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Autore: Marguerite Tyreen    16/12/2012    7 recensioni
“Queste maledette parole sono una roccia troppo dura da sciogliere con le lacrime: si sono calcificate dentro e non vogliono uscire. Ma, a costo di scandagliarmi l'anima per recuperarle e strapparmele dal petto, riuscirò a metterle sulla carta. Mi servisse anche l'ultimo respiro, lo farò. E, allora, tu sarai davvero libero. Forse io sarò davvero libero”
***
Una notte di pioggia, un foglio bianco, la ricerca sofferta dell'Ispirazione, i ricordi che affiorano attraverso l'inchiostro: Roger Waters alle prese con la stesura di Wish you were here e con il peso dell'assenza di Syd.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve!
E' la prima volta che pubblico nel fandom dei Pink Floyd e sono un po' emozionata ^///^ Anzi, credo che senza l'incoraggiamento di una carissima amica non avrei mai scritto né postato niente su di loro . Abbiate pietà di me e di questa creatura zoppa che vi propongo ^^”
Parlando di questa cosina, è ambientata in un momento imprecisato prima del 1974, cioè la data di incisione di Wish You Were Here. L'intenzione era quella di mostrare Roger Waters alle prese con la composizione della canzone omonima e – soprattutto – con i ricordi di Syd Barrett a cui è dedicata. I flashback non sono collocati necessariamente in ordine cronologico, perchè ci tenevo piuttosto a far proseguire la storia senza soluzione di continuità.
Mi dileguo, prima di annoiarvi: vi ringrazio di cuore per essere passati. Un abbraccio grande,
Marg.

Credits per l'immagine: "The Wounded Angel", dipinto di Hugo Simberg.

 

 

 

A S, ovviamente.
La sorte ha mandato

la più splendida delle Muse a salvarmi.

 



Casta Diva, che inargenti, 
queste sacre, antiche piante 
a noi volgi il bel sembiante. 
(Bellini, Norma)
And the great Key lays its head of light [...]
over the floor, and lays down on the sidewalk. 
(A. Ginsberg, Kaddish)
We're just two lost souls swimming in a fish bowl, year after year, 
running over the same old ground. 
What have you found? The same old fears. 
(Pink Floyd, Wish You Were Here)
 

 

 

Lost Souls
 

 

 

 

Uno.
Il vinile striscia sul piatto del grammofono.
Due. Tre. Quattro.
Gira. Gira. Gira con rumore ritmico.
Cinque. Sei.
La puntina si abbassa lentamente, trovando il solco, precisa e puntuale.
Sette. Otto. Nove.
Il lieve scroscio dell'inizio della traccia somiglia ad una pioggia lieve e si confonde con le gocce d'acqua, quelle vere, che battono sui vetri e bagnano i tetti e le strade.
Dieci.
Dieci secondi. Li ho contati. Tutti, uno per uno, non sopportando il silenzio.
Mi servono dieci secondi prima che la melodia impalpabile e anacronistica della Norma si snodi nei suoi arabeschi lirici. Dieci secondi di buio e di quiete assoluta, in questa casa. Dieci secondi in cui, prima di entrare in altre vite, la mia si manifesta in tutta la sua miseria e solitudine. Dieci secondi che precedono la musica, in cui credo di poter fare qualunque cosa, anche alzare il telefono e chiamarti. Anche cercarti, negli angoli della casa, negli angoli della mente. Anche sperare che la Luna abbia un lato luminoso, che non sia completamente composta di tenebra: una casta diva indifferente alle nostre pene, ma incapace di alimentarle.
Eppoi l'aria invade l'Aria. L'altro invade me. Non so come ci si ritrovi ad ascoltare queste parole in piena notte. Non ha senso.
Non ci sei. Non c'è senso.
Non ci sei, qui nella stanza. Qui nei fogli. Qui, qui, dannazione, nella testa. Non ti sento.
Non ti sento, non ti sento, non ti sento...
Mi calmo. Non. Ti. Sento.
Appallottolo il foglio e lo lancio sul pavimento. Lentamente rotola verso il giradischi, colpendo i suoi predecessori con un piccolo tonfo, sommandosi ad essi in un vasto cimitero di pensieri uccisi dal loro creatore. In un piccolo mare di idee dolorosamente incapaci di manifestarsi con la stessa intensità che mi si agita dentro.
Gli acuti della soprano mi giungono insopportabili. Insopportabilmente finti, come se si potesse inventare la sofferenza, darne un'immagine gradevole e romantica, come se il dolore fosse una calda coperta di ispirazione in cui crogiolarsi. Odio la lirica. Odio tutto. Odio tutto quello che si oppone al vero. Odio tutto quello che si oppone a ciò che vorrei gridarti e che invece si pietrifica nella gola e nelle mani, che tremano sulla carta.
Queste maledette parole sono una roccia troppo dura da sciogliere con le lacrime: si sono calcificate dentro e non vogliono uscire. Ma, a costo di scandagliarmi l'anima per recuperarle e strapparmele dal petto, riuscirò a metterle sulla carta. Mi servisse anche l'ultimo respiro, lo farò. E, allora, sarai davvero libero. Forse io sarò davvero libero.


