofia disse: "ma allora voi non siete solo amiche mamma!  Voi siete fidanzate!!?" 
"tecnicamente non siamo fidanzate in maniera ufficiale, ma stiamo insieme da un bel po’" le dissi con cautela, perché non sapevo quale potesse essere la sua reazione nel scoprire che io stavo con un altra donna. “Pecché non mi hai detto niente prima mamma? Le persone quando si fidanzano possono essere donna e donna?” Sapevo che mi avrebbe chiesto quella cosa, perché scoprire cose nuove faceva parte del carattere di mia figlia, così prendendole la mano e dirigendoci tutte e tre verso una panchina le dissi: "amore mio, devi sapere che a volte capita che le  persone si innamorano di altre persone e questo capita a chiunque inaspettatamente e senza decidere. Capita e basta. In questo caso, è capitato a me e ad Arizona che siamo donna e donna. Dalla prima volta che ci siamo guardate negli occhi abbiamo capito che ci amavano e così, ora, siamo insieme e siamo felici e ci amiamo è una cosa difficile da capire tesoro mio.." Fui bloccata dalla manina di Sofia   che mi disse: "mamma, veramente, non è difficile da capire, perché voi due quando vi guardate diventate più luminose e belle, poi siete anche felici e sembra che avete i fuochi d'artificio nel cuore. Non è vero che avete i fuochi d'artificio nel cuore mamma?" 
"Sofia, si si entrambe ce li abbiamo ogni volta che ci guardiamo negli occhi" dissi con le lacrime che cominciavano a riempirmi gli occhi e che da un momento all'altro avrebbero iniziato a scendere. Mia figlia era qualcosa di inspiegabile e perfino Arizona aveva gli occhi molto lucidi, lei aveva aperto il cuore anche a mia figlia, lo capivo da come la guardava. Non la guardava come faceva con tutti i bambini che vedeva ogni giorno, ma la guardava con tenerezza e come se fosse un  qualcosa che le appartenesse, qualcosa che era già sua. Passammo tutto il pomeriggio insieme, Arizona e Sofia andavano davvero molto d'accordo e io guardandole ero felice, molto felice. Vedere che le mie splendide donne, nonché ragioni della mia vita, fossero con me, mi faceva sentire bene e viva.  Tutte e tre eravamo sulla nostra isola che era apparsa così all'improvviso come fosse un miraggio impossibile da raggiungere, mentre invece era lì vicino a me che aspettava che salissi per essere per sempre al sicuro. Sì, Arizona era stata sempre lì ad aspettarmi e ora tutte e tre eravamo insieme. Stava per diventare buio così tornammo a casa e Arizona fu costretta a venire con noi per le suppliche di Sofia. Mentre io preparavo la cena, Arizona disse a Sofia che doveva darle una cosa che aveva dimenticato di darle al parco. Dalla borsa estrasse una scatolina rettangolare, spessa e larga e aggiunse: “questa è una cosa a cui ho tenuto molto, è stata il mio portafortuna dalla prima volta che sono entrata nella sala operatoria e che mi ha accompagnata fino ad ora. Calliope mi ha detto che ami giocare al chirurgo e così ho pensato di regalarti la mia cuffia” Quel gesto fu stupendo. Arizona stava regalando a Sofia una cosa davvero importante per lei, le lacrime come al solito erano sempre pronte per uscire. Arizona e Sofia avevano quel potere di farmi piangere di gioia molto spesso, perché qualsiasi cosa facessero era sempre qualcosa di speciale. Sofia guardò ammirata prima il viso di Arizona, poi la cuffia, sulla quale c'erano disegnati dei cuoricini e disse con un’aria da adulta: “mi dispiace ma non voglio questa cuffia Arizona”
“ma come non la vuoi Sofia?” rispose Arizona con la sua faccia e i suoi occhioni da cucciolo triste. “Questa cuffia è il tuo portafortuna e poi come farai senza?” 
“io non ho più bisogno più della mia cuffia, perché ora il mio portafortuna siete voi” e ci guardò emozionata. La amavo, la guardavo e capivo che l'amavo tanto. Aveva conquistato un posto anche nel cuoricino di Sofia che accettò quel regalo e le diede un bacio. 
