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Autore: TerrytheCaptain    13/12/2012    0 recensioni
Costretta ad abbandonare i miei cari, tutto per salvarmi la vita. E quando pensavo che non sarei più riuscita a godermi il mondo fuori da quelle quattro mura bianche, è lì che ricominciai a vivere.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Mi ricordo ancora dei prati verdi e dei ciliegi in fiore della mia città. La mia città.. la mia vecchia e amata città. E’ tanto tempo che non ci torno, chissà se il panificio sotto casa continua ad infornare torte alle sei del mattino e l’odore di quelle buonissime crostate si diffonde ancora per tutto il quartiere. Chissà se i bambini continuano a giocare nel parco, se le giostrine sono ancora lì, se il venditore di hot dog è ancora lì, se Tom è ancora lì. Tom era un pastore tedesco che viveva nella stazione, era stato abbandonato ed adottato dalla comunità che se ne prendeva cura, e lui quel giorno c’era. Lui è testimone come me, solo che lui non è stato rinchiuso per fortuna. Quel giorno, rimarrà impresso nella mia mente per tutta la vita..
20 Marzo 1999, Rouge Evenue Street, New York.
Amo restare sotto i ciliegi in fiore a leggere.  Resto qui ore ed ore, è il mio passatempo preferito.
Quel pomeriggio del 20 Marzo, accadde però qualcosa di inaspettato che mi sconvolse la vita.
Dio non ci credo, una ciambella al cioccolato. Come può una ragazza di vent’otto anni dimenticarsi il sapore del cioccolato? Eppure quasi non lo ricordavo. Non ricordavo la sua dolcezza, non ricordavo quanto potesse tirarti su. La mia città non è più la stessa, sono passati solo sei anni, eppure non sembra neanche la mia amata New York. Ora la tecnologia ha invaso ogni angolo, non che prima non lo facesse.. ma non in maniera così eclatante. La panetteria ha chiuso, al suo posto un Apple store. Che brutta fine stiamo facendo.. ma sono grata a dio per trovarmi qui, ora.
Quel giorno alla stazione c’era un via vai di gente insolito. Come ogni mattina, da quattro mesi a quella parte mi stavo recando a lavoro, in una tintoria. Abbandonare gli studi? Una pessima idea dato che mi ritrovo a lavare e stirare camicie ogni santissimo giorno. Salutai Tom, con una carezza, lasciandogli un po’ della brioche che stavo mangiucchiando con poca voglia. Era nervoso, insolito per lui.. era estremamente docile, tranquillo. Quella mattina però, anche lui sentiva che qualcosa non andava.
Ho scoperto che Tom è morto. Non ci posso ancora credere, quel cagnolone era un amico per me, mi faceva compagnia tutte le mattine. Dovrò abituarmi a tutti questi cambiamenti..
Sono di fronte a quella che un tempo era casa mia. Non riesco neanche ad infilare la chiave all’interno della serratura, mi tremano le mani. Ho paura. Paura del loro giudizio, anche se questa è la mia famiglia. Decido di bussare. Viene ad apre mia madre che quasi in lacrime
“Amore mio!” dice singhiozzando
“Mamma” rispondo io, quasi il lacrime
“Ci sei mancata così tanto, avanti entra..” entrai in quella casa, del quale avevo quasi perso il ricordo, venendo investita da una valanga di sensazioni: felicità, commozione, paura.
Non riuscì a trattenere più le lacrime quando sbirciando in cucina vidi mio fratello. Il ragazzino di 17 anni che avevo lasciato solo, ora era un ometto ed era cresciuto senza di me. Mi sento così in colpa per questo, ma so che in fondo la colpa non è mia..
Un rumore. Così potente da farmi voltare. “Se solo non mi fossi voltata..”
Lo abbracciai e lo strinsi a me, era così tanto che non lo vedevo. Le mie lacrime bagnarono il suo bellissimo maglioncino color biscotto e lui subito mi ammonì.
“Ei, non hai nemmeno idea di quanto io abbia pagato questo maglioncino, sarai tu a ricomprarmelo se si rovina!” disse per smorzare l’imbarazzo che provava. E’ sempre stato così, non si lascia mai andare a carezze od abbracci, lui deve fare il duro, non può mostrarsi “debole” agli occhi degli altri. Non mi aspettavo che lui ricambiasse il mio abbraccio, invece mi stupì. Era cresciuto davvero.
“Mi sei mancata davvero tanto sorellina..” mi sussurrò all’orecchio stringendomi così forte da farmi male. Avevamo così tanto da recuperare.
“Questa è Marie..” mi disse indicando una ragazza bionda alle sue spalle con un sorriso dolce e confortante  e occhi color del miele. “La mia ragazza” aggiunse poi.
