SCORDATEVI DI ME
Di Jillian Greenlive
Tutto
ebbe inizio quella maledettissima sera in cui Eramed decise di imitare il suo
idolo non curandosi dei rischi che avrebbe dovuto affrontare. Forse quello a
cui va data la colpa sono proprio io, il fratello maggiore, colui che ha tutta
la responsabilità. Conoscevo i suoi desideri, i suoi sentimenti le sue paure,
la sua grande ammirazione per me. Eppure, solo ora mi rendo conto di non essere
stato sufficientemente attento e disponibile nei suoi confronti. Eramed, mio
fratello, colui che avrebbe dovuto ereditare la parte sud di Bosco Atro, ora
vaga senza meta in cerca di qualcosa che non troverà mai. E pensare che è
successo tutto a causa di un massaggio inviatomi dal mio vecchio amico Ghimli.
Se esiste una caratteristica che contraddistingue Eramed, è la sua curiosità,
la sua forte ambizione alla vittoria, il suo desiderio di eguagliarmi.
In tempo remoto avrei accontentato il suo
desiderio di essere un guerriero come me, ma non avrebbe senso soffrire per
qualcosa che si è perso e che non si potrà mai più ritrovare, neppure in un
ricordo. Si possono vincere moltissime battaglie, si può diventare eroi, si può
vivere per tutta la durata della propria vita immortale; oppure si può
rinunciare a tutto questo ed essere liberi.
Ma la libertà non è sempre semplice da
ottenere e da difendere.
Avrei voluto che si trattasse solo di un
incubo o che fosse solo frutto della mia immaginazione, invece era tutto reale.
Mi chiedo perché a noi elfi, creature immortali, non è concesso di cambiare il
corso della storia e di modificarla in meglio? Ma forse nessuno degli esseri
immortali risponderà mai al mio quesito.
Mi domando ancora perché il ricordo di
quell’infausta sera offusca i miei pensieri.
La lettera di Ghimli mi fu consegnata dal mio messaggero, il quale
aveva attraversato la Terra di Mezzo senza mai fermarsi. Nella lettera il mio
fedele amico richiedeva il mio aiuto per difendere ancora una volta, al suo
fianco, la miniere di Moria.
Non avrei mai potuto
rifiutare la sua richiesta e mi preparai a partire assieme all’armata degli
elfi. Ricordo bene che Eramed lesse la lettera e mi chiese di partecipare
all’ardua missione.
-Questa non sarà una battaglia facile ed
io non intendo correre rischi!- gli risposi con franchezza.
Ma Eramed non avrebbe mai rinunciato a
dimostrarmi che sapeva cavarsela ed io, ingenuamente non riuscii a capire
immediatamente che non avrebbe mai rinunciato alla battaglia.
Io ero il suo punto di riferimento, la
sua guida, il suo idolo.
Ma io desideravo essere considerato solo
come un fratello maggiore; non come un principe, un guerriero o un eroe.
Il mio esercito attraversò la Terra di
Mezzo per raggiungere Moria, il luogo meno propizio per gli elfi come me, la
casa del mio amico.
Uno stormo di uccelli maligni volava
sopra i cancelli di Moria e un branco di orchi invadeva la città abbattendo le
mura e la resistenza dei nani. Ghimli combatteva contro di loro, senza sosta,
spronando i nani ad attaccare sempre di più. L’esercito di Bosco Atro, grande e
maestoso, abbatté gli orchi che, quasi implacabili, si spingevano verso ogni
cunicolo della città.
Tutto sembrava essere come la battaglia
per la salvezza della Terra di Mezzo e l’antica alleanza tra i nani e gli elfi
era stata ristabilita.
In onore di questa antica alleanza noi abitanti della Terra di
Mezzo ci battevamo affiancati dai nostri eserciti. Eppure sentivo dentro di me
che quella battaglia non mi avrebbe portato altro che sofferenza e paura. Ma
come poteva questa mia sensazione avverarsi? Eravamo così vicini alla vittoria
che nulla poteva ribaltare la situazione, almeno così credevo, prima che……
-Principe, guardate, vicino alle
colonne!- e guardai sul consiglio del mio fedele messaggero. La spada con la
quale stavo trafiggendo uno dei pochi orchi sopravvissuti restò conficcata
mentre correvo più veloce che potevo, con l’arco stretto nella mano e una
freccia tesa su di esso .
Scagliai a grande distanza, temendo di non arrivare in tempo,
prima una, poi due, tre, quattro frecce. Gli orchi caddero a terra e Eramed con
loro.
Non capivo perché avesse ignorato i miei
ordini, e in quel momento fui colto da paura e tristezza. Un dolore immenso e
implacabile si propagava dentro di me, il dolore di una ferita che non si
sarebbe più rimarginata, alla vista di Eramed che crollava a terra tra gli
orchi.
Corsi ancora, sempre più veloce, ma
quando arrivai da lui, capì subito che era troppo tardi. La nuova arma di
Saruman era ancora conficcata. Da quel momento Eramed avrebbe vagato per le
terre senza meta né riposo. La sorte peggiore che potesse capitare ad un elfo.
-Mi dispiace, Legolas, era tuo fratello,
vero?!- le parole di Ghimli mi parvero così lontane e senza senso. Oramai non
contava più nulla.
Eravamo vincitori della battaglia, ma
avevo perso mio fratello.
Era tutto inutile, Eramed non si sarebbe
più svegliato dal suo sonno eterno, ed era solo colpa mia.
La mia armata si preparò a partire, trasportando il corpo di mio
fratello, mentre io restavo indietro, assieme ad Ameriss, il mio messaggero.
Tentava in ogni modo di consolarmi, ma
ormai era tardi ed io avevo già deciso cosa fare.
Spronai il mio cavallo e presi un sentiero nascosto che mi avrebbe
portato lontano. Ameriss tentò di raggiungermi, ma l’incantesimo elfico che
recitavo per frenare la sua avanzata era sufficientemente forte da consentirmi
di raggiungere entro breve tempo i confini di Brandibuk.
La Contea era dinnanzi a me, e i suoi
abitanti erano felici.
Mi parve tutto chiaro: avrei attraversato
l’intera Terra di Mezzo, i suoi confini e i confini delle altre Terre, se
questo sarebbe servito a qualcosa.
Ora, seduto ai piedi di una quercia,
ricordo tutto con orrore.
Ho solo un desiderio da esprimere a mio
padre e ai miei sudditi: non cercatemi, io sono un elfo come tanti altri, un
elfo che si è battuto infinte volte e che ha perso il suo unico fratello e la
gioia di vivere,un elfo che non ha più un destino.
Scordatevi dell’eroe senza timore.
Scordatevi del principe amato.
Scordatevi di me.