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Autore: 19_ACSECNARF_94    14/12/2012    0 recensioni
...Leonardo, qualcosa di più di un amico, e qualcosa in meno di fidanzato. Così definivo il nostro rapporto, per anni ho cercato di mascherare questo sentimento, dicevo in giro “siamo amici” oppure “lui per me è come un fratello”, ma era qualcos’altro che ci legava e qualcosa ci impediva di parlare, forse la paura di rovinare quell’amicizia...
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Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Quasi amici

“Ta-dàdàdà, ta-dàdàdà, ta dà-dàdà-dà-dà-dà”
L’organo intonava la marcia nuziale ed io, aggrappata al braccio di mio padre, varcai la soglia della chiesa. Tutti gli invitati si alzarono dalle panche e iniziarono a guardarmi. Ero emozionatissima, le mie gambe tremavano e temevo d’ inciampare nell’orlo del vestito bianco. Mio padre iniziò a muoversi e io lo seguivo verso l’altare. Giunti alla fine della navata Mattia si girò e mio padre, baciandomi sulle guancie, pose la mia mano in quella dell’uomo che stavo per sposare.
 Il prete si avvicinò e sorridendoci disse “Oggi, siamo qui riuniti, per celebrare l’unione di due nostri fratelli, Chiara e Mattia. Vi chiedo dunque di esprimere le vostre intenzioni”.
Mattia prese la mia mano tra le sue e recitò “Io, Mattia Giacco, prendo te, Chiara Verde , come mia sposa e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita.”. Prese l’anello e me lo mise al dito.
Poi fu il mio turno “Io, Chiara Verde, prendo te, Mattia Giacco, come mio sposo e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita.”. Presi l’anello, lo portai alle mie labbra, lo baciai e lo misi al suo anulare.
Il prete, allargando le braccia, disse “Vi dichiaro marito e moglie, ora può baciare la sposa.”.
Mattia si voltò verso di me, alzò il mio velo e mi baciò, lì avanti a tutti, i nostri familiari, amici, il prete…
C’erano un groviglio di braccia che cercavano di afferrarmi e chi ci riusciva mi sussurrava “complimenti!”, quelli più lontani urlavano “auguri, ragazzi!”, tutti erano entusiasti delle nostre nozze, e io non desideravo altro di poter stare da sola con mio marito, ma mi fu quasi impossibile per il resto della giornata.
Tirai un sospiro di sollievo solo quando, dopo il ristorante, ci ritrovammo da soli in quella lussuosissima camera d’albergo…
 
DRIIIIIIN
La porta. Era di sicuro mia madre, finalmente era arrivata.
“Chi è?”.
“Sono la mamma, apri!”.
“Ok, ciao mamma, sei in ritardo, Daniele sta in camera sua, sta dormendo. Mi raccomando, io torno tra un’oretta!”
Daniele, mio figlio, tutta la mia vita. Ricordo come se fosse ieri il giorno in cui scoprì di essere incinta di lui, dopo un anno di matrimonio…
 
Ero sola in casa, Mattia era a lavoro già da tre ore. Andai in bagno, iniziai a lavarmi ma il sapone era finito, aprì il mobile per prenderlo e mi cadde il test di gravidanza, lo presi per riporlo, ma, avendo notato che scadeva dopo pochi giorni, decisi di farlo.
Aspettai qualche minuto, giusto il tempo che si colorassero due strisce… ero incinta!
Prima di avvisare Mattia volevo esserne assolutamente sicura. Chiamai Franco, il mio amico ginecologo che mi fece andare subito in studio. Feci l’ecografia “Finalmente ci siamo, aspetti un bambino Chiara!”, mi disse sorridendo Franco.
Uscendo dallo studio chiamai mio marito…
 
“Chiara, su muoviti! Non hai detto che era tardi?”.
“Hai ragione mamma, vado, ciao!”.
Scesi di casa e iniziai a correre per non arrivare in ritardo all’appuntamento.
Arrivata dinanzi al palazzo mi apprestai a citofonare e salire.
Salì al terzo piano, andai di fronte la porta che, come sempre, trovavo aperta, entrai e mi diressi alla scrivania al centro della stanza.
“Buongiorno. Sono la signora Verde, ho un appuntamento con l’avvocato Sappo.”.
“Buongiorno, l’avvocato è stato trasferito altrove, ma non si preoccupi c’è il sostituto, Minico, al quale è stato trasferito il suo caso.”
“Benissimo!”.
“Può entrare, la sta aspettando!”.
 