“Piacere Marie, sono Bea.” Le tesi la mano e lei ricambiò la stretta con sicurezza. “Da quanto tempo state insieme?” “Quattro anni” rispose mio fratello. Dio quante cose mi sono persa.. pensai. La mia casa rimaneva accogliente, ma il grigio e vecchio divano che avevamo in soggiorno era stato rimpiazzato da un nuovissimo e bellissimo divano di pelle nera. Mia madre aveva qualche ruga in più e mio fratello un barbone spaventoso. “Te lo devo comprare io un rasoio?” scherzai. “Non ti piace la barba?” “ASSOLUTAMENTE NO.” Scoppiammo a ridere. Dio la sua risata, quanto mi mancava. Stavo facendo un enorme sforzo per non piangere ancora. Quella era la mia famiglia, e non ci avrebbero mai più separato. Mai più.
Mi voltai e vidi un uomo sbarrare gli occhi e poi cadere a terra in una pozza di sangue. Mi bruciava la gola, stavo per piangere ma non feci in tempo.
“Sai che ci sposiamo?” disse d’un fiato Rick visibilmente sollevato dalla confessione. “Quando?” chiesi entusiasta. “Due settimane.. aspettavamo te.” A quell’affermazione le lacrime minacciarono di tornare ma mandai tutto giù e regalai loro il mio più bel sorriso, sorriso che non tiravo fuori da sei lunghissimi anni.
La gente correva spaventata in lungo e in largo, Tom accanto a me abbaiava come un pazzo ed io rimasi pietrificata a guardare quell’uomo, più che altro ragazzo, dai capelli ramati e gli occhi verdi porre fine definitivamente alla vita di quel povero giovane già moribondo a terra. Quando l’assassino incrociò il suo sguardo con il mio, qualcosa dentro me si ruppe.
“Papà sarà presente?” chiesi con audacia. “Non lo so, è un po’ che non si fa vivo, spero di si.” Rispose mio fratello, un sorriso amaro aleggiava sulle sue labbra. Nostro padre ci aveva lasciati, sei anni fa, la nostra famiglia era troppo per lui. Non poteva rovinarsi la carriera per via della sua famiglia imperfetta, doveva costruirsene una doppiamente perfetta per far capire al mondo che nobile uomo fosse. E’ così ha fatto. Ora vive in Colorado con sua moglie Anne e i suoi figli Jim e Cathrinne di sette e dieci anni. Loro sono la famiglia perfetta. Non lo vedo da allora.
L’uomo si avvicinò a me e mi tirò per un braccio, mi colpì alla testa e io caddi svenuta. Al mio risveglio ero legata in un furgone, e stavo morendo di paura. Lo sentii parlare con una donna..
“Lei mi ha visto, dobbiamo sbarazzarcene!” la donna fece un verso d’approvazione e le lacrime cominciarono a rigarmi le guancie. Dal quel poco che avevo capito, doveva essere un regolamento di conti, tra due famiglie mafiose, ed io la solita fessa sempre in mezzo.
“Questo ti sta benissimo!” urlò Kate, la mia storica amica che non mi aveva mai abbandonato, l’unica. “Dici?” Quel vestito color verde smeraldo non era adatto a me. O non ero più io adatta a dei vestiti, era così tanto che non ne indossavo uno. Non ero più abituata all’aria condizionata delle boutique, alle commesse invadenti e alle valanghe di vestiti. Stavo tornando a vivere, e non potevo stare meglio.
Un ragazzo biondo, con gli occhi scuri si avvicinò a me e mi sussurrò “L’unico modo per salvarti, è facendoti credere pazza.” Sbarrai gli occhi. Io non ne sarei mai stata capace. “Proverò a convincerli.. sei bella e sei giovane, ma soprattutto sfortunata.. proverò ad aiutarti, fidati di me.” Quel ragazzo forse era un angelo, fatto sta che riuscì a convincere i suoi “colleghi” che mi liberarono. Pochi giorni dopo fui chiamata al processo, dove fu dichiarata la mia infermità mentale.
Non ci credo, sarò la testimone al matrimonio di mio fratello, che si sposa tra due giorni. Ho ripreso a vivere da poco, ed è vero che ti accorgi di quello che possiedi solo quando lo perdi. A me è successo esattamente questo. Sei anni in un ospedale psichiatrico, tra i pazzi, mentre io sana di mente, non potevo far altro che stare zitta per non essere scoperta. Solo ora, solo oggi posso essere di nuovo me stessa. Ho rischiato la mia sanità mentale tante volte.. chi sta insieme allo zoppo, comincia a zoppicare insomma..
Quelle pareti così bianche, le mie giornate tutte uguali. Stavo impazzendo davvero. Non c’era mai una conversazione civile, con nessuno. Solo pazzi che urlavano in lungo e in largo. I primi 3 anni di reclusione, nella struttura di Stockford, li ho passati tra donne pazze omicide e vecchie che vedevano i fantasmi. Gli ultimi anni invece, li ho passati in un centro riabilitativo in mezzo ad altre ragazze “come me”.
