Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: WhiteWinterLady2    19/12/2012    1 recensioni
“È strano”.
“Cosa?”.
“Come sia tutto più semplice quando ci sei tu”.
Angela ha fatto una scelta: a vent'anni ha deciso di abbandonare la casa dove ha sempre vissuto per avventurarsi in una città nuova e sconosciuta. Ha inscatolato per bene le sue cose e i suoi sogni e si è lanciata verso l'ignoto.
Il suo tempo scorre uguale e monotono tutti i giorni: sveglia puntata sulla stessa ora, lavoro, affitti da pagare, spese da sostenere, luoghi in cui ambientarsi. La solita routine. La solita vita che si ripete. Le solite scene già viste. Mentre la felicità, quella vera, sembra essere solo un'utopia.
Finché non accade un incidente... Un bell'incidente.
PS: Non siate timidi, fatemi sapere le vostre opinioni ;D
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Una musica dolcissima mi cullava lentamente, al ritmo delle onde del mare.

La voce di un uomo, la più bella e delicata che avessi mai udito, che cantava una canzone che, in un modo o nell'altro, ricordavo di aver già ascoltato.

 

Far far away

Or wherever I am

I'll finally find

Somewhere close to you...

 

La mia fronte premeva contro qualcosa di caldo e morbido, piacevole da toccare, ma di cui non capii l'identità. Allungai una mano per verificare: al tatto sembrava un tessuto, lino o cotone, impossibile per me specificare il materiale, di sicuro però un abito. Una camicia, forse. Sì, probabilmente si trattava di una camicia. Ma di quelle senza i bottoni.

Intanto il canto proseguiva, adagio, suadente.

 

In Heaven, in Hell

Wherever I am

I swear I'll find

Somewhere close to you...

 

Racchiudeva il potere di un amore immenso, senza confini.

All'improvviso mi sentii talmente stanca, talmente infelice e depressa, talmente pervasa da quella dolcezza sconfinata che le prime lacrime sgorgarono senza che me ne rendessi conto. Imprecai subito tra me e me, poiché era così sciocco piangere per una canzone, così stupidamente infantile, soltanto perché un uomo con una voce angelica mi stava tenendo teneramente tra le braccia, accarezzandomi come se fossi la sua dea, la sua unica ragione di vita, sussurrandomi parole che credevo mai nessuno avrebbe pronunciato per me...

Aspetta! Sono tra le braccia di un uomo?

Aprii di colpo gli occhi, che non sapevo fossero serrati.

Rimasi a bocca aperta.

Un viso che non riconobbi restituì il mio sguardo, che, per quanto stralunato, iniziò a perlustrarlo da cima a fondo, estasiato: iridi azzurre più del cielo, sopracciglia gentilmente arcuate, labbra carnose, naso proporzionato, niente barba, il tutto incorniciato da capelli lisci e lunghi, che finivano sotto le spalle, di un colore a metà strada tra il bronzo e l'oro. Mi ricordava vagamente l'Achille interpretato da Brad Pitt.

La perfezione fatta persona, insomma.

Lui sorrise divertito.

Dovevo avere proprio una faccia da cretina.

 

And I fought and fell

In Heaven and Hell

But I swear I'll be

Somewhere close to you...

 

Il suo sorriso irradiava una luce celestiale, di una soffice tonalità dorata.

Mi passò le dita tra i capelli, così, con infinita delicatezza, come se temesse di farmi del male, e continuò a cantare per me.

Volevo dire qualcosa, anche solo chiedergli come si chiamava, ma le parole non mi venivano; restavano impigliate sulla bocca, dove comunque si poteva leggere tutto quello che c'era da sapere: che ero totalmente, incommensurabilmente, smisuratamente persa per lui. E più lo guardavo, più mi pareva che il chiarore aumentasse d'intensità, in un trionfo di luce e brillanti. Un leggero venticello, poi, gli scompigliò i capelli, trasportando fino a me la sua fragranza: rose e lavanda insieme.

Sono in Paradiso?, pensai.

Tutto sommato, non mi sembrò un'idea così balzana.

Allora lui deve essere un angelo.

Sì, il ragionamento filava. Logico che era un angelo.

 

Wherever we'll go

Whatever we'll do

We'll finally meet

In that Somewhere that's close to you...

 

La canzone terminò, vibrando sull'ultima nota.