Dove avevo già sentito quel nome? No, era impossibile, non poteva mai essere lui!
“Buongiorno” dissi varcando la porta.
“Buongiorno, lei deve essere la signora Verde giusto?”.
“Si, esattamente”.
“Si accomodi, prego”, disse indicandomi la sedia di fronte la sua scrivania.
“Grazie!”, e mi sedetti.
“Lei è qui per la causa riguardante la separazione, giusto? Potrebbe spiegarmi i fatti”.
“Avvocato, ho sposato mio marito quasi due anni fa, il primo anno di matrimonio è stato bellissimo, ci amavamo  e non avevamo mai parlato di avere figli, ma è successo. Dopo circa un anno sono rimasta incita e dal giorno che l'ho scoperto non l'ho più rivisto, ormai sono passati dodici mesi, e di lui neanche l'ombra. Questi sono i motivi che mi spingono a chiedere la separazione!”.
“Bene allora comunicherò a suo marito che tra un mese è atteso in tribunale per la firma della separazione.”.
“Grazie avvocato, alla prossima!”.
Mi alzai e mi diressi alla porta, stavo per aprirla quando...
“Chì?”. Mi fermai di botto, era lui! Nessun estraneo mi avrebbe chiamato con quel soprannome odioso che mi aveva dato tanti anni fa Leonardo. Leonardo Minico.
Mi girai lentamente.  
“Leo?!?”.
“Si sono io! Caspita quanto sei cambiata! Ho fatto fatica a riconoscerti!”.
“A chi lo dici?  Tu sei completamente diverso, prima avevi molti più capelli!”.
“Ma quanti anni sono passati, dieci?”.
“Sono passati quindi anni, anzi per l'esattezza quasi sedici!”.
“Come vola il tempo… Per oggi ho finito di lavorare, che ne dici se andiamo a prenderci un caffè, così parliamo un po'?”.
“Mi farebbe molto piacere, ma non ho molto tempo, ho lasciato Daniele con mia madre e tra poco è l’ora della pappa. È un gran mangione!”.
“Ok, allora andiamo al bar all’angolo, che ne dici?”.
“Dico che è perfetto!”.
 
Andammo in un bar molto carino, prendemmo due caffè e parlammo un po’ del tempo perso.
“E quindi sei diventato un avvocato!”.
“E tu una paleontologa.”.
“Già! Sei fidanzato, sposato?”.
“No no, sono single! Sei tu quella sposata, separata e con un figlio!”.
“Si!”.
“Mi sei mancata!”.
“Anche tu mi sei mancato, ma abbiamo preso strade completamente diverse. Ora devo andare. Non sparire di nuovo!”.
“Io non sparirò, ma non farlo neppure tu!”.
“Non saprei dove andare!”.
 
…Era la mia prima lezione di tennis, a malapena sapevo reggere la racchetta. Appena arrivai al campo l’istruttrice mi disse di scegliere un compagno con il quale mi sarei dovuta allenare. Non conoscevo nessuno, mi sentivo un pesce fuor d’acqua e a peggiorare la situazione era il fatto che ero l’unica ragazza!
Mi si avvicina un ragazzo biondino con i capelli un po’ lunghi e occhi castani, non era bello, ma aveva un non so che di affascinante, fermandosi di fronte a me, mi sorrise e disse “Ciao, sono Leonardo, Leo per gli amici. Tu come ti chiami?”.
Non riuscivo a non sorridere a quegli occhi ridenti e a quella dolce curva delle sue labbra. “Ciao. Mi chiamo Chiara”.
“Bene, ti chiamerò Chì! Andiamo ad allenarci!”…
 
