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Autore: Ria    01/07/2007    4 recensioni
[...] Perché io, non l’ho mai detto a nessuno, ma… Io non ho mai, nemmeno per un istante, dimenticato… Non merito assoluzione.
Una storia un pò diversa, per capire che a soffrire non sono solo i "buoni", la storia vista con gli occhi del "cattivo", che avrà anche lui da dire la sua verità. E mostrare il suo cuore.
Prima Spin-Off sulla mia FanFic "Psaico", leggete e recensite mi raccomando ^o^
Introduzione modificata per doppio tag br.
Charlie_2702, assistente admin
Genere: Malinconico, Mistero, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*---- Dieci anni prima

 

Dopo secoli di silenzio, al vostra Ria è tornata XD!

A dir la verità avevo nascosto in un angolino dell’Hard Disk questo (e altri…? Chi lo sa ^o^!) chappy da quando “Psaico” è finita, ma non sono mai stata convinta di pubblicarla; poi, tra l’ultimo anno di superiori (sto facendo l’esameee! Aiuto!), fanfic da completare, idee nuove per cui non ho tempo… E’ rimasta sepolta. Poi, qualche giorno fa, l’ho ritrovata e, con alcune modifiche, ho deciso di metterla sul sito XD! (Oh no! ndTakao – Poveri noi ç__ç… ndKei – Tacete un po’ che manco ci siete!).

Non credo che questa fic sarà strutturata come i “Diaries” (che pubblico or ora cn Jolly mask ^^… More mioooo ^^! – E tanto fa pubblicità ndKei), ma pubblicherò come varie fanfic… Vabbè, nn sono molto comprensibile, ma poi vedrete ^^!

Questa prima ficcy è dedicata ad Alfa, che negli ultimi chappy ha avuto un piccolo risollevamento di popolarità… Sono tutte cose che avrei voluto scrivere nella fanfic originale, ma così com’era non ho potuto ç___ç… (A proposito… Su questo forum, delle mie piccole Bozs Arashi e Paine ^-^, sto pubblicando la 2° vers di “Psaico” – nn me la sentivo di cancellare la 1° su EFP, in fondo è stata importante! Se piacerà, però, forse la pubblicherò anche qui). Grazie all’aiutino di Hitoshi – che si risolleva da essere inutile XD – scopriamo molti segreti che ci faranno capire di più…

In due cap, i segreti del cuore dello Sciacallo XD!

A voi, e buona lettura ^^ (e soprattutto tanti commi ^-^+!)

 

 

Dove mi trovo? Dove sono?

Questo posto…

Ma com’è possibile?!

Io… Non posso stare qui…

Quella luce… Cos’è?

Voglio… Uscire…

 

- Voglio uscire…

Mormorando, Alfa socchiuse gli occhi, tendendo la mano verso l’alto, come mentre stava sognando; sbattè le palpebre due o tre volte, confuso, cercando di ricordare dove fosse.

“E’ successo di nuovo…”.

Si mise a sedere, lo sguardo ancora un po’ annebbiato dal sonno e dalla pallida luce dell’alba che aveva fissato per lunghi istanti, da sotto i rami verdi di quell’albero, e cercò di prendere lucidità, respirando a fondo l’aria fresca e profumata d’erba.

Da quando gli Psaico si erano sciolti erano già trascorsi sei mesi; lui, solo e senza una mèta, aveva vagato in lungo ed in largo per tutto il Giappone, arrivando fino alla regione di Aomori, su, nel Nord, e poi viaggiando per nave, per quasi tutte le isole, senza mai fermarsi, un giorno qui e quello dopo a chilometri di distanza, finchè si era ritrovato a girovagare a caso, senza neanche sapere dove fosse, proprio come in quel momento.

E, a suo parere, era giusto così.

Non aveva uno scopo, nessun posto dove tornare e nessuno a cui fare riferimento, e questo per lo più proprio per colpa sua; perciò, secondo lui, quella era l’unica cosa buona che poteva fare: aveva deciso che si sarebbe fermato solo una volta trovata la sua strada. Quella giusta, questa volta.

Ma da ormai due mesi le cose si erano complicate. I pochi soldi che aveva, piccolo patrimonio dato da Kuroi ai suoi ragazzi per poter alloggiare anche per lungo tempo in determinati posti dove erano stati inviati, erano quasi esauriti, a tal punto che erano già cinque giorni che dormiva all’addiaccio; inoltre, cosa che lo infastidiva parecchio, continuava ad avere lo stesso sogno: un posto buio e freddo, nel quale stava seduto, immobile, senza capire perché vi fosse arrivato, e da dove fissava, imperterrito e sognante, una piccola e calda lucina, senza raggiungerla.

Sta cominciando a seccarmi ora… – pensò, scompigliandosi i capelli – Ogni notte con questa rottura di scatole è insopportabile!”.

Un sordo borbottio del suo stomaco gli fece dimenticare il pensiero del sogno.

Sospirò, era decisamente l’ora che si trovasse un alloggio, ormai aveva anche finito le provviste.

- E un’altra notte a dormire su un prato mi procurerà un raffreddore cronico… Che ne dici, Sciacallo?

Così dicendo estrasse il suo bey e lo stemma brillò un istante, come ad annuire.

- Bene. – s’incoraggiò Alfa, sbattendosi i pantaloni per pulirli un pò – Cerchiamoci qualcosa da mettere sotto i denti.

 

*________________

 

- Molto bene, ragazzi! E adesso… LANCIO!

All’ordine di Hitoshi, cinque ragazzini tirarono il nastro dei loro caricatori, lanciando i beyblade attraverso un intricato percorso ad ostacoli dove cominciarono a zigzagare veloci e con movimenti fluidi.

- Cerca di mantenere di più il controllo, Kensuke. Yoshiro, sta attento, il bey sterza troppo duramente…

Infatti, dopo neanche un secondo, il bey di quello che sembrava il più piccino dei ragazzini sbandò, finendo a gambe all’aria nella sabbia, con un raschiare sordo.

- OH NO! – esclamò il piccolo, deluso, raccogliendolo amorevolmente; Hitoshi sospirò:

- Lo sapevo… - si avvicinò al ragazzino, mettendogli una mano sulla testa – Tendi sempre a precedere o a stare dietro di un tempo al ritmo del beyblade, cerca di concentrarti di più; la curva riesci a prenderla tranquillamente anche se sterzi dolcemente.

- Ok… - mormorò il bimbo, un po’ deluso.

Il ragazzo sorrise paterno: decisamente, quel lavoro era più duro di quanto immaginasse, ma lo amava comunque; era stata dura, per lui, dover abbandonare quel posto e i suoi ragazzi, sei mesi prima, per quasi due mesi, ma il suo fratellino e gli altri avevano avuto bisogno di lui per la faccenda “Psaico”… Più o meno.

In effetti la mia utilità si è limitata a ben poco…”.

Rise un istante tra sé, pensando alla faccia di Takao se lo avesse sentito chiamarlo “fratellino”!

“Chissà come staranno lui ed il nonno… - pensò, dando una pacca sulla spalla ad Yoshiro, che tornò ad allenarsi – E’ un po’ che non li sento… “. E chissà quando li avrebbe rivisti, considerando che, oltre a quella sede in Giappone, istruiva altri ragazzini anche all’estero.

In quel momento Hitoshi alzò gli occhi, notando qualcuno nel boschetto dietro le spalle di uno dei bambini; anche gli altri si girarono, incuriositi.

- Mi scusi – disse un ragazzo coi vestiti decisamente malconci – sa se in giro c’è una piccola pensione o qualcosa di simile dove posso alloggiare? – si passò una mano sulla fronte, parlando a voce bassa – Avrei decisamente bisogno di stendermi.

- No, mi dispiace, qui attorno non c’è niente. – rispose il giapponese Lo scrutò incuriosito asciugarsi la fronte madida., sembrava avesse camminato per giorni.

- Tzs… - sospirò l’altro, sistemandosi il cappuccio della felpa – Oggi non è giorn… UH!

Con uno scossone, il ragazzo si accasciò, sostenendosi a malapena all’albero.

- EHI! – Hitoshi, seguito a ruota dai ragazzi, incuriositi, si avvicinò allo strano tipo – Cos’hai?! Tutto a posto?!

- Insomma… - biascicò lui, ironico – Diciamo che sono un po’ stanchino. UHM?!

- Oh… - Hitoshi lo fissò in faccia, incupendosi un po’; l’altro lo guardò torvo – Ma tu sei…

 

Seduto su una sedia di legno tinta di bianco, Alfa fissava quel ragazzo, Hitoshi Kinomiya, con diffidenza. Gli ci mancava Come se quella giornata non fosse già cominciata malissimo!

Quando si era avvicinato a quel residance, nella speranza che qualcuno gli indicasse un alloggio, non aveva neanche lontanamente pensato di trovare il fratello maggiore di quel Takao.

Takao Kinomiya… Nonostante gli obbiettivi che si era posto, il pensiero di quel dannato impiccione lo faceva infuriare ancora dopo sei mesi.

- Tieni. – disse Hitoshi, posando una tazza cilindrica di fronte a lui – Un tè caldo. Non ti riempirà lo stomaco, ma eviterà di farti cadere svenuto dalla fame prima di pranzo.

Il moretto fissò la tazza, arcigno: da quant’era che non beveva del tè fatto in casa! Ma, istintivamente, non si fidava; girò la testa dall’altra parte, senza fiatare.

- Mica l’ho avvelenato! – ridacchiò Hitoshi, guadagnandosi apertamente l’odio di Alfa. Sempre sorridendo si sedette accanto a quest’ultimo, che non lo degnò di uno sguardo.

