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Autore: RobTwili    15/12/2012    15 recensioni
Harper e Jared.
Pri e Jedi.
Si conoscono dall’asilo e hanno frequentato il college assieme, sempre e solo da buoni amici.
Jared ha visto Harper in tutti i modi possibili, Harper riesce a sopportare Jared nonostante l’amore incondizionato che lui ha per Pixie, la sua BMW.
Sono single, entrambi, visto che sembra che nessuno sia in grado di sopportare i loro reciproci difetti. Harper ha infatti una teoria: tutti i ragazzi che le piacciono sono dotati di una corazza invisibile che fa rompere le frecce di Cupido, impedendo a tutti di innamorarsi di lei.
Ma se la freccia di Cupido scoccasse improvvisamente, verso quella persona che hai sempre avuto al tuo fianco?
Storia momentaneamente sospesa
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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CBA


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«Harper» urlai, con un tono di voce acuto per la sorpresa di quella domanda. Perché semplicemente non la smetteva di chiedermelo e fingevamo che non fosse mai successo niente. «Non risponderò a questa domanda». Non volevo ferirla, in entrambi i casi. Se avessi detto sì e si fosse aspettata un no? E se fosse stato il contrario? No, non potevo rischiare di deludere Harper; lei era una delle persone più importanti della mia vita.
«Perché non vuoi rispondere? Perché è un no e non mi scoperesti nemmeno se mi incontrassi? Mi stai dicendo che stai cercando di alleviare il mio dolore non dicendomi che sono un cesso, vero?». Finì la frase in un sussurro, facendo cadere tutti i muri che avevo innalzato attorno a me per non rispondere a quella domanda. Non era proprio quello il motivo per cui non volevo rispondere, proprio no.
«Harp» sussurrai, avvicinandomi a lei e inginocchiandomi davanti al suo letto, perché potesse guardarmi negli occhi e vedere che non stavo mentendo. «Non sto dicendo che sei brutta, anche perché non l’ho mai pensato. Non voglio rispondere alla tua domanda perché non ci voglio pensare. Potrebbe succedere come in quei film idioti, hai presente? Non voglio rovinare la nostra amicizia per fare sesso con te una volta, solo per togliermi uno sfizio. Quello che sto cercando di dirti è che sei una bellissima ragazza e che non devi scoraggiarti, perché nessuno pensa che tu sia brutta. Per quanto riguarda il trombare… ripeto che non voglio rovinare la nostra amicizia». Mi sembrava che il discorso fosse chiaro, speravo di essermi spiegato bene.
Speranza vana, vista la risposta di Harper.
«Ahh» ringhiò, portandosi le mani tra i capelli. «Ho bisogno di una scopata. Se lo facessimo tipo sport? Come se tu stessi giocando a golf; tu giocavi a golf, no? Ecco, solo che non stai giocando con una palla ma con due. Cioè, io giocherei con due palle e tu… anche. Insomma hai capito no? Sarebbe solo per scaricarsi. Cavolo Jar, guardo gli episodi vecchi di Baywatch alla TV e ogni volta che compare Cody durante la sigla mi scende la bava». Lo sguardo di Harp assieme a quella confessione mi fecero ridere così tanto che mi sbilanciai, trovandomi seduto per terra. Non credevo che Harp guardasse ancora le vecchie repliche di Baywatch solo per Cody, anche se sapevo che fin da piccola era stata innamorata di lui e dei suoi addominali scolpiti.
«Harp, non posso proprio aiutarti. Dovrebbe esserci tensione sessuale per iniziare, non è che puoi spogliarti e poi ti do due colpi, dovrebbe esserci l’atmosfera; tipo nei film, quando si sente il sassofono suonare e tu sai già che ci sarà la scena porno, capisci?». Per quanto considerassi Harp una bella ragazza, rimaneva sempre comica e non riuscivo a immaginare che ci potesse essere della tensione sessuale tra di noi. Per quante volte l’avessi vista nuda o in intimo, non riuscivo a immaginare Harp come desiderabile, ma semplicemente come donna. Sì, ecco risolto il mistero. Perché mi ero tanto preoccupato e non avevo detto subito come stavano le cose? Apprezzavo Pri come donna ma non era scopabile per me; ecco tutto.
«Sai, hai ragione. Non sei così trombabile come pensavo, non ho la bava come con Cody quando ti vedo in costume o in mutande» sentenziò, ferendo il mio ego da uomo. Harp si stiracchiò giocando con il pupazzo che teneva tra le mani.
