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Autore: fiammah_grace    20/12/2012    1 recensioni
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"Se solo Jill avesse saputo di essere salvata da Albert Wesker, avrebbe provato tutt’altro che gratitudine, perfettamente conscia del fatto che da un incubo, sarebbe caduta in un incubo ancora peggiore.
Il rumore della pioggia era incessante.
L’uomo dai maligni occhi rossi alzò il viso lasciando che bagnasse il suo volto.
I capelli scomposti, ritornarono indietro appesantiti dall’acqua.
Il berretto della bruna cascò dalla testa scoprendo il suo viso addormentato.
Wesker, a quel punto, avanzò nella foresta, riprendendo del tutto le sue forze e sapendo perfettamente dove andare.
Ignara, la donna seguì il suo carnefice, trasportata nei meandri del suo peggior incubo. Frastornata e agonizzante, era ancora in balia del sonno, non sapendo nemmeno di essere ancora in vita, mentre Albert Wesker già progettava come attuare la sua vendetta."
Genere: Angst, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Albert Wesker, Jill Valentine
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE






CAPITOLO 16






Gli allarmi risuonavano per i laboratori della TriCell.
Le luci d’emergenza di colore rosso illuminavano scarsamente l’ambiente, mentre Wesker, Excella e Jill scesero le scale per tornare nel laboratorio ove prima era stato condotto un esperimento di routine.
Qualcosa doveva essere accaduto.
Infatti, da sotto la porta di metallo del laboratorio, si vedeva fuoriuscire un’emissione di gas dalla natura sconosciuta.
Albert Wesker non indugiò, e mentre gli scienziati scappavano da quella stanza, egli vi si inoltrò destreggiandosi tra quelle nubi di vapore.
Cercò di analizzare la situazione approfittando della sua incredibile capacità di autocontrollo.
Si guardò in giro e, tra il fumo, distinse le apparecchiature che sembravano impazzite.
Accanto ad esse, notò con sgomento che vi erano accasciati i corpi dei dottori che precedentemente avevano operato.
Il sangue sporcava porzioni di parete, ed era schizzato anche sugli schermi e su quelle costose apparecchiature.
La visibilità era scarsa, ma nell’oscurità egli distinse una figura agitarsi visibilmente.
Portò dunque la mano sul fianco sollevando il lungo cappotto nero, ed estrasse dall’ascellare una pistola magnum.
Si avvicinò cautamente, pronto ad abbattere la B.O.W. che doveva essersi risvegliata in quel laboratorio.
All’improvviso vide qualcosa essergli lanciato in contro. Si spostò agilmente inclinando il busto di lato, e vide sbattere a terra, a qualche metro di distanza da lui, un ammasso di carne, che riconobbe essere…un braccio?
Tornò con lo sguardo dinanzi a se e questa volta vide nitidamente un umanoide deformato dall’Uroboros, che reggeva il corpo sfigurato di un medico conficcato nel suo braccio.
Wesker fece un ghigno puntando la sua arma contro.
“Dovresti tornare a dormire, dolcezza, ma è solo un consiglio.”
Dunque poi sparò.
Il mostro tuttavia doveva avere la pelle dura. Infatti, pur ferito da quel colpo d’arma da fuoco, si lanciò contro Wesker, facendo per tranciargli via la testa. L’attacco fu fermato dal tempestivo intervento di Jill, che si mise fra loro per ordine del P-30.
Wesker lì per lì rimase sorpreso, non volendo che Jill combattesse al suo posto. Il P-30 però le suggeriva quel tipo di ordine, vedendo comunque un nemico attaccare il suo ‘padrone’.
Così vide Jill combattere la bow, colpendola con violenti colpi di arti marziali.
Wesker le si affiancò velocemente, lottando assieme a lei.
“Valentine, non necessitavo del tuo intervento. Tuttavia combattere in coppia sarà divertente, non trovi?” disse ironico, trovando inspiegabilmente intrigante quando vedeva quella donna minuta, ma dalla grandiosa forza, combattere accanto a lui.
In fin dei conti, era proprio questo ciò che l’aveva colpito di lei.
Il mostro si voltò di scatto verso la bionda, e con il suo artiglio la colpì violentemente in viso.
Fu così veloce che ella non potette deviare il suo colpo in nessun modo.
Wesker girò gli occhi verso di lei, tuttavia la sua freddezza gli permise di riflettere che la maschera che ella indossava doveva essere abbastanza robusta da aver attutito il colpo.
La vide a terra, con la maschera spezzata, la quale lentamente cadeva a pezzi dal suo viso.
Appena ansimante, ella fece per rimettersi in piedi, ma il nemico, distinguendo il target più semplice da abbattere in quel momento, fece per colpirla di nuovo.
L’ex capitano STARS, prevedendo quella mossa, lo precedette e gli sparò di nuovo.
La BOW si voltò così verso Wesker, ignorando al momento la donna dai capelli biondi. Dunque, prese ad attaccarlo, attirato dai proiettili che l’avevano colpito alle spalle.
Wesker salì sopra una scrivania e con un salto riuscì ad arrivare all’altezza del nemico in modo da colpirlo alla testa con un calcio. Quel colpo fu incassato violentemente dal mostro, la cui testa si girò a trecentosessanta gradi.
Tuttavia questi restò in piedi, rimanendo in vita nonostante quell’assurda posizione del suo collo.
Pur con il capo girato al contrario, scagliò contro Wesker un attacco devastante, che egli riuscì a scansare senza troppa difficoltà grazie alla sua velocità sovraumana.
Il terremoto che però provocò nel laboratorio lo fece cadere in ginocchio. Wesker poggiò dunque una mano sul pavimento, e velocemente tornò a guardare il nemico, decidendo sul da farsi.
Inaspettatamente poi, qualcosa lo colpì alle spalle scaraventandolo definitivamente sul terreno.
L’uomo vestito di scuro rotolò sulla schiena per posizionarsi a pancia in su e ottenere una mira migliore. