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Autore: Columbrina    16/12/2012    0 recensioni
Capitolo speciale di Cheats che ho deciso di pubblicare singolarmente per puro e sperimentale diletto. Naturalmente questa storia sarà inclusa anche nella suddetta.
“Che ne dici di divertirci un po’?”
“E come? Fuori nevica e io non voglio giocare con i tuoi giocattoli, sono insopportabili. Figurati quando dovrò sopportare due femmine”
“Ma la mia idea è divertente. Consiste in una sfida” sorrise lei, sorniona. Denzel la imitò.
“Ti ascolto”
“La vedi quella scatola laggiù?”
Denzel seguì l’indice di Marlene dietro di sé e con solo la testa voltata distinse tra il ciarpame di giocattoli accozzati un piccolo bauletto riciclato dal Natale passato, che pativa le usure del disuso, anche se per le prime settimane dell’Anno Nuovo i due l’avevano usato come contenitore dei giochi meno ingombranti e Tifa aveva suggerito a Marlene di farne anche una casa per le bambole: che pensiero stupido.
Il bambino poi annuì energicamente.
“Ognuno di noi ci metterà dentro un tesoro”
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Denzel, Marlene Wallace, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Contesto generale/vago
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In casa regnava la regola del silenzio e tutti si trovarono relegati nella loro piccola nicchia di pensieri, cercando di estrapolare le più coscienziose – ma più che altro rivelatorie – frasi che si erano dissipate nelle formalità quando il giorno di Natale era divenuto un penoso acquario colmo di pesci balbuzienti e laconici, poi parlando di Cloud si raggiungono picchi di estremismo davvero assurdi; anche se solo tra lui e Tifa le cose parevano essere univoche: non avrebbero mai più parlato di questa storia passata per un inconveniente, una tresca elaborata facente parte di un copione minuziosamente messo in scena, in modo da non tralasciare alcuna spira incosciente boicottata dalla tentazione di recitarlo di nuovo.
Però sembravano tacitamente annuire alla situazione e andavano pletoricamente avanti: Tifa, incinta e accaldata, si prodigava per la lauta cena che, da brava tradizionalista, doveva essere impeccabile o per lo meno decorosa e in suo aiuto erano accorse Yuffie, che aveva occasione di sfoggiare un bel grembiule reperito da uno dei doni scartati a caso e probabilmente non destinati a lei, e Aerith, che non risparmiava filastrocche e aneddoti grotteschi. Anche Cloud si era offerto di aiutarle e in un primo momento la donna di casa aveva declinato l’offerta ma, constatando la poca esperienza delle amiche in cucina, accettò le premure di Cloud andando a riposare la schiena.
Marlene l’aveva sentita salire e si era gettata a capofitto sulla soglia dello stipite; nei suoi occhi color cioccolato poteva distinguere il profilo prostrato e pallido di Tifa, in netto contrasto con la pece della fluente chioma lasciata ricadere fin sotto la schiena; aveva preso l’abitudine di carezzarsi sempre il ventre pasciuto e Marlene la trovava una cosa adorabile, anche se lo vedeva come una sorta di piacere vizioso della donna per sopprimere le stoiche stasi del giorno o del tempo in generale. Ma nel vedere tanta devozione e piacere nell’allietare il grembo con carezze circolari, Marlene sorrideva come non mai, sentendosi sollevata e fiera in un certo senso, quindi prendeva a sfregare delicatamente anche le sue rotondità ancora immature, che al tatto avevano tutta la sensazione della fanciullezza in fiore.
Da una parte, lo faceva tacitamente anche per farsi bella e adulta agli occhi di Denzel, senza un apparente motivo, solo per la semplice lusinga di essere adulata, semplicemente perché voleva ostentare tutta la sua fanciullezza. Ma lui stava steso contro lo schienale del letto duro, le mani dietro la testa che la reggevano come un soppalco, mentre sul volto contrito di malumore sporgeva la prolifica lotta di due istinti basilari che si traducevano in un broncio che necessitava di spiegazioni.
