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Autore: atypicalgirl    14/12/2012    8 recensioni
"Davo per certo il fatto che a lui non interessassi minimamente e che mi considerasse fastidioso, forse un peso. E mi tormentavo per ogni cosa che mi avesse mai detto, per ogni singolo sguardo a scuola, per ogni singolo sfioramento di dita, cercando di capire se per lui fossi stato abbastanza. Abbastanza bello, alto, simpatico, intelligente, disponibile, divertente. Abbastanza tutto."
Logan, sedicenne gay, timido ed introverso, è stanco della vita, della tristezza che incombe su di essa e che gli impedisce di essere felice e spensierato, come ogni adolescente della sua età dovrebbe essere.
Riuscirà un incontro a cambiare la sua misera esistenza? Ma soprattutto, riuscirà Logan ad uscire dal suo guscio e a mostrarsi al mondo, al padre e agli amici, per ciò che è realmente?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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A Greta, un'amica speciale,
che mi sostiene in tutto e per tutto.


 

Diario di un sedicenne complessato.


Capitolo 1 – Un giorno diverso.





A sedici anni la mia vita era un completo disastro.
Avevo cambiato per l'ennesima volta scuola, a causa dei numerosi atti di bullismo nei miei confronti: tutti mi consideravano un asociale secchione che non usciva mai di casa. Mi picchiavano e mi rubavano la roba, ero una vittima facile: magro, non troppo alto, abbastanza insicuro.
Non avevo neanche un amico. Avrei dato l'anima per averne uno, anche uno solo. Ero maledettamente solo, non parlavo con nessuno, e più il tempo passava e più mi sentivo scoppiare, perchè avevo un disperato bisogno di parlare con qualcuno che non fosse uno psicologo.
Mia zia mi
usava per ciò che le recava piacere, in poche parole, mi stuprava. A tredici anni, una sera in cui nè mio padre né Elisabeth erano in casa, venne a farmi da “baby sitter”. Quella sera mi fece perdere la verginità. Mentre piangevo.
Ero gay, ma quasi nessuno lo sapeva, e questo mi divorava dentro, lacerandomi le interiora. Avrei desiderato con tutto il mio cuore urlarlo al mondo, dirlo ad ogni santissima persona, ma non è conveniente quando vivi in una società dove, se sei omosessuale, vieni del tutto ignorato e calpestato da altri, non è conveniente fare outing a sedici anni, quando hai tutta la tua vita davanti e molta gente potrebbe istigarti al suicidio. Non è conveniente quando hai un padre omofobo.
In compenso, avevo una delle medie di voti più alte dell'istituto e la mia camera della nuova casa era decisamente più spaziosa di quella vecchia, nella quale entravano a malapena il letto ed una misera scrivania.
Non potevo considerarmi un adolescente felice. Mia madre era morta da una decina di anni, e la zia Lynn veniva spesso a trovarmi a casa, naturalmente per ciò che voleva fare lei. Mio padre era spesso fuori per lavoro, ma almeno la sua nuova moglie, Elisabeth, restava quasi sempre a casa.
Elisabeth era una donna adorabile, bella, simpatica. Era il meglio che mio padre avesse potuto trovare. Quando ero triste veniva a bussarmi in camera e mi offriva sempre qualcosa da mangiare, rigorosamente cucinato da lei, e mi ascoltava sfogarmi e piangere, l'unica persona che lo facesse.