- Perché mi hai invitato ad entrare? – chiese il brunetto, dopo alcuni minuti di silenzio – Non ti ricordi chi sono?

- Me lo ricordo benissimo. – rispose l’altro, cominciando a sorseggiare il suo tè – Solamente, mi sembravi in difficoltà. Perciò ti ho aiutato.

Alfa lo guardò, senza mutare espressione.

- Io non sono come mio fratello. – concluse, piatto.

- Capisco… Sei stupido e ti fidi di chi ha cercato di spedirti all’altro mondo? – domandò pungente.

- I ragazzi hanno un debito di gratitudine nei tuoi confronti, - continuò Hitoshi con assoluta noncuranza - perciò mi sembra inutile portarti rancore.

- Tsz… Non voglio gratitudine, non mi serve. – rispose secco il moretto – Men che meno della loro.

Hitoshi annuì, ridendo sotto i baffi. Prese un altro sorso di tè,  gustandoselo lentamente nel silenzio più totale; alla fine, sospirando, si alzò:

- Puoi fermarti, se e quanto vuoi. – disse ad Alfa, che non battè ciglio – Io devo tornare fuori ad allenare i miei ragazzi.

Il ragazzo non si mosse né annuì, pareva una statua. Solamente quando Hitoshi, con un sorriso rassegnato, se ne fu andato, Alfa si decise a sbloccarsi: sbattè iracondo un pugno sul tavolo, facendo tremare il tè nella tazza: ma che voleva quello, cosa pensava di fare così?! Rimase fermo, sbuffando. Quella gentilezza immotivata lo faceva imbestialire, forse perché non ne aveva mai ricevuta? O forse… Per un altro motivo?

 

- Sarei davvero contenta se fossimo amici ^^!

 

Scosse la testa come se volesse staccarsela dal collo. Si alzò dal tavolo, un po’ incerto sulle gambe, e fissò la sua immagine nello specchio appeso alla parete. Non aveva un aspetto proprio magnifico: i suoi vestiti erano strappati lievemente in vari punti e coperti di polvere, le braccia e le gambe, anch’esse graffiate, si erano però irrobustite per il continuo viaggiare; il viso, un po’ pallido, era coperto dalla frangia ora troppo lunga, che lasciava appena intravedere gli occhi verdi e taglienti.

“Beh, almeno un cambiamento c’è stato…” ridacchiò, amaro. Poi tese le orecchie, sentendo le voci e il chiacchiericcio allegro dei ragazzini fuori. Sbuffò in silenzio, ecco una delle tre cose che odiava di più: i bambini.

Specie se allegri e rumorosi.

Dopo qualche minuto, Alfa uscì fuori dall’edificio; si passò una mano tra i capelli scuri, guardando cosa accidenti stessero combinando Hitoshi e quel branco di mocciosi, poi si appoggiò al muro, a braccia conserte, osservandoli.

- Oh, ti sei deciso ad uscire! – esclamò Hitoshi quando lo vide.

Alfa fece un cenno stizzito, mentre i ragazzini lo guardavano curiosi.

- Chi sono questi? – chiese Alfa, facendo un cenno sdegnoso verso di loro e fissandoli con astio.

- I miei allievi. – rispose tranquillo Hitoshi – Ragazzini che hanno scoperto di amare il bey e che io alleno ogni giorno.

- Commovente… - sussurrò maligno. Il ragazzo non rispose.

- Mi è venuta un’idea. – disse poi, frugandosi in tasca – Che ne dici di una sfida a bey… Alexander?

Alfa si accigliò:

- Perché mi hai chiamato così? Non è il mio nome.

- Ma è l’unico con cui ti conosco. – l’altro digrignò i denti:

- Tzs, figurati se combatto contro una mezza calzetta come te!

- Ehi, tu! – esclamò uno dei bambini – Non parlare male ad Hitoshi! Guarda che lui è fortissimo, ha battuto perfino in campione mondiale Takao, quando era “Jin del vento”!

- “Jin del vento”? – disse Alfa, sollevando un sopracciglio, stupito – Tu sei Jin del vento?

- Già… - rispose, con sufficienza – Sono così famoso?

- Nel mio vecchio ambiente sì.

Il ragazzo tacque, scuotendo poi la testa rassegnato:

- Accetti la mia sfida solo per questo?

- Uhm… Massì. – disse, ghignando – Vediamo come te la cavi.

Hitoshi sospirò. Estrasse il suo bey e si portò ad un’estremità del piccolo campo di gara che usavano lì al residence; lo stesso fece Alfa, estraendo Sciacallo.

- Mi sembra un po’ malconcio il tuo beyblade. – disse Hitoshi, caricando – E’ così dall’ultima sfida contro Midori?

- Sì… - di colpo Alfa s’incupì e sembrò per un istante perdersi nei suoi pensieri; ma fu in attimo:

- Ti avverto, potrei anche usare i miei poteri su di te.

Hitoshi sorrise:

- No, non lo farai.

Alfa lo fissò interrogativo, ma Hitoshi sembrò non vederlo e, anzi, approfittò della sua breve disattenzione per colpire:

- LANCIO!!

- Acc… SCIACALLO!!

I due bey presero a girare all’impazzata nella conca blu, macchie colorate che correvano senza posa.

- WOW *o*! – esclamò uno dei bambini

- Ma sono fortissimi!

- Avanti! – urlò Alfa, un sorriso cattivo sul volto – Spazziamo via quest’imbecille!

Sciacallo continuò a colpire come una mitragliatrice il CyberDriger di Hitoshi, ma sembrava indebolito; nonostante questo, ad Alfa non passò neppure per la mente di usare i suoi poteri. Non sapeva spiegarlo, ma era come se… Si stesse divertendo, ecco. Come non accadeva da… Da quando?

Di certo, non per questo avrebbe fatto “il bravo”.

- Ora vedrai… SCIACALLO!!!

Il Bit-power uscì ruggendo dallo stemma e si lanciò sull’avversario, combattivo. Qualunque cosa gli stesse succedendo, Alfa non si sarebbe mai perdonato di perdere.

Davanti all’attacco forsennato del moretto, però, Hitoshi non si scompose: sapeva bene che Alfa non aveva possibilità di vittoria.

Infatti, pochi secondi prima dell’attacco, il ragazzo parve avere un mancamento: troppo debilitato e troppo fuori allenamento, perse per qualche secondo il controllo del bey, e Hitoshi ne approfittò per sferrare il colpo decisivo, gettando Sciacallo fuori campo.

- Ah…

- GRAAAANDE!!!

- BRAVO!! – i ragazzini persero a saltellare attorno al loro allenatore, che recuperò tranquillissimo il proprio bey. Alfa invece non si mosse di un centimetro.

- Ignori la situazione esterna e la tua forma fisica e ti concentri solo sul duello. – disse Hitoshi, raccogliendo il suo bey – Può essere una dimostrazione di grande determinazione, ma occorre anche un po’ di coscienza.

- Tzs... – il ragazzo lo fissò con gli occhi vacui – Non ho bisogno che tu mi… faccia la… Patern

Con un tonfo, il ragazzo cadde a terra, privo di sensi.

 

*__________________

 

- BASTA, NON CE LA FACCIO PIU ’! – urlò, gettando il piatto per terra.

Col rumore di cocci rotti nelle orecchie, il piccolo Alfa aprì gli occhi, stringendosi al petto il cuscino: “Eccola che ricomincia…”.

- Ma perché?!? Perché fai così?! Perché sei così… così…

“Avanti, dillo, so che ora lo dirai…”.

- … Anormale?!

Una fitta la suo piccolo cuore gli  fece stringere di più il cuscino, ma sul viso non mutò espressione.

- Tutti i bambini mangiano ciò che gli preparano i genitori, anche di malavoglia… Ma tu no! Oh, no, il signorino rifiuta! E lo fa rompendomi ogni oggetto di casa!

- Tesoro, calmati… - mormorò il marito, più scocciato che preoccupato.

“Eccolo, l’altro, che arriva sempre al momento giusto. Sei un’ipocrita, lo sai, papà?”.

- E TU CHIUDI IL BECCO!!! – sbraitò quella, schiaffeggiando una brocca d’acqua e bagnando le bianche mattonelle della cucina, in un tintinnio di schegge di vetro.

- QUESTO HA DISTRUTTO IL PIATTO CHE GLI STAVO PORGENDO QUANDO L’AVEVO ANCORA IN MANO! PICCOLO MOSTRO INGRATO!

“Ma perché non chiudi il becco, strega?” pensò il piccolo Alfa, scendendo quatto quatto dalla sedia. La madre lo guardò con odio, la voce ridotta ad un sibilo soffocato, cominciando a piangere isterica:

- Sarebbe stato meglio se non ti avessi mai fatto nascere!

E allora perché non l’ hai fatto, razza di stupida?”.

 

L’ho sempre pensato. Anche se non lo avessi fatto, non me ne sarebbe fregato niente.

Anzi, forse sarei stato meglio.

Del resto io te l’ho forse chiesto?

Io non voglio e non ho mai voluto nulla.

Nulla…

 

- Non è vero!

Una voce tremolante lo fece voltare. Si voltò verso il fondo del corridoio di casa sua, buio, spoglio;  qualcuno, in piedi, lo fissava.

Era una bambina, ma sembrava un fantasma, tanto appariva evanescente e pallida. La bambina parlò di nuovo, sembrava piangesse:

- Anche tu… Anche tu sei solo, vero?!