Non era decisamente carino quello che mi aveva appena detto ma, per non farmi vedere ferito dalle sue parole –anche perché non c’era motivo di rimanere ferito solo perché mi aveva detto che non mi considerava scopabile –uscii dalla sua stanza per andare in camera mia a lavorare un po’ prima di cena.
Una volta in camera mia però, mi soffermai a guardare la foto di sfondo del laptop: eravamo io e Harp, in spiaggia a Venice Beach, qualche mese prima. Harp era seduta sulle mie spalle mentre correvo lungo il bagnasciuga, ridendo. Vedevo le sue mani strette sul mio volto perché aveva paura che la lasciassi andare, nonostante le mie braccia fossero salde ai suoi polpacci. La foto era stata scattata da Wilson.
Ridacchiai, sistemandomi meglio sul letto e aprendo –senza nemmeno rendermene conto –la cartella con le foto di quel giorno. Ne avevamo scattate così tante che, a fine giornata, Wil si era lamentato con Harp e con la sua mania per le foto.
«Jar». Harper spalancò la porta della mia camera, entrando all’improvviso e facendomi sgranare gli occhi per la sorpresa: indossava solamente un misero completino intimo che copriva a malapena il suo seno e il suo sedere. «Spogliati, subito. Muoviti». Cercai di reagire, ma vedere Harper davanti a me con un completo e i tacchi non riusciva a far affluire il sangue verso l’alto. «Ti vuoi muovere?». Salì sopra al mio letto, gattonando verso di me senza togliersi quelle scarpe che come minimo avevano dieci centimetri di tacco.
Mi sistemai il collo della maglia che indossavo perché mi stava strozzando, ma Harp, prima che potessi fare qualche altra mossa, tirò la mia maglia verso l’alto, togliendomela. «Harper» sussurrai, con un tono di voce decisamente strano: era un misto tra un mugolio, un gemito e una supplica.
«Togliti quei pantaloni, subito» ordinò di nuovo, attendendo un paio di secondi prima di portare le sue mani alla cintura dei miei jeans per strattonarmi. Da quando Harp aveva tutta quella forza? Non che disdegnassi quel suo nuovo e inaspettato lato, ma vedere quel luccichio nei suoi grandi occhi verdi mi fece rabbrividire, non di certo per paura. «Cazzo Jar, prendi un po’ di iniziativa anche tu, però» mormorò, abbassando la zip dei miei pantaloni per toglierli. Non ci pensai due volte, mi inginocchiai davanti a lei sul letto, appoggiandole le mani sui fianchi e facendo pressione perché mi desse le spalle. «Non fare scherzi sbagliando entrata, eh! » mi ammonì, dandomi le spalle e rimanendo ferma, in attesa di una mia mossa.
Mi avvicinai a lei, appoggiando il mio petto alla sua schiena e iniziai a baciarle il collo e la spalla, facendo attenzione a non mangiare i suoi capelli. Sentii Harp ridacchiare e istintivamente la mia mano corse ad ancorarsi al suo fianco, facendo scontrare il mio bacino alle sue natiche e causandole un mugolio sorpreso.
«Ti dispiace se accendiamo lo stereo? La musica mi eccita» mormorò, allungandosi sul letto per prendere il telecomando che avevo appoggiato al comodino. Il mio sguardo corse lungo la sua schiena, soffermandosi su quegli slip che lasciavano scoperto un pezzo di pelle. Era così invitante che… no, non potevo morderlo o tirarle uno schiaffo, no.
Dopo aver sbuffato e cambiato tre CD perché non erano di suo gradimento, Pri tornò con la schiena appoggiata al mio petto rilassando le spalle e portandosi i capelli su di una. Quel maledetto reggiseno e quella spallina mi infastidivano proprio; sganciai quindi –con il mio classico tocco di maestria –la chiusura, liberandola velocemente di quell’indumento. Feci correre la mano destra lungo il suo stomaco, salendo lentamente verso l’alto e soffermandomi a stringere un suo seno mentre l’altra mano scendeva superando la barriera di stoffa e strappandole più di un gemito.
«Ja...Jar ma sei man...mancino?» chiese all’improvviso, stringendo la sua mano sopra alla mia, all’altezza del suo cuore. Che domande mi stava facendo? Non vedeva che ero, come dire… impegnato?