Il 30 Gennaio del 2005, la cosca mafiosa che mi aveva costretto a quella vita era stata sterminata. Un bel giorno azzardai, e cominciai a raccontare la mia storia ad una delle donne che ci assistevano che non fece altro che assecondarmi, riputandomi ancora pazza. Ci ho messo quasi sei mesi per far capire loro la mia non-pazzia. Il 4 luglio 2005 fui rilasciata, dal centro riabilitativo di Saint-Moriz, e fui dichiarata cerebralmente sana, capace di intendere e di volere.
La mia famiglia è rimasta sconvolta dal mio racconto, segnata dal dolore che mi porto ancora nel cuore e che mai potrò dimenticare. Rinchiusa come una pazza, trattata come una pazza, considerata una pazza. Senza sapere nulla di me o della mia vita. Tutto per non morire..
Marie è bellissima con quel vestito color avorio con la scollatura a cuore e l’ampia gonna. E’ accompagnata all’altare da suo padre il signor John, e sua madre invece è già in lacrime seduta in prima fila. Guardo mio fratello, visibilmente teso, che le sorride e quasi si commuove, lui nel suo smoking nero che fa invece commuovere me. Sento qualcuno bisbigliare alle mie spalle “Ma quella è la pazza?” “Sapevo che era uscita dal manicomio, ma non pensavo fosse qui!” “Speriamo non faccia nulla per rovinare la festa del fratello..” A quelle parole mi sentii mancare, sapevo sarebbe stata dura, ma non così dura. Tutta la forza che avevo avuto i questi anni per restare lucida nonostante tutto era svanita oltrepassando l’uscita del centro. Perché mi ero abituata a ciò che accadeva lì dentro, non era altro che semplice monotonia. Non ero più abituata alla cattiveria del mondo. I pazzi non sono cattivi, e forse questo molte persone non lo sanno. Ingoiai tutta la tristezza, insieme a tutto il groppo che avevo in gola per dedicarmi solo a mio fratello e al suo grande giorno. Mia madre era bellissima: un vestito di raso bordeaux e un cappellino dello stesso colore, la rendevano ancora più bella di quanto non fosse. Mio padre, dall’altra parte della sala con la sua famiglia sembrava “l’uomo del mulino bianco” loro sembravano “la famiglia del mulino bianco”. E’ questo quello che ha sempre cercato, e l’ha ottenuto. La sua carriera politica va a gonfie vele poiché nessun figlio scapestrato o figlia pazza o moglie gelosa ne intralciavano il cammino. Il testimone di Marie era un uomo sulla trentina, bruno con gli occhi azzurri. Ascoltai la messa in silenzio e quando fu il mio momento mi avvicinai al registro e firmai, subito seguita da quel misterioso uomo.
“Auguri! Auguri!” urlavano tutti e io non trattenni più le lacrime e corsi ad abbracciarli. Erano meravigliosi ed io ero al settimo cielo. Quell’uomo dai capelli scuri si avvicinò a me e mi tese la mano “Piacere, sono Paul tu sei la testimone di Rick, la..” A quel “la” il mio cuore si fermò. “Non dire la pazza ti prego..” pensavo in silenzio. Non avrei retto ancora. “La.. sorella, sei sua sorella e la sua testimone giusto?” chiese sorridendomi, e il mio cuore gli sorrise di rimando. Non la pazza, ma la sorella. Solo Dio sa quanto fossi felice in quel momento. Annuii e dissi “Piacere Bea.” Stringendogli la mano. Presi coraggio e continuai la conversazione chiedendogli “Sei un amico di Marie?” “Si, è come se fosse mia sorella, ci conosciamo da dieci anni! Che fai nella vita?” Che faccio nella vita? Come gli spiego la situazione (che sono appena uscita da un manicomio e che non ho né un lavoro né tantomeno un titolo di studio) senza farlo fuggire? Mi rabbuiai e credo che lui se ne accorse “Scusa, non volevo essere inopportuno, meglio che vada. Ciao Bea.” “Ciao..” dissi flebilmente. Mi ero giocata la mia occasione.
I novelli sposi erano ormai in viaggio di nozze da quasi una settimana e io dovevo cominciare a darmi da fare.. insomma a trovarmi un impiego. Ma chi assumerebbe mai un’ex pazza? Mi riuscirò a togliere mai quest’etichetta da dosso? Non lo so, e questo mi fa paura. Sento bussare il campanello, dev’essere mia madre che torna da lavoro. Io continuo a sfogliare il giornale cercando un lavoro decente.