Alfa la fissò, gli occhi sbarrati: “No, non è vero…”.

- Siamo simili, noi…

- N-no… - la voce gli tremava, perché?

- Sei solo come me!

 

- NON E’ VERO!!

Con un urlo, Alfa si svegliò, madido di sudore: “Stavo solo… sognando…”.

Si massaggiò la fronte, la mano che gli tremava e il respiro affannato. Da quant’era che non sognava la sua infanzia?

- Ben svegliato.

Sentendo quella voce, Alfa scattò sul letto, voltandosi agitato.

- Finalmente hai ripreso i sensi. – disse Hitoshi, tranquillo – Da quanti giorni sono che non fai un pasto decente?

Alfa non rispose, cercando di riprendere a respirare normalmente.

- Hai anche qualche linea di febbre. Beh – sospirò rassegnato – 2qualche” è un eufemismo, da quanto farneticavi poco fa!

Il brunetto lo fissò con rabbia mista a panico, pronto a smentire qualsiasi cosa lui dicesse sui suoi deliri in sogno. Hitoshi però parve aver semplicemente fatto un appunto superfluo e continuò:

- Per qualche giorno è meglio che tu te ne stia qui.

Alfa rimase in silenzio. Hitoshi pose le mani sullo schienale della sedia opposta al letto, con calma, come aspettando una risposta.

- Perché?

- Uh? – il giapponese guardò il suo ospite, aspettando curioso che continuasse; Alfa sospirò a fondo:

- Perché mi stai aiutando?

Hitoshi rimase zitto.

- In fondo, io ho messo in pericolo la vita di tuo fratello e dei suoi amici. Avrei fatto del male a molta gente. Tutto per un obbiettivo stupido. – aggiunse, sempre più amaramente – Allora perché?

Hitoshi sospirò; spostò la sedia fin dal letto dove Alfa era sdraiato e ci si sedette, a braccia incrociate:

- Perché m’incuriosisci.

Alfa spalancò gli occhi, senza capire.

- Sei un ragazzo molto forte, la tua tecnica di blader è molto superiore rispetto a qualsiasi ragazzo abbia mai incontrato, quasi quanto Brooklin e Takao, ma, fin’ora, mi è sembrato la trattenessi.

- Come?

- Mi sembrava giocassi più per forza che per amore. Come se il Bit e i tuoi poteri, invece di aiutarti, ti costringessero.

- Tzs… Ma che discorso idiota è?! Ma sei scemo?!

- Te l’ ho detto. – continuò, impassibile – Non sono Takao, non porto rancore a lungo. E, soprattutto, riesco a giudicare le cose con molta più freddezza.

- Modesto, eh? E soprattutto molto attento all’etica e alla morale, se t’interessa più il mio gioco che il mio comportamento. – fece maligno. Hitoshi fece spallucce:

- Umph… Comunque sia, mi sono sempre chiesto una cosa.

- Ossia?

- Verso cos’è diretto davvero tutto il tuo odio?

Alfa lo fissò come se la sua lingua gli fosse diventata di colpo incomprensibile. Ma cosa stava blaterando?!

- Tu… Non sei così crudele, Alexander.

- Ti ho già detto di non chiamarmi così! – sbraitò lui, stritolando le lenzuola nel pugno – Ma cosa vuoi da me?! Si può sapere?!

Non m’interessa se pensi che io non sia cattivo o meno! Non me ne frega niente! – lasciò la presa, appoggiandosi lentamente al cuscino; sembrava triste – Ormai… E’ tardi

- Non è mai troppo tardi. – sorrise Hitoshi – O almeno, non è mai troppo tardi per raccontare.

- Cosa?

Hitoshi girò la sedia, appoggiandosi allo schienale come ad un tavolo:

- Gli Psaico. Come ci sei arrivato? E Midori? Ruka, Eve? Da cos’è cominciato tutto?

Alfa lo fissò di nuovo.

- Visto che sei qui, potresti anche parlarmene, no?

- E a te cosa importa?

- Sono solo curioso.

Il ragazzo si morse il labbro. Forse… Se avesse detto tutto, avrebbe trovato un sistema… Un punto da cui ricominciare davvero…

- D’accordo…

 

Anche se non c’è molto da raccontare.

Perché neanche io ricordo bene.

Dove sono nato, dove sono vissuto, non lo so proprio.

Certo, so di avere sempre avuto strani poteri, che mi facevano fare strane cose…

Rompevo piatti, bicchieri e vetri  quando ero triste o arrabbiato, facevo venire gli incubi a chi mi stava attorno… Ero un bambino strano.

Anche mia madre lo diceva.

Anzi, lo urlava.

Urlava e piangeva, non faceva altro, quella donna isterica!

A causa mia, ovviamente, a causa del suo “strano mostro”.

Maledetta strega!

E mio padre?

Buono quello, pur di non far strillare la moglie, mi chiudeva in camera a chiave.

Un uomo davvero infimo!

Però… Però lui me lo ricordo

Mi ricordo come mi guardava…

La rabbia…

Il disprezzo…

E, a volte, la compassione…

Ma mai, non mi ha mai guardato con affetto…

Come un padre…

                                   

*---- Dodici  anni prima. Zona imprecisata della regione di Saharin, Giappone.

 

Quel giorno pioveva. Una pioggia irregolare, pesante. Il padre, a passo spedito, se lo trascinava dietro come un sacco, perché Alfa aveva delle gambette ancora troppo corte, per tenere la sua velocità. Non c’era da stupirsi,  aveva quattro anni. Un semplice, comune bambino di appena quattro anni.

Ma in quei quattro anni la sua famiglia era già stata in grado di rovinato: era un bambino freddo, distaccato, privo di quella vivacità e quella gioia che danno ai piccoli la loro stessa essenza; un’infanzia distrutta e macchiata dalla mancanza d’affetto, dall’incapacità di provare ad accettarlo, di provare a non trasformare quella misteriosa facoltà in un peso indistruttibile da lanciare sulle sue gracili spalle.

Incapacità di lottare assieme.

Incapacità che si era già riflessa su sua madre, debilitandola e portandola all’esaurimento.

Il padre, senza sapere più cosa fare, si era messo in contatto con varie persone e, alla fine, sembrava avesse trovato un posto per lui. Ovviamente, Alfa non sapeva dove né con chi. Semplicemente, tre giorni prima, suo padre era entrato nella sua cameretta, una stanza vuota se non per il letto, l’armadio grigio e qualche pupazzetto; l’uomo aveva aperto i cassetti del mobile, prendendo alla rinfusa pochi indumenti ed infilandoli in una sacca.

- Cosa fai? – gli aveva chiesto il bambino, atono.

- Prendi qualche giocattolo, se vuoi, - aveva risposto, a bassa voce – partiamo.

E non aveva aggiunto altro. Con rapidità erano saliti in macchina e avevano imboccato l’autostrada per molti chilometri, poi alcune strade sterrate e, alla fine, erano stati costretti a percorrere l’ultimo tratto a piedi, sotto l’acqua.

Adesso, sempre in silenzio, l’uomo si guardava attorno, cercando qualcosa, imprecando di tanto in tanto, mentre il piccolo Alfa, una sacca ormai impregnata e gocciolante sulla piccola spalla, gli teneva la mano. Mani grandi, quelle di suo padre: larghe, ruvide, quelle mani che qualsiasi altro bambino avrebbe potuto aspettarsi lo accarezzassero con dolcezza, quelle mani che avevano stretto le sue solo per allontanarlo o portarlo via.

Le mani di un padre che non l’aveva e non l’avrebbe mai accettato.

Nonostante il piccolo Alfa sapesse benissimo questo, continuava imperterrito a tenergliela stretta, quasi incosciamente, come ogni bambino che non chiede altro se non l’amore dei genitori. E continua a chiederlo, irremovibile, anche quando questo non esiste più.

- Quanto manca? – sussurrò il bimbo, tremando appena per il freddo.

- Poco. – rispose telegrafico il padre.

Quando l’uomo si fermò, Alfa lo vide. In mezzo ad una landa grigia e fredda, ancora coperta di brina mezza ghiacciata, c’era un’immensa costruzione, come un capannone abbandonato. Con le scarpe inzaccherate dal fango molle si avvicinarono all’ingresso, dove sembrava che qualcuno gli aspettasse.

Vedendo chi fosse quel qualcuno, il padre di Alfa parve sorpreso, e lo stesso il bambino. Lì davanti, in piedi, c’era un ragazzino di non più di sei anni, grande e grosso, che assomigliava vagamente ad un vecchio ceppo d’albero mozzato tanto era tozzo anche nei lineamenti, con i capelli tagliati a spazzola e con le punte azzurrognole, tinte alla bene meglio, sotto cui s’intravedeva la radice nera e lucida. Il ragazzino tese la mano coperta con un guanto verso l’uomo, che sollevò un sopracciglio, quasi preoccupato.

- E’ lei che ci ha telefonato dieci giorni fa, vero? – fece stizzito il marmocchio all’incertezza dell’uomo.

Questo annuì.

- Allora lui è… - e disse il nome del bimbo, che, istintivamente, si strinse appena al padre.

 

Sì, me lo ricordo, mi chiamò per la prima volta per nome uno sconosciuto…

La prima e l’ultima.

Ma non mi ricordo che nome fosse.

Non lo so proprio…

Perché quella è stata l’ultima volta in cui qualcuno pronunciò il mio nome.

Ma del resto, ha qualche importanza sapere il mio nome?

 

Il padre annuì nuovamente.

- Allora può darlo a me. – disse l’altro, arrogante – Non abbiamo più niente da dirle.

