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Autore: Macy McKee    18/12/2012    4 recensioni
[AU: Companion!Ten, Timelord!Rose]
‹‹Chiedo scusa, ma avrei una domanda. Perché “il Dottore”? Voglio dire, essendo tu una donna, non dovresti farti chiamare “la Dottoressa”?››
‹‹È un nome generico, d’accordo? Come se fosse “il Medico”. E poi, presentarsi come “il Dottore” è più veloce: dire: “Sono il Dottore, corri!” ti fa risparmiare una frazione di secondo preziosa rispetto a: “Sono la Dottoressa, corri!”. E quando hai un esercito di Cybermen alle calcagna, il tempo di un “ssa” può fare la differenza fra la vita e la morte.››
[…]
‹‹Voglio venire con te, Dottore. Non puoi viaggiare da sola per sempre.››
‹‹John Smith, John Smith. Se solo tu sapessi quante volte ho sentito questa frase…››
‹‹Ascolta, prima di dirmi di no…››
‹‹Ma io non ti ho detto di no.››
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 10, Rose Tyler
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Violenza
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Salve, lettori. Vi ringrazio per aver cliccato su questa storia, e se vorrete leggere il prologo vi ringrazierò per la vostra pazienza e per aver deciso di dedicare qualche minuto del vostro tempo alla lettura dell'inizio di questa mia prima storia su Doctor Who. Questa, oltre a essere la mia prima fanfiction in questo fandom, è anche la mia prima AU: diciamo che per me questo è un esperimento e un'esperienza nuova, quindi spero che il risultato non sia troppo terribile. 
Protagonisti di questa fanfiction sono i nostri amati Ten e Rose, con i ruoli invertiti. Rose è un Signore (Signora?) del Tempo, Ten, conosciuto con il nome di John Smith, è un giornalista curioso e brillante appassionato di eventi paranormali. Temo che all'inizio i nostri personaggi saranno un po' OOC a causa dei ruoli diversi che hanno, ma andando avanti dovrebbero (sempre che io sia riuscita nel mio intento) tornare ad essere più fedeli al loro carattere originale.
Un'ultima nota: questo capitolo, fungendo da prologo, è più corto rispetto agli altri. Quindi non spaventatevi per la brevità, i prossimi capitoli non saranno così corti.
Buona lettura! 


 