“Hai sentito Marie?” sento parlare mia madre. “Oh si, si stanno divertendo tantissimo i novelli sposi” disse una voce familiare ridacchiando. “Amore, non hai trovato nulla?” mi chiese mia madre con un tono dispiaciuto. “No mamma.” Risposi secca e amareggiata. “Cosa stai cercando?” Alzai gli occhi. Paul. Paul con uno scatolone pieno di cose in mano. Appoggia la scatola a terra e mi sorride. “E-ehm..” Parla mia madre per me. (Grazie a Dio) “Sta cercando lavoro..” disse “Che licenza hai?” “Ho il diploma del liceo..” dissi, vergognandomi di non aver continuato gli studi. “Non puoi aiutarla tu Paul?” chiese INOPPORTUNAMENTE mia madre. “No ma non c’è bi..” “Effettivamente –mi interruppe- avrei bisogno di una segretaria, almeno per il momento dato che Ivonne sta per entrare in maternità.” “Ne sarò capace?” chiesi incerta. Ma è proprio sicuro di voler assumermi? Una “segretaria pazza”.. già mi vedo il titolo sul giornale locale. “Si, tranquilla, non ti affiderò compiti difficili..” mi disse con un sorriso smagliante che lascerebbe imbambolata ogni donna. “Dove?” chiesi “E’ un impresa edile, noi ci occupiamo della parte amministrativa, avrai parecchie scartoffie da sistemare..” disse coinvolgendomi nella sua risata cristallina. E se non sapesse del mio passato? “Vi lascio discutere tra di voi, sono questioni di lavoro!” Annunciò mia madre lasciandoci soli. “Ascolta Paul.. –cominciai- Non che la tua offerta non sia allettante, anzi è grandiosa ma credo che tu non sappia la considerazione che la gente ha di me..” “Bea, ascoltami. Io e Marie siamo davvero molto amici.. lei mi ha parlato di te, so del tuo passato, e sappi che non penso che sei una pazza..” alla parola pazza sussultai ed abbassai gli occhi, Dio quanto odiavo quell’etichetta. “Ei –disse poggiando una mano sulla mia spalla- credimi, so tutto. Accetta il lavoro Bea. Ti prego..” I miei occhi incontrarono i suoi e la sua espressione preoccupata e mi si strinse il cuore. Mi limitai ad annuire e lui parve sollevarsi. “Cominci da domani, nove in punto al mio ufficio. Lasciami il tuo numero di telefono così ti invio strada e numero civico, e per qualsiasi cosa hai come contattarmi..” mi passò il suo Blackberry e io vi digitai il mio numero. “Perfetto, a domani Bea.” “Ciao, e grazie, grazie davvero Paul..” Mi sorrise e se ne andò. Andai così a cercare mia madre. “Cucciola allora?” chiese speranzosa. “HO UN LAVORO!” dissi esultando. “Quel Paul è un ragazzo d’oro! Stasera festeggiamo!” annunciò fiera. Il mio telefono, se così si può definire un Nokia modello preistoria, vibrò e quindi lo tirai fuori dalla tasca: Paul.
-        Questo è il mio numero, per qualsiasi cosa contattami pure. L’ufficio si trova a 2 kilometri da casa tua. Nell’angolo tra la seconda e la terza strada di via Apollonia. Piano 8, interno 2. Ufficio del dottor Inler, che sarei io. Passa una buona serata. Paul J
-        Va bene, ci vediamo domani alle 9 in punto. Grazie ancora e buona serata anche a te. Bea.
Quell’uomo che si era catapultato nella mia già troppo incasinata e complicata mi stava salvando dal baratro. Grazie al cielo.
Indosso un jeans scuro, una camicia bianca ed una giacca nera con decolleté e borsa abbinati. Non so mia madre come si trovasse nell’armadio tutte queste cose, ma credo che aspettasse con ansia il mio ritorno. Glie ne sono molto grata. Sono un po’ (molto) in ansia..
Arrivata davanti al grande palazzo tintinnai un po’ prima di entrare ed recarmi nell’ufficio. Arrivata a piano terra un receptionist mi chiese “Posso aiutarla?” “Ehm.. si sono la nuova segretaria..” “Si il dottore ci aveva avvertiti del suo arrivo, l’ascensore è in fondo alla sala, piano 8 interno 2. Buona giornata.” Mi sorrise cordialmente, ricambiai. Chiusa in ascensore cominciai ad agitarmi sempre più. Insomma non lavoravo da così tanto tempo, e non sapevo neanche se ne sarei stata all’altezza. Le porte dell’ascensore si aprirono e trovai una bionda (tinta) ad accogliermi che con finto garbo mi chiese “Signorina Balbis, sono la signorina Smith, l’annuncio subito al dottore.” Entrai e mi posizionai cercando di dare meno fastidio possibile. Ero circondata da uomini in giacca e cravatta e donne in tailleur. “Abbigliamento sbagliato.. Cominciamo bene!” pensai. “Prego, da questa parte.” Mi indicò la porta da cui era appena uscita. Entrai senza esitare. Trovai Paul seduto alla scrivania intento a chiacchierare con una donna di cui riuscivo a vedere solo la schiena poiché seduta di fronte a lui. Quando mi vide alzandosi e venendomi incontro disse “Bea, prego accomodati. Sasha questa è Bea, la mia nuova assistente. Ha poca esperienza ma sono sicuro che imparerà tutto il necessario.” Anche la donna si alzò e si voltò verso di me. Quasi rimasi ammaliata dalla sua bellezza. Capelli corvini ed occhi verde smeraldo. Seno prosperoso e vita perfetta fasciati a pennello da un tubino nero. “Salve” mi disse “B-Buongiorno.. Paul scusa, vorrei avere delle indicazioni precise su che cosa consiste il mio lavoro..” “Come? Paul..? Lui qui è il dottor INLER.. non permetterti mai più signorinella, non hai il giusto grado per poter chiamare il dottore per nome, ed io sono la signorina Cosman, chiaro? ” Disse la corvina con disprezzo. Mi spiazzò, non mi aspettavo una reazione del genere. “Ce-certo, mi scusi dottore.” Dissi con soggezione. “Avanti Sasha è il suo primo giorno, non diventare Hitler!” disse lui mentre lei mi guardava con disprezzo. “Ti accompagno avanti..” mi disse lei. Annuii e “Arrivederci dottore..” dissi. “Ciao Paul..” disse lei scandendo bene il suo nome. “Sarà dura..” pensai.. e non mi sbagliavo.