Al contrario, Lynn era una donna terribile, nonostante fosse una donna molto affascinante. Lynn aveva 26 anni, ed era follemente innamorata di me, o meglio, era ossessionata da me, dal mio viso e dal mio corpo. Mi considerava quasi come un giocattolino, una bambola da spogliare, con cui divertirsi, per poi lasciarla nuda a terra, triste, sola. Quando Elisabeth e mio padre non erano a casa, veniva con la scusa di tenermi compagnia.
A sedici anni ero vittima della mia zia.
E sapete cos'era il bello? Il bello era che non lo potevo dire a nessuno, perchè lei sapeva che ero gay, e lo avrebbe detto al mondo intero.
Ed io ero completamente impotente davanti a questa situazione. Erano cose più grandi di me, in fondo io ero un ragazzino, e avevo sulle spalle milioni di delusioni, segreti, pianti, dolori.
Il mio primo giorno alla scuola nuova, la quarta in due anni e mezzo, fu assolutamente qualcosa di diverso dal solito, forse il primo passo verso il
cambiamento.
Varcai la soglia dell'imponente edificio in mattoni, dirigendomi subito verso la segreteria, che non era altro che una minuscola stanzetta con un'enorme scrivania sulla quale erano impilati milioni e milioni di fascicoli. Dietro di essa vi sedeva una donna piuttosto in carne, di colore, con una voce così profonda da poter quasi sembrare un uomo. C'era un opprimente odore di polvere e sudore, la segretaria doveva viverci lì dentro, forse.
- Salve, sono Lerman. - dissi a bassa voce, entrando nella stanzetta, cercando di respirare il meno possibile l'aria disgustosa della stanza.
- Anche tu sei nuovo? - mi domandò, senza neanche guardarmi in faccia, continuando a tenere gli occhi bassi su un foglio di carta.
- Esatto... Dovrei ritirare il mio orario.
- Eccolo. - me lo porse, senza alzare lo sguardo.
Presi il foglio azzurro e uscii velocemente da quel buco, ritrovandomi in mezzo ad una folla di studenti impegnati a correre verso la loro aula.
Nessuno mi notava, nessuno mi guardava in faccia, nessuno che si scusava dopo avermi dato una gomitata o una spinta per passare tra la gente. Ero completamente invisibile, nessuno si accorgeva minimamente della mia presenza.
In fondo, era tutto regolare.
Sospirai abbattuto, anche quella sarebbe stata una giornata di merda come le altre, nonostante Elisabeth mi avesse detto che questa volta avrei ricominciato davvero a vivere.
Controllai l'orario, quel giorno in prima ora avevo storia. A quel punto dovevo solamente cercare l'aula, sarebbe stato facile.
Come dicono? Ah, si,
le ultime parole famose.
Probabilmente le cacce al tesoro che facevo da bambino erano decisamente più divertenti e meno stancanti della “caccia all'aula” che feci quel giorno. In quella scuola c'erano più classi di quante se ne potesse immaginare.
Dopo aver girato a vuoto tre piani, mi appoggiai alla parete, lasciandomi scivolare a terra.
Dove diamine era quell'aula? Avevo girato la scuola in lungo e in largo, ma della classe di storia, nessuna traccia.
Guardai l'orologio appeso alla parete di fronte a me: cinque minuti e sarebbero cominciate le lezioni, ed io avrei sicuramente fatto ritardo. Il primo giorno di scuola.
Fantastico.
- Hai bisogno di aiuto? - una voce mi chiamò dall'alto, e quando alzai lo sguardo vidi una ragazza molto secca con dei vivaci capelli rossi sorridermi.
- In realtà si... Non trovo l'aula di storia. - le risposi, facendo spallucce e alzandomi, con lo zaino in spalla.
- Uhm, capisco. Si vede proprio che sei nuovo. - ridacchiò leggermente, - L'aula di storia è l'unica che non si trova nell'edificio, sta in fondo al cortile, a destra. Vengo con te, anche io ho storia alla prima ora.
Mormorai un “grazie” e la seguii lungo il tragitto.
- Allora, come ti chiami? - mi domandò ad un certo punto, dopo un lungo silenzio.
- Logan. - dissi semplicemente, continuando a guardare avanti a me, - E tu?
- Bel nome. Io sono Helen, piacere. Dimmi un po', da dove vieni?
- Sono nato nel Kentucky, ma vivo qui a Bristol praticamente da sempre. - risposi facendo spallucce.
Non mi ero ancora reso conto del fatto che eravamo nel cortile posteriore della scuola, e che stavamo seguendo una stradicciola sterrata immersa in un piccolo bosco. Sembrava di essere in un luogo magico, in campagna, o in uno di quei deliziosi boschi dei film fantasy, mentre invece eravamo praticamente nel centro di Bristol.
Alzai lo sguardo, uno scoiattolo ci osservava, sgranocchiando una ghianda.
Mi sarebbe piaciuto essere uno scoiattolo. Ti alzi la mattina, prendi la tua nocciola o ghianda che sia, la mangi, giri un po' sugli alberi e poi te ne torni a dormire. Quella si che è vita.
Sospirai, infilandomi le mani in tasca e guardai attentamente Helen, cercando di non essere visto. Aveva un bel viso, pelle chiara con una leggera spruzzata di lentiggini, capelli color rame e occhi dello stesso colore. Le labbra sottili erano incurvate in un piccolo sorriso, e il naso a punta le donava un'aria da bambina.