“Hai mal di pancia?” esordì lui caustico, apparentemente infastidito dal fruscio degli sfrigolii del vestito di Marlene, che fece buon viso a cattivo gioco
“Tu che hai piuttosto? Mi sembri arrabbiato” sorrise lei, con un sorriso sfoggiato per accattivarsi le simpatie del compagno di giochi.
Denzel si girò su un fianco, in modo da non doversela vedere con quegli occhi indagatori che lo scrutavano con insistenza, facendolo sentire in cattività. Allora Marlene, puntellandosi sui gomiti, si inginocchiò ai bordi del letto, avvertendo una certa tensione trapelare dalle terminazioni di Denzel, dal fatto che inspirava profondamente, come se tenesse le guance sottovuoto, quindi mise via il sorriso accattivante e assunse un’espressione premurosa.
“Ehi …” esordì, per poi dargli un buffetto sulla spalla “Cosa di prende?” chiese, senza che si aspettasse nulla dato che Denzel preferiva parlare da solo con le sue emozioni, però pensava che mostrandosi per lo meno impensierita da quello strano modo di fare riuscisse a far breccia in quella corazza senza occhi sul mondo
“Niente”
Se l’avesse guardata, Denzel avrebbe visto le sopracciglia di Marlene calarsi paurosamente sugli occhi, formando falci d’ombra sul viso ancora fanciullesco, mentre portava le mani enfaticamente sui fianchi.
“Denzel …”
Il tono perentorio di chi voleva passare per l’adulto parve non far breccia nelle emozioni di Denzel, il che fece crogiolare Marlene in uno stato di apprensione simile a quello in cui Tifa si rifugiava spesso quando Cloud stava via per molto.
“Denzel” disse ancora, questa volta facendo uscire tutta l’apprensione prostrata in quello spazio che bastava a dividerli, a permettere che i loro occhi non si incrociassero, per far in modo che i bambini non si capissero a vicenda perché per loro bastava anche solo un gesto, dire di no a un gioco o a un sorriso per cadere in uno stato di premura reciproca.
Denzel l’avvertì questa premura e quindi si girò nuovamente, puntellandosi sull’altro fianco e reggendosi la testa con la mano, che affondava nella guancia soffice, deformando un po’ il piglio certo, ma Marlene di certo non si mise a ridere.
“E’ solo che …” esordì timoroso, sedendosi sul bordo del letto “Che ultimamente Tifa e Cloud non hanno più tempo per noi e mi sento come un estraneo qui dentro. Insomma non mi sento più parte della famiglia, hanno ben altre cose a cui pensare lo so, però vorrei che si ricordassero che anch’io ci sono qui. Poi sono certo che la situazione andrà di male in peggio quando nascerà quella
L’aveva confessato tutto d’un fiato e col tono concitato di chi sta nascondendo un pianto alle soglie arrossate della gola, una mestizia che si traduceva in sprazzi paonazzi sul viso e sugli occhi; mentre Marlene contemplava la scena in un religioso silenzio, notando anche che Denzel nel dirlo si era ritrovato con le emozioni sottosopra e poteva leggerlo in ogni sua terminazione. Perciò gli prese la mano e sorrise.
“Non devi dire così. E’ inutile piangersi addosso, come dice il mio papà. Questo perché il bene lo si dimostra anche nei piccoli gesti: insomma, Tifa e Cloud lavorano sodo per darci tutto ciò di cui abbiamo bisogno, tutti si impegnano per noi per farci avere una bella vita, non vogliono farci rimanere soli così ci hanno dato una sorellina …”
“Io volevo un fratello. E’ un errore quella bambina!”
“Nessun bambino è un errore. Pensa se la tua vera mamma, Tifa, Cloud o perfino io ti avessimo considerato un errore, specie quando avevi il Geostigma… Tu che avresti detto? Che avresti pensato?”
Denzel calò il capo redento in modo che lo sguardo di Marlene non bruciasse i suoi occhi, su cui  gravava il peso delle sue parole, mentre sentiva che la carne diveniva sempre più fragile, come se una fiammella vi stesse soffiando sopra, sfiorandola pericolosamente. Non disse niente, ma lei capì tutto e sorrise di nuovo.