Il padre di Alfa, senza troppi complimenti, diede uno strattone al bimbo, lanciandolo praticamente addosso al ragazzino, che lo tenne con forza per la maglietta.

- Prenditelo. – disse l’uomo – E fallo sparire dalla mia vista.

Il ragazzino non rispose. Il padre di Alfa si voltò, rapido e si allontanò altrettanto velocemente.

Il bambino, vedendolo far così, fu scosso per un istante dal desiderio di seguirlo, e di chiederli se doveva stare lì per sempre. Ma era una domanda stupida, ovviamente, era così.

“Da adesso è questa casa mia, dico bene?”.

Eppure, restò lì, proteso verso il padre.

Ancora con quella sciocca speranza.

Ancora con quel silenzioso, piccolo desiderio di vederlo voltarsi, chiamarlo per nome a sé, e di provarci, almeno una volta.

Una sola…

- E su, sta dritto! – gli sbraitò di colpo il ragazzino, strattonandolo nel vederlo fermo e mollo sulle gambe come un sacco di patate – Mi hai capito?!?

Alfa, però, lo guardò appena di sbieco, arcigno. Il bambino più grande, grugnendo, lo voltò dalla sua parte, e sgarbato disse:

- Devi sempre guardare i tuoi superiori in faccia, pulce. E io sono un tuo superiore, perciò seguimi e zitto.

Alfa, però, rimase fermo. Evidentemente, la voce grossa con lui non funzionava granchè.

Quell’altro, stizzito, lo afferrò per la colotta, sbattendolo nell’ingresso dell’edificio.

- Guarda che non m’interessa se sei un pidocchio!! – sbraitò, iniziando poi a ridere – Anzi, visto che sembri duro di comprendonio, fai conoscenza col pavimento, magari impari a stare al tuo posto!

Alfa lo stava odiando. Lo guardò malissimo, pensando con tutta la sua forza che si sollevasse e si schiantasse contro il muro, ma non successe niente.

- Sorpreso? – ghignò l’altro, vedendo la sua faccia stupita – Non sei molto bravo.

Il piccolo lo guardò in silenzio, muovendo la bocca senza che ve ne uscisse parola, perché quello era ancora lì in piedi tranquillo?

- Guarda come si fa!

- Delta. – una voce profonda fece sobbalzare il ragazzino, che si mise sull’attenti, impallidendo; Alfa, stupito, sollevò lo sguardo, incrociando quello di un uomo che lo avrebbe segnato per sempre. Il viso maturo  con quel sorriso gioviale e falso, qualche ruga qui e là, e l’aspetto severo terrorizzarono Alfa per la prima volta nella sua vita.

- Non maltrattare il tuo nuovo compagno. – continuò l’uomo, severo.

- Sissignore. – rispose Delta, con tono ossequioso, ma lo sguardo offeso.

- Piacere di conoscerti.. – disse l’uomo, un sorriso rassicurante che, però, fece solo rabbrividire ancor di più Alfa – E benvenuto nella tua nuova casa.

 

*_______________

 

Il piccolo Alfa sedeva su un lettino consunto e scassato con la rete cigolante, muovendo ritmicamente le gambe in su ed in giù, annoiato.

La sorpresa e l’eccitazione per quel che aveva scoperto in quel posto erano svanite, perché il signor Kuroi ci metteva tanto a mandarlo a chiamare?

Dopo che l’uomo l’aveva salvato, si era proposto di fargli visitare tutto l’edificio.

- Io sono il signor Akamatsu Kuroi – aveva detto – ma qui tutti quanti i ragazzini mi danno semplicemente del “voi”. Non ti dispiace farlo anche tu, vero?

Alfa aveva fatto un cenno di diniego.

- Perfetto ^^. – aveva continuato – Immagino che sarai stanco dopo un viaggio così lungo. Delta, fagli vedere dov’è la sua stanza, ma passa attraverso la palestra, se non ti dispiace.

- Certo, signore. – aveva borbottato l’altro, palesemente malvolentieri.

- Facciamo vedere qualcosa d’interessante al nostro nuovo membro.

E così, il piccolo Alfa aveva scoperto che quel posto era una sorta di “albergo per bambini speciali”, quelli come lui: bambini dotati di poteri parapsicologici che facevano levitare gli oggetti e cose simili; molti di loro, però, sembravano concentrati a giocare con alcune trottole metalliche che emettevano un ronzio stranamente accattivante.

- Quelli si chiamano beyblade. – aveva detto Kuroi, vedendo il suo sguardo curioso – E’ un gioco che si sta diffondendo moltissimo nel nostro paese, ma che, fortunatamente, abbiamo scoperto può essere soprattutto un ottimo aiuto per quelli come noi.

Alfa lo aveva fissato, era curioso, quell’uomo usava sempre il “noi”, quando parlava di poteri psichici; magari sapeva usarli anche lui…

- Controllare la rotazione di un bey col pensiero non è molto complicato. – aveva continuato, senza smettere di camminare – ma non è quello il nostro obbiettivo.

- E qual è…? – aveva mormorato il bambino, correndogli dietro col suo passo incerto pieno di curiosità; Kuroi aveva sorriso losco.

- Lo saprai presto.

Ora, però, erano ben due ore che aspettava, cominciava davvero ad essere stufo, insomma, cosa stavano aspettando?!

Proprio in quel momento sentì qualcuno bussare alla sua porta; con calma Alfa girò la testa, scorgendo Delta sulla soglia: lo fissò truce.

- Uhu! A quanto pare ti sei inimicato il novellino eh, Delt? –

Alfa trasalì un poco, sorpreso, e guardò a fianco al piccolo gorilla, dove era apparso un altro ragazzino, della sua età o appena due anni più grande, un tipo come Alfa non ne aveva mai visti: aveva un bel viso perfettamente in ordine, se non per un grosso cerotto sotto l’occhio destro, circondato da ciuffi biondi un po’ lunghi, tenuti sollevati da una fascia rossa che lo faceva vagamente assomigliare a quell’attore che aveva sbirciato alla televisione, Rambo. Il brunetto fece una faccia dubbiosa, quello aveva un sorriso tanto bello quanto falso, come quei vip che aveva intravisto sulle copertine delle riviste di sua madre.

- Molto piacere di conoscerti, testa calda. – disse il ragazzino nuovo, porgendogli la mano – Io sono il compagno di Delta, il più figo e tosto qui dentro, ma tu puoi chiamarmi solamente Gamma ^^!

L’espressione dubbiosa di Alfa si accentuò mentre sollevava timidamente la mano, che Gamma afferrò e cominciò a scuotere con forza.

- Avanti, deficiente! Dobbiamo andare… Muoviti anche tu, moccioso!

- See, see, calmino Delt, ok? Dai, vieni pidocchio.

Così dicendo Gamma si tirò dietro Alfa, seguendo il ragazzino coi capelli azzurrognoli per un lungo e tortuoso corridoio; il più piccino dei tre si lasciò trascinare per alcuni metri, incespicando, poi scacciò la mano del biondo con stizza, provocando le risate di quest’ultimo, risate acide e fredde che lo fecero arrabbiare ancora di più.

Dopo una decina di minuti Alfa e gli altri due arrivarono in un grande stanzone, illuminato solo da fioche lucine al neon, annebbiate dal denso strato di polvere che i tre sollevarono entrando.

- Siamo qui, capo. – disse Delta, mettendosi sull’attenti e battendo i tacchi.

- Era l’ora. Delta, Gamma… -

Sentendo il suo nome il biondino chinò la testa in segno di saluto, dando una gomitata ad Alfa perché facesse altrettanto; il bambino, che era rimasto immobile, lo guardò indispettito, massaggiandosi la costola, ma chinò appena la testa.

Kuroi sorrise divertito, dando le spalle ai tre.

- Vieni avanti Delta.

Il ragazzino annuì. Con passo marziale si avvicinò all’uomo, a fianco del quale, con un rumore sordo, era spuntata dal pavimento quella che sembrava una curiosa bacinella in plastica blu. Alfa guardò di sottecchi Gamma, senza capire.

- Questo è un BeyBlade Stadium, - fece Kuroi senza muoversi - è qui sopra che i ragazzi si sfidano al beyblade. Delta…

Lui annuì di nuovo; portò il braccio dietro la schiena, aprendo una piccola custodia grigia ed estraendo un bey nuovissimo, rilucente coi suoi colori accesi. Alfa rimase incantato a guardare la trottolina che Delta caricò rapido, non perdendosi neanche un istante da quando toccò il campo fino a quando non partì a sgusciare veloce su di esso.

- Uuuh, sei migliorato vecchio mio! – esclamò Gamma, ridacchiando; Delta lo fulminò con un’occhiataccia. I due si scrutarono per alcuni istanti, sotto lo sguardo compiaciuto di Kuroi, finchè Gamma, ghignando, non estrasse anche lui un bey lanciandolo contro quello di Delta. I ragazzini cominciarono a duellare, mentre Kuroi sorrideva, guardando un po’ loro un po’ Alfa, che scrutava la scena a bocca aperta.

- Questo è quello che si può definire “incontro coi bey”. – gli disse l’uomo, scuotendolo – Solo i migliori riescono a dare vita a sconti appassionanti. Ma non è questa la cosa che deve destare il tuo stupore.

Alfa lo fissò senza capire. Proprio in quell’istante due bagliori provenienti dai bey attirarono al sua attenzione, facendolo trasalire.

- Fateli uscire!