La signorina Cosman o “Sasha” era odiosa, mi trattava come neanche l’ultimo dei cani. Tornai a casa distrutta quella sera. Il mio telefono vibrò:
-        Allora? Com’è andato il primo giorno? Paul J
-        Non male, grazie ancora per la possibilità che mi stai dando..
-        Ma?
-        Ma cosa?
-        Avanti, puoi parlarne con me fuori dall’ufficio non sono più il tuo capo, sono solo Paul.
-        La “signorina” Cosman è insopportabile.
-        Ahahahahah lo sapevo.
-        Cosa ridi?
-        Rido perché hai ragione, ma ti tocca sopportarla. E vai a dormire che è tardi e domani ti voglio attiva e puntuale ! Buonanotte. Paul J
-        Bel conforto. Sono già a letto. Buonanotte dottor.. ehm.. Paul.
Spensi il cellulare e mi accovacciai sotto le coperte.
Il mattino seguente alle 9 in punto ero in ufficio. Mi posizionai alla mia scrivania e cominciai a guardarmi intorno per capire da dove cominciare. Un post-it diceva “Cartellina rosa, riordinare in ordine alfabetico.” Aprii la cartellina e ben 250 fogli aspettavano di essere riordinati, che gioia! Cominciai quando la mia attenzione si spostò all’ascensore che si stava aprendo e da cui uscirono Sasha..ehm LA SIGNORIMA COSMAN e Paul.. insieme. “Chissà in che tipo di rapporti sono.” “Buongiorno Bea” Buongiorno mister sorriso dell’anno.. “Buongiorno dottor Inler.” risposi sorridendo. “Salve..” Miss cornacchia all’azione. “Buongiorno signorina..” “Ei ciao!” sentii una voce alle mie spalle chiamarmi. Una bellissima ragazza acqua e sapone mi aveva appena rivolto la parola. Qualcuno socievole allora esiste?! “Ciao!” “Ciao sono Isa tu devi essere la nuova assistente del dottor Inler vero?” “Si sono io, piacere Bea.” “Piacere mio! Allora come ti trovi?” “Bene, molto bene.” “Hai avuto già a che fare con Hitler in gonnella?” “Purtroppo si..” dissi ridacchiando, e lei con me. “Ormai tutto l’ufficio ha capito che lei è cotta di Paul, e ogni essere di sesso femminile è un potenziale nemico, quindi ci tratta malissimo, fattene una ragione.. non cambierà!” Ah.. ecco ora si spiega tutto! “E lui?” mi pentii subito di aver fatto quella domanda ma.. “Insomma lui è un bell’uomo, intelligente, spiritoso, ha un ottimo lavoro, lei altrettanto. Tutti li vogliono insieme, ma non credo che lui sia interessato.. Tu invece? Cel’hai un ragazzo?” mi chiese “No.. tu?” “Oh si, Matt, l’amore delle mia vita! Ci conosciamo da 4 anni e..” cominciò a raccontare vita, morte e miracoli del suo amato ma la mia mente vagava altrove. Era in quell’ufficio, dentro quelle quattro mura dove quella cornacchia e il mio uomo d’affari stavano discutendo.
Il lavoro procedeva bene, e se prima pensavo di essermi presa una piccola cotta per il mio datore di lavoro ora, non solo ne ero sicura ma ero consapevole di essere cotta a puntino. Cito le parole di Isa: Insomma lui è un bell’uomo, intelligente, spiritoso, ha un ottimo lavoro. Viene a lavoro sempre col sorriso sulle labbra ed è molto gentile con tutte noi. Ogni tanto ci scambiamo anche qualche sms, nulla di importante purtroppo. Stavo per lasciare il mio ufficio quando.. “Bea!” mi voltai “Aspetta, ce ne andiamo insieme.. hai l’auto?” “No.. ma non ho bisogno di un passaggio, mi fa bene fare quattro passi!” “Siamo invitati a cena da tuo fratello, possiamo andarci insieme.” “A cena?” “Non hai letto il messaggio di tuo fratello?” “Il mio cellulare è scarico..” dissi in imbarazzo. Lui cliccò qualche tasto sul suo Blackberry e poi me lo mostrò. “Paul, Bea. Messaggio comune. Stasera a cena a casa nostra per inaugurarla! Non vogliamo risposte negative ! Marie e Rick.” 