«Harper» grugnii, interrompendo il movimento della mia mano e guardandola negli occhi, notando come fossero diventati di un verde quasi più scuro. Anche le sue guance avevano un colorito diverso, come se fossero di un rosso più acceso; rosso che quasi nascondeva le sue lentiggini.
«Sei mancino? Non l'ho mai notato Ti conosco dall'asilo e sono sempre stata convinta che tu scrivessi con la destra » tornò a domandare, guardando la mia mano sinistra, ancora nascosta dalla stoffa verde dei suoi slip. Ma non poteva proprio pensare ad altro? Perché non era concentrata su qualcosa di diverso rispetto alla posizione della mia mano destra o sinistra?
«Harper, cazzo. Ho una mano dentro alle tue mutande e mi chiedi se sono mancino?» ripetei; una nota scocciata nella mia voce. Mi stavo seriamente arrabbiando, era andato tutto così bene, perché doveva rovinare il momento chiedendomi con quale stupida mano scrivessi il mio nome?
«Ma è la sinistra, è strano». Il suo tono di voce era basso, quasi colpevole. Continuava a torturarsi le mani, come se si sentisse in colpa per aver interrotto quel momento; cercai quindi di rassicurarla, mordendole una spalla e sorridendo.
«Nel caso non l'avessi notato la destra è impegnata più su. Adesso basta pensare alle mie mani». Per farle capire bene la differenza tra destra e sinistra, strinsi quel po’ di carne che c’era con la prima e affondai le dita della seconda mano, sentendo il corpo caldo di Harp muoversi istintivamente.

Era una sensazione quasi strana e piacevole quella di sentire il suo respiro diventare più pesante e la presa della sua mano attorno alla mia gamba farsi più forte. Mormorai al suo orecchio una frase che la fece rimanere senza fiato per qualche secondo e non riuscii a trattenere una risata, strofinando la mia barba contro il suo collo e mordendo poi la parte arrossata. Continuai a torturarla sempre più delicatamente fino a quando il suo respiro non tornò normale.
«Jar, posso leccarti i piedi?» domandò, togliendo la mia mano dai suoi slip e voltandosi verso di me subito dopo. Il mio sguardo doveva essere eloquente, perché Harp si rattristò, come se per lei fosse stato importante. «Dai, per favore, solo una leccata». Congiunse le mani sotto al mento in segno di preghiera, avvicinandosi pericolosamente con il suo viso al mio e facendomi perdere l’equilibrio tanto che caddi disteso sul letto, sentendo una sua risatina. «Una leccata» spiegò, sgattaiolando fino ai miei piedi e sorridendo.
«Harper, no» protestai, piegando le gambe perché non potesse leccarmi i piedi. Che cazzo stava pensando? Non credevo avesse certe passioni strane. «Che schifo, non mi leccherai i piedi». La respinsi con una mano, allontanando le sue braccia dalle mie gambe, visto che cercava continuamente di prendermi il piede. «Harper, cazzo. No» urlai, mettendomi a sedere sul letto. Aprii gli occhi, guardandomi attorno: la mia camera era vuota, non c’era Harp con solamente un paio di slip davanti a me e non indossavo solo un paio di boxer; avevo ancora la maglia addosso –maglia che era appena, appena sudata –e i pantaloni che mi infastidivano all’altezza della zip.
«Porca troia» mormorai, portandomi le mani tra i capelli e fissando un punto indefinito davanti a me. Avevo appena fatto quello che pensavo, seriamente? Chiusi il laptop ancora sopra alle mie gambe con rabbia, strofinandomi il viso per riprendere un po’ di lucidità. Dovevo uscire da quella stanza e prendere un po’ d’aria perché il mio cervello si era fottuto con quella chiacchierata con Harp, avvenuta quel pomeriggio.
Uscii prendendo lo skateboard e sperando di non incontrare Harp tanto che chiusi la porta di casa con attenzione.
«Salve, vicino» urlò Kurt, non appena voltai le spalle all’uscio. «Stai scappando dalla rossa?». Kurt, il vicino, era un bravo uomo; un tuttofare utile in casa nostra, quando c’era qualche problema che non potevo risolvere al pc. Era leggermente inquietante –a detta di Harp –perché usciva sempre con un orso di peluche a cui parlava come se fosse un figlio, non avendone.