“Quindi basta fare così. Noi siamo fortunati, lo capisci? E non dobbiamo calpestare questa fortuna solo per qualcosa senza valore, non ne vale la pena. Tu hai Cloud, Tifa, Yuffie, papà, Cid, Shera … Me. Aerith mi ha anche detto che certe volte i bambini hanno bisogno dei loro spazi, in modo da rintanarsi nel loro mondo bello e allegro, perché fuori è tutto buio”
“Non mi piace il buio”
“Neanche a me. Quindi l’unica cosa che possiamo fare è tenerci per mano e camminare insieme”
“Tenersi per mano è una cosa per femminucce”
“E perché stai stringendo la mia ora?”
Denzel sciolse bruscamente l’abbraccio delle loro mani non appena si rese conto di avere il palmo praticamente in simbiosi con quello di Marlene, che si mise a ridere senza fare caso all’immatura concezione che lui aveva del vero significato dei rapporti umani e della loro arcana natura, ma era troppo presto per interrogarsi. Allora Denzel si stese nuovamente sul letto, mentre lei gli restava accanto, prostrata ai bordi.
E restarono per qualche istante a crogiolarsi nel loro mondi individualisti, dei vespai di ideali che cozzavano apertamente con quelli rudi dei giorni che si susseguivano a cielo aperto, elaborando progetti che non sarebbero mai venuti alla luce. Tranne quelli fattibili.
“Ehi …” esordì nuovamente lei. Denzel le rivolse un mugugno interrogativo, guardandola per farle capire che aveva sentito.
“Che ne dici di divertirci un po’?”
“E come? Fuori nevica e io non voglio giocare con i tuoi giocattoli, sono insopportabili. Figurati quando dovrò sopportare due femmine”
“Ma la mia idea è divertente. Consiste in una sfida” sorrise lei, sorniona. Denzel la imitò.
“Ti ascolto”
“La vedi quella scatola laggiù?”
Denzel seguì l’indice di Marlene dietro di sé e con solo la testa voltata distinse tra il ciarpame di giocattoli accozzati un piccolo bauletto riciclato dal Natale passato, che pativa le usure del disuso, anche se per le prime settimane dell’Anno Nuovo i due l’avevano usato come contenitore dei giochi meno ingombranti e Tifa aveva suggerito a Marlene di farne anche una casa per le bambole: che pensiero stupido.
Il bambino poi annuì energicamente.
“Ognuno di noi ci metterà dentro un tesoro”
“Di che tipo, scusa?”
“Non lo so, l’importante è che sia qualcosa a cui teniamo tutti e due” sorrise Marlene. Denzel nel frattempo, voleva saperne sempre di più e sui loro volti si scorgeva la gioia della resa.
“Va bene questo sarà il pegno.”
“Sì e lo vincerà chi farà meglio nella sfida”
“Che sfida?”
“Vince chi farà il regalo più sorprendente”
“A chi?”
“Tu a me. Io a te. Semplice” sentenziò Marlene, col piglio della soddisfazione che brillava negli occhi curiosi e sereni. Denzel annuì più energicamente di prima, elargendo un gran bel sorriso e stringendole la mano come suggello del patto, un segreto che avrebbero custodito gelosamente nella scatola almeno fino alla sera. Marlene lasciò che Denzel riempisse la scatola col suo tesoro segreto, dirigendosi in cucina dove lavoravano senza sosta Yuffie e Aerith; sapeva che Tifa dormiva, quindi non aveva neanche guardato tra l’interspazio aperto tra lo stipite e la porta. Sapeva perfettamente cosa fare e ciò disorientava un po’ Denzel, che ammirava il solerte spirito d’iniziativa delle femmine.
Forse perché avevano sempre a che fare con stimoli che traducevano in tanti modi precoci e recessivi, riuscivano ad assimilare la maturazione e non rigettarla, infatti Marlene era una bambina assai più saggia delle sue coetanee o delle altre che aveva conosciuto, fregiandosi dei soli otto anni che aveva e dimostrava. Recidivo di ciò, iniziò a meditare in posizione fetale alle tante sfumature che poteva avere lo stupore e si accorse che queste potevano essere a loro volta catalogate in due plausibili reazioni: uno stupore che avrebbe mozzato il respiro, minimizzato le parole, tutto mentre l’aria nelle vene iniziava ad accelerare i battiti del cuore, delle palpebre, dei polpastrelli l’uno contro l’altro; l’altro era uno stupore che veniva fuori solo quando non ti aspetti che qualcuno sappia così poco di te. Bastava giocare d’astuzia, ma Denzel venne sconfitto dal tepore della pigrizia che si addentrava sempre più in profondità dei suoi turbinosi occhi, vorticando come l’inebriante sapore di un bacio che li chiudeva sempre in modo sempre più incalzante sul viso, addormentandolo.
E fu in quel momento che Marlene si infilò a passo felpato nella stanza, addormentata in una coltre d’indolenza statica, aprì la scatola e vi mise dentro il suo tesoro, senza sbirciare troppo e poi soffermò i suoi occhi color cioccolato sul viso di Denzel, che si beava dei sogni che gli mandava Morfeo dal suo abbraccio.
“A quanto pare vincerò io” sentenziò a fior di labbra lei, gustando sul sorriso già il suo di stupore.
Intanto le ore passarono, scandite dalla stasi senza stimoli della casa apparentemente silenziosa, fino a che non sopraggiunse la sera con i suoi gusti amari e genuini, dipendenti da un diverso punto di vista e piglio d’appoggio. Tifa si era presa la premura di svegliarlo, sciacquargli un po’ il viso con un asciugamano bagnato e scarmigliandogli in modo studiato i cespugliosi capelli.
“Su dormiglione che tra poco si mangia” sorrise lei che, nonostante la distanza tra il nono mese e il feto corresse in modo sempre più affrettato, non era povera di premure che contraddistinguevano l’indole di una madre nata
Denzel sbadigliò, abbandonandosi alle cure di Tifa che gli risultarono più benefiche che mai.
“Quando apriremo i regali?”
“Dopo la cena, ma voi bambini potete aprirli anche subito” diceva lei, distratta “Anzi meglio di no, altrimenti i piatti non riuscirete a vederli neanche per il prossimo Natale. E poi Yuffie vuole aprirli tutti insieme”
In tutta sincerità, non gli importava nulla della sfida, però sentiva alla bocca dello stomaco il peso del rimorso che gravava sul fatto che lei si era prodigata così tanto per lui e pensò che anche il più infimo dei regali l’avrebbe stupita, forse perché non si aspettava niente di più da lui.
“Tifa, hai forse qualcosa che posso dare a Marlene?” chiese dal suo piglio spassionato, senza mostrarsi concitato o pervaso dalla smania
“No, tesoro. Però sono sicura che qualunque cosa regalerai a Marlene, apprezzerà il pensiero”
“Questo è il problema. Non le ho regalato nulla.”
“Allora facciamo così … Diremo che il regalo che le ho fatto io è in realtà frutto della collaborazione mia e tua, ci stai?”
Denzel non poté far altro che stringere Tifa per le spalle e scoccarle un bacio a fior di labbra sulla gota turgida di rosea timidezza, irrorata del sentore materno che non avvertiva da tanto tempo. Lei sorrise e lo prese per mano, in un istante intriso di fulgida euforia, che librava nell’aria sotto forma di risa e brusii che divenivano sempre più incalzanti ogni volta che i gradini si irroravano delle luci del salotto, arrangiato a sala da pranzo per quella che doveva essere una lauta cena a base di famiglia e accozzaglie recessive: Yuffie e Red XIII stuzzicavano Vincent, che si era ritagliato un angolo tutto per sé sul ciglio del menefreghismo e lì vi sarebbe rimasto per l’intera serata; Shera aboliva la terza sigaretta di Cid, che si allontanava un attimo per accendersene tranquillamente un’altra; Zack giocava un po’ con Marlene e Denzel non poté far a meno di notare la devozione univoca che congiungeva in gran segreto Tifa, che allentò la stretta delle loro mani, e Aerith, che li osservava dallo stipite della cucina, dove si alternavano lei e Cloud per imbandire il tutto e allestire la tavolata con portate piuttosto semplici, che vertevano tutte sul tradizionalismo. Inutile dire che lui non era un patito dell’economia domestica, figuriamoci dell’equilibrismo su vassoi di portata erculea almeno per lui.