“Mio fratello e sua moglie sono tornati da poco dal viaggio di nozze, chissà se hanno già pensato di allargare la famiglia..”  pensai seduta nell’Audi di Paul che sfrecciava tra le strade di New York con la pioggia che batteva sul parabrezza.
“Come ti trovi da noi?” interruppe Paul il silenzio. “Bene, molto bene! Pian piano sto imparando come funziona lì in ufficio.. era un bel po’ che non lavoravo..” ammisi. “Mi fa piacere, per qualunque problema sai che puoi rivolgerti a me.. Sarò comunque il dottor Inler, ma non sono così intransigente come Sasha..” disse ridacchiando. “Che rapporto avete voi due?” dissi, dando voce ai miei pensieri. “Bhe, siamo colleghi.. perché?” “Siamo arrivati, ci staranno aspettando!” dissi scendendo di corsa dalla macchina appena parcheggiata evitando di rispondere a quell’improponibile domanda.
“Fratellino hai fatto la barba?!” “Visto? Meglio ora?” “Indubbiamente!” ci abbracciammo e poi raggiunsi Marie in cucina mentre Paul e mio fratello si salutavano sul pianerottolo. “Hey Marie! Hai un’ottima cera, come stai?” “Benissimo, sono una moglie in carriera e non potrei stare meglio! Tu? So che lavori da Paul! Sono felicissima che lui ti abbia offerto quel lavoro, la sua è un’azienda seria e tu sei una ragazza seria, lui è un ragazzo serio!” Disse come se il trinomio Paul-azienda-Bea fosse nato per stare insieme. “Il lavoro è stupendo e non so ancora come ringraziarlo, è stato estremamente gentile da parte sua. Inizialmente non ero per nulla capace ma ora ci sto prendendo la mano..” dissi sorridente.
Ci sedemmo a tavola e cenammo, parlando del più e del meno. “E tu, quand’è che ti sposi?” Mi prese in giro quello stronzo di mio fratello. “Ah-ah” gli feci il verso. “Cosa c’è, il tuo ragazzo non crede nel matrimonio?” mi chiese Paul voltandosi verso di me e incastrando i suoi occhi azzurri nei miei. Ero imbambolata davanti a quell’uomo: dolce, premuroso, bello come il sole, ottimo partito, ma ne aveva difetti? “Lei non ha un ragazzo..” rispose sornione mio fratello “Non hai un ragazzo?” chiese visibilmente sorpreso Paul. Mi limitai a scuotere il capo in segno di dissenso mentre le guancie mi andavano a fuoco e le gambe tremavano.
L’uomo più bello e interessante del mondo è seduto al mio fianco, stiamo cenando ma ho lo stomaco chiuso. Quanti cambiamenti in così poco tempo. La mia vita non aveva più senso da sei anni. Era monotona, spenta, vuota. Ed ora? Ora ho mia madre accanto, mio fratello e sua moglie, ho un lavoro che mi piace (Cornacchia tralasciando..) e mi sono innamorata. Non mi innamoravo da Rob, il mio ragazzo del liceo. Siamo stati insieme per tre anni, poi mi ha tradita con una bionda tutte tette e niente cervello solo perché non volevo “concedermi” in quel senso. Bel porco.
Ultimamente sono stanchissima alla sera, sarà perché non sono più abituata ad essere così attiva durante il giorno.. amo infilarmi sotto le coperte al caldo e prima di cadere definitivamente nel sonno più profondo controllo il cellulare : 1 messaggio.
-        Cucciola come stai? Questo weekend sei mia, D-I-S-C-O ! Kate. :*
-        I’t all right babe! :*
Weekend in discoteca, non male. Da “giovane” amavo ballare, ne sono entusiasta !
*telefono che vibra*
-        Pensavi che Sasha fosse la mia ragazza? P.
Occristo. Perché se ne esce con queste cose a quest’ora? Cosa rispondo?!
-        Insomma, tutto l’ufficio mi ha confermato che è pazza di te..
-        Tutto l’ufficio? Ahahah e cosa pensando del “noi”?
-        Che stareste bene insieme..
-        Mi dispiace per loro ma lei è troppo simile a me, mi dispiace anche per lei perché svolge il suo lavoro in maniera impeccabile ma se si aspetta da me qualcosa in più, si sbaglia.
-        Mi dispiace per lei..
-        Davvero? Haaha
-        Ehm.. No. Hahahah
-        Non ti facevo così cattiva!
-        Cattiva io? Ma se stiamo parlando di Sasha chiamatemiSignoraCosmansenomigiranosonounacornacchia Cosman!
