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Autore: Dakota Blood    18/12/2012    1 recensioni
Paure infantili o vera follia? A volte i bambini vedono ciò che gli adulti hanno dimenticato di guardare con attenzione, perchè magari di notte, sotto il letto.. può esserci qualsiasi cosa.. veramente qualunque cosa... e non solo della polvere.
Genere: Horror, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Di notte, sotto il letto



Ricordo che quando avevo sette  mia mamma mi leggeva sempre delle favole prima di andare a dormire, non saltava mai nemmeno una notte.  Lei lavorava assieme ai bambini in un asilo in città e non le mancava di certo la pazienza e la fantasia, per cui a volte quando me ne leggeva talmente tante che i libri terminavano in fretta, spesso le inventava lei anche sul momento, riusciva ad  improvvisare delle storie sensazionali che mi facevano fare dei sogni sereni. Mi sistemava bene nel lettino, mi copriva, mi dava il mio pupazzo preferito che era un piccolo dinosauro,  e apriva uno dei libri che teneva appoggiato sul mobile nella mia stanza. Lo apriva e mentre iniziava a parlarmi di coniglietti, cavallini volanti che sorvolavano cieli di marzapane e arcobaleni di zucchero filato, io tenevo gli occhi ben chiusi per riuscire ad immaginare ancora meglio tutto quello splendore. Vedevo davanti a me tutti quegli animali, il cielo con sopra tutte le nuvole bianche che sembravano cotone, o neve che si andava sciogliendo al sole. Riuscivo ad entrare dentro la storia, anzi il più delle volte ne ero il protagonista assoluto e mi mischiavo assieme a tutti gli altri personaggi che, una notte erano tristi principesse in attesa del vero amore, la notte successiva erano invece ranocchi che si trasformavano in bei ragazzi e la volta ancora potevano essere dei ragazzini che cercavano di scappare da un destino avverso in cerca di una condizione migliore. Il brutto arrivava nel momento in cui la favola finiva e io ancora ad occhi chiusi dovevo ritornare nel mondo reale con ancora i ricordi di quei bei luoghi incantati che solo l’immaginazione e il racconto ci permettono di vivere. Mia madre chiudeva il libro, mi dava il bacio della buonanotte e, spegnendo la luce andava nella sua camera che spesso condivideva da sola perché mio padre faceva i turni di notte all’ospedale e quindi tornava al mattino presto. Una sera non so perché, dato il mio carattere abbastanza pacifico e quieto, combinai qualcosa che alla mia età non doveva esser stato niente di grave, ma all’età di mia madre invece significava tutto. Troppo. Quel troppo che bastava per meritarmi una punizione, e quale poteva essere se non la peggiore di tutte? Quella che mi avrebbe reso triste e quindi mi avrebbe fatto capire che certe cose non vanno fatte? Ma ovviamente quella di andare a dormire senza la storia del giorno.  Ricordo che stavamo cenando e mentre mangiavamo tenendo la tv accesa su un telegiornale locale, ( darò sempre la colpa a quel telegiornale perché è stata la causa della mia noia e quindi di tutto quello che seguì dopo) mi ero messo a giocare con il cibo anziché portarmelo alla bocca, e diciamo quasi volontariamente, lo avevo fatto cadere sul tappeto. All’inizio lei non si era accorta di niente e anzi era ben presa dallo sollevare il volume della tv per ascoltare meglio il fattaccio accaduto quella sera ad un nostro vicino, un signore di novant’anni che aveva deciso di cercare la morte scendendo le scale come se fosse ancora un giovanotto. Ebbene, il tentativo era fallito dato che poche ore dopo i figli lo avevano trovato disteso per terra privo di vita e con tutte le ossa rotte.  Io stavo praticamente approfittando della morte di quel signore, per darmi da fare nell’inaugurare il nuovo tappeto verde che avevo deciso di tingere di rosso con tutto quel sugo.  Guardando nella sua direzione avevo completamente distolto lo sguardo dalla forchetta che tenevo in mano e che, con un sorriso maligno, stavo indirizzando verso il pavimento che si tingeva di un rosso ben acceso.  Il notiziario stava finendo e mia mamma stava continuando a mangiare beata senza alcun tipo di problema, quando, nel momento in cui mi ero distratto guardando un secondo la tv, la sentii gridare, dicendo che non dovevo fare certe cose, che non ero un bravo bambino eccetera. Mi fece alzare dal tavolo dicendo che per quella sera la mia cena era finita e che dovevo imparare le buone maniere, prendendosela addirittura con mio padre che non poteva difendersi in quel momento, dicendo che era per colpa sua se avevo imbrattato tutto, che pensava solo a lavorare e cose simili che continuarono per una mezz’ora. Mi alzai, mi fece andare in bagno a lavarmi le mani e mi indirizzò nella mia camera. Mi guardò un attimo, proprio quando pensavo che si stesse calmando, anche perché non era mai nervosa e non capivo perché se l’avesse presa così tanto per una cosa cosi stupida e mi disse <<  Senti, non mi va che ti comporti cosi va bene? Io cucino e tu butti il cibo per terra? Sei sempre così bravo, calmo, tranquillo e oggi cosa ti è successo?  Ci si comporta così con la mamma? <<    << No<<  << E allora cosa si dice? <<  E io sapevo bene cosa si diceva perché ero un bambino bravo e la mamma mi aveva insegnato come si rispondeva in quei momenti << Si dice scusa mammina, non lo farò mai più, promesso<<  << Bravo, ora vai a letto, ne riparliamo domani <<   E mi diede un bacio sulla fronte. Mi tranquillizzai e le sorrisi, consapevole che avevo sbagliato ma anche che aveva esagerato nel rimproverarmi cosi, e questo lo sapeva anche lei, ne ero certo.  