Tifa rise.
“Tesoro, vado ad aiutare Cloud. Ne ha bisogno più lui in questo momento che altri. Tu cerca di mantenere il segreto, d’accordo?”
Detto questo gli fece un gesto d’intesa con lo sguardo, in quello che doveva essere un abbozzo di occhiolino, abbozzo perché fu talmente fugace che lui non ebbe neanche il tempo di sorriderle a sua volta. Conscio e recidivo dell’inebriante coltre di premure materne, si unì a Barret in quella che doveva essere una placida e cogitabonda ronda di ricognizione, e notò che supervisionava il tutto col suo cipiglio arcigno.
“Oh, ragazzo …” fu solo quello che riuscì a proferire, mentre Denzel, con un po’ di soggezione, si mise affianco a lui, puntellandosi contro la parete e con le braccia conserte proprio a imitazione di Barret, che non disse nient’altro.
Notò solo che Aerith e Cloud avevano accompagnato Tifa a una sedia, eccedendo di zelo e premura, facendo rivivere in Denzel la stessa identica  recidività che aveva provato poco fa.
“Ci penso io a lui, tranquilla” riuscì a sentire, mentre si allontanavano, passando sotto a un curioso ninnolo che somigliava a un ramo di pino, forse, con delle bacche a fare da ornamento vivace. Doveva sortire un qualche effetto venefico, perché Cloud ed Aerith erano entrambi arrossiti d’imbarazzo, una volta resosi conto che ce l’avevano a un passo dal capo, che sfiorava le punte dei capelli di Cloud e il fiocco di Aerith – quello di Zack stavolta, poiché lo indossava nelle occasioni speciali – quindi un forte interrogativo assalì il pulpito spassionato di un fanciullo che doveva ancora addentrarsi nei meandri di una vita dalle tante sfumature, non solo quelle fantasiste dei suoi sogni e delle sue realtà.
“Ehi Barret …” esordì lui, con voce nettamente vivida di curiosità.
“Che c’è ragazzo?” fece l’altro con cadenza baritonale, in netta opposizione, quasi agnosticamente inabissato in una burbera indole che veniva fuori dalla sua voce, ancorata a una personalità altrettanto turbolenta e arcigna
“Cos’è quel coso che pende da lì?” fece, indicando il ninnolo, dal verde soffuso delle foglie che si mischiavano abilmente alle luci di pulpiti recessivi, facendolo apparire ancora più grandioso ai suoi occhi
Barret, per un attimo, parve senza bussola, disorientato dall’alone soffuso che le lucciole di Natale creavano attorno a quel ninnolo verde.
“Ah, quello?” il bimbo scorse sul suo volto attraversato dai segni di guerra quello che doveva essere un sorriso sornione “Il paparino non te ne ha mai parlato?”
Denzel scosse energicamente la testa. Da quel tono recidivo aveva scorto una tacita sublimazione del fatto che quel ninnolo doveva nascondere qualcosa di una realtà apparente, veramente importante se aveva portato Barret a reagire così.
“Ebbene, quello è il vischio”
Un nome che gli suonava maledettamente stonato.
“E come funziona?”
Barret elargì un sorriso ancora più ampio, arrivando a innestare un’ondata di rinnovato fascino nel bimbo dagli occhi vispi.
