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Autore: Pandaloveshug    17/12/2012    1 recensioni
Se l'acqua ti perseguitasse anche quando se all'asciutto. Se tutto quello che ti è intorno all'improvviso si offuscasse, se tutto ciò che ti rimane per aggrapparti alla realtà sono le parole che non finiscono mai di fluire. Il discorso iniziale fra la Morrell e Stiles all'inizio di Battlefield rivisitato un pochino.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Credeva di non dover più vedere quell'ufficio.
Credeva che quella sedia nera in pelle e quella poltroncina scomoda e sbiadita non l'avrebbero più perseguitato.
Credeva che la voce cadenzata e a tratti irritante della Morrell la avrebbe ascoltata distrattamente per i corridoi.
Credeva tante cose, ma la realtà era ben diversa.
Si fissavano da interminabili minuti ormai. I fiochi raggi solari, che entravano dalle finestre malconce, avevano fatto in tempo a riscaldargli appena la pelle del viso.  Strinse di poco la presa sui lacci bianco sporco della mazza da lacrosse e abbassò appena lo sguardo su le mani nervose. Era lì per un motivo, lo sapevano entrambi, in fondo il ritrovamento del cadavere di Matt non aveva portato altro che guai, o meglio Matt non aveva fatto altro che portare guai. All'interno di quel gruppo già male assortito che veniva chiamato branco non si riusciva più a distinguere una persona sana, neppure lui, che decantava tanto l'amore per la normalità e il non volere il morso da nessuno, in quel momento avrebbe voluto qualche super potere per mettersi al riparo dallo sguardo della donna dinanzi a lui. Le parole fuoriuscirono senza che se ne rendesse nemmeno conto, mentre la presa su quei lacci, che sembravano la sua salvezza, aumentava di poco "Sa che quando affoghi non inali realmente fin quando non svieni? è chiamata apnea volontaria. Non importa quanto tu sia spaventato l'istinto di non far entrare l'acqua è così forte che non apri la bocca fin quando non senti che la testa ti sta esplodendo. Poi quando espiri smette di far male. Non hai più paura, è una sorta di pace in realtà". Quel discorso enorme, la finta di star davvero parlando del modo in cui Matt era morto, tutto pur di distogliere l'attenzione dal vero problema. Erano tornati, erano tornati più forti e subdoli di prima; in realtà aveva la sensazione di essere un cucciolo di foca che viene braccato dai cacciatori che ne vogliono la pelliccia. Era dalla sera del compleanno di Lydia, da quando in quella specie di visione suo padre l'aveva accusato della morte di sua madre che c'era qualcosa che non andava. Perché il problema, il vero problema era che stava inesorabilmente affogando e non c'erano vie di fuga da quello che sarebbe successo di lì a pochi istanti. Portò i lacci della mazza alla bocca cercando un contatto con la realtà che lo circondava, qualcosa, qualsiasi cosa, che lo trattenesse dal socchiudere gli occhi e cominciare a vedere tutto offuscato, dal perdere le forze, la vitalità, la loquacità, la vita stessa che gli faceva brillare gli occhi di una luce che solo lui aveva. Stava lì, davanti a quella donna che fece la domanda sbagliata un istante prima che sprofondasse nell'oblio del nulla assoluto. "Ma perché non torniamo a parlare di te?", perché forse sto cercando tutte le scuse possibili per evitare di farlo? pensò distrattamente il ragazzo avvertendo, però, un brivido lungo la schiena; segno che la crisi era superata, per il momento. "Sto bene" rispose guardandola negli occhi "Si, sto bene, a parte che non dormo, che salto per ogni cosa e che ho sempre questa costante, irrefrenabile e schiacciante paura che qualcosa di terribile stia per accadere" "Ѐ chiamata ipervigilanza..." la voce arrivava sfocata, a lui non importava come venisse chiamata sapeva solo che faceva male e che lo stava distruggendo mentalmente, lo comprometteva emotivamente, come se non avesse già il suo bel da fare ad essere costantemente ignorato da Lydia. “…la sensazione di essere costantemente in pericolo” “Ma non è solo una sensazione, è...” non aveva voglia di concludere quella frase, non aveva la forza per farlo ma lo sguardo penetrante della donna lo spronò a continuare dopo un attimo di esitazione “è come un attacco di panico. Come se non riuscissi nemmeno a respirare” conosceva la sensazione a menadito, si ricordava, per quel che poteva, quando da piccolo si ritrovava in mezzo alla strada sulla bici a tenersi il petto, a sperare che quei dannati polmoni riprendessero a fare il loro lavoro. Ricordava le voci, quelle voci ovattate, offuscate come fossero immagini. Ricordava i visi informi, incolore delle persone, che preoccupate si avvicinavano senza fare realmente niente per aiutarlo. Ma più di tutto si ricordava la velocità, la velocità con cui le cose si muovevano attorno a lui, la velocità con cui l’aria tornava traditrice e gli occhi lucidi riuscivano di nuovo a distinguere le forme del mondo. “Come se stessi affogando?” “Si” conciso, senza sbavature, senza emozioni, freddo, glaciale insomma. “ Cosa accadrebbe se scegliessi di non aprire la bocca, se tu stessi affogando e provassi a tenere le labbra serrate fino all’ultimo momento, cosa accadrebbe?”. La guardò stranito, forse non aveva ben capito il concetto di involontaria “Beh, si fa comunque. È un riflesso”, la Morrell sorrise appena “Ma se tieni duro fino a quando il riflesso non si manifesta, avresti più tempo no?”. Non aveva idea di dove volesse andare a parare così, alzando un sopracciglio, rispose confusamente “Non molto tempo” “Ma più tempo” continuò ad insistere lei “più tempo per combattere per risalire in superficie?” “Credo di si” Stiles sbatté appena le lunghe ciglia tornando con lo sguardo fisso su di lei, “Più tempo per essere salvato?”. La voce si fece dura, lo sguardo imperscrutabile “Più tempo per stare in agonia. E si è forse dimenticata della parte in cui senti la testa esplodere?”. La professoressa appoggiò mollemente le mani sulla cattedra continuando a guardare il ragazzo negli occhi “Se è per sopravvivere non vale la pena soffrire un po’?”. A quel punto entrambi sapevano che quella conversazione stava per concludersi, erano alle battute finali e chi avesse avuto l’ultima parola l’avrebbe spuntata in quella battaglia platonica. “E se peggiorasse e basta? E se è sofferenza adesso e poi…” di nuovo quel senso di inadeguatezza, di nuovo gli occhi lucidi e la pelle umida. Di nuovo la paura di quello che sarebbe successo se avesse davvero concluso quella frase, ma come era successo prima lo sguardo della donna lo invitò ad andare avanti e così lui fece “poi inferno dopo?”. Era finito, aveva vinto o almeno così credeva fin quando la professoressa non schiuse le labbra per la battuta finale, per quella frase unica che avrebbe dato un senso a tutto quello che stava facendo nella sua vita in quel periodo “Allora pensa a quello che disse una volta Winston Churchill: ‘Se stai attraversando l’inferno, continua a camminare’”. Il fiato gli si bloccò in gola per un istante, un istante a sufficienza per far sorridere la donna e per far quasi cadere a terra la mazza da lacrosse. 

Stava affogando nell’inferno e non sapeva se alla fine gli sarebbe mancata l’aria oppure si sarebbe bruciato.

  
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