«No, sto solo andando a fare skate giù in strada» spiegai, sorridendo e prendendo la tavola in mano, prima di iniziare a scendere le scale con lui. Mi sorrise, chiedendomi come stesse Harp e se tutto procedesse bene nella nostra vita; mi chiese come funzionava il lavandino della cucina che aveva aggiustato un mese prima e, una volta arrivati in giardino, mi salutò, augurandomi una buona serata.
Rientrai in casa quasi un’ora dopo, stanco e sudato ma decisamente con la testa sgombra grazie all’aria fresca della sera. Andai in cucina per bere un po’ d’acqua e trovai Harp davanti al lavandino; credevo stesse preparando qualcosa di buono per cena, ma quando sentii un singhiozzo, corsi verso di lei preoccupato.
«Pri?» domandai ansioso, appoggiando le mani sulle sue spalle e costringendola a voltarsi verso di me. I suoi occhi erano arrossati e gonfi; c’erano anche delle lacrime sulle sue guance. «Harp, che è successo?» chiesi, circondando il suo viso con le mie mani per costringerla a guardarmi.
Cercò di parlare, ma i singhiozzi non le permettevano di farlo, così le suggerii di fare qualche respiro profondo.
«Mi… mi ha chiamata Ken. È… sta bene, solo che è in ospedale per una visita. Era… era quasi tornato a casa solo che era stanco e non si è accorto della macchina che gli ha tagliato la strada. Sta bene, non si è fatto niente, solo che la macchina è distrutta. È tutta colpa mia, stanotte l’ho tenuto sveglio così tanto e se Ken si fosse… se fosse…» ansimò, ricominciando a piangere.
«Harp, Harp, guardami» mormorai, stringendo di nuovo la presa attorno al suo volto perché mi obbedisse. Quando vidi il suo sguardo rivolto a me, continuai: «Ken sta bene, d’accordo? Non è successo niente. Ken sta bene, è solo una visita di controllo perché l’hanno tamponato. La macchina si ricompra, ok? L’importante è che vada tutto bene. Harp, calma». Istintivamente la abbracciai, lasciando che si sfogasse e piangesse. Era inutile cercare di tranquillizzarla, sapevo che non ci sarei riuscito; dovevo solo lasciarla piangere, fino a quando non si fosse calmata e avesse superato lo spavento. Harp aveva così tanta paura di perdere anche Ken che l’idea che fosse potuto succedere proprio a causa sua –anche se questa era una sua stupida idea –la feriva troppo.
«Va un po’ meglio?» chiesi, posando il mio indice sotto il suo mento per sollevarle il volto. Sorrisi vedendo i suoi occhi bagnati dalle lacrime e le diedi un bacio sulla fronte, accarezzandole la schiena. «Andrà tutto bene, va tutto bene, d’accordo?» sussurrai al suo orecchio, senza smettere di massaggiarle la schiena.
«Grazie». Un sussurro appena accennato, mentre strofinava il suo naso sul mio petto, abbracciandomi. Ridacchiai per il solletico, reagendo istintivamente e iniziando a torturare i suoi fianchi mentre si dimenava perché la smettessi. «Jar, idiota smettila» ridacchiò, tirandomi una gomitata sullo stomaco così forte che mi mancò il respiro per qualche secondo.
«Cazzo» sbottai, portando entrambe le mie mani ad alzare la maglia per massaggiarmi il punto. Vidi Harp sgranare gli occhi per la sorpresa, prima di coprirsi le labbra con le mani, notando il segno rosso che il suo gomito aveva lasciato.
«Jar, scusa. Scusa, scusa, scusa» borbottò, portando anche le sue mani fredde sul mio stomaco e facendomi rabbrividire. Sentire il suo tocco sulla mia pelle mi fece ricordare il sogno che avevo fatto prima di uscire con lo skate e rimasi per qualche secondo immobile a guardare quelle lunghe dita affusolate che mi accarezzavano. «Jar? Stai tanto male? Che succede?» domandò Harp, avvicinandosi di un passo a me e costringendomi a indietreggiare fino a trovarmi intrappolato tra il suo corpo e il bancone.
«S… sì» biascicai, togliendomi l’immagine del corpo di Harp coperto solo da quel completino intimo verde. Lei era lì, davanti a me, vestita. Quello era il particolare importante che dovevo tenere a mente. Era stato solo un sogno e basta, non dovevo dare importanza al mio subconscio.
