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Autore: pandamito    17/12/2012    1 recensioni
Rafe Donald, Distretto 6. Neo tributo dei Quarantaseiesimi Hunger Games e, purtroppo, ancora lo sa; perché Rafe vive il momento preoccupandosi di altro, preoccupandosi di qualcuno che dovrà abbandonare. Ed il suo mondo si sgretola, miserabilmente, quando purtroppo il suo nome viene gridato ad alta voce nel giorno fatidico.
« Ma perché sempre prima le signore? » disse al microfono con quella sua voce che tutti conoscevano e disprezzavano. Andò verso il lato sinistro del palco e prese un solo bigliettino. Lo aprì davanti all'amplificatore e lesse il nome scandendo ogni lettera. « Rafe Donald… che nome è Rafe? »
Un ragazzo, nella fila dei diciassettenni, semplicemente fece spallucce e disse, abbastanza forte da farsi sentire: « Non lo so: m’hanno chiamato così. »
« Come? » venne presa un po’ alla sprovvista dalla battuta del neo tributo.
« Il nome non me lo sono scelto io, dicevo. » specificò una volta sul palco, quasi ridendo. « M’hanno chiamato così, e me lo tengo. »
Avrebbe combattuto per tornare, soprattutto per lei.

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Tributo e personaggi vari della one-shot sono estratti dalla fanfiction interattiva 'Everything's gonna be alright' di BlueCoral.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
- Questa storia fa parte della serie 'Everything's gonna be alright.'
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« Ma perché sempre prima le signore? » disse al microfono con quella sua voce che tutti conoscevano e disprezzavano. Andò verso il lato sinistro del palco e prese un solo bigliettino. Lo aprì davanti all'amplificatore e lesse il nome scandendo ogni lettera. « Rafe Donald… che nome è Rafe? » chiese poi in un tono insopportabilmente falso. 
Un ragazzo, nella fila dei diciassettenni, semplicemente fece spallucce e disse, abbastanza forte da farsi sentire: « Non lo so: m’hanno chiamato così. »
« Come? » Abigail venne presa un po’ alla sprovvista dalla battuta del neo tributo. 
Lui si fece tranquillamente avanti verso il palco: era alto – abbastanza da mettere in soggezione -, occhi verdi e capelli tendenti al rosso. Viso delicato, con delle bellissime lentiggini sul naso. « Il nome non me lo sono scelto io, dicevo. » specificò una volta sul palco, quasi ridendo. « M’hanno chiamato così, e me lo tengo. » 
Non credeva a niente, Rafe. Era principalmente scettico, uno di quei San Tommaso che, se non tocca, non crede. Comunque non era certo il tipo da darsi per vinto, soprattutto dopo aver visto Emma singhiozzare con le altre sedicenni. Le voleva bene, tanto; gli piaceva toccare i suoi lucenti capelli rossi mentre l’ascoltava raccontargli tutto ciò che la turbava. Oltre al padre, era tutto ciò che gli rimaneva. E avrebbe combattuto per tornare, soprattutto per lei.
 

 
« Fanculo! » erano ormai minuti e minuti che continuava a sbottare. « Fanculo tutti! Ma li hai visti? Io... io... » Calciò una piccola pigna per terra, fra i rifiuti, verso la rete al confine del Distretto e quella, dopo esser rimasta nell'aria qualche secondo a causa della scossa subita, tornò indietro ai piedi di Rafe, abbrustolita.
« Calmati! » alzò il tono della voce la rossa, guardandolo sconvolta, credendo che il ragazzo stesse per impazzire e forse era proprio così.
Era seduta su un vecchio sedile di un hovercraft, magari cambiato con qualche altro più nuovo e Rafe, ascoltandola, si buttò anch'esso sulla comoda poltroncina di fianco, tutta vecchia e con le molle da fuori.