Cenammo, poi, dopo aver finito di mangiare e di rimettere a posto ci sedemmo sul divano, io a destra, Arizona a sinistra e Sofia al centro che teneva una mia mano e una mano di Arizona ben strette. Guardammo la serie tv preferita di Sofia, si trattava di un noto medical drama. Poi ci accorgemmo che Sofia stava dormendo e che io e Arizona stavamo stringendo le nostre mani non quelle di Sofia. Era un genio. Arizona volle portare Sofia a letto e glielo lasciai fare. Le mise il pigiamino e poi le rimboccò le coperte, le diede un bacio sulla fronte e tornò da me sul divano. La guardai negli occhi dicendole che è magnifica, poi la baciai. Il nostro bacio divenne sempre più intenso poi la portai con me nella mia camera dove ci gettammo sul letto, mi tolse i vestiti di dosso e io feci lo stesso con lei. Poi ci infilammo fra le coperte. Quella notte, per ovvi motivi, io e Arizona non dormimmo molto. Fu una notte memorabile e magnifica. I suoi baci che percorrevano il mio corpo, mi facevano sentire la persona più fortunata del mondo. Mi aveva catapultata in un mondo fantastico che somigliava alla sua isola. 
 
Il mattino dopo, quando ci svegliammo, Arizona mi supplicò di poter andare a svegliare Sofia e io accettai. Andai a spiarle da dietro la porta, mi faceva bene vederle insieme. Arizona, le si avvicinò e si chinò dandole un bacio sulla fronte: "sveglia principessina" sussurrò in una maniera tanto sublime. Sofia si strofinò gli occhietti e felice alla vista di Arizona, la abbracciò stretta  a tal punto da non farla respirare.
“Allora sei restata qui stanotte!! Io  ho fatto un sogno bellissimo!! c'eravamo io, te e mamma, eravamo al mare ed eravamo felici e tutto era così bello ma vederti qui vicino a me ora, è molto meglio di un sogno. Ma stanotte dove hai dormito?”
“Ho dormito nella camera di tua mamma, come mai questa domanda?”
“pecché così mamma non è stata sola, pecché la notte lei era triste, era sola e il letto è grande e io non voglio che mamma è triste, pecciò ho pensato se tu puoi stare per sempre qui con noi e dormire con mamma ogni notte, così non è più triste. Si può fare? Ti prego! Se vuoi vi fidanzo io così poi siete fidanzate e possiamo vivere per sempre insieme”.
“principessina tutto è possibile, ma dobbiamo chiedere cosa ne pensa anche la mamma”. Le sussurrò  qualcosa nell'orecchio per non farmi sentire e si alzarono per venire da me, così corsi e mi feci trovare in cucina intenta a preparare la colazione. Arizona l'aveva portata sulle spalle come facevo io ogni mattino, scommetto che Sofia glielo aveva chiesto. Si sedettero sugli sgabelli vicino a me e mi guardarono cucinare, poi Sofia come mi aspettavo, iniziò a parlare: “mamma, io e Arizona abbiamo parlato e abbiamo deciso se lei può restare per sempre qui con noi, così siamo tutte e tre felici e tu la notte non sarai mai più triste pecché poi ci sarà Arizona con te. Mamma si può fare?”
“ma certo piccola mia Arizona potrà venire a vivere per sempre con noi quando vorrà!!” dissi sorridendo.
“Allora già da oggi può portare le sue cose qua perché lei vuole. Ah mamma! oggi mi accompagna Arizona a scuola, per te va bene?  Abbiamo deciso di andare un pochino più presto pecché io e Arizona faremo un giretto per Seattle. Posso andare mammina?” Mi supplicò con i suoi occhioni da cucciola e le dissi che poteva andare, basta che sarebbe stata buona e non l'avrebbe fatta arrabbiare.  
“Ma certo mamma! Farò la buona, come sempre!” rispose eccitata. Uscirono di casa presto, io invece mi preparai per andare a lavoro. 