«Sei sicuro di stare bene?». Portò una mano sulla mia fronte, per sentire se avessi la febbre e, istintivamente, indietreggiai verso il frigo per scappare. Non mi ero accorto però che la mano di Harp era incastrata sotto alla mia maglia; così, indietreggiando, inciampai sullo skateboard cadendo a terra e trascinando Harp con me.
Iniziai a ridere, seguito subito dopo da lei: non ci eravamo fatti male e la situazione era davvero comica. Io ero disteso per terra e Harp, sopra di me, aveva sbattuto la fronte contro il mio petto. «Stai bene?» chiesi, alzando appena il capo per controllare. Tra le risate la vidi annuire e non riuscii a smettere di ridere a mia volta.
«Quanto sei cretino». Per ripicca morse il mio collo, facendomi ridere più forte. Nel momento in cui aprii gli occhi, però, smisi di ridere all’improvviso: Harp era seria e mi guardava intensamente, come se stesse ponderando qualcosa. Improvvisamente, però, era diventato caldo e sembrava che la stanza si fosse ristretta attorno a noi; il mio sguardo corse verso le labbra di Harper schiuse, a pochi centimetri dalle mie. Aggrottai le sopracciglia confuso quando la sentii mormorare un «Cazzo». Che avevo fatto?
«Che succede?» chiesi, tornando ad appoggiare il capo al pavimento.
«Smettila di fare quella cosa con la lingua, dico sul serio. Se lo fai di nuovo te la mordo». La sua minaccia mi fece paura, soprattutto quando Harp appoggiò una mano sulla mia fronte, impedendomi di muovermi. «L’hai voluto tu. Tira fuori quella lingua che te la strappo con i miei stessi denti». La mano destra di Harp si strinse al mio mento, facendo forza perché potessi aprire la bocca. Iniziai a ridere, incapace di trattenermi nel vedere lo sguardo di Harp.
«Quanto sei scema» biascicai, cercando di tenere le labbra serrate perché non mi prendesse la lingua con quelle dita affusolate. Harp iniziò a ridere di nuovo, tornando a distendersi sopra di me e soffiando involontariamente sul mio collo, facendomi rabbrividire. Se ne accorse subito, perché smise di ridere, sollevando il capo e guardandomi negli occhi, senza dire nulla.
Sentivo il calore del suo corpo contro di me, il battito del suo cuore che sembrava accelerare assieme al mio; l’aria che diventava quasi elettrica e i respiri sempre più frequenti. Nessuno di noi parlava, continuavamo semplicemente a guardarci negli occhi, immobili. Cercai di deglutire, ma non avevo nemmeno più saliva; forse perché ero impegnato a fissare le lentiggini sul naso di Harp che sembravano illuminarsi come le luci durante il periodo natalizio. «Jar, sento il sassofono. Anche tu?» sussurrò, lasciando che il suo fiato caldo colpisse le mie labbra schiuse, solleticando la mia lingua.
Era come se il mio cervello si fosse disconnesso all’improvviso, come se non pensassi più ma reagissi all’istinto dettato dal mio corpo. Mi ritrovai con una mano dietro alla nuca di Harp e con l’altra sulla sua schiena per avvicinarla a me mentre le nostre labbra si scontravano, baciandosi.
Non era un bacio dolce, era un bacio dettato dall’urgenza, dalla frenesia del momento, un bacio che si approfondì quasi subito, costringendomi a mettermi seduto per far in modo che Harp si sistemasse meglio sulle mie gambe. Sentii le sue mani correre tra i miei capelli e giocarci, tirandone qualche ciocca; la sua lingua che si intrecciava alla mia e il suo seno che si scontrava al mio petto a ogni respiro che facevamo.
Non mi accorsi nemmeno di essermi alzato in piedi per far sedere Harp al bancone della cucina, senza smettere di baciarla. Mi ritrovai solo con le mani sotto alla sua maglia, ad accarezzarle la pelle liscia e calda della pancia per causarle un sospiro. Ridacchiai senza smettere di sollevare il suo top e sghignazzai soddisfatto quando mi accorsi che non portava il reggiseno. Le baciai il collo, scendendo e soffermandomi su un suo seno, causandole una risata che mi fece tentennare per qualche secondo: che avevo fatto di male?