Un silenzio imbarazzante calò immediatamente su di noi. Un silenzio pesante, che mi metteva a disagio, e che ero determinata a cancellare. Era giunto per me il momento di dire qualcosa, di avviare una conversazione, di chiedere spiegazioni, perché, diciamolo, mi sentivo parecchio confusa, ma, ancora, le parole mi morivano sulle labbra. Qualsiasi cosa pensassi pareva una banalità.

Domandai la prima cosa che mi venne in mente. E anche la più stupida.

“Sei un angelo?”.

Come risposta ottenni una risatina allegra e leggermente ironica. Odio ammetterlo, ma, nonostante fossi un pochino offesa, mi piaceva da matti.

Poi annuì.

E, per confermare, dispiegò le sue ali bianche.

Rimasi, se possibile, ancor più a bocca aperta – ormai non mi stupivo più del mio stupore – e, sebbene la parte più razionale del mio cervello mi stesse avvertendo che sotto sotto qualcosa non quadrava, non feci a meno di pensare che nulla poteva andare meglio di così.

Be', forse qualcosina...

Come se avesse appena letto ogni singola fantasia nel mio cranio, l'uomo – o, dovrei dire, l'angelo – si fece di colpo serio, di una serietà quasi spaventosa, scrutandomi con le belle sopracciglia aggrottate. Di nuovo, il silenzio pervadeva l'aria, un silenzio, stavolta, carico di attesa.

Schiuse appena le labbra con fare malizioso: aveva decifrato ogni mio desiderio.

Disse qualcosa che non capii, ma il suono della sua voce mi piacque più di quanto fosse lecito.

Lo sta per fare per davvero? Oh, no!

Dita calde e leggere mi sfiorarono una guancia, mandandomi scosse elettriche in tutto il corpo.

Ma che sta succedendo? Ho vinto forse alla lotteria? È uno scherzo? Se è uno scherzo non fa ridere per niente. Una tale fortuna, un uomo – be', forse un uomo – così seducente, così affascinante, così dolce, così...

Poi si saldarono intorno alla mia nuca. Forti, decise.

Oh, no! Oh, no! Sta accadendo tutto così in fretta... Per davvero! A me! È troppo bello per essere...

E lì la mia mente smise di ragionare. Il suo volto si stava avvicinando inesorabilmente, sempre di più... sempre di più... di più... più...

Sì, baciami.

Gettai la testa all'indietro, pronta ad accogliere il bacio. Ardevo dal desiderio di conoscere il sapore delle sue labbra, la loro consistenza, l'esatta forma e sostanza. Non aspettavo altro che le nostre fronti si toccassero. Stavo quasi per chiudere gli occhi...

… Quando un guizzo catturò la mia attenzione.

E lì inorridii.

L'angelo non c'era più.

L'angelo non era mai esistito.

L'angelo ora era un mostro.

Dalle gengive, come spade sguainate, pronte a uccidere, spuntarono dei denti aguzzi e giallastri, che sbordavano dalla bocca livida, ormai senza labbra. La pelle, che fino ad un attimo prima credevo di velluto, si stava gradualmente ricoprendo di chiazze violacee e squame di rettile, dure e scintillanti, mentre i capelli, quei lunghi e bellissimi capelli, assumevano sempre più la forma di esili serpenti, che si rizzarono tutti verso di me, sibilando e minacciandomi con le fauci spalancate. Le ali d'angelo si sgretolarono, lasciando il posto a decine di tentacoli guizzanti.

La metamorfosi peggiore, però, fu quella degli occhi: due orride fessure scure, prive di ciglia e di palpebre, sulle quali le pupille disegnavano un paio di righe nere, sottili e, soprattutto, desiderose del mio sangue.

Avrei voluto morire subito. O addormentarmi per sempre. O svegliarmi dall'incubo.

Invece buttai fuori tutta l'aria che avevo nei polmoni in un urlo, ma alle mie orecchie non giunse alcun suono, né tanto meno all'essere orripilante che mi ghermiva tra le sue grinfie, poiché non si scompose.

Anzi, strinse sempre più gli artigli attorno a me.

Tentai di liberarmi, inutilmente. Scalciavo, mi dimenavo, scuotevo la testa disperata. Inutilmente. Gridai ancora. Sempre inutilmente.

Tra le sue zanne, oscillando da una parte all'altra, spuntò una lingua bluastra e biforcuta, che si allungò avvicinandosi a me. Non avevo scampo: si spalmò sulla mia faccia, viscida e appiccicosa, per poi scendere lungo il collo, sinuosa. Disgustosa.

Ero al colmo della nausea: lo stomaco era sul punto di rivoltarsi. Ma non feci nulla: tutte le mie forze, persino quelle più istintive, si erano prosciugate.