Quella era la discarica del distretto, proprio al confine, dove di solito venivano buttati i pezzi ormai troppo vecchi per essere utilizzati e che necessitavano di essere cambiati sui vari veicoli, la specialità di cui si occupavano lì. Quel posto non era frequentato ovviamente da nessuno, chi mai vorrebbe andare in una discarica? Puzza pure, nessuno ci terrebbe ad andarci; eppure era diventato il piccolo rifugio dei due abitanti del Sei, il paese dei balocchi in cui potevano parlare l'uno all'altro senza aver timore di sentirsi esclusi o fuori posto, potevano essere chi volevano ed il maggiore glielo ripeteva sempre che lì erano loro a governare, lì, se lo volevano, potevano anche volare ed Emma ci credeva, se glielo diceva lui, e si divertiva a protendere le braccia ed immaginare di spiccare il volo. Volare. Volare via, lontano da quell'inferno, magari proprio col ragazzo, ecco qual era il suo desiderio. Potevano addirittura costruirci un palazzo lì, con gli oggetti di scarto! O almeno, Rafe ne era perfettamente in grado.
« Hai di nuovo fatto a botte?! » il suo tono sembrava quasi una domanda, quasi per avere un briciolo di speranza e sentirsi rispondere in modo negativo. Ci sperava davvero, davvero tanto, ma sapeva che era tutto inutile, come se non l'avesse proprio trascinato lei a forza dalla rissa.
Doveva sempre essere lei a salvarlo, oramai ci aveva fatto l'abitudine ed aveva rinunciato al tentativo di farlo smettere perché aveva imparato che Rafe era anche così. E per cos'era stavolta? Ancora per lei. Perché Emma aveva fatto l'abitudine anche di questo: Rafe si batteva sempre per lei. Quando realizzava quanto lui tenesse a lei ed il modo in cui lo dimostrava, avvampava immediatamente divenendo dello stesso colore dei suoi boccoli rossi; certo, si sentiva onorata ed apprezzata da questo gesto rischioso, ma poi si sentiva in colpa - lei, che in effetti non aveva fatto nulla - accusandosi se il ragazzo riportava qualche ferita. A volte piangeva per lui, perché aveva paura, Emma aveva sempre avuto paura, come del resto l'aveva sempre avuta Rafe per lei. Erano preoccupati l'uno dell'altro, di cosa potesse accadere, cosa avrebbero fatto se un giorno non ci fosse stato l'altro, quel pensiero riaffiorava specialmente ad ogni mietitura e quell'anno non era certo diverso. 
Gli occhi di Rafe incrociarono quelli di Emma che erano perennemente fissi su di lui in un'espressione addolorata e si sentì morire, sapeva di averla delusa e di averla fatta preoccupare, ma a lui non importava quante ferite avrebbe riscosso, quante volte sarebbe stato ancora pestato dai Pacificatori, non si pentiva manco di aver rubato quel paio di cavigliere per lei. Distolse lo sguardo, non riuscendo a sostenerlo e frugò nelle tasche dei pantaloni, estraendo le sottili catenine, porgendole alla rossa. Lo sguardo azzurro di lei si abbassò verso quei piccoli doni, assumendo un'espressione sorpresa. Perché capì che erano per lei e mai nessuno faceva regali ad Emma. E come mai? Era bella, gentile, dolce e divertente al punto giusto; allora perché nessuno l'amava? La sua bellezza l'aveva condannata, lei non pensava di essere poi tanto diversa dalle altre ragazze del distretto, eppure si rendeva conto delle occhiate che le rivolgevano talvolta i ragazzi e si sentiva apprezzata per ciò, fin quando ciò non divenne oggetto di disprezzo, l'invidia delle sue coetanee che la deridevano, i ragazzi che iniziarono a schernirla e le voci false ed infondate che la ritenevano una puttanella solo perché aveva quei colori e quei lineamenti fuori dal comune per il distretto. Erano arrivati al punto da dire che proveniva da Capitol City, che assurdità. Poi, però, un giorno era arrivato Rafe. La realtà era che lei non credeva alle storie d'amore, pensava fosse uno dei tanti, che la volesse solo usare, ma allo stesso tempo aveva il bisogno di trovare qualcuno con cui condividere sé stessa; lui, invece, non aveva mai pensato di potersene innamorare, l'aveva presa come una delle tante ragazze, stufo di quella precedente e dopo essersi preso alcuni momenti da single, voleva ritornare in carreggiata e scelse lei, indistintamente