«Mi fai il solletico, smettila». Harper allontanò le mie labbra dal suo corpo, tornando a baciarmi mentre mi spogliava della maglia e slacciava i miei jeans con maestria. Smisi di accarezzare la sua schiena e la aiutai ad abbassarmi i pantaloni e i boxer, tornando poi a dedicarmi a quei pantaloncini che indossava e che stavano decisamente infastidendo entrambi. Con un solo gesto glieli levai assieme agli slip, sospirando mentre ammiravo il suo corpo nudo, davanti a me. Era come quando l’avevo vista in bagno, solo che stavolta avevo il permesso di guardare e soprattutto toccare.
Attirai Harp verso di me, allargano leggermente le sue cosce perché potessi baciarla meglio, ma sentire le sue labbra sorridere sulle mie mi fece sghignazzare. Mi sistemai meglio, cercando di avvicinare Harp a me senza che potessero venirmi crampi alle gambe e che il bancone non le desse fastidio; poi, dopo averle morso una guancia, la guardai negli occhi, in attesa di un suo ordine. Vidi le sue labbra sorridere prima che i denti di Harp iniziassero a torturare la mia mascella, scendendo verso il collo. Mi bastava, lo interpretavo come un permesso per continuare.
La sensazione del corpo di Harp attorno a me mi destabilizzò, facendomi mancare il fiato tanto che mi aggrappai ai suoi fianchi, per non cadere. Sentii le sue mani graffiarmi la schiena e cercai di riacquistare lucidità, sfiorandola e accarezzandola, mentre sentivo il suo respiro affannato infrangersi contro il mio volto. Cercavo di trattenermi per non fare una figuraccia, ma la sensazione di un corpo caldo attorno a me e la visione del viso di Harp arrossato non aiutavano; per questo, istintivamente, la sollevai dal bancone, avvicinandola per poter affondare in lei.
«Porca troia» esclamò prima di gemere, abbandonando lentamente la testa all’indietro. Non feci domande, non cercai risposte; non era decisamente il momento opportuno. Mi lasciai solamente andare, aumentando la velocità delle mie spinte e abbandonandomi all’ondata di piacere che mi travolse. Appoggiai la fronte alla spalla di Harp che iniziò a ridere, incuriosendomi. Quando alzai lo sguardo la trovai distesa sul bancone, in preda a un attacco di risa. «Non ci credo, con Jedi» biascicò, asciugandosi una lacrima che stava scendendo lungo la sua guancia.
Che era successo? Ero andato così male da farla ridere? Avevo fatto cilecca? Che diamine era successo? Perché stava ridendo di me?
«Vado a farmi una doccia, prepari qualcosa da mangiare? Lava anche il ripiano, che è meglio». Si mise a sedere, scendendo dal tavolo e prendendo i suoi vestiti che erano sparsi attorno a noi. Non pensò nemmeno di vestirsi, salì le scale nuda, incurante del mio sguardo che la stava squadrando da testa a piedi.
Non appena sentii la porta del bagno chiudersi il mio cervello –che si era spento diversi minuti prima –si riaccese, facendomi capire quello che avevo fatto. I pantaloni e i boxer ancora appallottolati alle mie caviglie, la mia maglia a pochi passi da me, il bancone che aveva le impronte delle mani di Harp visibili in controluce, l’odore della sua pelle ancora sulla mia e il sapore delle sue labbra sulle mie.
«Che cazzo abbiamo fatto?» bofonchiai, guardando un punto indefinito davanti a me.

 
 
 
 
Ok, intanto mi scuso per l’infinito ritardo, ma come ho spiegato nel gruppo ci sono stati diversi problemi durante la stesura di questo capitolo.
Partiamo con il dire che mi sembrava divertente e che rileggendolo avrei cancellato tutto… arriviamo a dire che mi sono resa conto di non saper nemmeno più scrivere una scena arancione e finiamo con: so che fa schifo e mi dispiace.
Purtroppo non sono riuscita a produrre niente di decente come invece speravo di fare.
In ogni caso… questo è l’ultimo capitolo prima delle vacanze di Natale perché, come è stato deciso dalla votazione e quindi da voi, la OS che pubblicherò a Natale sarà sui personaggi di You saved me.
Quindi, qualche giorno prima di Natale pubblicherò la OS e l’aggiornamento di Jared ed Harper slitterà tra Natale e Capodanno.
Vi auguro quindi già da ora buone feste per chi non fosse interessato a leggere la OS.
Come sempre vi ricordo NERDS’ CORNER che è il gruppo dove ci sono spoiler e altre iniziative (come quella che mi sta divertendo –e credo stia divertendo anche voi).
A presto.
Rob.

   
 
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