Freno la macchina nel cortile della villetta. A volte mi chiedo perchè tu ti sia barricato qui, in questa decadente bellezza così simile a te, eppure così distante. La porta è aperta, come sempre.
Rido: - Il solito distratto, Syd!
Non ho risposta: è così raro averne una da te.
-Syd, sono io.
C'è odore di acquaragia. So dove trovarti, anche se non so mai come raggiungerti. Siedi a terra, nel salone completamente vuoto, davanti alla grande tela a cui stai lavorando da giorni. Le gambe incrociate, i piedi nudi, lo sguardo smarrito tra i colori, tra immagini che solo tu vedi.
-Syd... - ti metto la mano sulla spalla, piano, con delicatezza, perchè ho quasi paura che ti spaventi e che voli via, nella tua luce.
-Rog. - sorridi appena, posandovi sopra la tua – Pensavo che fosse la mia sposa di velluto.
-Come?
-Non importa. L'importante è che non sia l'armadillo venuto a prendermi. Non deve sapere dove mi nascondo.
Sarebbe interessante mettere queste tue fantasie in un testo: forse lo faremo, un giorno.
-Non ti capisco. - osservo la tela ed è un gorgoglio di pennellate violente che, come una spirale inquieta, ti trascinano in un abisso rosato che sprofonda piano – Il quadro, intendi?
-Sì, il quadro. - ti alzi, cercando di non inciampare nelle latte della tempera lasciate attorno a te. La vecchia camicia con le maniche rimboccate è sporca di tintura e così i jeans; qualche spruzzo è finito anche sui capelli arruffati e sulle tue gote.
-Sai, Rog, sono contento che tu sia qui.
-E io di vedere che i lavori procedono e che sei sempre ispirato.
Vorrei allungare la mano e sfiorarti, giusto per accertarmi che sei veramente di fronte a me. A volte sei tanto lontano che temo tu sia solo un'illusione.
Ti scosti, schermendoti: - Sai, ho qualche canzone da farti sentire.
-Certo, certo. Aspetta. - vorrei che tu non tremassi, quando mi avvicino per cancellarti una macchia verdastra dalla gota – Avevi... avevi un po' di tempera sul viso. Anche... anche qui.
Mi ritrovo a ridere di me stesso, perchè ti sto mentendo, pur di trattenere le dita sulla tua pelle e ritrovarla tiepida e viva. Pur di sentire il respiro lieve infrangersi sulle tue labbra ed essere certo che esisti, creatura troppo bella in questo mondo perso.
-Rog, va tutto bene?
-Sì, sì, naturalmente. È che sei...
-Sono? Oh, Rog... - guardi con aria sconsolata il tuo dipinto. Fai male al cuore e vorrei stringerti, se solo potessi – Rog, credi anche tu che io sia pazzo?
-Che dici!
-A volte credo che lo vorrei, per non vedere più nulla, per non capire più nulla. Per non essere compreso. Credo che allora... allora sì, sarei davvero libero.

 

Sono giorni che non mangio, notti che non dormo. Vorrei scrivere, scrivere di te, ma continui a sfuggirmi. Hai ragione: è quello che mi merito. Non ti ho mai avuto quando eri qui, tanto che ho pure smesso di inseguirti tra i rami delle tue paure, nel buio, nel baratro, negli abissi, nella follia, per non impazzire insieme a te. Come posso averti, adesso che sei così lontano?
Mai una volta sono venuto a cercarti. Come potresti sollevarmi e riportarmi a fare male ai fogli, ancora una volta? Merito di restarmene a terra, strisciando nel mio dolore, nel mio passato, in un futuro che non vedo e che si addensa spaventosamente in immagini nere e soffocanti. Merito di soffocarci, in tutto questo. E di andarci a fondo, insieme a te, come pena per essermi illuso d'esser fatto di una pasta diversa, di una forza diversa. Per aver rifiutato la debolezza, per non avere avuto il coraggio di entrarvi e di lasciarmi sommergere.

 

Tra gli obblighi di questi tour, è sempre strano dormirti accanto, perchè nel sonno non sembri il Syd che conosco, che mi appare alla luce. È come se le mille sfaccettature che ti porti dentro si dipingessero sul tuo volto insolitamente sereno, diventando accessibili in una maniera inconsapevole. Come se questi bisogni umani ti avvicinassero per un attimo alla nostra comune natura mortale.
Ti sfioro i capelli, passandoci in mezzo le dita e pensando a quanto è piacevole smarrirsi in quella matassa arruffata di riccioli scuri, mentre tu ti accoccoli contro il mio petto, cercando una sicurezza che io non posso darti. Posso solo avvolgerti meglio nelle coperte e stringere un poco quel tuo corpo esile di gattino.
-Rog, non dormi?
-Non riesco. Ma tu chiudi gli occhi. Chiudili, Syd. È presto.
-Sei sempre sul chi vive. Cos'hai, stanotte?
-Non lo so. Non penso che capiresti.
-Io capisco molte più cose di quanto tu non creda. - mi accarezzi la testa e mi guardi fisso con quei tuoi occhi scuri, capaci di assorbire anche la luce della luna che filtra dalle imposte socchiuse.
-Ho paura.
-Non averne. Io ti voglio bene, Rog. Ho più paure di te.
Mi abbracci, all'improvviso, facendomi appoggiare il capo sul tuo cuore.
-Non è vero. Sei tu quello forte, quello più in alto di tutti. Non hai paura di distruggerti pezzo per pezzo. E se invece io ti mostrassi la mia parte oscura, non mi stringeresti più così.
-Non è vero. Ti stringerei ancora. E ancora, Rog. Non ti lascerei andare.
-Mi terresti con te?
-Per sempre. Vieni.
Ti alzi e ti ricomponi di sghimbescio, nel pigiama a righe, prima di tendermi le mani.
-Vieni.
-Dove andiamo?
-Sei ancora vestito di tutto punto. - mi dici, con un mezzo sorriso, snodandomi il foulard. Poi me lo avvolgi sugli occhi a impedirmi di vedere.
Ti allontani. Non ti trovo. Mi manca l'aria.
-Syd, dove sei? Syd!
-Sono qui.
Sento la tua voce, ma non riesco a intendere da dove proviene.
-Syd, non lasciarmi. Vieni vicino.
Le tue mani sulle mie spalle: - Cosa vedi?
-Nulla.
-Cosa senti?
-Strano. È tutto strano.
-Camminiamo.
-Non riesco.
Cerco il muro con il palmo e provo a seguire la sua traccia, ma le dita tremano e la presa non è salda.
-Ho paura. Ho paura, non lasciarmi.
-E' così che vivo io. - sussurri, lontano – In bilico, in un luogo dove non arriva la luce.
-Ma a te non serve la luce. Tu sei luce, Syd.
Sembri non ascoltarmi: - Quando non arriva la luce, ti rimangono solo i tuoi fantasmi nella testa. Ma, quando non arriva la luce, non arriva nemmeno il resto del mondo: il tuo mondo ti appartiene. Tu crei, nessuno distrugge. Tu crei, tu crei. Tu. Crei. - ripeti, in un mantra doloroso – Nessuno può toglierti questo. Non sarebbe meglio così? Non sarebbe meglio impazzire?
Mi strappo la benda dagli occhi, ritornando in me, ritrovando la lucidità: - Sì, sarebbe meglio. Vorrei farlo. Ma no, no, Syd. Non possiamo. Non posso.
Ti stringo convulsamente, come non dovessi più rivederti, con l'arrivo del giorno. Tu ricambi, di slancio, coprendomi la fronte di baci: - Non vuoi mai cedere, Rog. Vuoi sempre avere il controllo di tutto, anche di quello che non ti è concesso.
-Non posso. Non posso, Syd. Sarebbe così facile, lasciare tutto.
Tu ti irrigidisci tra le mie braccia, non ti sento più. Sorridi a qualcosa che io non vedo. Un sorriso enigmatico, distante. Mi dà i brividi, l'espressione del tuo volto. Non riesco a sostenerla. L'angoscia mi comprime il petto. Mi allontano, lasciandoti solo, cercando rifugio tra le coperte, cercando di scacciare il tuo viso dai miei occhi, dalla mente.

 

L'ingiustizia di questa vita è farti rimpiangere quello che tempo prima hai cercato di nascondere e di dimenticare. Adesso pagherei perchè tutto fosse cristallizzato in quel momento. Adesso saprei come agire, come tenerti qui. Proverei a trattenere la tua mente. Dopo tutti questi anni ho capito cose che non credevo possibile. Ho capito che ho bisogno di essere salvato da te. Salvato da me stesso.
Syd, mio Amleto, mio diamante pazzo, vieni da me e salvami. Ridammi le parole: non quelle banali, così facili da tracciare. Quelle vere, quelle che non possono rimanere nella gola in un urlo strozzato e che invece ci restano, come quando fai l'amore e non riesci ad andare oltre ai sensi, per amare con una dimensione più alta. E il grido, quello vero, si ferma dentro in eterno.
Perché non sempre un grido vuole essere compreso, a volte vuole solo essere dimenticato. E morire.

 

-Perché hai improvvisato a quel modo folle, Syd? Con la chitarra scordata, poi. È stato uno schifo, non sono più riuscito a seguirti.
Tu siedi sul pavimento del camerino e guardi fisso il muro sporco davanti a te, senza dire una parola, senza cercare nemmeno di difenderti.
-Mi hai sentito?
Annuisci, ma hai lo sguardo smarrito. Non sei con me, abiti luoghi che non posso più raggiungere.
-Mi hai sentito, Syd? Cazzo, rispondi, una maledetta volta! - ti afferro alle spalle, scrollandoti violentemente: una pessima mossa, perchè tu reagisci tremando e coprendoti il viso con le mani e implorandomi di lasciarti fare. Di lasciarti andare.
-No che non ti lascio andare, dannazione!
Allento la presa, però, sei così fragile che potrei spezzarti. Ti sollevo il mento: - Guardami, ti prego: aiutami a capirti.
Ma tu abbassi la testa, fino a sfiorarmi il palmo con le labbra e improvvisamente tutto mi è chiaro: non vuoi essere compreso. Non da me. Non da noi.
-Rog, fammi un favore... - dici all'improvviso, con un filo di voce.
-Tu-tutto quello che vuoi.
-Permettimi di tornare.
-Tornare dove?
-Al posto a cui appartengo. Quel luogo non è qui, Rog. Non è qui.

 