Al comando Delta e Gamma lanciarono i beyblade all’attacco con più forza, mentre la luminescenza di questi aumentava, finchè due forme indistinte schizzarono letteralmente fuori dagli stemmi dei bey; Alfa trattenne il fiato, mentre quelle che sembravano una vipera gigante e una tarantola viola e nera apparvero a mezz’aria, emettendo versi sinistri.

- VIPERA!

- TARANTOLA!

Le due creature si fiondarono l’una contro l’altra emettendo onde d’urto incredibili, quando uno scontro troppo violento le costrinse a tornare nei beyblade dei proprietari, che erano finiti entrambi fuori gioco con l’ultimo colpo.

I due ragazzini raccolsero le trottole e le rimisero nelle loro custodie, costantemente fissati da Alfa, allibito. Quello che aveva visto era stato incredibile, una cosa inimmaginabile! Come avevano potuto quei due stupidi fare una cosa del genere?!

- Li hai visti vero? – sorrise sotto i baffi Kuroi. Alfa annuì eccitato - Quelli si chiamano Bit-power. Noto con piacere che ti hanno colpito, vero?

- S-sì… Come hanno…?

- I Bit-power sono simili a spiriti protettori, vivono dentro a quei Bit-chip posti sopra i beyblade e potenziano e proteggono i loro proprietari.

Alfa tacque.

- Ti piacerebbe averne uno?

Il ragazzino lo guardò con gli occhi lucidi, annuendo freneticamente, certo che ne voleva uno anche lui! L’uomo sorrise soddisfatto, porgendogli una piccola trottola simile a quelle di Delta e Gamma.

- Questo d’ora in poi sarà il tuo beyblade. Ti allenerai con Delta e con Gamma per imparare ogni tecnica e diventare imbattibile. –

A differenza dei loro, il tuo bey non ha per il momento un Bit – continuò, vedendo Alfa fissare lo stemma sul disco d’attacco, ancora vuoto – dovrai diventare davvero abile per meritartelo.

Il ragazzino strinse il bey nel palmo, guardandolo deciso.

- Lo farò.

Kuroi sorrise, un sorriso pericoloso.

- Benvenuto nella squadra, allora… Alfa.

 

Il mio nuovo nome.

Il mio nuovo scopo, il primo.

La mia nuova casa.

Da quel momento, entrai propriamente negli Psaico.

Dopo che Kuroi mi ebbe consegnato quello che sarebbe diventato Sciacallo cominciai il mio addestramento.

Non lo dimenticherò mai, fu un periodo terribile.

Delta era il più abile beyblader che avessi mai incontrato, ma anche l’allenatore più severo e meschino che esistesse! Mi spremeva come un limone, mi picchiava, m’insultava.

Io resistei per neanche un anno e mezzo a quella tortura, finchè non decisi di sfidarlo, mettendoci di mezzo una scommessa: se io vincevo lui taceva, se perdevo… Beh, era meglio non saperlo.

Per mia fortuna vinsi. Se si può chiamare fortuna diventare il capo della squadriglia d’assalto degli Psaico.

Non so ringraziare o maledire il Cielo per la mia precoce abilità di capitano!

Il giorno stesso in cui sconfissi Delta, infatti, Kuroi mi chiamò nei sotterranei per consegnarmi il mio Bit-power…

 

- Vieni, vieni pure avanti, Alfa.

Titubante il bimbo entrò nella stanza, chiudendosi alle spalle la porta con un cigolio sinistro.

- Ho saputo che oggi hai sfidato Delta.

- Sissignore. – rispose atono.

- E so che lui ha perso.

- … Sissignore. – mormorò, chinando la testa: e se l’avesse punito per questo?

- Non ti preoccupare, non ti punirò. – disse, dopo qualche istante; Alfa sussultò, non si sarebbe mai abituato al piccolo ma subdolo potere del suo capo di leggergli la mente – Anzi, ho una cosa da consegnarti.

Così dicendo tirò fuori da sotto la giacca una scatolina nera laccata, che aprì con uno scatto della serratura dorata; dentro, lucido e brillante di una lucina accattivante, c’era un Bit-chip con sopra disegnato un’animale. Alfa ammutolì.

- Sei riuscito a sconfiggere quello che fin’ora era il migliore dei miei allievi, dopo poco più di un  anno e senza Bit-power. Ritengo che ormai tu sia in grado di governarne uno.

Il bambino afferrò lo stemma con mano tremante, fissando la creature ritratta sopra di esso: sembrava un bruttissimo lupo marroncino, con tutto il pelo spelacchiato.

“Non sembra molto forte. – pensò, sfiorandolo con un dito – Però… Ho come l’impressione che mi stia fissando.”.

- Avanti, fammi vedere come riesci ad usarlo.

- Eh?

Senza aggiungere altro Kuroi premette un pulsante sulla bassa scrivania di fronte a lui, facendo muovere come per incanto la parete alla sua destra, dietro al quale si trovava un immenso BeyStadium, coperto di vari ostacoli.

- Lancia e fammi vedere.

Alfa annuì, insicuro su quell’ordine; infilò il nastro nel lanciatore bluastro, incastrando il bey col Bit tra le lamelle del caricatore.

- Pronti… LANCIO!!

 

Quando riuscii ad evocare Sciacallo devo ammetter che rimasi tanto allibito quanto contento.

Il pensiero che quella creatura incredibile, che permetteva al mio bey di spaccare in due lastre di metallo spesse due dita come fossero fogli di carta mi esaltava, quel potere mi esaltava; adoravo quella sensazione di forza e Kuroi l’aveva capito.

E’ sempre stato bravo ad inquadrare la gente quell’uomo..

Da questo punto di vista eravamo fatti della stessa pasta.

Forza.

Potere.

Un’energia incontrollabile.

Adoravo quella sensazione.

Kuroi mi disse che potevo diventare anche più forte e, come prevedeva, io accettai eccitato la proposta.

Non sapevo a che prezzo avrei pagato tutto questo.

 

Alfa camminò dietro a Kuroi per molto tempo, incurante del freddo e dell’aria stantia che si respirava lì sotto; era felice ed eccitato, con quel Bit era riuscito a distruggere tutti gli ostacoli sul BeyBlade Stadium in neanche dieci minuti.

“Se adesso diventerò ancora più forte sarò davvero invincibile!”.

Doveva ammetterlo, era proprio felice. Si divertita ad usare il bey, anche se non poteva troppo darlo a vedere per paura delle reazioni di Delta e Gamma, ma anche per quelle di Kuroi: non capiva perché, ma non era convinto che tutti i sorrisi di quell’uomo fossero veritieri.

E non sapeva quanto avesse ragione.

- Eccoci qui.

Con un gesto deciso Kuroi spalancò un vecchio portone di fronte a lui, accendendo con un colpetto secco l’interruttore: le luci tremolanti illuminarono quello che sembrava un vecchio laboratorio, probabilmente usato ancora abbastanza di frequente, perché era tutto lustro e in ordine.

- Vieni.

Sentendo una lieve preoccupazione salirgli in gola Alfa entrò, scrutando con ansia delle alte teche di vetro, a cui erano collegati al soffitto interno dei sottili tubi bianchi. Kuroi si avvicinò ad un quadro comandi complicatissimo, digitando veloce codici e numeri che apparivano mano a mano sul monitor di fronte e di cui Alfa non capiva neppure una parola. All’improvviso una delle teche si aprì lateralmente con un risucchio, facendo uscire una nube sottile di fumo biancastro.

- Posa il bey su quella colonnina lì vicino, levati la divisa e poi entra.

Alfa girò la testa di scatto, guardandolo un po’ impaurito: doveva entrare lì dentro?!

- Entra.

L’ordine fece rabbrividire il brunetto fin nelle ossa; tremante appoggiò il beyblade su una sorta di piedistallo accanto alla teca cilindrica e si levò la tuta che gli era stata data il giorno del suo arrivo, entrando poi nella cabina trasparente; cominciava ad avere paura.

Kuroi sembrò ignorarlo, riprendendo a digitare qualcosa sulla consolle. I tubi nell’abitacolo si mossero come serpenti, applicandosi con delle ventose sulla fronte e sul torace magro del ragazzino.

- Cosa sono questi? – mormorò un po’ agitato.

L’uomo non rispose.

- Ehi, le ho chiesto cosa sono! – esclamò con voce tremula, battendo i pugni sul vetro.

Kuroi non rispose di nuovo. In compenso, Alfa avvertì qualcosa bagnarli i piedi e, abbassando lo sguardo, vide un fluido azzurrognolo riempire pian piano la teca: spaventato indietreggiò, senza riuscire a parlare, ma per il suo capo sembrava tutto normale; quando ormai il liquido nella cabina gli arrivò alle spalle, Alfa cominciò a tremare convulsamente, col respiro affannoso per la paura.

- Sta calmo.

Alle parole di Kuroi una piccola mascherina trasparente scese da un vano sopra la testa del bambino, inserendosi precisamente sulla sua bocca e sul suo naso. Calmandosi Alfa si lasciò sommergere, cercando di ignorare il fastidio che quell’affare gli dava alle orecchie e agli occhi, che tenne strettamente serrati. 

Quando la teca fu piena Kuroi si voltò, fissando divertito il piccolino che, lievemente pallido in viso per via del colore del liquido, stava immobile a galleggiare nella cabina, rigido come una statua.

- Riesci a sentirmi Alfa? Fammi un cenno con la testa per rispondermi.

Alfa annuì lentamente.

- Molto bene. Adesso devi concentrarti: pensa di essere in posizione per lanciare il tuo bey.

Il ragazzino obbedì.