Mi guardò sorridendo e capii che le era passato tutto, d’altra parte un bambino della mia età avrebbe combinare guai ogni momento e invece a  me era capitato solo quella sera. Cosa poteva mai esserci di tanto esagerato in questo?  << Su vai a letto, fila, anche se non sono più arrabbiata per stanotte non ti racconterò niente, giuro, <<   La guardai sbigottito e rimasi a bocca spalancata per qualche secondo, davanti al volto duro di mia madre. << è cosi, ho deciso che stanotte non meriti la tua favola del giorno, quindi è inutile che mi guardi cosi o che piangi o che addirittura mi racconti  la storia del mostro sotto al letto che non ti fa dormire, perché io adesso vado via e ci vediamo domattina per la scuola ok? <<   << Va.. va bene mamma <<  Ma non andava bene per niente, cavolo. Era la prima volta in tre anni che non avrei avuto la mia storia e non sapevo come avrei potuto prender sonno con tanta facilità. << Buonanotte, e sogni d’oro <<  << Notte <<  E si chiuse la porta alle spalle. Non mi aveva nemmeno rimboccato le coperte o dato un bacio della buonanotte, niente. Mi misi dentro il letto, chiusi la finestra perché entrava una forte corrente e fuori il vento ululava. L’indomani mattina sarebbe stata sicuramente una giornataccia e lo si poteva vedere già da quella nottata così noiosa, che però mi ero cercato io con le mie stupidaggini. Mi sdraiai e tardai a prendere sonno, passarono i minuti e dopo un po’ chiusi gli occhi cercando con tutto me stesso di chiamare il sonno, farlo arrivare magari con uno di quei cavalli alati che c’erano nelle favole. Anche se avessi preso il libro e avessi cercato di leggere qualcosa non sarebbe mai stato lo stesso.  La vera magia della storia e dell’effetto che esercitava su di me, stava nella voce di mia mamma che era bellissima e dolce, come quella delle fate. Capivo perché i bambini la adoravano e volevano sempre passare le mattinate solo con lei, perché ci sapeva fare, era davvero una mamma perfetta e io l’avevo delusa e fatta adirare. E adesso? Ora passavo lo sguardo da un soldatino che mirava a qualcosa di inesistente con il suo fucile puntato in alto, al poster di una band di cui non riuscivo neanche a dire il nome ma che mia mamma, che andava matta per la musica rock, mi cercava di insegnare spesso senza successo.  Un giorno credo che avrei seguito la sua stessa strada perché quei cantanti vestiti cosi mi piacevano davvero e poi spesso quando sentivo i CD che teneva in macchina sentivo già che erano fatti per me. Sarei diventato una Rockstar magari, ma ancora era troppo presto. Guardai verso la finestra e vidi che i rami dell’albero che si affacciava sul mio davanzale, come dandomi la buonanotte e il buongiorno, si muovevano assomigliando a delle braccia che volessero affermarmi. Mi voltai per non doverlo guardare e proprio mentre fissavo il soffitto cercando con tutto il cuore che Morfeo mi prendesse tra le braccia, lo sentii per la prima volta. Era un rumore come di qualcuno che  sta bussando su una porta o comunque su qualsiasi basamento in legno, e utilizza non solo le nocche per bussare ma proprio tutta la mano. Mi agitai si, ma non persi completamente la calma. Cercai però di coprirmi fino alle orecchie senza fare troppo rumore perché non volevo essere sentito. Da chi? O da cosa meglio? Fifone.. Magari è solo la mamma che non riesce a dormire come te e sta sistemando le sue cose per domani mattina. Oppure è l’albero. Quello che ti è sembrato una persona con le braccia lunghe. Si girò dal lato sinistro cercando di soppiantare quei discorsi che stava facendo con la sua mente, ma la paura stava iniziando a prendere il sopravvento. Un secondo tonfo lo fece sussultare portandolo a respirare affannosamente a sudare nonostante le temperature fredde. Non ebbe il coraggio ne di alzarsi e ne tantomeno di accendere la luce anche se mentalmente si trovava fuori dalla sua stanza, tra le braccia di sua madre e con tutte le luci della casa accese. Al rumore si aggiunse una voce strana, roca, come se provenisse da una cassa oppure da sotto terra perché non era ben chiara. Rimase in ascolto cercando di non muoversi, di non sporgersi con il volto o lasciar ciondolare un piede dal letto, non doveva quasi respirare.  Si trasformò quasi in un corpo privo di vita, mentre intanto i rumori erano non solo continuati ma anche aumentati a dismisura. Era sicuro di aver sentito addirittura un colpo di tosse che però non gli aveva fatto pensare alla mamma, al padre o a qualcuno a cui voleva bene, no, a qualcuno che non avrebbe mai voluto incontrare perché gli faceva pensare al mostro sotto al letto di cui parlava sempre con la mamma. Rimase immobile, senza voltarsi o fare un minimo scatto con il suo piccolo corpicino,  e mentre stava aspettando che qualcosa dal buio si facesse avanti o che sparisse completamente, sentì proprio sotto di lui qualcosa che grattava, come selle zampe abbastanza grandi che graffiavano contro il legno. L’impulso fu quello di scappare, ma allo stesso tempo se avesse fatto un passo era sicuro che quella cosa sarebbe sbucata fuori e l’avrebbe afferrato portandolo in quel posto sconfinato che esisteva oltre il suo letto, dietro la sua camera, dove vivevano altri mostri con due teste, quattro braccia e denti aguzzi. Cercò telepaticamente di parlare con sua madre, quindi chiuse bene gli occhi e bisbigliò il suo nome cercando di dirle che era sicuramente in pericolo, che il mostro era arrivato e che anche se i grandi non credono a queste cose l’indomani mattina avrebbe creduto ai propri occhi quando il suo bambino sarebbe sparito per sempre.  L’agitazione aumentava perché aveva la consapevolezza che anche se lei fosse stata sveglia o in cucina a bere una tazza di latte, non lo avrebbe mai sentito e sarebbe stata certa di averlo lasciato al sicuro nel mondo dei sogni.  