- Eccoci arrivati. - mi disse, interrompendo la mia analisi, facendo cenno con gli occhi al piccolo edificio che ci stava davanti.
Anche esso era in mattoni, coperto da una fitta rete di edera, ma era minuscolo e aveva un aspetto decisamente più deteriorato rispetto all'edificio principale, e probabilmente avrebbe avuto all'interno massimo due aule. Dopo essere entrati, mi accorsi di quanto fosse bello dentro, e di quanto fosse in contrasto con l'aspetto esteriore. Centinaia e centinaia di libri visibilmente vecchi erano sistemati ordinatamente su una libreria che occupava un'intera parete dell'aula, mentre altri erano poggiati su decine di mensole sulle pareti laterali. I muri erano ricoperti di una carta da parati bordeaux, e sulla parete opposta alla porta vi era un'imponente lavagna, fiancheggiata da una cartina geografica dell'Europa. Di fronte alla lavagna, voltata verso i banchi, vi era la cattedra, in vecchio legno color mogano, sopra il quale erano poggiati vari libri e penne, e un magnifico mappamondo antico.
- Buongiorno ragazzi, vi vedo un po' stanchi, tutto bene? - chiese il professor Spencer, ad un gruppetto di ragazzi che parlavano.
Mi sedetti ad un banco sulla sinistra, dove ancora non era seduto nessuno. Tirai fuori un quaderno che avevo portato per sicurezza, quando mi ritrovai il professore accanto.
- Tu devi essere Logan, quello nuovo. - mi disse sorridendomi.
- Esatto. - annuii, grattandomi il collo.
- Ho visto le tue precedenti pagelle, devi essere un prodigio. - scherzò, - Comunque, non devi comprare il libro di testo, è inutile quella robaccia. Spiegherò tutto io. Se ti trovi in difficoltà mi trovi qui dopo le lezioni, mi permetto di dare qualche ripetizione gratuita agli studenti.
- Certamente, grazie mille. - risposi con un sorriso sincero.
Suonò la campanella, e ognuno si sedette ad un posto. Io naturalmente ero solo al banco. Prevedibile.
Osservai il professor Spencer. Era diverso dagli altri: mentre spiegava interagiva con gli studenti, leggeva pezzi di libri di vari storici dell'antichità, chiedeva opinioni, e gesticolava, gesticolava come un pazzo. Riusciva a muovere le braccia ad una velocità incredibile, e quando lo faceva, gli occhi azzurri erano come più brillanti e si accendevano diventando vispi come non mai. Non era molto vecchio, doveva essere sulla cinquantina. Si toccava continuamente i capelli brizzolati e si aggiustava gli occhiali, parlando però sempre lentamente e in modo chiaro.
Era... Era di gran lunga differente dalla concezione di professore che avevo io. Lo avrei immaginato molto più burbero e cattivo. Invece era come se fosse in qualche modo legato ad ogni suo studente...
Mentre stava dicendo quanto fosse stato grandioso Giustiniano a far comporre il “Corpus Iuris Civilis”, si sentì bussare alla porta, e si affacciò un ragazzo chiedendo di poter entrare, scusandosi profondamente per il ritardo.
Dire che non era un angelo era mentire.
Capelli biondo cenere, di quel colore che pare miele e grano messi insieme, occhi chiari, azzurri o grigi probabilmente, e un viso che faceva innamorare anche un bambino.
E in quel momento sentii un colpo al cuore, come se mi fosse venuto un infarto. Lo stomaco prese a contorcersi e ad annodarsi su sé stesso. Erano dunque queste le farfalle di cui tanto si parla? A me sembrava più un terribile mal di pancia.
- Certo Noah, entra pure. - gli rispose Spencer, con un sincero sorriso d'affetto.
Il ragazzo si guardò un momento intorno, poi dopo aver adocchiato il posto accanto a me, si venne a sedere e mi guardò negli occhi un momento.
Mi bastò un solo, minuscolo, unico momento per capire che lui era decisamente il ragazzo più perfetto sulla faccia della terra.
Noah, così si chiamava quel ragazzo seduto vicino a me, avrei dato tutto l'oro del mondo pur di guardarlo più da vicino, osservarlo per impregnare la mente di un'immagine tanto bella.
Ero forse innamorato? No, non credevo nel colpo di fulmine, per me l'amore era diverso. Ma lui era diverso. Lui era come di un altro pianeta.
Quando suonò la campanella che segnava la fine della prima ora, mi risvegliai dal mio temporaneo stato di trance, e cominciai a prendere le mie cose.
- Sei nuovo, giusto? Non ti ho mai visto. - mi disse Noah, sorprendendomi. Perchè un ragazzo così bello mi parlava? Provava pena per me?
- Si, sono arrivato oggi. - gli risposi, chiudendo la cerniera del mio zaino.
- Allora piacere, io sono Noah. - mi offrì la mano, che strinsi prontamente, sorridendo.
- Logan, piacere.



Hola a todos! Non scrivo molto perchè sono di corsaa!
Allora, ho scritto questa storia di getto, grazie a Greta, che mi ha aiutata molto.
Nel prossimo capitolo scriverò qualcosa di decente nello spazio autrice, promesso. D:
Love you all. xx

  
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