“In parole povere, se due persone si trovano lì sotto nello stesso momento, devono baciarsi” disse “E’ un bacio effetto sorpresa e non sai mai chi ti capiterà a tiro, quindi tieni sempre gli occhi aperti. Ma in genere è una  piacevole sensazione, spontanea per certi versi e al giorno d’oggi è un qualcosa  più unico che raro”
“E scusa…” esordì, interrogativo e sempre più istigato dalle calzanti curiosità che si attanagliavano come successioni binarie “Perché prima Cloud ed Aerith non si sono baciati? Stavano tutti e due lì sotto”
Barret rise, una risata laconica, ma che sortì un effetto scaltro.
“Questa è un’altra storia” detto ciò, gli scarmigliò ancora un po’ la capigliatura, frizionando il capo cespuglioso.
Denzel aveva metabolizzato a memoria tutto ciò che gli aveva detto lui, dato che in termini elementari, quel ninnolo era un sugello vincolante, che ti coglieva alla sprovvista lasciandosi spiazzata con i soli sentori dei baci che si riversavano dalla porta del respiro fino in giù, alla bocca dello stomaco, dove il respiro si bloccava, si sfaldava, veniva assimilato dal corpo fremente che ti stava davanti, ma effettivamente senza alcuna coscienza. Pensò che fosse una buona trovata.
Allora ringraziò Barret con un sorriso e corse velocemente verso Marlene, che continuava ridere con Zack, in un modo quasi civettuolo per certi versi, ma che non scalfiva minimamente i suoi otto anni di innocente fanciullezza ancora da vivere.
“Marlene, vieni con me che devo darti il tuo regalo”
“Di già?” fece lei, guardando Zack col piglio di chi è stato preso alla sprovvista. Lui sorrise di rimando, facendole l’occhiolino, con un intento ben preciso, ma a cui non ci sarebbe mai arrivata, e tantomeno lui.
Allora Denzel la prese per mano, scrutando il punto in cui il ninnolo verde pendeva sotto di loro, con l’alone soffuso di una stella fulgida. Sciolse la stretta e la tenne ferma per le spalle, senza il coraggio di specchiarsi nei suoi occhi color cioccolato, che facevano da onnisciente presenza inquisitrice per certi versi, che lo guardavano con un misto di apprensione e curiosità.
“Non ti muovere, eh!” disse lui, togliendole le mani dalle spalle. Lei asserì con un energico cenno del capo.
Se avesse alzato il viso, avrebbe potuto individuare screziature paonazze che si riempivano e si gonfiavano sulle sue gote fanciullesche.
Fu tutto frettoloso: le labbra di Denzel si precipitarono sul viso di Marlene, affondando in una gota calda e schioccando un rumore secco che imperversò per tutta la sala, sfaldando poco il tramestio laborioso, ma bastò quell’infimo istante soffocato da loro stessi prima che realizzassero ciò che era accaduto sotto i loro occhi.
L’incrocio dei loro sguardi fu fugace, ma eloquente: Marlene non riusciva a proferir parola, lui corse di sopra, coprendosi le gote arrossate con le mani, seguito da Cloud che aveva visto tutto.
Sentiva fremere una recidiva sensazione di familiare intesa, mentre veniva attraversata da vorticosi dejà – vu che si susseguivano a frequenza binaria; ma ardeva di stupore e tutti glielo lessero negli occhi, mentre l’unica che pareva aver annuito univoca allo schiocco prioritario era stata Aerith, a cui aveva detto della sfida, che la strinse per le spalle, si mise sulle ginocchia per arrivarle al viso e le sorrise.
“Sembra che abbia vinto lui”
Lei le sorrise a sua volta.
“Sì” sorrise la piccola “Ma è l’ultima volta”
Se lo ripromise. Questo perché nella scatola avrebbe custodito quel bacio gelosamente; si sarebbero sfidati ancora e quel bacio sarebbe stato al sicuro, perché non avrebbe mai ceduto alle speculazioni dei costi da pagare. L’avrebbe custodito gelosamente nella scatola, solo che non lo sapeva.
Da piccoli tutto è visto come una sfida.
Ancora non lo sapeva. Ancora non lo sapevano entrambi. 
 
   
 
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