D’improvviso il silenzio di sovrastato da un colpo fortissimo, prima sull’armadio, poi alla porta e infine sotto al letto. Rimase immobile come lo era stato fin dall’inizio, con il cuore che gli si spaccava nel petto dalla paura e il respiro affannoso che aumentò quando sentì una voce proprio sotto di lui. << Ciao bel bambino, sai chi sono?  L’ansia e la paura si trasformarono in un solo istante in orrore puro e non riuscì a trattenere la pipì, che bagnò il letto provocandogli un senso di vergogna, apprensione e freddo che gli percorse le ossa lasciando tremante e spaventato. Allora i problemi qua erano due. Primo punto, chi poteva chiamarlo nel cuore della notte se nella stanza c’era solo lui? e secondo punto, perché mai avrebbe dovuto rispondere a quella voce che non prometteva niente di buono?  Sarebbe rimasto in silenzio, avrebbe cercato di addormentarsi e l’indomani avrebbe detto alla mamma di controllare sotto al letto.  << Allora non vuoi rispondermi? Va bene, allora ti parlerò di me, ho tanti nomi, puoi chiamarmi come ti pare e sai mi piace molto la tua stanza, io vivo qua anche se non sapevi della mia esistenza, vedo sempre tua madre mentre pulisce la stanza e cerca di mandare via la polvere che c’è qua sotto. Mi sta simpatica, e anche tu. Ma stasera l’hai fatta proprio arrabbiare! Ci si comporta così? No no ! <<    Stava tremando, ormai non era solo colpa del freddo e del materasso fradicio, era quella sensazione di sentirsi smarrito proprio nella camera in cui aveva sempre trovato sicurezza e pace. Si era chiuso la dentro quando aveva litigato con suo padre e aveva trascorso tuto il pomeriggio a giocare con le macchinine facendole schiantare contro l’armadio, e adesso si era reso conto di quante volte quelle stesse auto erano finite sotto il letto e le aveva recuperate senza guardare la sotto, ma solo allungando il braccio e ritraendolo velocemente. Chissà da quanto tempo era li quel mostro.. sicuramente c’era stato anche quel lontano agosto in cui era andato a trovarlo Alex, quel cugino maggiore di dieci anni che tanto adorava. Era andato a fargli visita e portargli un po’ di gelato, dopo che era stato operato da qualche giorno alle tonsille. Quel mostro, di cui ancora non conosceva nemmeno il volto, doveva essere stato li e per fortuna non aveva fatto del male a nessuno dei due, non aveva afferrato una delle caviglie di Alex, mentre stava in piedi a raccontare delle storie al più piccolo, per trascinarlo giù e ancora più giù in luoghi lontani e molto cattivi. Adesso era il presente e non doveva pensare a quei bei ricordi, perché non avrebbero  fatto altro che farlo piangere e lui non voleva che il mostro lo sentisse, doveva rimanere zitto, doveva fargli capire che sopra quel letto non c’era nessuno e che si era sbagliato a pensare che ci fosse un bambino che aveva combinato dei guai.  Un rumore gli fece sbarrare gli occhi e quasi gli uscì un suono dalla gola, che cercò di far morire proprio sul punto di nascere.  Si rese conto di avere una mano completamente priva di circolazione, si sentiva formicolare per tutto il braccio destro e si stava intorpidendo il piede sinistro. Era in un bel guaio, aveva la necessità di muoversi ma forse, se lo avesse fatto, sarebbe stato spacciato per sempre. Un altro rumore più forte seguito da un colpo di tosse e dal vento che fuori ululava sempre di più. Ormai  quell’albero così minaccioso non gli faceva più paura e anzi, quasi gli faceva compagnia, quasi sperava che prendesse vita e lo salvasse da quella cosa infernale che lo voleva prendere. 
<< Eccoci qua. Vuoi che ti racconti una favola? <<
Purtroppo non era la voce della mamma e quelle parole non risuonavano così dolci e familiari. Un demone, o qualsiasi cosa ci fosse li sotto, gli aveva appena chiesto gentilmente di ascoltarlo, che se voleva gli avrebbe fatto questo favore di allietarlo raccontandogli qualcosa. Ma lui non voleva ascoltarlo, cosa mai avrebbe potuto dire di bello quella bocca così immonda?  Così rimase in silenzio e decise di non rispondergli mai!
<< Continui a non volermi parlare? Bene, io ho un sacco di cose da dirti invece. Penso proprio che questa sia la notte adatta. È passato troppo tempo dall’ultima volta in cui ho assaggiato qualcosa di prelibato, già<<
Cosa significavano quelle parole? Qualcosa di prelibato? Non stava mica pensando di.. di divorarlo veramente?  Doveva assolutamente chiamare la mamma. Magari se riusciva ad accendere la piccola luce sul comò avrebbe spaventato il mostro, oppure, come aveva visto in tanti film, l’assenza del buio lo avrebbe eliminato,  lo avrebbe riportato nel suo mondo.
Silenzio totale. Un bambino che respira a fatica e, a tratti, un rumore che fa pensare a qualcuno che ha degli artigli enormi e sta cercando di scavare o rompere una parete.
<< Quando riuscirò a venire li, ad averti vicino, nel momento in cui mi guarderai negli occhi, allora tua mamma potrà dirti addio per sempre. Ormai sei la mia preda.  Conta i secondi, i minuti, che ti separano da me, perché io so che sei là sopra. So tutto di te, a che ora vai a dormire, ti vedo quando giochi da solo o quando fai i compiti. Sei un bel bambino, ma dopo stanotte non ti riconoscerà più nessuno.  Finalmente stanotte è la notte giusta. Speravo tanto che prima o poi facessi arrabbiare la tua mamma e ora l’hai fatto. Ti racconterò una storia, di quelle che piacciono tanto a me. Questa favola ha come protagonisti un bambino cattivo e una mamma che lo odia, che gli racconta le favole solo per farlo star zitto ma non perché gli vuole bene. M segui? Ti piace come storia? <<
 