-        Dovremmo uscire una di queste sere, sei molto divertente Bea! J
-        Si.. perché no J Buonanotte!
 
La giornata in ufficio sembrava procedere nel migliore dei modi. Avevo terminato di compilare tutte le carte che il dott.. ehm Paul mi aveva affidavo e stavo andando (fieramente) a riportargliele. Bussai ed aprii d’impulso la porta. “Paul questi sono i documenti che mi avevi..” Sasha. Sasha seduta sulla sua scrivania a gambe aperte. Lui, lui nel mezzo. Lei gli toccava il torace, gli sfiorava le labbra. Rimasi a bocca aperta e i fogli  mi caddero di mano. Mi abbassai immediatamente a raccoglierli ed uscì di corsa senza proferire parola. Sentii chiamarmi in lontananza ma forse mi sbagliai. Posai tutte le cose sulla scrivania e presi la borsa. Fuggii via da quel posto ancora incapace di reagire a ciò che avevo visto. Un misto di amarezza, tristezza, delusione si fece largo in me. “Grazie a Dio è sabato, ho un po’ di tempo per attutire il colpo..” pensai ormai in lacrime.
Sembravo una battona. Tacchi a spillo neri, vestitino nero che arrivava poco sopra al ginocchio e rossetto infuocato sulle labbra Non mi sentivo così donna dal periodo da “diciottenne” pieno di feste.
“Non ti sembrerà un po’ esagerato Kate?” le chiesi con non poca insistenza. “Ti ho detto che stai benissimo e che non sembri una zoccola, sei solo una strafiga, sciallati bella!” Occristo ma come parla?! “Sciallati bella?” chiesi perplessa alzando un sopracciglio “Devo aggiornarti anche su questo? Dio mio aiutaci tu!” Ci infilammo in macchina e ci recammo al locale il Gun, abbastanza famoso da queste parti. C’erano divanetti color porpora e una grande pista illuminata da tantissime luci, la macchina del fumo il dj e il bar per i cocktail. Insomma era un locale “alla moda”. “Prendi amore!” disse Kate porgendomi un bicchiere “Cos’è?” “Butta giù che è buono!” Feci come mi disse, era un mix alcolico delizioso e mentre io sorseggiavo il mio drink la sala si riempiva sempre più.
 
Mi gira la testa e mi viene da vomitare. Apro gli occhi ma di scatto li richiudo: troppa luce. Ho la vista annebbiata ma sono certa che questa non sia camera mia. Le pareti sono azzurre e mi trovo avvolta dalle coperte di un letto matrimoniale. Decisamente non è la mia camera, tantomeno casa mia. Vorrei alzarmi ma sono troppo debole, cerco di recuperare qualche ricordo di ieri sera..
Masse di ragazzi che si strusciano, questo è il Gun alle 2 di notte. Ho bevuto non so quanti drink ed esco fuori a prendere una boccata d’aria.
Un vago odore di pancakes mi invade le narici, cerco di capire che ore sono e vedo dall’orologio appeso alla parete che sono le 10, le 10 del mattino.
Mi appoggio al muro alle mie spalle, c’è buio, prendo il cellulare. Sta per piovere.
-        Dobbiamo parlare, rispondimi ti prego. Paul
 leggo. Parlare.. lui vuole parlare?! Rido. La mia è una risata amara e nervosa.
-        Non mi devi spiegazioni e poi scusa starei cercando di divertirmi.
Vedo la borsa di Kate appoggiata alla sedia di fronte al letto. C’è lei con me, menomale!
*vibra il telefono*
E’ lui. Cosa diamine vuole?
-        Si?  Dissi acida.
-        Stai bene? Forse era preoccupato.
-        Non sono di certo affari tuoi e comunque si!
-        Ascoltami io devo spiegarti.. aspetta ma sei ubriaca?
-        Ahahahahahahah risi di gusto.
-        Dove sei?
-        A ballare. Cosa credi che facciano le 28enni di sabato sera?
-        Dove?
-        Non.sono.cazzi.tuoi. cià.
Attaccai con poco garbo, ma che andasse al diavolo!
Riesco finalmente ad alzarmi, mi guardo allo specchio. Ho delle orribili occhiaie sotto gli occhi e sono coperta da un pigiama blu di flanella. Esco dalla porta ed attraverso il lungo corridoio, raggiungendo la fonte dell’ottimo odore di pancakes. Entro in  cucina e vedo di spalle un ragazzo che cucina. E’ lui. E’ Paul. Ora ricordo..
Tornai a ballare, avevo perso Kate ma poco m’importava, mi sarei trovata degli “amici” con cui passare la serata. Cominciai a strusciarmi in modo poco casto vicino ad un gruppo di ragazzi ma venni presa per un braccio e trascinata fuori dal locale. Mi voltai e “Che diamine vuoi?” “Sei ubriaca marcia, Cristo!” “Ma a te cosa importa? E poi come cavolo mi hai trovata?” “Non ci voleva un genio per capire dove fossi!” “Come mai sei qui a rompere i coglioni a me? Hai già finito di scoparti quella troietta stamattina?” “Non mi sono scopato nessuna, smettila! Ora torniamo a casa!” “Lasciami! Chi sei tu per riportarmi a casa?” “L’unico sano di mente a quanto vedo!” a quelle parole sbarrai gli occhi e le lacrime cominciarono ad inondarmi le guancie, i singhiozzi mi scuotevano interamente. No, non poteva averlo detto, non poteva averlo pensato. No, non lui.. non lui che non aveva mai dato importanza a questa storia, lui che conosceva la mia storia, che sapeva com’ero fatta veramente. Mi voltai pronta a scappare ma lui mi afferrò per un braccio e mi tirò a se, stringendomi forte al petto. “Ti prego, ti prego non piangere.. Scusami, scusami, scusami io non intendevo.. io non volevo.. ti prego..” Lo strinsi forte a me, tutto sommato lo meritavo, e m’inebriai del suo profumo. “Ascoltami –mi disse ancora mentre ero tra le sue braccia- non penso questo di te, lo sai. E con Sasha non è successo niente, se tu non fossi entrata ad interromperci l’avrei interrotta io, è stata così intraprendente e io non me lo aspettavo.. mi ha solo colto di sorpresa. Non ho fatto niente con lei e niente ci voglio fare, ti prego credimi.” A quelle parole il mio cuore si rasserenò e m’addormentai tra le sue braccia.
“Buongiorno Bea..” mi disse sorridendomi. “B-buongiorno..” “Mal di testa?” Annuii debolmente. “Mangia qualcosa, poi prendi questa.. è un’aspirina.” “Grazie.. e scusami per il fastidio..” “Tranquilla. Dopo che ti sei addormentata ho preferito portarti qui da me che lasciarti a casa da tua madre.. insomma..” Vuole dire che ero troppo sballata, bene. “Grazie.” Mangiai tutto quello che mi ritrovai nel piatto, mi alzai e mi recai in camera da letto per cambiarmi senza nemmeno guardarlo negli occhi. Troppa era la vergogna. Tornata in camera mi accorsi di avere sotto il pigiama ancora il mio vestito così me lo sfilai e lo ripiegai sul letto. Lui bussò alla porta. “Avanti!” “Meglio ora?” “Si, grazie.. senti.. mi vergogno a morte per quello che è successo ieri sera, non uscivo da tanto e mi sono lasciata andare un po’ troppo..” “Devi stare attenta la prossima volta, qualcuno avrebbe potuto approfittare del tuo stato non sobrio per farti del male.” Vidi di nuovo la borsa di Kate così gli chiesi “Ma Kate, la mia amica è qui? Perché lì c’è la sua borsa..” “No, mi dispiace, questa l’ho trovata vicino al tuo cappotto, pensavo fosse tua..”
 
“Ci vieni stasera alla festa?” “Isa di quale festa parli?” “Della festa in onore di Paul! E’ stato promosso!” “Non ne sapevo niente..” “Ci credo! Sabato ti sei volatilizzata!” Ehm..
La festa è davvero bella. Ci troviamo in una pizzeria adibita a discoteca e ci stiamo divertendo molto, anche se non ho avuto ancora il piacere di parlare col festeggiato.
“Sono contento che sei venuto, passata la sbornia?” disse ridacchiando “Sono passati due giorni! Ci mancherebbe! Comunque complimenti, complimenti davvero!” “Ti va di fare due passi?” “Certo.” L’ansia mi attanagliava lo stomaco, eravamo soli a passeggiare poco lontano dal locale, lui bellissimo: giacca e pantalone neri, camicia bianca ed una cravatta appena allentata anch’essa nera. Io in un semplice tubino color pesca. “Mi dispiace lasciare l’ufficio sai?” COSA?! “D-devi lasciare l’ufficio?” chiesi stupita. “Si. Mi hanno trasferito.” “D-dove?” “Ohio.” “O-Ohio? E’ così..così.. lontano.” Dissi fissandomii piedi e continuando a camminare. “Lo so.” “E’ un addio quindi?” “No.. tornerò in visita qualche volta, tengo molto a tuo fratello, a Marie.. a te.” Sorrisi lievemente prima che qualche lacrima cominciò a cadere dai miei occhi. “Credevi che non l’avessi capito? Non piangere ti prego..” disse voltandomi verso di sé e baciandomi. “Non c’è un futuro per noi, vero?..” sussurrai in lacrime. “No.. purtroppo no.”
 

Heeeeello :) Questa storia è nata di getto, non mi ricordo neanche come xD
Perdonate se magari alcune scene non sono descritte dettagliatamente ma purtroppo il tempo a mia disposizione per scrivere
è davvero poco.. spero vi piaccia..
Mi lascereste una recensione con i vostri pensieri? *.*
Mi farebbe molto piacere !
Un bacio, Teresa. :)

  
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