Arizona mi raggiunse a lavoro e mi disse che con Sofia avevano fatto un giretto e poi l'aveva accompagnata a scuola.  Era felice e io anche, perché non era vero che Arizona non voleva figli, lei aveva solo paura dell'idea di avere un figlio, ma quella paura non poteva restare di fronte a una bambina come Sofia, perché lei era speciale e Arizona lo aveva capito.
Fu una lunga mattinata e mi aspettava anche un pomeriggio ben impegnato, così, Arizona, si offrì di stare con Sofia al posto della babysitter visto che era libera. Le dissi che se non era un problema, poteva andare tranquillamente da lei e così fece. Arrivai a casa verso le otto e come aprii la porta Sofia mi corse incontro e io la presi al volo facendola roteare e poi la abbracciai forte. Mi disse che era stata la giornata più bella che avesse mai passato prima, che Arizona è bravissima e che io le ero mancata. Poi mi disse: “mamma, ti voglio tantissimo bene e di là c'è una sorpresa per te”. 
“anche io ti voglio moltissimo bene amore mio!!  Dai sono curiosa! corriamo a vedere!!”  esclamai contenta.  Arrivai nella sala da pranzo e vidi che avevano preparato la cena e la tavola, ed  era tutto perfetto poi Sofia mise due sedie al centro della stanza una di fronte all'altra e fece sedere me e Arizona. Io ero confusa ma Arizona aveva un'espressione compiaciuta quindi sapeva cosa stava per accadere. Vidi tornare Sofia con una scatolina, la aprì e dentro c'erano due anelli di argento, io rimasi sorpresa e con la bocca aperta mentre Arizona sorrideva e Sofia per poco non saltellava di gioia. Prese fra l'indice e il pollice il primo anello e rivolgendosi a me disse: “mamma, vuoi essere felice, far felice me e anche Arizona per sempe?”
“Certo che lo voglio stellina mia!” Esclamai con le lacrime agli occhi. 
“Allora io ti metto questo anello e sarai felice, renderai felice me e anche Arizona per sempre” e mi infilò l'anello sul quale c'era scritto “I love you”. Poi prese l'altro anello e voltandosi disse: “Arizona, vuoi anche tu essere felice e rendere me e mamma tanto felici? E posso chiamarti mamma?” pronunciò tutto con quel suo faccino supplichevole e con i suoi occhioni nocciola magnifici, a cui Arizona, che piangeva letteralmente, disse: “si, si Sofia! puoi chiamarmi mamma perché io ti considero mia figlia e voglio essere felice e rendervi felici perché ora voi due siete la mia vita, il mio portafortuna, la mia famiglia e vi amo tanto”. Sofia allora saltellando e quasi urlando di gioia disse: “mamma Calliope e mamma Arizona, da oora, grazie a me, siete fidanzate e resteremo insieme per sempe. Ora potete baciarvi”. Ci baciammo e quel bacio misto a lacrime mi ricordò i nostri primi baci. L'amavo e non c'erano parole adatte a esprimere il mio amore per lei, perché l'amore che ci univa andava oltre i limiti dell'immaginazione. Non finimmo neanche di baciarci, che Sofia si gettò su di noi ad abbracciarci. Non era resistita a guardarci senza far niente un momento di più perché anche lei ci amava e ci aveva fatto entrare nel suo piccolo cuoricino e nel suo magnifico mondo di immaginazione, fantasia e semplicità. La nostra famiglia si solidificò nel tempo sempre più e avevamo creato il nostro universo. 