Non voleva sentire ancora, non poteva ascoltare tutte quelle cattiverie. Quelle non erano verità. Non era giusto che un essere schifoso parlasse così male della sua adorata mamma. Non era vero che lei non gli voleva bene. Erano sempre stati indivisibili e la mamma faceva tanto per lui, lo coccolava e gli dimostrava tutto il suo amore. Pian piano le lacrime diventarono un pianto sommesso e non potè trattenersi, sapendo che ora l’avrebbe sicuramente sentito. 
<< Perché piangi? Io ti racconto una favola e tu cosa fai? Ti metti a frignare? Sei proprio un bambino cattivo. La favola continua con lo stesso bambino che cade da un’altezza incredibile, si rompe tutte le ossa, la mamma la  mattino lo trova per terra, vicino alla porta d’ingresso. Grazie all’aiuto di un mostro molto, molto malvagio, il bambino era salito sul tetto, passando per la finestra senza rendersi conto di ciò che faceva, perché chi è cattivo come me, sa come ipnotizzare i piccoli ragazzini. E poi bum, più niente. Il buio. Solo che la mamma non l’ha trovato intero, no, perché quel mostro ha pensato bene di non lasciarne intatto nemmeno un pezzo, l’ha divorato tutto e come era buono! E vissero felici e contenti. Ti piace? Questa è una delle tante storie che ti leggerò se continuerai a stare con me. Non trovi che sia un bel modo di giocare e divertirsi? Poi, quando sarai ben grasso, ti divorerò come ho fato sempre, e non sapranno mai di me. I genitori non sanno mai niente di me, sono così realisti. Voi invece vivete in un mondo di favole e credete a tutto. Io mi nutro proprio della vostra ingenuità e credulità. Mi fate tanta tenerezza. Ma quanto siete buoni con quel condimento..!
<< Basta!! Non voglio più sentirti, hai capito? Tu non esisti, sei soltanto frutto della mia paura, non voglio mai più avere a che fare con te, tutte quelle cose che hai raccontato non sono vere! Mia mamma mi vuole bene  e tu non sei altro che immaginazione e fantasia! Sparisci e lasciaci in pace! <<
 