Poi la lingua mi entrò in bocca, soffocandomi.

Gorgogliai una supplica disperata, ma non uscì altro che suono strozzato.

Il mostro non smetteva di invadermi.

Ti prego, pietà! Ti prego! Ti prego!

Tutto vano.

Non riuscivo più a respirare.

Non. Riuscivo. Più. A. Respirare.

Non riuscivo a...

A-iut...

Stavo morendo.

 

Spalancai le palpebre con il cuore fuori dal petto, e con un sibilo inalai profondamente l'aria, colma di gratitudine.

Il mio letto, le mie coperte, il mio cuscino, la mia finestra, la mia stanza, insomma, mi circondavano, caldi e accoglienti, ma ci volle qualche secondo prima che me ne rendessi conto e che constatassi, non senza sollievo, che si era trattato solo di un sogno, un comune, banale, semplice sogno. Un brutto sogno. Un incubo.

Rabbrividii in tutto il corpo al solo ricordo: bastava che chiudessi appena gli occhi per rivedermi alla mercé del demone. Se c'era una cosa che non volevo fare a nessun costo era addormentarmi di nuovo, col rischio di ripiombare ancora in quello scenario da film horror. Istintivamente mi venne da scostare di più le lenzuola dal volto, affinché potessi respirare meglio. Ma subito un odore acre mi urtò violentemente le narici: la mia acerrima nemica, la nicotina. Tossii forte per purificarmi da quel puzzo stomachevole.

“Scusa per il fumo, ma non mi sembravi abbastanza cosciente per rendertene conto. E poi questa me la devi. Mi hai fatto quasi morire insieme a te”.

Il profilo di Elena, illuminato dalle luci della strada, si stagliava netto contro il buio della stanza, rannuvolato di tanto in tanto dal vapore che le usciva violento dalla bocca. Buttai fuori un sospiro di sollievo e quasi mi venne da ridere: per l'ennesima volta mi stupivo della schiettezza della mia amica, efficiente in qualunque momento. Soprattutto quando era incazzata nera. A me spettava scoprire per quale motivo, anche se un po' avevo paura. Quantomeno non avrei più pensato all'incubo.

Allungai il braccio quanto bastava per accendere l'abat-jour sul comodino, cosa che tuttavia mi costò una fatica enorme. L'intero corpo era stato per tutto il tempo raggomitolato in posizione fetale, irrigidito, gli arti intorpiditi, stretti al torace, come se fossero stati costretti in uno spazio troppo piccolo.

Dicono che i sogni non sono altro che veri e proprio viaggi, accessibili solo per l'animo umano e dal quale l'uomo soltanto può uscirne, talvolta persino fisicamente stanco. Be', io mi svegliai stanchissima.

Accesi dunque la luce. Vedere il volto stropicciato di Elena mi riconnesse definitivamente al pianeta Terra.

“Cos’è successo?”, domandai con voce roca, mentre una mano sorresse prontamente la testa, che cominciò a girarmi non appena l’alzai, con troppa velocità, dal cuscino.

Il mozzicone finì in un posacenere improvvisato con un po’ di stizza, insieme all’ultima boccata di fumo.

“Cos’è successo? E me lo chiedi? Te l’ho già detto: sei quasi morta! Ma per fortuna te la sei cavata con una caviglia slogata, un paio di abrasioni e un leggero shock. Il dottore è uscito poco fa. Ti ha lasciato delle medicine nel caso dovessi sentire dolore.”

Sgranai gli occhi: dottori? Medicine? Che cosa mi ero persa? Non rammentavo assolutamente niente, niente di niente.

“Potresti spiegarmi meglio?”

Mi rispose con un gesto impaziente, sfinito. “Cosa c'è da spiegare ancora?”. Anche il tono di voce era mutato, più stridulo. “Sei caduta mentre attraversavi la strada e per poco una gallina con un Suv non ti riduceva in polpette. Contenta ora?”

Era evidente che l’episodio avesse scosso più lei che me, dato che i miei ricordi più recenti si ostinavano a restare sotto la coltre di un totale blackout.

Con cautela, mi tirai su e adagiai meglio la schiena contro il cuscino. Poi la invitai a sedersi sul letto, nel tentativo di tranquillizzarla.

Adottai un'espressione più rassicurante possibile. “Perché non ne parliamo un po'? Ti va?”, dissi.“Va tutto bene ora.”

Non era vera una parola: la caviglia pulsava e pareva percorsa da lingue di fuoco, i muscoli si erano trasformati in pietra, la testa in un macigno e avvertivo qualche bruciore qua e là sulla pelle. La mia collega, però, era troppo distratta per dar retta alle mie bugie. Si bevve le mie parole e si rilassò.

“Ci hai spaventati tutti, lo sai? Per poco al povero signor Esposito non veniva un infarto e dovevamo chiamarla per lui, l’ambulanza. Ma a quanto pare hai un culo così e la sfiga deve farsene una ragione...”

“Ah, niente ambulanza per me?”. Volli ridere, ma il dolore ebbe la meglio.

“No, c’era un dottore lì vicino e ti ha visitato lui. Ti sei risparmiata la seccatura di andare al pronto soccorso; una bella fortuna. Ah, per la cronaca, le tue scarpe sono rimaste intatte.”

Le scarpe!

Tutto a tratto ricordai: il tacco che si incastra nel tombino, gli occhi malefici dell’automobile, lo stridio delle gomme sull’asfalto, le grida di paura, il buio... Tremai: non volevo tornare nel Nulla.

“Ti senti bene? Hai bisogno di qualcosa? Sei sbiancata di colpo.” Subito Elena si era fatta così apprensiva, così... materna, che non potei non pensare che, proprio nel momento in cui credevo di essere riuscita a comprendere fino in fondo la sua personalità, ecco che mi mostrava un altro lato nascosto di sé.

Sorrisi senza convinzione, impegnandomi tuttavia per persuaderla. “È tutto ok. Chissà Rossella come commenterebbe il mio stato”.

Stavolta non ci cascò. Mi fissò a lungo, seria.

Infine disse: “Comunque le ho buttate. Le tue decolleté, intendo.”

In quel momento pensai che non potevo avere amica migliore. Solo un'amica poteva capirmi così bene.

I suoi denti scintillarono. “Sapevo che non le avresti mai più volute vedere in vita tua.”

“Già, hai indovinato. Avrei dovuto disfarmene molto tempo fa. A quest'ora non eravamo in un pasticcio simile”. Sospirai ad occhi chiusi, cercando una posizione più comoda: la caviglia non mi dava tregua.

“Ma che ore sono?” le chiesi poi all’improvviso.

“È notte fonda e tu mi devi un favore. Per colpa tua perdo un giorno di lavoro”

“Come se ti dispiacesse”, sbuffai.

Mi rivolse uno dei suoi sorrisi felini. “Preferirei essere salvata da uomini misteriosi, sai? È molto più entusiasmante.”

La fulminai con sguardo interrogativo: questa non l'avevo proprio capita. E mi resi conto troppo tardi di essere arrossita. Dannazione. “Di cosa stai parlando?”

Elena se la prese comoda, ignorando deliberatamente la mia domanda, e fece per accendersi un'altra sigaretta, ma una mia occhiata truce la dissuase.

“Su, dai. È inutile che fai la finta tonta. La macchina non si è mica fermata da sola. Quella sottospecie di Barbie ossigenata non ti ha nemmeno vista. Idiota neopatentata... A quest'ora saresti bella spalmata sulla strada.” Sbottò rabbiosa, come se avesse voluto racchiudere lì tutti gli insulti e il disprezzo per una donna evidentemente incapace alla guida. “Per tua fortuna c’era il barbone”.

La mia faccia espresse stupore all'ennesima potenza, perché la mia collega ridacchiò al colmo del divertimento.; intanto la sensazione di essermi persa un pezzo della mia vita si faceva sempre più insistente. “Non capisco più nulla.”, mi lamentai scuotendo la testa.

Elena sospirò profondamente. “Ti devo proprio spiegare tutto, eh?”. Si concesse una pausa per riordinare la sequenza dei fatti, poi riattaccò: “Non appena sei caduta, dal nulla è sbucato il tuo eroe. Probabilmente era nascosto dietro una macchina o un cassonetto, che ne so. Il tempismo comunque non gli è mancato: è comparso subito dopo che ti sei adagiata sull’asfalto. Si è piazzato tra te e la macchina a braccia larghe, poi ti ha sollevato e ti ha stesa svenuta sul marciapiede. E dopo... è sparito. Uhm, in effetti non l'ho più visto...”

Mi ha sollevato e stesa sul marciapiede.

Sì, ora il puzzle era completo: le mani che si posano sotto di me per tirarmi su, la sensazione di fluttuare e quelle parole che volevano rassicurarmi. Shh, andrà tutto bene. Calmati, andrà tutto bene. Tutti i miei ricordi avevano senso.

Poi un incomprensibile calore salì dal petto fino ad ostruirmi la gola.

Mi aveva salvato la vita. Un perfetto sconosciuto mi aveva salvato la vita.

Senza preavviso, arrivarono le lacrime.

Tutto lo stress, tutta la tensione e la paura, sommati all'incubo di poco prima, sgorgarono sotto forma di fiumicelli di liquido salato, insieme al pensiero che, là fuori, da qualche parte, dovevo la vita a qualcuno.

“Ehi, ehi, che fai?”, chiese subito Elena allarmata, facendo sfoggio ancora una volta del suo lato buono e sensibile. “Perché piangi? Che succede?”.

Mossi la testa a destra e a sinistra in segno di negazione. Non mi andava di parlarne.

Di slanciò mi abbracciò. “Su, su. Ora è passato.”, mi disse con dolcezza, cullandomi un po'. “Adesso riposa, ne hai un gran bisogno”.

Ricambiai l'abbraccio con gratitudine. Nuove lacrime, stavolta di commozione, si aggiunsero alle altre e le imbrattarono la camicia fresca di lavanderia. Ma non ci badò.

Rimanemmo così per dei minuti interi.

Poi il suo cellulare vibrò.

“Oh, chi cazzo è adesso?”, ringhiò, ritornando la Elena di sempre: la mia scontrosa, pungente, irriverente Elena. Anche se non fu così rapida da riuscire ad asciugarsi gli occhi senza che me ne accorgessi.

Si alzò dal letto e ritornò alla finestra, dandomi la schiena. “Pronto?”.

Una voce piuttosto infuriata ribatté dall'alto capo.

“Sì, mamma, ho visto l'ora, ma non sai che è successo...”.

La madre evidentemente la interruppe, perché lasciò in sospeso la frase.

“Prova a farti gli affari tuoi, una volta tanto! Ti devo ricordare quanti anni ho?”.

Un paio di scambi rapidi, qualche battuta più lunga, poi dall'altra parte riattaccarono. Elena ritornò al letto esasperata.

“Perdonami, era mia madre. Si chiedeva che fine avessi fatto, vista l'ora. Ha pensato bene che fossi a letto con qualcuno, pensa un po'. Pff... A trent'anni vengo ancora controllata dalla mamma... Come se le riguardasse con chi scopo...”. Alzò gli occhi al cielo, tenendo strette tra i denti tutte le imprecazioni che le correvano alla mente. Ma non mi sfuggì il velo di preoccupazione che la rendeva irrequieta.

Capii che era meglio lasciarla tornare a casa. “Forse è il caso che tu vada, Elena”.

“Sicura? E chi ti darà una mano?”

“Starò benone, non preoccuparti. Ho solo una caviglia slogata, non sono mica in fin di vita. Hai la mia autorizzazione ad allontanarti dal mio capezzale.”

Mi rivolse un sorriso appena accennato, come se volesse scusarsi.

“Ok, se lo dici tu... Be', allora vado”.

Le sorrisi di rimando, facendo un cenno per incoraggiarla. “Corri”.

“Se hai bisogno di me, per qualunque cosa...” e si portò una mano a forma di telefono all'orecchio.

Annuii. Quanto avrei voluto che restasse. Ma subito dopo anche il suo braccio sventolante che mi salutava sparì oltre la porta che si chiudeva lentamente.

Ritornai a sdraiarmi sotto le coperte, prestando molta attenzione ai movimenti: la caviglia era insopportabile, così decisi di prendere uno degli antidolorifici lasciati dal dottore. Dopodiché spensi la luce dell'abat-jour e cercai di rimettere in ordine i pensieri.

Ero stata a un passo dalla morte, ma qualcuno, un estraneo, un barbone, mi aveva tratta in salvo per un pelo.

Chissà come avrebbero reagito i miei genitori se lo avessero saputo.

Chissà come stavano Matteo e i signori Esposito a quest'ora.

Chissà che fine aveva fatto il clochard. Chissà che aspetto aveva. Chissà perché l'aveva fatto. Avrei voluto quanto meno ringraziarlo, in ogni caso. Ma l'avrei mai ritrovato?

Mi accorsi che, più che ordine, nel mio cervello si aggrovigliavano decine di fili diversi destinati a creare ancora più caos, e il gran mal di testa che, come sempre, le lacrime mi procurano, sommato a quello che già avevo, di certo non fu d'aiuto e, anzi, non produsse altri effetti se non un immediato sonno.

E questa volta senza sogni.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: WhiteWinterLady2