Così era iniziata la nostra amicizia, la passione per lo stesso sport, ma quello stesso sport ci aveva separato…
 
ero ad allenarmi, ma lui non c’era. Erano settimane che non veniva, mi mancava. Mi ero innamorata di lui, e anche se continuavo a nasconderlo a me stessa, ero cotta!
Mi voltai, come se qualcuno mi stesse chiamando, come se qualcuno stesse urlando il mio nome, ma nessuno lo stava pronunciando, c’era solo Leo che mi fissava, con gli angoli delle labbra all’insù e iniziò ad incamminarsi verso di me. Ma c’era qualcosa che non andava, qualcosa che non faceva parte di lui.
Il gesso, quel maledetto gesso che gli bloccava il braccio destro.
“Leo, che hai combinato?”.
“Ciao Chì! Che ho combinato, ho il braccio ingessato!”.
“Questo lo vedo! Ma che è successo?”.
“I legamenti del gomito sono andati! Mi hanno abbandonato.”.
“Mi dispiace!”.
“Dispiace anche a me!”…
 
Quasi una settimana dopo quell’incontro, ero al parco dietro casa con Daniele. Ero seduta su una panchina e mandavo avanti e indietro il passeggino, cercando di far addormentare mio figlio che non faceva altro che piangere. È possibile che un bambino così piccolo sentisse già la mancanza di un padre e ciò lo rendeva tanto nervoso? Come avevo potuto sposare un uomo tanto cattivo da abbandonare un figlio?
Ero immersa in questi pensieri che non mi accorsi dell’ arrivo di Leonardo.
“Ciao Chiara!”.
Sobbalzai e dissi “Oh! Ciao Leo; non ti avevo proprio visto! Che ci fai qui?”.
“Sono venuto un po’ a correre, tu invece che fai?”.
“Cerco di far addormentare Daniele, ma non ci riesco. Ultimamente non lo capisco più. È così agitato!”.
“Posso provarci io?”.
“Prego!”.
Appena lo prese in braccio Daniele lo guardò dritto negli occhi e gli sorrise, poi si accucciò tra le sue braccia; Leonardo iniziò a cullarlo e a sussurrargli dolci nenie e in poco tempo mio figlio cadde in un sonno profondo.
“Sei sicuro di non avere figli?” gli chiesi.
“Sicuro! Ma perché questa domanda?”.
“Perché ci sai fare con i bimbi,non vedevo Daniele così tranquillo da giorni!”.
“E’ un bimbo bellissimo, è identico a te!”.
“E’ strano vederlo in braccio ad un uomo che non sia suo nonno!”.
“Tuo marito è stato uno stupido a lasciarti e ad abbandonare questo stupendo bimbo!”. Queste parole erano cariche di venerazione per la mia piccola creatura, e i suoi occhi brillavano di una luce che non avevo mai visto, la luce che dovrebbero avere gli occhi di un padre!
Distogliendo lo sguardo da mio figlio disse “Che ne dici se qualche sera ci vediamo, ceniamo insieme?”.
“Speravo che me lo chiedessi!”. Gli sorrisi, era tanto che non sorridevo ad un uomo.
“Allora facciamo domani sera? Che ne dici?”.
“Perfetto! Ora devo andare, mi dispiace. A domani.”.
“Ti passo a prendere alle venti.”.        
 
Per anni avevo sperato che mi chiedesse di uscire, e adesso, a meno di un’ora dall’appuntamento, avevo paura,anzi che dico ero terrorizzata. Insomma avevo un figlio, non uscivo con un uomo da quando mio marito era sparito, e poi, caspita, dovevo uscire con Leonardo!
Leonardo, quel ragazzo, quell’uomo, che mi faceva sentire sempre come quella ragazzina timida e insicura e soprattutto innamorata di lui.
Leonardo, qualcosa di più di un amico, e qualcosa in meno di fidanzato. Così definivo il nostro rapporto, per anni ho cercato di mascherare questo sentimento, dicevo in giro “siamo amici” oppure “lui per me è come un fratello”, ma era qualcos’altro che ci legava e qualcosa ci impediva di parlare, forse la paura di rovinare quell’amicizia.
 