da come poteva scegliere benissimo un'altra. Era piacevole la sua compagnia, le piaceva e sarebbe durata quel che sarebbe durata, ma poi capì che era diversa, quando si estraniavano da tutti ed Emma si confidava, poi toccava a lui e per la prima volta si sentì veramente ascoltato, lei non lo giudicava se lui le confessava di voler inventare una macchina del tempo o se le domandava in che razza di lingua parlassero gli animali. No, lei rimaneva lì ad ascoltarlo, gli teneva la mano e poi gli rispondeva, diceva la sua, lo comprendeva e Rafe trovò la figura femminile che non aveva mai avuto, a causa della morte della madre mettendolo al mondo. Forse lui era l'unico che le faceva dei regali, ma a parere della rossa, lui le donava qualcosa ogni qual volta che era con lui; Emma faceva sempre quei piccoli gesti che il ramato amava, sapendo che quella gli avrebbe portato dei piccoli pensieri anche se lui non avesse ricambiato, anche se talvolta si arrabbiava con lei, come quando sprecava le bacche che trovava con fatica per preparare un po' di colore per dipingere per lui, giusto perché sapeva che lui amava disegnare, quando invece il maggiore la rimproverava sempre dicendole che le bacche erano preziose ed avrebbe dovuto mangiarsele piuttosto che stare a pensare a lui, ma sapeva anche che a lei non importava, non sarebbe mai cambiata e gli andava bene così. In effetti, forse il ragazzo era stato proprio il primo da cui aveva ricevuto un vero regalo, da quanto ricordava: era la prima volta che si parlavano ufficialmente e ricordava perfettamente che aveva visto gli occhi verdi di Rafe puntati su di lei ed avvicinarsi nella sua direzione, porgendole una rosa e dicendole una di quelle frasi così estremamente dolci che non ci avrebbe creduto nessuno, neanche lui, che infatti aveva il sorriso dipingo sul volto ma che cercava di non scoppiare in una fragorosa risata di fronte a lei, sentendosi lui stesso tanto stupido per aver fatto una cosa del genere; la ragazza, doveva ammettere, pensò che fosse matto.
Ma non era lì che Rafe capì che Emma era speciale, no. Era stata una mattina in cui, vedendo che la ragazza non era mattiniera e non gli aveva ancora portato i biscotti rubati a sua madre unicamente per lui, bussò alla porta di casa Wibberly e vide una Emma che non aveva mai visto prima d'ora: i capelli arruffati dalla notte insonne, il viso arrossato e gli occhi gonfi, la figura sciatta di una ragazza che si era appena svegliata piangendo, stanca di tutto il mondo, la cosa più simile alla realtà che avesse mai visto. Ecco quando Rafe capì d'essersi innamorato di lei. 
Quel giorno era il meno atteso da tutti, quando una volta all'anno la frivola accompagnatrice - che conoscevano tutti - arrivava da Capitol City per annunciare i nomi dei tributi che, a causa della Mietitura, sarebbero andati verso il patibolo.
Il sole si faceva strada fra l'ombra che circondava la stanza e più avanzava più significava che stava arrivando il momento cruciale. Perché non poteva fermare il tempo? Doveva proprio inventare quella macchina del tempo, si disse il ragazzo dai capelli castani. Stringeva ancora forte il corpo di Emma nelle sue braccia, accarezzandole una guancia col pollice e sorridendo mentre la vedeva dormire stretta a lui; pian piano la riccia sbatté le palpebre, cercando di svegliarsi e la prima cosa che vide fu il sorriso che Rafe le stava rivolgendo e non poté non corrispondere. Le loro labbra si cercarono, facendo da parte il sapore del buon mattino che non era di certo uno dei migliori. Gli sfiorò il petto, iniziando a fargli dei grattini per puro divertimento, poi sospirò, costringendosi ad alzarsi; Rafe le bloccò immediatamente il polso, non volendo lasciarla andare e mugugnando come un bambino viziato.
« Su, lasciami, vado a vedere se c'è qualcosa da mangiare. » lo tranquillizzò, col suo caratteristico tono calmo. 
Pian piano la presa delle mani di Rafe si affievolì, mentre il braccio gli ricadeva sul materasso e coi suoi occhi verdi fissava il corpo nudo di Emma in cerca della sua vestaglia o di una qualsiasi cosa da mettersi addosso. Gli scappò una risata soppressa, sogghignando.
Quella si voltò immediatamente di scatto, contrariata. « Che hai da ridere? » chiese.
« Niente » rispose lui, non distogliendo lo sguardo, « sei bellissima. »
Emma non si voltò, non ne aveva anche il coraggio perché sentiva chiaramente il calore che le fuoriusciva dalle orecchie e sapeva d'esser diventata un peperone in volto, se non per tutto il corpo. Improvvisamente qualcosa l'afferrò dai fianchi, lei buttò un grido e poi venne rigettata sul letto, mentre una dentatura familiare le mordicchiava il collo, facendola ridere divertita. Le labbra umide di Rafe passavano su tutto il collo, leggere, alternandosi a dei piccoli morsi. 
« E sei mia. » ringhiò quasi fosse un'avvertimento.
Prese il volto del ragazzo fra le mani e lo baciò, mentre una sensazione di felicità la invadeva, facendola sentire apprezzata. Felicità che non durò poi molto, perché quando si distese di nuovo affianco a Rafe, lui spezzò quel momento di pace con una delle sue solite domande a cui non riusciva a dare risposta, sperando che la ragazza potesse colmare il vuoto che lo assaliva sempre in quei momenti e che non accennava ad abbandonarlo:
« Perché noi ricordiamo il passato e non il futuro? »
E come ogni volta lei non gli sapeva rispondere; avrebbe tanto voluto, perché sapeva che l'unica cosa che lui cercava erano proprio le risposte, ma non sapeva darle.
« Penso perché viviamo quei momenti, così almeno mi ricorderei di tutti quelli che ho passato con te. »
« Ma se ricordi il futuro quei momenti li ricorderai prima, quindi saprai che ci sono stati. » continuò.
« Ma appena li vivo, quelli svaniscono. » gli fece notare. « No, io voglio tenerti sempre impresso nella mia mente. »
E dovette darle ragione, anche se non era pienamente convinto, ma Rafe non si sarebbe convinto mai di nulla, mai.
Le loro gambe si incrociavano le une fra le altri, si stringevano sempre di più, si necessitavano a vicenda ed oramai non potevano essere divisi, erano diventati l'uno il mondo dell'altro; le loro cavigliere si toccavano, convincendoli che non sarebbero mai stati soli, avrebbero sempre portato un pezzo dell'altro con sé. Ed il maggiore riprese ad accarezzarle i capelli, canticchiando una ninna nanna - perché sì, con lei poteva finalmente cantare senza essere giudicato, anche se quello che amava fare di più non gli avrebbe mai fruttato nulla nel futuro, di certo avrebbe guadagnato di più come meccanico per vivere - e fissando il soffitto.
« Penso che potrei impazzire. » confessò la riccia. 
Non ne poteva più di quel bagno fratricida, quell'insensato gioco che faceva divertire gli abitanti di Capitol City. Non avevano un briciolo di cervello, quelli là? Non capivano che non è divertente vedere i propri compagni cadere l'uno dopo l'altro? Stringeva i pugni ed inghiottiva tutto ciò che aveva dentro, come faceva sempre, perché sennò lì ne sarebbe uscita un'altra rissa. Ma lui non riusciva a comprendere ugualmente, benché ci avesse provato molte volte, ma la riteneva una di quelle domande irrisolte a cui nessuno poteva rispondere adeguatamente e così si convinceva ancor di più che l'ingrediente principale dell'umanità era solo un enorme branco di idioti. 
Quel giorno il padre non avrebbe aperto l'officina per via della Mietitura e così sicuramente era a casa, ma oramai l'uomo ci aveva fatto l'abitudine a vedere la ragazzina rossa che girava per casa sua; il problema, poi, era sicuramente un rimprovero per lei da parte della signora Wibberly, che forse la riteneva sempre una bambina, benché la spronasse sempre a crescere.