We live as we dream: alone*
Prologo: Atlantic Industries

Il pavimento era coperto da uno strato di polvere troppo sottile perché il piede di John lasciasse la sua impronta, ma abbastanza spesso da scricchiolare sinistramente a ogni passo. John avanzava piano, cautamente, attento a non sfiorare accidentalmente una delle casse di legno che lo circondavano. Strisciava nello stretto corridoio fra una fila di cassette e l’altra, lottando contro se stesso per reprimere l’istinto di spalancarne una immediatamente. La curiosità di scoprire che cosa fosse contenuto in quei recipienti che qualcuno si era preoccupato di nascondere con la massima cautela in quel capannone che sarebbe dovuto essere abbandonato era più che forte, ma John sapeva di dover resistere: prima di aprire una cassa, era necessario verificare che l’interno dell’edificio non fosse sorvegliato. Essere cauto era fondamentale, perché il rischio di trovarsi con il cuore perforato da un proiettile prima di aver scoperto il mistero delle Atlantic Industries era terribilmente alto.
Procedendo lentamente nella semioscurità, John teneva le braccia tese davanti a sé. A un tratto, la punta delle sue dita sfiorò una superficie metallica. Strizzando gli occhi, John ebbe l’impressione di vedere di fronte a sé la parete del capannone.
Muovendosi lentamente, si accucciò sul pavimento ed estrasse una piccola torcia elettrica dalla tasca. La accese, puntando il debole fascio di luce verso i suoi piedi e alzandolo piano piano.
Strisciando sul pavimento, raggiunse la cassa più vicina a lui. Se non avesse saputo che era impossibile, avrebbe giurato di poter sentire ogni cellula del suo corpo fremere per la curiosità: se le sue supposizioni erano corrette, entro pochi secondi avrebbe avuto la prova schiacciante che il governo stava collaborando con una delle più note multinazionali europee per occultare un segreto che andava oltre la conoscenza umana, forse oltre quella terreste. John rabbrividì per l’emozione al pensiero.
Dopo aver stretto la torcia fra i denti per avere le mani libere, estrasse le cesoie dalla tasca della giacca di tweed e cominciò a recidere un anello della catena che teneva chiusa la tasca. Sorprendentemente, l’anello cedette più velocemente del previsto. John dovette mordersi la lingua per non gemere per la felicità. Prese un respiro profondo mentre appoggiava le dita tremanti ai lati del coperchio. In pochissimi secondi, avrebbe avuto la prova del complotto più incredibile degli ultimi cento anni, forse addirittura il più incredibile di sempre. Lui, John Smith, semplice giornalista del London Daily, stava per dimostrare l’esistenza degli extraterrestri.
Con questo pensiero che rimbalzava nella sua mente come una pallina da ping-pong impazzita, fece per alzare il coperchio.
‹‹Non una buona idea, no.››
John sobbalzò, allontanando istintivamente le mani dalla cassa. Con il cuore in gola, si voltò verso la direzione da cui proveniva la voce, illuminando il punto con la torcia.
‹‹Buonasera›› esclamò allegramente la voce. John dovette chiudere e riaprire gli occhi un paio di volte per convincersi di non avere un’allucinazione: appollaiata su una cassa, quella che sembrava in tutto e per tutto una studentessa gli sorrideva con una luce divertita negli occhi, dondolando allegramente le gambe.
‹‹Non vorrei essere impudente, dato che ci siamo appena conosciuti, ma io ti consiglierei di allontanarti da quella cassa. A meno che non ti piacciano le branchie al punto da volerne sviluppare un paio prima di morire per asfissia. In questo caso, credo che dovresti aprirla.››
Istintivamente, John strisciò di lato, allontanandosi di qualche centimetro dalla cassa.
‹‹Non sei un appassionato di branchie, quindi. Buono a sapersi›› proseguì la bionda, ridacchiando. ‹‹Allora, giovanotto non-appassionato-di-branchie, chi sei?››
‹‹John. Sono John. Sei delle Atlantic Induestries?››
‹‹Se fossi stata delle Atlantic Industries, probabilmente ti avrei già sparato. Bene, John, piacere di conoscerti. Io sono il Dottore. Ora che ci siamo presentati, fammi un favore: scappa.››
John la fissò, rimanendo immobile.
‹‹Non posso andarmene. Sto per avere la prova che il governo e le multinazionali sono in contatto con forme di vita extraterrestri: non posso andarmene proprio ora!››
‹‹Oh, ma posso fornirti io tutte le prove di cui hai bisogno. Solo, non in questo momento. Fidati di me: se non vuoi ritrovarti al centro di uno spettacolo pirotecnico piuttosto pericoloso, scappa.››
‹‹No. Non lascerò i miei alieni.››
‹‹Ma sentilo. “I miei alieni”. Sei proprio un umano, John. D’accordo, vieni con me.››
La ragazza saltò giù dalla cassa, atterrando agilmente a pochi centimetri da John. Afferrò la sua mano, cominciando a correre al buio. John si trovò suo malgrado a seguirla, mentre provava la sgradevole sensazione che una grossa bomba fosse scoppiata nella sua mente, lasciando un deserto di caos e frammenti di idee senza senso.
‹‹Ma tu chi sei?›› bisbigliò ansimando, mentre il Dottore si fermava di colpo. John la vide armeggiare con qualcosa che emetteva una debole luce blu e un fischio sottile, prima che una porta si aprisse davanti a lei.
‹‹Il Dottore.››
‹‹Dottore... E poi?››
La bionda sbuffò piano, ricominciando a correre verso l’esterno del capannone. John si sforzò di stare al suo passo, rendendosi conto di avere qualche difficoltà a tenerle dietro.
‹‹Fate tutti sempre la stessa domanda, voi umani. "Dottore e basta?", "Come puoi chiamarti solo Il Dottore?", "Dottore chi?" Sempre le stesse domande. Sono il Dottore. Solo il Dottore. Ora, abbassati››
gli intimò, accucciandosi a terra. John la imitò istintivamente.
‹‹Dimmi, John, ti piacciono i fuochi d’artificio?›› sussurrò il Dottore, visibilmente eccitata. Senza aspettare una risposta, estrasse di nuovo lo strano dispositivo che aveva usato pochi secondi prima, puntandolo verso un tubo provvisto di tre rubinetti a pochi centimetri da loro.
Per alcuni secondi non accadde nulla. Poi, senza il minimo preavviso, un lampo di luce nel punto in cui doveva trovarsi il capannone dal quale erano appena fuggiti accecò John. Subito dopo, un boato squarciò il silenzio della notte.
John barcollò e cadde sulla schiena per lo spavento, senza fiato. ‹‹Cosa… cosa è appena successo?›› bisbigliò, boccheggiando.
‹‹Ho bloccato il condotto di raffreddamento interrompendo il processo che permetteva al materiale potenzialmente instabile contenuto nelle casse di mantenersi stabile. Boom.›› Spiegò, mimando un'esplosione con le mani.
‹‹Ma… perché?››
‹‹Perché le Atlantic Industries volevano introdurre nell’atmosfera terrestre un batterio extraterrestre che avrebbe decimato la popolazione.››
‹‹Prego?››
‹‹Ascolta, John. Apprezzo il tuo entusiasmo, ma ora, nel caso non fosse chiaro, sono leggermente occupata. Ti ringrazio per la compagnia, ma ora dovresti correre come se da questo dipendesse la tua vita, il che potrebbe essere vero, senza voltarti indietro e più velocemente possibile. Credi di poterlo fare?››
John fece per rispondere, ma fu interrotto da un urlo che gli fece gelare il sangue nelle vene. Vide stagliarsi contro il fuoco che ardeva nel punto in cui fino a qualche secondo prima sorgeva il capannone alcune sagome, che si facevano via via più grandi: qualcuno stava arrivando.
‹‹Corri!›› sibilò il Dottore, spingendolo. E John, nonostante il suo istinto si opponesse con tutte le sue forse, si ritrovò a correre nella direzione opposta rispetto al capannone.

* Joseph Conrad, Heart of Darkness



   
 
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