Non aveva più fiato. Aveva paura si, ma aveva anche tanta rabbia. Non poteva morire per colpa di un essere che non esisteva nemmeno. Era sicuro di averlo creato con quella sua paura folle del mostro sotto al letto, della fobia nel lasciar ciondolare le gambe o  soltanto un dito del piede per paura di essere catturato.
Si alzò, quindi rimase in piedi sul materasso  e si abbassò facendo piano per non far troppo rumore, si avvicinò cautamente al bordo del letto e si inchinò, sollevando un piccolo lembo di coperta che gli permettesse di sbirciare la sotto. Con le mani tremanti si ritrovò in un attimo con lo sguardo rivolto verso quel piccolo spazio che si trovava proprio sotto di lui, e vide il buio totale. Non trovò niente, né artigli minacciosi, ne occhi gialli che gli penetravano l’animo.  Sospirò sentendosi più tranquillo e finalmente sereno, convinto di aver cacciato via il mostro, di averlo spaventato, ma proprio mentre chiudeva gli occhi per lasciarsi appisolare sul cuscino, con il cuore che quasi gli esplodeva in mille pezzi, una mano lo afferrò per le spalle, facendolo trasalire.
Tentò di urlare ma, aprendo gli occhi, si rese conto di essere al sicuro, aveva la mano di sua madre poggiata sulla sua spalla, e questo lo fece sentir immediatamente bene. Gli scesero le lacrime, ma questa volta almeno non erano di paura,a ma di sollievo e di gioia.
< << Cosa succede?<<
<< è entrato qualcuno, qualcuno cattivo che mi voleva fare del male, mi ha raccontato delle cose molto brutte<<
La mamma aggrottò le sopracciglia cercando di capire cosa avrebbe potuto spaventare così tanto suo figlio, e lo tranquillizzò spostandogli delle piccole ciocche di capelli che gli ricadevano sugli occhi, così da accarezzarlo amorevolmente.
<< Shh, calmati, è tutto a posto adesso., C’è la mamma e non potrò succederti niente di brutto. Ok?<<
< < << Ma..<<
< Avrebbe voluto fermarla, trattenerla, dirle che non lo avrebbe dovuto lasciare da solo, che forse qual mostro sarebbe tornato, magari era riuscito solo a spaventarlo ma non ad annientarlo completamente.
<< Mamma, posso dormire con te per stanotte? <<
< < < << va bene, un bacio<<
< Spense la luce e chiuse la porta, lasciandolo completamente solo. O perlomeno così sperava di ritrovarsi. Solo e tranquillo. Per i primi minuti tutto sembrò assolutamente pacifico e normale. Il vento sembrava aver smesso di ululare, e quell’albero che ora non si muoveva quasi più, aveva assunto le sembianze di un uomo vecchio che protendeva le mani verso la finestra, come a voler richiamare a se gli abitanti. Dopo sei o sette minuti, mentre il bambino era rimasto assolutamente immobile e addirittura aveva deciso di avvolgersi completamente attorno alle coperte, lasciando libere solo le orecchie e gli occhi, sentì un forte fracasso provenire da sotto al letto, e il terrore iniziò  nuovamente ad impossessarsi di lui, pervadendogli il corpo e la mente, lasciandolo privo di voce e costringendolo a tenere gli occhi sbarrati per molto tempo. Al rumore seguì una voce spettrale,  che inondò la stanza di un odore dolce ma che a momenti risultava nauseabondo e vomitevole, tanto da indurre il bambino ad arricciare il naso e tenerlo coperto con le dita e con il lenzuolo.
< Era terrorizzato, voleva che quella notte finisse in quell’esatto momento, che l’orologio segnasse la lancetta delle sette, quando si sarebbe svegliata la mamma, e che il sole nascesse il più presto possibile. Ma era li, in compagnia di quella carogna schifosa che lo voleva vedere morto, e il buio non aiutava di certo.  Forse se avesse avuto la compagnia di un cane, di quelli che dormono sul letto assieme ai bambini, non gli sarebbe successo nulla. Ma la mamma non gli aveva mai permesso di tenerne uno perché non avrebbe avuto il tempo di accudirlo e poi aveva sempre detto che avrebbe sporcato troppo. Una volta quando lui aveva tre anni, avevano tenuto un piccolo cane che era morto solo dieci giorni dopo, ma nonostante avesse tenuto loro poca compagnia si era fatto già ben conoscere, distruggendo il paralume preferito della nonna e la statua raffigurante una tigre siberiana con delle zanne minacciose.  Da quel momento era stato assolutamente fuori discussione poter tenere un qualsiasi animale in casa.  Magari in questo momento, se ci fosse stato un cane, avrebbe potuto azzannare il mostro oppure avrebbe potuto richiamare l’attenzione della mamma, abbaiando e facendola venire qua, costringendola a credere al fatto che c’era qualcosa di strano, che non andava proprio. Ma non c’era nessun cane, quindi doveva vedersela da solo con quel demone malvagio che lo stava assolutamente devastando. Con quelle ultime parole era riuscito a fargli venire ancor di più  la pelle d’oca, e poi non capiva cosa volesse da lui. Perché non sbucava fuori, se lo prendeva,lo portava via e lo divorava in un sol boccone così non ne avrebbero parlato più? Invece di tenerlo li, terrorizzarlo e fargli perdere la ragione? 