Ero intenta a pulire la stanza con l'aspirapolvere e mi andò lo sguardo sull'anello che portavo al dito, quell'anello che Sofia ci aveva messo circa un mese fa con tanto amore. Arizona e Sofia, erano sul divano che stavano svolgendo una lezione di pronuncia. In pratica Arizona stava aiutando Sofia nel dire alcune parole, perché di solito Sofia  tendeva a non considerare  alcune consonanti come la "r" nei suoi pecché o nei suoi pecciò. Una volta finita la lezione di pronuncia, Arizona propose a Sofia di andare a prendere il libro per colorare insieme, ma Sofia le fece un'altra proposta, cioè quella di prendere la sua bambolina di pezza e operarla perché aveva male al pancino.  Sofia amava guardare Arizona nelle operazioni e farle da assistente nei vari interventi fatti di tagli, asportazioni di stoffa e suture sulla povera paziente di pezza. Così Arizona accettò la nuova opzione e Sofia scese dal divano per andare a prendere gli strumenti da lavoro. Mentre correva Sofia non si accorse del filo dell'aspirapolvere e cadde sbattendo contro uno spigolo. Io corsi, Arizona anche. Era caduta in avanti e quando la girammo aveva il viso pieno di sangue corsi nel bagno e presi un asciugamano, Arizona aveva Sofia che piangeva fra le sue mani e aveva lo sguardo assente sembrava guardasse Sofia ma in realtà guardava oltre, era rimasta scioccata, non reagiva, gli occhi pieni di lacrime che non scendevano e che erano un peso come il nodo che aveva in gola. Tamponai per vedere da dove uscisse il sangue poi vidi che vicino al labbro inferiore aveva un taglietto non preoccupante, il resto del sangue usciva dal nasino che all'impatto con il pavimento era scoppiato a sangue. Dopo qualche minuto tutto era passato, la visitai  per vedere se era tutto apposto gambe, mani,  piedi, braccia. Tutto era  ok ,non piangeva più. Il problema era Arizona, la feci alzare ma era assente cosi le presi le spalle fra le mie mani e la scossi per farla entrare di nuovo in sé.  
“Le avevo detto prendere la bambola di pezza ed è caduta”
“Arizona torna in te! Non è successo niente, Sofia sta bene!” le dissi. Ci volle un bel po’ ma poi tornò in sé, volle vedere cosa si era procurata dalla caduta e vedendo il taglietto disse a Sofia che sarebbe bastato metterci uno dei suoi cerottini magici. Ne prese uno con tanti cuoricini disegnati sopra e glielo mise.  Tutto era passato ma nel profondo del cuore di  Arizona era restata quella paura, quella paura di perdere le persone a cui tiene. 
“Arizona, ora sei diventata mamma come me e la paura, un po’ passerà, ma un po’ non passerà mai”.
 
Passarono 2 anni e noi eravamo una famiglia a tutti gli effetti, portata avanti da quell'amore che superava i limiti dell'immaginazione.
Mesi dopo vennero scelti gli strutturati dell'ospedale tra cui anche Arizona e Mark per un complicato intervento in un ospedale di Boise. Così Arizona e Mark in aeroporto ci salutarono e salirono sull'aereo. Ero in ospedale e mi arriva l'informazione che l'aereo che trasportava mia moglie e il mio migliore amico era precipitato. L'intero edificio dell'ospedale mi crollò addosso, in quel momento pensai al peggio. Iniziai a piangere sperando tanto che non fosse successo niente a nessuno. Quello che scoprii fu orribile. Ad Arizona era uscito un osso della gamba sinistra. Mark aveva un trauma emorragico al petto, ma per fortuna, grazie a Cristina, Meredith e Derek era in vita perché gli avevano praticato un'operazione chirurgica con gli strumenti che avevano trovato fra le macerie. Lexie, la povera Lexie, era morta. L'unica donna che il mio migliore amico Mark aveva amato veramente era morta. In quel momento stavo male, davvero male, tremavo e piangendo e nonostante cercassi di pensare al meglio per tutti, provavo paura, quella paura che ti assale e non riesci a sconfiggere.  In quel momento non riuscivo a lottare contro quella paura, cercavo di pensare che tutto si sarebbe sistemato, ma il pensiero che padroneggiava la mia mente  faceva esattamente il contrario. Le mie gambe tremavano e io ero seduta e stavo facendomi uccidere da quella paura insopportabile.
Mancava poco e sarebbero arrivati. Aspettavo con paura e ansia che portassero i miei amici e la mia Arizona al Seattle Grace questo dannato ospedale della morte misericordiosa in cui a morire o a finire sotto i ferri eravamo noi, medici stessi di quest'ospedale. Pensai all'incidente che feci 2 anni e mezzo fa con Addison, la mia ex fidanzata, in cui persi quasi la vita, toccai la ferita che avevo al petto riuscendo a riassaporare il sapore del dolore ma anche della forza di volontà nell'andare avanti e riprendermi per Sofia.
 
Vidi arrivare l'elicottero che trasportava i feriti più gravi, Arizona e Mark. Corsi, Arizona era distrutta, Mark non era cosciente e io piangevo, tremavo, le mie gambe non ce la facevano a reggermi. Andai da Arizona la baciai e le dissi che tutto si sarebbe sistemato e che mi sarei presa cura di lei, la baciai senza sapere se tutto quello che avevo fatto o detto fosse stato recepito perché era assente e distrutta. Poi corsi da Mark che si era svegliato e gli dissi che ce l'avrebbe fatta perché lui era forte e niente poteva spezzarlo lui a stento e in un sussurro mi disse: "C.. Callie ti ho.. v.. voluto bene come una sorella.. sei stata  il mio p.. punto di forza..  mi hai reso felice regalandomi la gioia della mia vita S.. Sofia.. te ne sarò grato in eterno.. Ma la mia ragione di vivere, la per.. persona che ho amato veramente in vita mia è morta sotto i miei occhi.  A Sofia dille che sarò il suo angelo custode lei capirà” lo fermai: “Mark non devi dire queste cose! mi dispiace tantissimo per Lexie, ma tu guarirai e supererai tutto!" Piangevo. Non riuscivo a convincere nemmeno me stessa con le mie parole, ma cosa volevo fare?!? Mark era morto dal momento in cui  la vita della piccola grey era scivolata via da sotto i suoi occhi, io piangevo e Mark mi accarezzò prima che  venisse portato urgentemente nell'ospedale insieme ad Arizona. Per Mark non ci fu più nulla da fare ero lì a tenergli la mano e vederlo andarsene via mentre i bip della macchina rallentavano fino ad arrivare al suono ininterrotto che tanto  odiavo, la fine. Era morto, il mio migliore amico era morto, non riuscivo a lasciargli la mano. Ora aveva raggiunto il suo amore e io lo tenevo stretto come per immaginare che fosse ancora lì, con me, con Sofia. 
Piansi molto e pensavo a mia figlia che a soli sei anni avrebbe saputo che il papà che tanto amava non ci sarebbe stato più, lasciando solo i  ricordi e pezzi di vita fatti di foto e video su cui ogni volta avremmo buttato giù lacrime di dolore.  Ancora non sapevo come dirglielo,  avrei spezzato il suo cuoricino e avevo paura. Sarebbe stato il suo angelo custode, questo era quello che Mark voleva che dicessi a Sofia e lei avrebbe capito, continuavo a ripetere questa frase nella mia mente.
 Intanto Arizona non poteva essere operata da me, ma aveva voluto che io decidessi sul da farsi. 
Ora era sotto medicine da due giorni e non c'erano risultati. Sapevo che l'unica possibilità era una. Stavo male. Mi sentivo la persona più sfortunata della terra, il mio migliore amico era morto e mia moglie poteva perdere una gamba, continuavo a ripetermi che su quell'aereo dovevo esserci io, non loro. 
 
Mia moglie mi supplicò di non farle perdere la gamba e io lo promisi, perché avrei fatto il mio meglio anche se sapevo che era difficile ma avrei provato a mantenere quella promessa con la forza.
Arizona era andata  n arresto, non restava  altro che farle amputare la gamba. Non c'era altra soluzione, o la vita, o la gamba. Quella era la cosa più brutta del mondo. Dover dare il consenso per far tagliare la gamba della propria moglie. Si, dico moglie perché io mi sentivo sua moglie e in quel momento avevo spezzato la promessa che avevo lottato tanto per mantenere. 
Mia figlia era a casa con la babysitter che non le piaceva, ma era l'unica persona disponibile che conoscevo bene. Era  ancora all'oscuro di tutto e stavolta erano due le brutte notizie da darle. Stavo piangendo seduta sulla sedia vicino al letto di Arizona, tenendole la mano nell'attesa che si svegliasse.
La sua reazione, al risveglio, fu dolorosa per entrambe.
 
Non aveva più la gamba. Piangeva e mi urlava contro che era stata tutta colpa mia se non avrebbe più potuto vivere la sua vita normalmente mentre io potevo fare ancora tutto. Piangeva perché non avrebbe più potuto giocare al parco con Sofia, non avrebbe potuto più fare il suo lavoro. Arizona si era spezzata. E io stavo male per le sue parole, stavo male per il dolore che provava in quel momento e mi sentivo anche io senza una gamba, perché capivo e provavo il dolore di Arizona e la sua sofferenza. 
Quando Arizona si addormentò dopo avermi urlato contro per un bel pezzo, andai a casa, Sofia meritava di sapere. 
Aprii la porta e Sofia mi corse incontro felice dicendomi che era stata triste perché ero mancata per tre giorni che a lei erano sembrati un'eternità e mi domandò il perché di tutto quel tempo. 
“amore mio in questi giorni sono successe cose brutte. Ti ricordi che papà e Arizona avevano preso l'aereo?”  dissi iniziando a piangere. “si mamma cosa è successo?” disse allarmata. 
“l'aereo è precipitato e papà e Arizona sono restati feriti. 
Li hanno portati all'ospedale abbiamo fatto il nostro meglio ma.. m.. ma papà non.. non  ce l'ha fatta..” scoppiò a piangere, l'abbracciai per rassicurarla mentre anche io piangevo. 
“prima di andarsene ha parlato di te, ha detto che resterai la gioia della sua vita in eterno e mi ha detto di dirti che da ora avrai un angelo custode”. Continuavo a piangere e mi accorsi che Sofia si tranquillizzò e  si asciugò le lacrime dicendomi: “mamma, tempo fa papà mi ha raccontato un racconto in cui si parlava di un bambino che aveva perso i suoi genitori e mi aveva spiegato che loro erano diventati i suoi angeli custodi. Gli angeli  sono degli esseri speciali che stanno sempre accanto  alle persona che vogliono bene, anche se sono invisibili le proteggono in ogni situazione.  Ora papà è il nostro angelo custode e anche se noi non lo vediamo ora ci sta abbracciando e sta dicendo che il nostro comportamento è stupido, non dobbiamo piangere perché lui non ci ha lasciate, è qui. Di lui ci mancherà tutto, ma quando siamo tristi perché ci manca vederlo, dobbiamo pensare che in quel momento è vicino a noi che ci accarezza”.
La strinsi a me piangendo per quelle parole, aveva solo sei anni e cercava di tranquillizzare me. Le dissi che aveva ragione e la baciai sulla fronte. 
Dovevo darle la seconda brutta notizia.
“Amore c'è un altra cosa che devo dirti...”
“mamma Arizona!?!? cosa le è successo mamma?”
“nell'incidente ha avuto problemi alla gamba sinistra, stava per morire e l'unica cosa che poteva salvarla era amputarle la gamba”.
“nooo mamma!!! mamma Arizona nooo!!  Non  potrò più giocare con lei, non potrà più camminare!!" avevo trascinato con me anche Sofia.  Ora anche lei era stata aggredita da quella tristezza e da quella paura che si erano impossessate di me. La mia famiglia unita era distrutta e la causa ero io, solamente io, avevo rovinato la vita alle persone più importanti per me e le stavo trascinando nel buio insieme a me. 
 
Era passato un mese e Arizona come ogni singolo giorno era lì in quella camera a guardare oltre la finestra, oltre l'universo, oltre l'immaginazione, mentre io non riuscivo più a sopravvivere perché era tutta colpa mia e basta. Mia figlia andava a trovarla spesso nella sua camera per parlare e giocare con lei, ma Sofia aveva capito che quell'entusiasmo che le dimostrava non era reale perché i suoi occhi e il suo sorriso non avevano più quella scintilla di vita e felicità di una volta.  Andavo da lei spesso, le portavo del mangiare, l'aiutavo, facevo di tutto, ma lei non mi rivolgeva più la parola da quando aveva scoperto di non avere più la gamba.  Non mi guardava più negli occhi. Era distrutta. Le ultime  parole che avevo sentito da lei erano quelle che mi aveva detto in ospedale “per colpa tua non potrò mai più vivere come prima!”. Continuavo a sentirle in ogni istante e ogni volta erano una pugnalata al cuore che lasciava sempre di più ferite profonde e aperte che sarebbero state difficili da guarire. 
Iniziai ad accompagnarla a fare fisioterapia. Ogni volta era dura e la capivo perché anche io c'era passata. Non riusciva a usare la protesi ma ogni giorno faceva qualcosa in più che era importante per me. Ora parlava con me ogni tanto ma mi trattava male e mi feriva ogni volta. Non era più la mia Arizona. La mia isola era ormai lontana e stava diventando un miraggio e io non volevo che accadesse.
 
Così, un giorno, stanca di dover stare male, andai in camera sua piuttosto arrabbiata ma nello stesso tempo con tutto il dolore che avevo immagazzinato dentro e le dissi: “Arizona sono stanca! È tutta colpa mia se non hai più la gamba, ma è grazie a me se sei ancora viva. Stai cambiando a tal punto da non riconoscerti.  Mark è morto, il mio migliore amico e papà di Sofia non c'è più! E io lotto contro tutto questo dolore ogni giorno, contro la tua indifferenza ogni istante, con il tuo dolore da quando ho saputo dell'incidente e tutto da sola non ho più Mark su cui confidarmi. Su quel dannato aereo dovevo esserci io, cavolo!" mi avvicinai a lei mostrandole prima la cicatrice alla testa, poi mi tolsi la maglia e le mostrai quella sul petto "questi non sono segni così! io quasi tre anni fa stavo morendo, ho avuto un sacco di interventi poi mi sono rimboccata le mani e ho lottato facendo terapia ogni giorno per rieducare il mio cervello.  Ho lottato come sempre da sola perché la mia ex fidanzata se n'era andata via. Mi aveva abbandonata senza minimamente voltarsi indietro ma ho lottato con tutte le mie forze per Sofia. Ero morta dentro, poi ho incontrato te,  e ho iniziato a vivere di nuovo.
Non è facile, ma ti chiedo solo se puoi lottare per me. Ti prego lotta per me!  Se mi ami fallo e se ami Sofia non deludere anche lei. Io mi sento di nuovo morta non riesco a respirare. Io ti amo Arizona e sento che ti sto perdendo, ti scongiuro non voglio che questo accada”. Piangevo perché stavo male. Ero piegata su di lei e piangevo. Ad un tratto mi accorsi che Arizona si mosse, prese la mia faccia fra le sue mani e mi baciò. “Scu.. scusami Calliope pensavo di provare odio verso di te in questo periodo, ma.. ma io non posso odiarti perché ti amo e tutto quello che provo è amore!” Acqua salata scendeva giù dai suoi occhi, erano lacrime cristalline piene di vita.
“Calliope noi due siamo nella stessa lacrima, come un sole e una stella, siamo luce che cade dagli occhi, non puoi sentirti morta perché queste sono lacrime di vita”. Mi baciò nuovamente, quel bacio aveva il retrogusto di quell'amore che mi mancava poter assaporare e il sapore delle nostre lacrime di vita.
Tutto da quel momento cambiò, Arizona riprese a camminare dopo molte sedute di terapia che affrontammo a testa alta e insieme, io non l’avrei abbandonata. Ora con la protesi riusciva di nuovo a fare quello che faceva prima, aveva ripreso il lavoro, giocava con Sofia, uscivamo insieme mentre nei primi mesi era sempre a letto a guardare il mondo dalla finestra. Sofia aveva ritrovato la scintilla nei suoi occhi, Arizona le voleva bene e mia figlia non avrebbe sopportato anche  la sua mancanza. Tutto si sistemò eravamo più affiatate di prima. La mia isola luminosa era stata sempre lì, bisognava solo che aprissi gli occhi.

Fatemi sapere cosa ne pensate. Ci tengo <3
  
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