- D’accordo… adesso lancialo.

Alfa annuì ancora. Nel frattempo, sul piedistallo lì vicino, un macchinario aveva cominciato a far ruotare artificialmente il suo bey, e questo gli permise di concentrasi meglio.

- Perfetto. Adesso evoca il tuo Bit-power.

Ci volle qualche secondo, ma alla fine lo Sciacallo uscì ruggendo dallo stemma, illuminando la stanza d una luce sinistra. Kuroi ghignò.

- Ora immagina di scagliare il Bit contro qualcuno.

Alfa spalancò un istante gli occhi, ma che stava dicendo?! Perché avrebbe dovuto fare una cosa del genere?

- Fallo se vuoi essere più forte. – il ragazzino richiuse gli occhi: sì, era vero, però… - Pensa a qualcosa che ti ha fatto infuriare, anche tanto tempo fa…

Lui provò a pensarci, ma non gli veniva in mente nessuno. Oppure sì? Era strano, una parte di lui, anche se cercava di concentrarsi, gli impediva di ricordare episodi in cui avesse pensato di ferire qualcuno, ma un’altra invece stava scavando, giù, sempre più giù nella sua memoria, quasi contro il suo volere, bramosa di trovare qualcuno, di vendicarsi, di colpire con furia cieca. Che fosse merito di quel liquido?

- Cerca di ricordarti, Alfa, tu sai benissimo chi potresti voler distruggere col tuo Bit.

E allora li vide. Nella sua testa, nitide come se le avesse davanti, vide le immagini di suo padre e di sua madre, i loro sguardi di disprezzo, di disgusto, di odio; e poi la solitudine, l’indifferenza, quel fastidioso desiderio di affetto che, in fondo, non gli era mai venuto meno. Una rabbia sottile cominciò ad attraversargli ogni centimetro di pelle, mentre i rivelatori del laboratorio partivano a registrare dati sempre più freneticamente. Il sorriso di Kuroi divenne quello di un animale feroce.

- Lanciaglielo contro. ADESSO!

Come un fiume in piena la rabbia del piccolo venne fuori, facendolo urlare, mentre tutto il suo potere, mai voluto, mai desiderato, usciva con le grida, ma invece di lanciarsi contro i suoi genitori, come stava immaginando, o comunque all’esterno, com’era la realtà, fu assorbito da quelle strane ventose e rilasciato nel suo Bit-power. Dopo qualche istante Alfa sgranò gli occhi, che divennero vacui, e l’urlo di rabbia divenne di dolore: quella macchina stava assorbendo le sue forze come una spugna, riversandole nella creatura e provocando nel bambino fitte simili a scosse elettriche.

- Contrasta il processo! – gli urlò Kuroi severo – Non lasciare che assorba la tua forza, ma il tuo odio! Alimenta la tua creatura, falla crescere!

Ma Alfa non lo sentiva quasi più: faceva male, troppo male, non poteva resistere oltre!

Lanciò un altro urlo, dimenandosi nell’acqua della teca, le orecchie che gli rombavano e la mente offuscata per il dolore.

- Alimenta il Bit con l’odio!

 

Dopo questo non ricordo altro di quello che accadde quel pomeriggio: mi risvegliai nella mia stanza due giorni dopo, col corpo ricoperto di lividi e scosso dai brividi.

Per la settimana successiva non feci altro che avere incubi in cui i miei genitori mi lasciavano legato in un posto andarsene via ridendo, nonché ad avere “fuoriuscite sgradite” dei miei poteri; Kuroi e compagnia dovettero tenermi in isolamento, perché spaccavo qualsiasi oggetto troppo fragile nel raggio di venti metri e schiantavo al muro la prima persona che mi diceva una parola con un accento strano.

Non capivo il motivo, sapevo solo che dentro di me c’era una rabbia incommensurabile ed un odio incontrollato per tutto ciò che mi circondava.

Quando finalmente Kuroi potè parlarmi senza essere ridotto ad un poster sulla parete, capii.

Quel macchinario dove ero stato portato si chiamava U.B., sigla di non so quale parola scientifica, che tra noi ragazzini era “affettuosamente” chiamata Undeath Bed.

Infatti, chi usciva da lì dentro era sempre più morto che vivo.

Lo scopo principale di quelli che dovevano goderne era di potenziare i Bit-power coi propri poteri psichici, utilizzando sensazioni molto forti. La rabbia, per esempio. O la paura, il disprezzo, il risentimento, soprattutto. Sentimenti positivi no, il perché non lo compresi mai.

Per fare questo, però, bisognava essere forti. Molto, molto forti, perché il liquido utilizzato per lo svolgimento dell’operazione era tossico e a contatto con impulsi mentali dava lesioni al corpo, facendo da conduttore per gli impulsi elettrici emessi dal cervello e assorbiti dal macchinario..

Ma soprattutto, perché il lavoro riuscisse, bisognava provare quelle sensazioni che Kuroi voleva.

Proprio per questo mi aveva fatto ripensare ai miei genitori, sapeva bene quanto li detestassi.

Anche quella volta si dimostrò un passo avanti a me.

 

*---

 

- Uhmp… - nella stanza dov’era assieme ad Hitoshi, Alfa si lasciò sfuggire un risolino, interrompendosi un istante – Sì, lo è davvero sempre stato… Almeno fino a sei mesi fa…

L’altro giapponese non rispose, aspettando che Alfa continuasse.

- Ma all’epoca, fra me e Kuroi c’era sempre e solo un vincitore.

 

*---

 

Nonostante mi opponessi sempre con resistenza all’uso dell’ U.B., Kuroi non si fermava mai e ben presto anche gli effetti collaterali si fecero sentire, assieme alle fatiche degli allenamenti.

La verità era che i pensieri negativi che la macchina alimentava mi rimanevano dentro.

Gli incubi.

L’odio.

I ricordi tristi.

Come una sorta di siero velenoso mi entravano nella mente e mi perseguitavano, giorno e notte, senza mai smettere.

Mi stupii quando scoprii che anche Delta e Gamma dovevano usarla abitualmente, più che altro mi venne spontaneo chiedermi come potesse quell’idiota di Gamma essere sempre così rilassato. Ma quando lo vidi disintegrare una porta d’acciaio perché era infuriato con Kuroi, capii che in realtà era una gran faccia di bronzo.

Alla fine, quindi, quella macchina non cambiava solo il tuo Bit, ma anche te.

Diventavi tu stesso una macchina.

Un soldatino obbediente colmo solo di rabbia.

Eppure io ancora non sapevo neppure per cosa voleva davvero utilizzarci il capo, e non lo conobbi se non a partire da una notte di dieci anni fa.

La notte in cui incontrai per la prima volta una persona che era stata Marchiata.

 

Un freddo sottile si insinuava sotto i vestiti di Alfa, sette anni sulle spalline gracili e tre di fatiche sul cuore, mentre camminava silenziosamente verso la sua stanza. Era stravolto, l’unica cosa che voleva era stendersi e dormire almeno dieci ore, ma non era sicuro di riuscire ad addormentarsi neppure con tutto il sonno che aveva addosso, considerando il temporale che si stava avvicinando: tuoni assordanti sembravano scuotere le apparentemente fragili pareti del vecchio edificio e lampi accecanti sfrigolavano nell’aria ancora per molti minuti dopo che avevano illuminato a giorno il cielo.

Se continua così ci crollerà il cielo in testa!”.

All’improvviso il ragazzino si fermò. Tese le orecchie, incuriosito, sentendo qualcosa nell’aria, una sorta di aura sgradevole che, frizzando leggermente, gli svolazzava attorno; si girò attorno, attento, ma non vide nulla né sentì alcun suono. Rimase lì qualche minuto, finchè la sensazione non scomparve e, non vedendo nessuno, decise di andarsene.

Arrivato alla sua camera si gettò a peso morto sul letto senza neanche cambiarsi, addormentandosi quasi subito, ma dopo neppure un’ora un fulmine troppo vicino lo svegliò con un sobbalzo. Come volevasi dimostrare, probabilmente avrebbe trascorso l’ennesima notte in bianco! Seccato si mise a sedere, pensando a come addormentarsi, ma un suono insolito, proveniente dal corridoio, lo distrasse: sembrava che qualcuno piangesse. Ma com’era possibile? Non conosceva nessun’altro degli Psaico se non Delta e Gamma, ma Kuroi non permetteva a nessuno di lamentarsi, figuriamoci di piangere! Eppure, qualcuno stava davvero singhiozzando; quel rumore suonò così insolito ad Alfa in quell’ambiente che decise di uscire per vedere cosa fosse successo.

Si guardò attorno, scorgendo una figurina appoggiata al muro, la testa tra le braccia, scossa da tremendi sussulti.

Con calma il moretto si avvicinò, dando uno scossone ad una chioma di capelli corvini lucidissimi.

- Ehi…

 

Quando alzò la testa, devo ammetterlo, rimasi colpito.

Avevo già visto altre ragazzine, ma quella era la prima per cui formulai il pensiero “è bella”.

Che strano, dopo quella notte non ho mai più visto quegli occhi piangere.

Quegli occhi che, ricordo, negli ultimi anni hanno guardato il mondo solo come se come fosse un bocconcino da gustarsi con tranquillità, o come se ogni cosa fosse a sua disposizione.

Sai, forse però erano più belli quella notte, verdi e rilucenti di lacrime, lo sai, piccola Margot?

 

Alfa rimase a fissare la bambina nuova, i capelli scarmigliati a coprirle in parte il viso arrossato e rigato di lacrime.

- Che stai combinando qui?

Lei non rispose. Emise un violento singulto, facendo un cenno con la testa verso la sua schiena, poi riprese a singhiozzare, tremando come una foglia. Alfa la scrutò un po’ arcigno, quel pianto cominciava ad essere fastidioso; nonostante questo allungò l’occhio dietro la schiena della ragazzina, rimanendo a bocca aperta: su di essa, sanguinante, la carne rosso vivo era stata sfregiata da un lungo taglio a forma di folgore, coi bordi sporchi di quella che sembrava melma semitrasparente di un colore indefinito.

- Ma che cavolo…!

Il ragazzino chinò un po’ la testa verso la morettina e fu attraversato da una scossa, simile a quella che lo colpiva quando i suoi compagni usavano i loro poteri: un effetto normale in quel caso, dicevano, perché per analogia le loro menti e i loro corpi reagivano alle onde psichiche.

Ma allora perché lo stesso avveniva con quella mocciosa, anzi, con la ferita di quella mocciosa?

- Oh, allora sei qui…

Un’altra voce che non conosceva fece voltare di scatto Alfa, che si ritrovò davanti un ragazzino di circa dieci anni, che non aveva mai visto. Questo gli sorrise, avvicinandosi poi alla ragazzina e chiamandola poggiandole una mano sulla spalla; al contatto questa sobbalzò, allarmata.

- Sta tranquilla, è tutto a posto. Ti fa molto male?

Lei annuì timidamente, mentre quello emetteva un sospiro triste.

- Lo immaginavo…

Con delicatezza si sfilò la felpa macilenta che aveva addosso, restando in maglietta, la strappò con non poca fatica a metà e la usò per cingere con una fasciatura grossolana la ferita della bambina, che lo guardò sorpresa e grata.

- Va un po’ meglio?

Quella arrossì, confusa, annuendo a scatti. L’altro ragazzo sorrise, porgendole la mano, e una volta che lei si fu alzata si mise un suo braccio attorno alle spalle, facendola arrossire ancora di più e cominciò ad avviarsi con lei nel corridoio.

- Ehi, aspetta un secondo! – esclamò Alfa, che fino a quel momento era rimasto fermo – Mi spieghi cos’è successo a questa qui?!

L’altro si voltò, incrociando lo sguardo malevolo e indagatore di Alfa. Inutile, per quanto ci provasse, il brunetto era sicuro di non averlo mai visto: si sarebbe ricordato un viso così gioviale, tanto diverso da quelli che vedeva in quel posto, non avrebbe scordato quella stranissima zazzera castana che aveva in testa, troppo lunga sulla frangia e troppo corta dietro, a formare un codino minuscolo. Il ragazzino più grande si voltò, guardandolo un po’ malinconico.

- Tu sei uno dei ragazzi della squadra di Kuroi… Non ti ha ancora spiegato la Marchiatura?

- Ma mi prendi in giro?! – sbraitò furioso senza capire - Che cavolo stai dicendo?! Ti ho chiesto cos’è successo a questa qui!

- Te l’ho detto. – rispose asciutto – L’hanno Marchiata.

Alfa lo guardò malissimo, facendolo sospirare.

- Significa che hanno fatto in modo che non possa più scappare.

Lo sguardo di Alfa divenne confuso; l’altro continuò, amaro.

- Uno dei tuoi ha colpito questa ragazzina, la piccola…?

- M-Margot… - balbettò, imbarazzata – Mi chiamo Margot…

- Margot ^^. – sorrise gentile – Hai provato a scappare, è così? – lei annuì triste – Ma ti hanno scoperta… E ora, con la ferita impregnata di MK-57, sarà praticamente impossibile squagliarsela da qui… - si voltò verso un punto indefinito del muro - Quest’affare reagisce con le onde paranormali che voi usate, provoca dolori e allucinazioni… Non è proprio il massimo.

Alfa rimase immobile, allibito, perché Kuroi non gli aveva mai spiegato una cosa così importante? È vero, quel ragazzino poteva anche prenderlo in giro, ma non credeva gli stesse mentendo: in fondo, lui aveva già sentito parlare dei molti sistemi usati dal capo per non permettere la fuga dei suoi “ospiti”, compresi veleni e loro, la squadra di punta degli Psaico.

- Coraggio! – continuò il ragazzino più grande, stringendo di più la bambina – Ora devi riposarti, è meglio. Ti ha Marchiata Delta, giusto? – lei annuì - Il solito bastardo… L’ho sentito gongolare dalla mia stanza, dannato…

- E-ehi tu! – lo fermò di nuovo Alfa, un po’ agitato – Ma tu chi sei? Come fai a sapere tante cose?!

Quello gli sorrise, un sorriso vero come non se ne vedevano mai lì dentro.

- Mi chiamo Shiro.

 

*---

 

- Aspetta un attimo…! – con un gesto brusco Hitoshi interruppe il raccontare del suo ospite – Shiro…? Lo stesso Shiro di cui mi hanno parlato Midori e mio fratello?

Alfa assunse un’espressione indecifrabile, appoggiandosi poi allo schienale del letto:

- Esattamente.

 

Shiro Hirotaka…

Quel ragazzo ha un grande onore, quello di essere diventato la mia prima ossessione.

Dalla notte in cui conobbi lui e Margot non smisi mai di cercare informazioni su di lui, ma era come cercare di acchiappare il fumo.

Quello era più furbo di quanto sembrasse!

Partecipava a tutti gli allenamenti, non si lamentava mai, subiva percosse e sgridate senza battere ciglio, e benché privo di poteri ESP possedeva un’abilità col bey e un’agilità straordinari; era una testa calda nei limiti, ma qualunque cosa accadesse riusciva sempre a non cacciarsi nei guai e a non farsi vedere per molte ore.

Sinceramente, ne ero molto invidioso.

 

- Ora che ci penso forse assomigliava un po’ a quell’idiota di Takao, forse è anche per questo che non sopporto tuo fratello.

- Per questo motivo? – l’altro parve rifletterci.

- Anche… - e non continuò.

 

Se però ero invidioso di Shiro, altrettanto disprezzavo il sadismo di Kuroi: quella bambina nuova, Margot, dopo che si fu ripresa dal Marchio fu costretta a diventare l’allieva nientemeno che di Delta.

Una pura cattiveria gratuita che avrebbe dovuto incrementare le sue armi per l’Undeath Bed.

Non c’erano dubbi, Kuroi era un bastardo di prima categoria!

Col passare del tempo, però, sia Shiro che Kuroi, sia l’invidia, la curiosità e la rabbia cominciarono a svanire: per un bel po’ di tempo non incrociai più quel ragazzo e le continue sedute nell’U.B. cominciarono ad influire sul mio cervello molto più di quanto avessi immaginato o provato fino allora, occultando le mie domande e i miei pochi desideri e rendendo inutili quei problemi che mi creavo, quell’ultimo anelito di libertà che possedevo.

Non mi importava più di nulla.

Avevo perso l’interesse per qualsiasi cosa: se mi dicevano di combattere combattevo, se mi dicevano di andare a “reclutare” nuovi membri rapendoli, lo facevo, qualunque ordine lo eseguivo.

Tanto, che motivo avevo di obbiettare?

Alla mia freddezza si aggiunse un sottomissione silenziosa e un cinismo che non erano mai stati miei, assieme ad una paura ingiustificata per Kuroi.

Ero convinto che nulla di quella situazione sarebbe cambiato.

Mai.

Fino a quel giorno, quel dannato giorno di sette anni fa.

Il giorno in cui arrivarono agli Psaico loro.

E conobbi lei.

 

- Sei sicuro che siano loro? – chiese Delta, guardando le bambine di fronte a loro.

- Certo, deficiente! – lo rimbeccò tra i denti Margot, dandogli un calcio nello stinco – Kuroi ci ha fatto studiare i loro file per due mesi, come fai a non riconoscerle?!

Il ragazzino borbottò, massaggiandosi la gamba e rintanandosi un altro po’ nel cespuglio dietro a cui lui, Margot e Alfa si erano nascosti. Quest’ultimo guardò di sottecchi la moretta, era molto cambiata nel periodo in cui era stata con gli Psaico: dopo quel primo cedimento, la notte in cui era stata Marchiata, aveva deciso di rendere pan per focaccia ai suoi aguzzini, diventando aggressiva, testarda e con la lingua più affilata di un rasoio, benché avesse ancora una debolezza.

Una debolezza che da quel giorno avrebbe pesato molto su di lei.

- Avanti! – esclamò, stringendo il pungo – Andiamocele a prendere!

I tre si guardarono con un sorriso perfido e, alzandosi, uscirono dal loro rifugio, avvicinandosi alle loro prede.

Sorprese queste si voltarono, fissandoli curiosi.

- E voi chi siete?! – una ragazzina di circa otto anni, i capelli rosso fiamma legati in una treccia li fissò. Alfa la scrutò da sotto il cappuccio nero che si era tirato in testa, sorridendo falso, quella doveva essere Rin Ruka, la cinese.

- Siamo venuti a prendervi, piccola Ruka. Vi portiamo a casa.

- A… prenderci? – chiese spaventata una piccolina dai tratti eurasiatici, avvicinandosi alla rossa; quella era Eveline Yoshiji.

- Sì. – le rispose lui, come fosse la cosa più naturale del mondo.

Poi guardò l’ultima componente del gruppo, fissando i suoi occhi verdi in quelli turchini di lei, che cominciò a tormentarsi i codini rosa: Midori Takamura. Il brunetto le sorrise maligno:

- Grazie per averle portate qui, anzi, per esserci venute tutte. Ci hai risparmiato della fatica, piccola Midori.

- C-come?

Proprio come avevano previsto, la ragazzina aveva cominciato ad agitarsi, soprattutto dall’ultima frase, sarebbe stato semplicissimo farle credere che la loro cattura fosse colpa sua.

E il senso di colpa è un’arma micidiale per l’Undeath Bed…”.

 

Non ci volle molto per quella missione, in realtà, quasi tutto il lavoro lo fece Delta.

Quella sera le tre mocciose erano già nelle loro stanze alla nostra sede.

 

*---

 

Alfa smise un secondo di raccontare, lasciandosi sfuggire un risolino. Hitoshi lo guardò:

- Che c’è?

- Nulla…

“Stavo solo pensando che… Se quella sera non fossi andato lì….”.

 

Se per una volta avessi detto di no a Kuroi…

Se avessi lasciato l’onere di sorvegliare quelle tre a Gamma…

Noi non ci saremmo avvicinati…

Io non sarei diventato debole, però…

Non le avrei mai neanche parlato…

 

- Tzs, sai che è strano? – disse divertito – Parlare del mio passato mi sta facendo ricordare tante cose a cui non pensavo neppure più… Forse ne capisco anche tante altre.

- E questo è positivo? – chiese, con aria un po’ pedante; Alfa non rispose.

 

*---

 

- Mi rifiuto di andarci. – disse lapidario il piccolo Alfa, al raduno coi compagni.

- Eddai, mica te l’ ho chiesto io! – disse risentito Delta, notando l’espressione furibonda del suo nuovo capitano – E’ un ordine del capo.

Il brunetto digrignò i denti e, furioso, uscì dalla stanza dove si erano radunati tutti, sbattendo la porta con violenza.

- Tzs, il solito nevrotico…

Con passo da mitragliere Alfa si diresse alla stanza dove avevano schiaffato quelle tre nuove; quando fu lì davanti aprì la porta con malagrazia, individuando subito la rossa e la piccolina, addormentate sulle brande che avevano messo vicine, entrambe con lo sguardo triste e tenendosi la mano. Assolutamente stomachevoli, mocciosette, scommetteva che stavano morendo di paura anche da addormentate! Guardò dentro la stanza, ma non vide l’altra, Midori, quella coi codini. Sbiancò.

- Oh cavolo… E ora dov’è?!

Rapidamente si guardò nel corridoio, non poteva aver provato a scappare! Non quando a fare la guardia toccava a lui!

“Maledizione!”.

Guardò a destra e poi a sinistra, ma il corridoio era deserto; senza un motivo logico imboccò la parte di sinistra e corse, corse e corse, cercando quella mocciosa dagli occhi azzurri, finchè, finalmente non la scorse, seduta di fronte a una finestra.

- Ehi tu! – ansimò, col fiatone – Si può sapere dov’eri sparita?!

Lei si girò, sobbalzando spaventata, piangeva. Alfa non battè ciglio.

- Forza, torna nella tua stanza!

La ragazzina lo guardò, poi fece un’espressione arrabbiata che, tra il viso infantile e le lacrime, divenne un tenero broncetto; il tono di Alfa, sorprendendo anche lui, divenne meno duro.

- Avanti, non mi fare perdere la pazienza!

 - No! – continuò lei, aveva una voce infantile, ma (era strano definire così una voce, ma Alfa non seppe darci altro aggettivo) molto tenera – Non voglio ubbidirti!

- Senti.. – sbuffò lui, seccato – Se vuoi che mi arrabbi sul serio, continua pure…

- Non m’importa! – ribattè lei, guardandolo con aria battagliera – Io non ho paura di te!

Alfa la fissò scioccato, non ci credeva, aveva proprio dettoNon ho paura?

- Tzs, vuoi che ti spalmi contro la parete per fartela sotto? – lei però non mutò espressione, come se non le importasse.

- Sono arrabbiata! Lo sia che non si fanno cose così cattive?!continuò, furibonda – Io non posso stare qui! Il mio papà mi aspetta, e anche Eve-chan ha la sua mamma e il suo papà che si preoccupano se non la vedono tornare!

Alfa riprese a guardarla, normalmente, se qualcuno gli avesse detto quelle cose, sarebbe scoppiato a ridere… ma riuscì solo a guardarla serio e, forse, un po’ sfinito:

- Tu… Voi, non potrete più tornare a casa.

- Cosa…? – la voce di Midori divenne un sussurro, mentre guardava il ragazzino spaventata. Stranamente, quello sguardo non inorgoglì il brunetto come al solito.

- Non potrete più andarvene di qui.

Midori continuò a fissarlo. Si girò quindi verso la finestra e, sempre con lo sguardo perso, si lasciò cadere a terra, piangendo.

- No… Io… Io… Avevo promesso a papà che… So di nuovo parlare, volevo che mi… Che mi sentisse… - prese ad emettere singhiozzi sempre più convulsi – Il mio… Papà…

Alfa la fissò in silenzio e per la prima volta, avvertì una stretta tra il cuore e lo stomaco, forte; porse la mano alla bambina.

- Dai… - riuscì solo a dirle – Ora devi andare a dormire… O ti sgrideranno se ti trovano qui.

Che sto facendo? Che m’importa? Non sono fatti miei, devo solo pensare che non puniscano me!”.

 

Lo pensai, ma rimasi comunque lì.

Rimasi finchè lei, ancora singhiozzando, non prese la mia mano, titubante.

L’accompagnai nella sua stanza e le dissi di dormire.

E lei?

Mi sorrise.

Mi sorrise dicendo: << In fondo tu non sei cattivo. >>

Non dovevi.

Non dirlo.

Non mi sorridere.

Perché tu…

Così…

Un cuore non ancora del tutto avvolto dal buio…

Ottenni quella spirale di luce che mi avrebbe scombussolato ogni progetto.

 

Midori e compagne furono affidate ad un membro più grande dell’organizzazione, com’era prassi, caso volle che quel ragazzo fosse proprio Shiro Hirotaka.

A me, invece, spettò il compito di guardia di quella ragazzina coi capelli rosati e i codini.

E’ proprio vero che a volte il destino gioca brutti scherzi!

 

- Senti… Tu come ti chiami?

Alfa guardò di sottecchi Midori, seduta a gambe incrociate su un gradino; di fronte a loro, un gruppo di ragazzi si allenava.

- E a te cosa t’interessa? – chiese sgarbato, incrociando le braccia al petto – Sappi solo che devo sorvegliarti, punto!

La bambina lo guardò, sbuffando. Poi, inclinando la testa da un lato, gli si portò a dieci centimetri dal naso, guardandolo curiosa.

- Non lo sai più?

Alfa, dapprima sorpreso, si accigliò.

- E se fosse che te ne frega?!

- Omega-kun non ricorda più il suo nome. – rispose, riferendosi a quel bimbetto piccolo e magrolino che, appena due settimane dopo di loro, era entrato nell’organizzazione – Ormai lui sta sempre insieme a Ru-chan, perciò lo so…

- Lo vuoi capire che non m’interessa?!disse, con tono sempre meno convinto – Sono solo fatti vostri!

Il brunetto si sedette con fare nervoso, non ci riusciva… Era impossibile per lui fare il duro con quella mocciosa!

“E’ insopportabile!”.

Midori sospirò, e gli si sedette vicino.

- Anche tu sei solo, non è vero? – gli disse - Sei triste?

Una domanda innocente. Ma Alfa la fissò, sbiancando, fissando poi i suoi occhi verdi in quei due specchi colore del cielo.

- Tu sei sempre solo… Gamma e Delta, loro sono cattivi, e anche se fanno gli stupidi sono contenti così… - disse, guardandolo dolcemente – Tu invece … Non sei triste?

 

Ero un bambino.

Le sue parole mi scoprirono subito.

Lì, su quei gradini, la fissai ancora.

E piansi.

In silenzio, le gambe incrociate, le braccia la petto e la testa china.

E lei non disse nulla.

Sì, ero triste.

Triste di dover continuamente provare rabbia e odio.

Era troppo!

Triste…

 

Midori diede un buffetto sulla testa di Alfa, che la scacciò un po’ imbarazzato. Lei sorrise e, messasi di fronte a lui, gli porse le mani.

- Sarei davvero contenta se fossimo amici ^^!

Alfa la fissò sorpreso, fregandosi velocemente gli occhi con una mano.

- Sul serio?

Lei sorrise e gli prese le mani.

- Vuoi essere mio amico ^^?

 

*---

 

Alfa smise un secondo di parlare. Hitoshi lo fissò, notando la sua espressione distante.

- E poi…?

Il brunetto rimase fermo. Che strano, era così tanto tempo che non ci pensava, che l’aveva quasi dimenticato…

 

Quella gentilezza mai richiesta…

Donata. Così, semplicemente.

Lei non mi ha mai odiato.

Aveva paura, lo so.

Odiava quel posto, odiava Kuroi, voleva tornare a casa.

Ma non odiava me.

Non c’era motivo.

Lei era semplicemente fatta così.

Mille volte l’avevo vista farsi coraggio con quelle altre due, sopportando le botte, la paura.

Sempre.

E quel poco di calore voleva trasmetterlo a me.

 

- Allora adesso siamo amici ^^!

 

*---

 

- Alexander…?

Alfa scosse la testa.

- Scusa, stavo pensando….

- A cosa?

Il brunetto tacque nuovamente, sospirando amaro.

- Che forse, se avessi ascoltato me stesso invece che quel maledetto, non sarebbe accaduto nulla…

   
 
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