<< So a cosa stai pensando, ti starai chiedendo perché non ti porto via subito invece di trattenermi cosi a lungo vero? Beh, sarebbe troppo comodo, e poi non voglio che tu veda la mia faccia. Ogni volta che vado nelle camere di qualche bambino, e ti giuro, sono stai tanti, non mi faccio mai vedere subito in faccia, perché voglio che la vostra paura sia talmente tale da non farvi riprendere più <<
Decise di parlargli, non poteva star zitto, doveva dirgli qualcosa, magari lo avrebbe potuto spaventare o costringerlo a farlo andar via a gambe levate.
<< Perché non sparisci e basta? <<
< < < << E va bene, da dove vieni? Cosa vuoi da me? E soprattutto perché se qui?
<< calma, calma, troppe domande. Allora, beh dirti chi sono non è per niente facile. Non ho un viso ben definito. Posso essere chiunque io voglia. In genere assumo l’aspetto della persona che voi amate di più e che sentite più vicina a voi. Dimmi, per te chi è?<<
< < < << Caro bambino, io non ho un posto fisso. Prima di venire da te ho passato trecento anni in un’altra casa, dove c’era un altro bambino che però viveva con delle zie. E come mi son divertito con quella famiglia. Adesso ho voglia di divertirmi con te, con voi. Quindi rimarrò quanto voglio.<<
Era assurdo credere a quella conversazione. Stava parlando con qualcuno che non esisteva, che non aveva un vero volto, che doveva esistere solo nei romanzi horror o nei film che guardava di nascosto dove c’erano zombie, vampiri, creature demoniache. Ma non nella realtà. Stava forse sognando? Delirando? Eppure non poteva essere. Lui sentiva quelle parole, quella voce che lo faceva così tanto temere, e poi la mamma che era entrata in camera senza poterle nemmeno dire che aveva bisogno di lei, che non si trattava di un mostro immaginario ma di un vero incubo.
Il silenzio fu interrotto dalle parole del mostro che non rinunciava a chiudere la bocca almeno una volta.
<< Temo che il mio tempo qui sia finito, adesso me ne andrò per sempre. Contento? <<
Non sapeva se rispondere che si, era contento, o se rimanere zitto per non dire qualcosa che magari lo avrebbe messo in pericolo. Come per esempio dirgli che doveva andare al diavolo. Se gli avesse detto quelle cose, forse lo avrebbe fatto arrabbiare e lo avrebbe fatto rimanere li ancora per molto tempo! Decise di star zitto, assolutamente zitto senza emettere nemmeno un suono.
Attese qualche momento, sentì soltanto un rumore come di qualcosa che strisciava e si allontanava, finalmente, dal suo letto, per dirigersi fuori, forse verso la finestra o comunque lontano dalla camera. Era convinto che l’incubo stesse finendo, grazie a Dio. Forse si sarebbe addormentato e l’indomani la mamma l’avrebbe svegliato con un bacio e con la sua colazione preferita. Latte con miele e biscotti al cioccolato.
Sentì un rumore e nel girarsi per vedere cosa stesse succedendo, vide la porta aprirsi e immediatamente saltò in piedi diretto verso quella direzione, in cerca di aiuto.
Chiamò ad alta voce << Mamma, mamma !<< Ma , invece di sentire la sua voce rispondergli dolcemente, dicendogli che si era alzata perché non riusciva a dormire a causa di altri rumori, non sentì nulla. Vide soltanto una figura strana, ma enorme. Gli sembrava un essere deforme con due teste giganti che arrivavano fino a terra e da cui fuoriuscivano sangue e sostanze chimiche, che al contatto con il terreno scioglievano qualsiasi cosa incontrassero.  Indietreggiò con la bocca spalancata, andando a sbattere contro il letto, ma senza avere la forza e il coraggio di sedersi o coprirsi con qualcosa. Rimase immobile, interdetto, Inerme e assolutamente privo di iniziativa.  Intanto il mostro, che aveva lasciato evidentemente il suo rifugio sotto al letto mostrava ora il suo viso, e nel vederlo, il bambino rimase non solo spaventato ma soprattutto scioccato. Perché quella faccia era ben conosciuta, e l’aveva vista appena un ora prima quando aveva parlato con sua mamma chiedendole di poter dormire con lei. Adesso il mostro si vedeva benissimo,  con le sue lunghe zampe pelose, con le due teste che si guardavano e ringhiavano e ridevano mentre sbavavano sporcando i tappeti, lasciando scie schifose sul parquet che ormai era distrutto. Ormai era ad un passo dal bambino che non si sarebbe mai più ripreso da quello shock, e forse non sarebbe nemmeno riuscito a sopravvivere a quella notte dannata. Aveva visto che non aveva degli occhi normali, o meglio, non li aveva proprio. Aveva solo dei buchi neri, come se stesse guardando delle fosse enormi scavate da mille demoni infuriati che non attendevano altro che saltar fuori e catturare più bambini possibili. Il demone rideva mentre si avvicinava sempre di più, tanto che ormai erano vicinissimi, a tal punto da potersi toccare, ma nel guardarlo bene, avendo le sue pupille sbarrate e attaccate a quei due fori neri, non vedeva un mostro sconosciuto, bensì sua madre. Questa scoperta lo fece quasi svenire, mentre il mostro, vedendo che la reazione del bambino era stata quella che aveva sospettato e voluto fin dall’inizio, rise di gusto e si lanciò contro di lui quasi soffocandolo. Il bambino ormai si ritrovava sul letto, con un peso enorme sul corpicino esile e delicato. Non riusciva quasi più a respirare e, mentre cercava di morsicarlo per liberarsi, lo guardò ancor