Ho bisogno di te. Vorrei averti qui, invece, non sai quanto. Vorrei che fossi qui, come allora. Vorrei non averti perso, non pensare a te come al più amaro dei ricordi. Mi sveglio la notte e non sono sicuro che la mia mente conservi memoria di qualcosa di accaduto veramente Vorrei troppe cose che non sono possibili. Vorrei non girare attorno senza soluzione, come un pesce rosso chiuso in una boccia di vetro.
La penna corre sulla carta per fissare la metafora, prima che scompaia. Siamo due anime perse, che nuotano in una boccia di vetro. Sì, ci sono: we are two lost souls, swimming in a fishbowl.
Due anime perse che calpestano lo stesso suolo, che girano in cerchio, inseguendosi e finendo soltanto per ritrovare le stesse paure.
Dio mio, le stesse paure. Il timore di te. Il timor di me.
Non può essere!
Stropiccio con rabbia il foglio, spedendolo assieme agli altri. Il ticchettio della pioggia è una tortura. Questa stanza è una tortura, quest'aria, questa verità illuminante che la rischiara, nonostante la notte.
Anche respirare lo sta diventando. Spalanco la finestra. Sto male, sto troppo male per restarmene seduto in attesa dell'ispirazione.
E va bene, Syd, se vuoi trapassarmi da parte a parte con queste rivelazioni improvvise, fallo. Se vuoi che faccia i conti con il rimorso, con la consapevolezza che non sono fatto di una fibra più alta e indistruttibile della tua, sono pronto. Mettimi spalle al muro e ricordami quanto sono disgustosamente umano e fallibile. Sopporterei qualunque cosa pur di scrivere questa fottuta canzone. Non sai quanto ne ho bisogno. Quanto ne ho disperatamente bisogno, adesso.

 

-Stasera non suonerai con noi, Syd.
Hai gli occhi cerchiati di trucco e la chitarra scordata. Mi guardi come se mi stessi supplicando. Smettila, ti prego.
-Mi mandi via, Rog? Dopo tutto questo tempo, mi mandi via così?
-No, certo che no. - le pozze scure dei tuoi occhi, come buchi nel cielo, mi rimandano la mia immagine spaventata.
Sì, sì, ti mando via perchè ho paura di essere contagiato dalla tua pazzia. Oh, come lo vorrei, come vorrei seguirti, ma non ho la forza di camminare su una corda tesa. Devo distruggerti prima che tu possa distruggere me.
-Certo che no, Syd. Hai solo bisogno di riposare, di avere tempo per dipingere, per comporre, non è vero?
-Non trattarmi come un malato, Roger!
La chitarra cade a terra, facendomi sussultare.
-L'hai detto tu, che avevi bisogno di stare lontano da tutto questo. Syd, sto solo cercando di capirti.- ti stringo con forza, scuotendoti.
-Non hai la chiave per aprire la mia mente. La Grande Chiave dorme sul pavimento di una Stanza tutta blu.
-Syd, Syd, ti prego...
-Syd un cazzo! Voi eravate la mia famiglia. - le lacrime ti rigano le guance, portandosi via tracce di matita nera – Io vi amavo. Io ti amavo!
-Aspetta, lasciami spiegare.
-No. - la voce ti muore sulle labbra – No, va bene così.
-Voglio solo aiutarti.
-Vuoi solo aiutare te stesso. Ma non puoi. La Stanza è troppo grande. E le sue pareti blu girano, girano. E sfuggono. Certe cose non si possono fermare.
Scompari, dietro la porta. Pochi minuti e ti ritrovo nella prima fila, gli occhi fissi su Gilmour. Non mi guardi e ti ringrazio di questo, perchè altrimenti non riuscirei a suonare. Poi, quando le dita tremano sulle corde, il dolore di quello sguardo negato mi precipita addosso e mi schiaccia, come il macigno della colpa.

 

Il disco continua a girare a vuoto, scricchiolando.
Running over the same old ground. What have you found? The same old fears: ho bisogno di fermare le parole prima che fuggano. 
Cerco di recuperare il foglio, ma adesso, così ammassati, sembrano tutti uguali. 
Non è questo. L'altro nemmeno. Eccolo. Devo spianarlo febbrilmente sul tavolo, per riuscire a scrivervi ancora sopra. 
Forse non è così male. Forse è tutto quello che riesco a darti, Syd. 
Mi tocco le guance con le dita, ritraendole umide. È tutto quello che riesco a darti, insieme a queste lacrime. Le lacrime, finalmente. Dopo troppi anni. 
Non riesco a fare di più, non ne sono mai stato capace. Posso solo provare a smettere di aver paura e regalarti queste parole che ho trovato. 
Accettale. Accettale e non odiarmi troppo. 
Non farlo, ché riesca ad amarmi un poco anch'io.



Fine

 

   
 
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