Katniss le vedeva nei suoi incubi.

 Sognava i loro sorrisi che la torturavano esplodendo o infrangendosi nel rosso del sangue.
 La lancia conficcata nello stomaco, il lembo della camicetta fuori come la coda di una paperella.

 Katniss le sentiva.

 Il pianto, la richiesta di cantare. Le loro grida di terrore mentre cercavano un aiuto che non sarebbe mai arrivato. Il suo aiuto.

 Katniss si malediceva, si sentiva morta dentro a causa del suo non averle salvate.
 Sapeva che il tempo è implacabile e sarebbe andato avanti. Nonostante si fosse impegnata al massimo per fermarlo, era più forte di lei. Le vedeva nei fiori, nelle Rondini che volavano nel cielo.

 Le Rondini che significavano libertà.

 Mentre le Ghiandaie Imitatrici le ricordavano solo morte.

 Katniss vedeva Rue, vedeva Prim. Ci fu un momento in cui nemmeno riuscì più a distinguerle. Affioravano nella sua mente solo com’erano i loro corpi senza vita, talmente simili da renderle un’anima unica.

 Un unico ricordo.

 Un unico incubo.

 Ma Katniss continuò a combattere.
 Continuò, continuò, continuò.

 Un giorno, semplicemente, smise: sprofondò nel pianto quasi senza riuscire a respirare. Pianse per ore davanti allo specchio. Pianse fino a che i singhiozzi continuarono ma le lacrime finirono.

 E poi lo sentì, un calcio che le scosse la pancia.

 Avvertì dentro un’ombra calda, un sorriso le nacque in viso.

 Era femmina, se lo sentiva.

 L’avrebbe chiamata Primrue.

 E gli incubi scomparvero con il dolore e i ricordi.