Sedeva ancora sulla solita poltroncina della discarica, vestito coi miglior vestiti che poteva permettersi, mentre aspettava Emma e si rigirava una rosa fra le mani; l'aveva trovata lì vicino, come la prima volta che si era deciso a fare il primo passo ed anche stavolta gliela porse non appena vide i suoi boccoli rossi e gli occhioni azzurri che si stupivano per ogni suoi piccolo gesto, più simili a quelli di una madre che di una ragazza. Però stavolta Rafe non tratteneva le risa, no, bensì incrociava le sue dita fra quelle di Emma e le stringeva più che poteva, premendo le sue labbra sulle sue, come a stabilire che era di sua proprietà. No, non voleva di certo lasciarla, mai.
Ogni anno era sempre lo stesso: avevano paura entrambi e lo percepivano chiaramente, ma erano poche le vole in cui esternavano cosa provavano quel giorno perché c'era sempre una reciproca intesa, una telepatia mai praticata direttamente in loro; allora Rafe lo sentiva, di quanto era preoccupata, di come avesse paura che lui potesse lasciarla sola, a quel punto Emma sarebbe impazzita, non avrebbe mai potuto andare avanti fra tutta quella gente da sola. Ma la verità? Rafe l'avrebbe accettata anche così, non gli dispiaceva consolarla la notte o abbracciarla per tranquillizzarla, non si pentiva mai di combattere contro gli altri per difenderla, perché lui, in fondo, fra tutte le ragazze che poteva avere, anche se non era perfetta, lui aveva continuato sempre a scegliere lei.
Ecco perché, quando sentì l'accompagnatrice chiamare forte il suo nome alla Mietitura, lui rivolse il suo sguardo unicamente ad Emma. La giovane non sapeva che fare e non si accorse neanche che aveva già iniziato a piangere perché non riusciva ad accettarlo, tutto il suo mondo si era appena disintegrato in un istante e non riusciva a corrispondere al sorriso che - nonostante tutto - Rafe le rivolgeva, malinconico, lei si limitava a stringere quel fiore fra le sue dita fino a farsi male, non potendo far altro che continuare a piangere, anche perché il dolore più grande era quello nel suo petto.
Perché lei era il motivo per il quale Rafe non voleva morire. Era il motivo per cui non poteva morire.











pandabitch.
Boujour!
O come si scrive.
Vi presento Rafe Donald ed Emma Wibberly, personaggi della storia interattiva Everything's gonna be alright, da cui è tratta anche la citazione all'inizio che è proprio la mietitura ufficiale di Rafe.
I nomi sono gentilmente presi in prestito dai miei personaggi preferiti dei Libri dell'Inizio.
A parte 'Donald' che è un nome che mi piace tanto perché mi ricorda il McDonald's #lolle ed è il nome di Donnie Darko, che io amo alla follia. :')
Amo questi due e li shippo ed odio il fatto che inizio a shippare proprio i miei OC e mi chiedo perché non esistino realmente nel fandom. ç__ç Mi capita sempre.
Detto questo, i bagni di scuola mia sono otturati.
Ringrazio sempre i Fun. che m'ispirano con le loro canzoni, anche se il titolo di questa one-shot è preso da una frase che mi ha colpito molto di questa canzone su HG.
Vorrei ringraziare Ari ed il suo koala, perché questo non è un vero ringraziamente che mi vergogno e se lo legge poi pensa che sia sentimentale.
Ringrazio anche Coral che giustamente la fanfiction è pure sua e poi io sono la sua favorita. e.e
Ringrazio Macky, che c'è sempre per me e vorrei dirle che sarò sempre il suo eroe. 
Ed infine ringrazio tutti gli altri mentori della fanfiction, tutti i panda e quelli che mi supportano. çwç
Ah, mi hanno ripresa mentre disegnavo questa domenica e sono dovuta andare a scuola di mattina. .___. E devo anche prenotare per venerdì che ho una conferenza con un critico d'arte.
What else?
Grant Gustin e Rachel Hurt-Wood hanno prestato gentilmente i loro volti a codeste mie creature. 

Quindi ricordatevi di mettere 'mi piace' alla pagina facebook Pandamito EFP e di seguirmi su twitter come @pandamito o dove volete, i link li trovate sulla pagina del mio account.
Se volete leggere altre mie storie su Hunger Games o altro, anche per quello c'è il mio fantabuloso account per unicorni. 

Bao!



Baci e panda, Mito.

   
 
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