La puntualità non fa parte di Leonardo, ma quella sera arrivò addirittura in anticipo!
Per l’occasione decisi di indossare un abitino grigio, un po’ elegante, ma non troppo, lui invece indossava un pantalone nero e una maglietta che gli fasciava quegli addominali che mi avevano sempre fatta impazzire.
“Dove mi porti?”dissi salutandolo, come nostra vecchia abitudine, con un bacio a stampo.
“Ti fidi di me Chì?” mi chiese con il suo sorriso che mi fa sciogliere.
“Più o meno!”.
“Vieni”.
Mi fece salire in macchina e mi mise una benda sugli occhi.
“Ma cos’è tutto questo mistero?”.
“Aspetta un po’ e lo scoprirai!”.
Dopo una decina di minuti la macchina si fermò, spense il motore, scese dall’auto e mi aiutò a fare lo stesso.
“Ora posso togliere la benda?”.
“Assolutamente no! Seguimi.”. Mi prese per mano e iniziò a guidarmi.
Dritto. Destra. Ancora destra. Poi ci fermammo. TIN. Il suono dell’ascensore. Mi fece entrare. Contai i secondi, ma ne passarono troppi, e persi il conto.
Finalmente un altro TIN. Uscimmo dall’ascensore. Camminammo ancora un po’. Poi sentì il rumore di chiavi e una serratura che scattava. Mi introdusse in un altro ambiente e subito fui investita dall’ odore intenso di rose. Mi fece sedere su una sedia e finalmente mi tolse la benda…
Ero seduta ad un tavolo imbandito illuminato solo dalle candele profumate all’essenza di rosa e dalle luci della città… di fronte il tavolo c’era un immensa vetrata il cui panorama era spettacolare. Tante lucine accese, le luci della mia città. E tutto era così piccolo e in basso! Ero in un grattacielo.
Mi guardai intorno, c’erano tantissimi petali di rosa e la luce era tanto fioca da far sembrare le luci della città un infinità di stelle che ci illuminavano.
Lui mi si avvicinò, aprì una bottiglia di spumante e me ne versò un poco nel bicchiere che mi porse inginocchiandosi di fronte a me. Presi il bicchiere e lui disse “A noi! Cin-cin!”.
“Cin-cin” , il mio fu un sussurro. La mia voce mi aveva abbandonato per l’emozione e il mio cervello faceva troppa fatica ad accettare che tutto quello fosse reale.
Lui mi si avvicinò ancora di più. Le nostre labbra ormai si sfioravano. Restando labbra contro labbra sussurrò “Finalmente ti ho ritrovata, e questa volta non ti lascerò andare via. Voglio stare con te, sempre!”. Poi prese il mio volto tra le sue mani e iniziò a baciarmi, con dolcezza, con passione, con foga…
Mi allontanai di scatto da lui.
”No… no!”, balbettai.
“… credevo che… avendo accettato il mio invito e dicendo che speravi che te lo chiedesi, anche per te non era cambiato niente!”
“Cosa doveva cambiare?”.
“Chiara lo abbiamo nascosto per troppi anni. Sono passati sedici anni. Ti amo! Ti ho sempre amata, ma ero scemo e non riuscivo a dirtelo e so che per te era lo stesso. Anche tu mi amavi!”.
“Ti amo ancora, ma…”.
“Ma, cosa?”.
“Ho un figlio, Leonardo!”.
“E’ questo il problema?”.
“Si!”.
“Io ti amo, amo tutto di te, lui è parte di te, come potrei fare a non amarlo?”.
“Sei sicuro?”.
“Se non fossi stato sicuro, non sarei qui stasera!... caspita in una sola serata sono diventato fidanzato e padre! Wow!”.
“Sei pazzo!” dissi ridendo ebra di felicità.
“Si, sono pazzo di te!”.
Gli gettai le braccia al collo e iniziai a baciarlo, come non avevo mai fatto con nessuno.
 
 
 
 
 
 
 

  
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