meglio nel volto e vide chiaramente i lineamenti della mamma. Come aveva fatto ad impossessarsi di lei? L’aveva forse uccisa, ma quando? Lei era sempre stata nella sua camera al sicuro, mentre il mostro era rimasto sempre con lui, senza abbandonarlo mai un minuto. Non doveva perdere tempo nel cercare la verità, doveva invece fare in modo di vendicare la mamma, salvarsi la vita e sconfiggerlo una volta per tutte. In realtà non aveva la minima idea di chi fosse quel demone, se fosse fatto di carne vera o fosse solo fumo, vapore e qualsiasi altra sostanza che al solo tocco con il bambino sarebbe sparito. Forse era evanescente, magari con qualche formula magica lo avrebbe potuto annientare, poteva chiudere gli occhi come aveva fatto già tante volte quella stessa sera, e immaginare che fosse tutto un incubo, svegliarsi con la mamma accanto che lo cullava tra le sue braccia. Mentre rifletteva ad occhi chiusi, il mostro iniziò ad urlare mutando d’aspetto, diventando ancora maggiormente lugubre. << Hai visto il mio volto adesso? <<  E mentre pronunciava quelle parole la sua voce era rauca, come se avesse inghiottito qualcosa di molto grosso e non lo avesse mandato giù bene.  La sua voce era terrificante e gli procurò dei brividi su tutto il corpo. << Mi hai guardato bene? Non sono poi così tanto terrificante non trovi? Sono solo la tua mamma, avanti dammi un bacio! Vieni dalla mamma che ti abbraccia come fa sempre! << Ma, nonostante quell’essere in effetti, fosse la fotocopia esatta di sua madre, non doveva assolutamente avvicinarsi, quello era solo un tranello, non doveva cedere perché forse per lui sarebbe stata la fine. Decise invece di toglier fuori tutto il coraggio che forse fino a quell’istante aveva tenuto nascosto, e urlando con tutto il fiato che aveva in gola, si dimenò cercando di sollevarsi in piedi, ci riuscì, si lanciò contro quell’essere diabolico che ora era molto più alto di prima. L’essere continuò ad urlare e in quel momento il bambino sperò, con tutto il cuore, che il vicino lo sentisse, così da poter chiamare la polizia e venire a soccorrerlo. Ma non sembrava averla sentito nessuno, forse perché quelle grida non essendo umane non potevano essere udite da tutti, e anche perché a quell’ora il vecchio Willie stava sicuramente dormendo. Quell’anziano signore, a ricordar bene, era anche sordo e aveva acquistato da poco un apparecchio acustico che gli permetteva di sentire un po’ meglio i suoni e le voci, ma non riusciva ancora a captare bene le grida in lontananza. Quindi non doveva aspettarsi niente da nessuno, doveva semplicemente farlo fuori da solo. Un bambino di sette anni che solo per aver commesso una bravata, ora si ritrovava da solo con un uomo ( un uomo davvero?)  che doveva assolutamente annientare. Mentre il mostro continuava a crescere di statura, il bambino aveva già calcolato solo con gli occhi, la distanza che c’era tra il corpo dell’essere e la finestra, quella che dava sul giardino e sul vecchio albero semi-umano.  Se fosse riuscito a farlo indietreggiare di qualche metro, forse solo due o tre, e guidarlo verso la parte sinistra della camera, sarebbe indubbiamente riuscito a farlo cadere giù facendolo precipitare nel terreno freddo. L’altezza sarebbe stata sufficiente a procurargli una morte fatale o perlomeno una caduta tale da indurlo a non potersi più rialzare. Inspirò profondamente, iniziò a correre verso sinistra e, grazie al cielo, vide che il mostro lo seguiva in quella direzione, rendendogli il  tutto molto più facile. Quando si rese conto di averlo portato nell’esatto punto da lui calcolato, lo spinse indietro, cercando di strattonarlo e, usando le unghie, cercò di graffiarlo sul viso, a malincuore perché  vedeva sempre quel volto dolce della mamma. Le grida si alzarono sempre di più, ma cercando di non guardarlo in faccia, il bambino spinse più forte che poteva, finché sentì il vetro infrangersi  in mille pezzi e il mostro che gridando precipitava giù, sempre più giù, verso la terra fangosa. Non guardò subito, rimase qualche secondo fermo, a fissare il pavimento, come scioccato per tutto quello che gli era successo e per quello che era riuscito a fare poco prima.  Poi si sporse e vide soltanto una donna di circa trent’anni, che giaceva al suolo priva di vita. Un rivolo di sangue gli usciva dalla bocca macchiando le sue labbra di un rosso acceso, come il rossetto che tante volte aveva usato.  A quella vista, iniziò a gridare senza sosta e perdette i sensi poco dopo, riversandosi sul pavimento e sbattendo forte la testa.  Fu trovato e soccorso la mattina seguente dal padre, che lo prese in braccio e lo portò immediatamente al primo ospedale più vicino. Si riprese dopo qualche ora, dopo aver dormito e preso alcuni antidolorifici.  Quando la polizia lo interrogò per chiedergli cosa fosse accaduto quella notte, rispose di non ricordarsi quasi nulla, a parte di aver fatto cadere un mostro vestito di nero giù dalla finestra. Forse l’ingenuità, forse la botta ricevuta quella notte e i postumi di una orrenda giornata, non gli permisero di capire in quale guaio si fosse ormai cacciato da solo.
 
Epilogo:   ( da una pagina di diario del signor Dave )
 
 
 
 
                                                                                                                        12 Febbraio 1989
 
Sono qui in questa camera, completamente isolato da resto del mondo. Non esco da mesi, non ho più alcun contatto né con mio padre e né con i miei parenti. Non so bene perché mi trovo qui, l’ultima volta che ho messo piede fuori da questa prigione, è stato quando due uomini grossi con una divisa azzurra mi hanno preso con la forza quasi fossi un pericolo pubblico, mi hanno portato in una sala dove c’erano tanti giudici e mi hanno trattenuto per tante ore. Poi mi hanno riportato qua. Ma è da tanto tempo che conduco questa vita. Non so più che fine abbia fatto mia madre, non mi dicono niente. Da poco mi è capitato di aver sentito, origliando da una piccola crepa,  che due agenti si lamentavano ed erano preoccupati, dicendo che forse sarei dovuto essere messo in un’altra stanza, trasferito in un’altra casa. Ma io non ho idea d dove mi trovi, so solo che non posso guardare la tv, mi vietano di portare con me un coltello o qualsiasi oggetto tagliente. Mi hanno persino tolto le mie scarpe da ginnastica con i lacci, sostituendole con un altro paio diverso. Dicono che sono pericoloso. Sto impazzendo, intorno a me vedo solo muri bianchi imbottiti, morbidi. Non sono le pareti di una stanza normale, questa non è la mia casa! Quando ero piccolo vivevo in una casa bellissima con una mamma altrettanto bella e dolce, ma non so perché quella bella vita sia finita in un attimo. Ero troppo piccolo per ricordare. Qua alcuni dicono di avermi sentito parlare nel sonno, di aver raccontato di un uomo nero, dicono che è meglio se io dorma per terra, non è consigliabile che io stia solo con un letto vicino a me. Ma dico, un letto ?? Cosa può mai significare?? Credo che qui siano tutti pazzi. Mi manca mia madre, anche se sono un uomo ormai, non potrò mai dimenticare il viso dolce della mia cara mamma. Credo che l’abbiano uccisa questi due uomini che vegliano sempre su di me, appena dietro la porta. Credono forse che io  sia un criminale o un pazzo assassino?  Adesso devo andare, stanno aprendo la porta, sento le loro chiavi mentre rompono il silenzio continuo che veglia su questa dannata camera schifosa. Mi sembra di vedere una nuova figura, forse è un dottore che non ho mai visto, perché mi sembra di aver scorto una divisa nera, e, aspettate un attimo, quegli occhi! Anzi quei due buchi privi di vita! Ma.. non può essere.. quella è mia madre! Mi è mancata così tanto, anche se non riesco a capire perché abbia questi tratti così terrificanti. Andrò ad abbracciarla e finalmente staremo assieme.
 
                              Questa è la prima ed unica pagina di diario rimasta intatta dopo che l’ospedale psichiatrico in cui era ricoverato Dave,  rimanesse completamente deserto. È da più di dieci anni che ormai non vi lavora più nessuno, ormai è meta turistica di alcuni drogati o dei più curiosi che continuano a raccontare in giro che si trovino ancora le anime sperdute di tutti  i pazienti malati di mente e di chi ci lavorava. In quel lontano Febbraio il paziente Dave diede di matto e non riuscirono a calmarlo nemmeno le medicine che prendeva di solito. Ammise di aver visto sua madre, che in realtà era morta proprio a causa sua molti anno prima,  sotto le sembianze di un mostro terrificante. Scappò dall’ospedale non prima di aver massacrato con l’aiuto di qualcuno molto più robusto di lui, e di cui non si è mai saputa l’identità,  tutti i medici, le guardie e il personale dell’edificio. Ancora oggi rimane aperto il fascicolo riguardante il massacro di tutte quelle povere vittime, e se qualcuno avesse per caso visto un uomo di mezza età avventurarsi senza meta nelle vie di Farender City, è pregato di rivolgersi alla polizia.
 
 
 
                                                           Tre mesi dopo: Dal quotidiano locale di Faerender City:
                                                                          L’incubo che ritorna?
      Ancora vittime, ancora dolore e lacrime nella povera cittadina che sembra  non trovare più pace
 
Trovate prive di vita nella loro dimora trenta persone, venti bambini e dieci adulti. Il Killer, che per ora rimane senza volto, pare si nasconda sotto i letti delle vittime più piccole, aspetti che i genitori vadano a dormire, e costringa i  minori a lanciarsi dalla finestra. È un fatto agghiacciante, che lascia la comunità priva di parole e con un senso di orrore e sgomento. La polizia collega questi delitti al tremendo massacro di tre mesi fa avvenuto nel grande ospedale della zona. L’assassino è ancora libero e finché non verrà catturato, la città non dormirà notti tranquille.
                                                                                              Articolo di Mendery Welles
 
 
 
 
 
 
Manoscritto ritrovato dopo venti mesi da un ragazzino di soli dieci anni mentre tornava a casa.
 
 
Sono vivo, sono riuscito a scappare e nessuno sa che l’assassino sono io. È fantastico, sono riuscito finalmente a ricostruirmi una vita e ritrovare la libertà che mi avevano tolto tempo fa. Non so bene quale sia il mio passato, sono tornato nella mia vecchia casa, ho trovato la finestra ancora rotta, quella che dava sulla mia camera, e ho portato via un po’ di cose.  Credo che continuerò ad uccidere un sacco di persone,soprattutto bambini, Non so bene perché, ma sono spinto da uan forza oscura che mi incita a fare del male per poter ottenere la salvezza. Più riesco a mietere vittime, e più riuscirò a nascondermi sempre di più dalla polizia. Chi troverà questo scritto potrà benissimo  ritenersi spacciato. Io so sempre chi legge le mie parole, e una volta fatto questo ha due opzioni, O sceglie di morire o di unirsi a me e lui.
Il bambino che ha ritrovato quel foglio è sparito dalla cittadina appena dieci minuti dopo, il foglio è scomparso dalla faccia della terra e le morti sono aumentate sempre di più, giorno dopo giorno. E così sarà sempre,  perché Dave continuerà a mandare messaggi, i bambini incuriositi li leggeranno e si uniranno a lui, se non vorranno morire.
Ogni tanto, quando qualcuno si ritrova da solo per le vecchie vie di Faerender City, sente come se qualcuno lo stia seguendo, ma girandosi per accertarsi che sia sola la superstizione, vedranno un ombra nera che precede altre dieci, venti, mille ombre nere, che attendono solo di avere la loro razione giornaliera di morte.
 
   
 
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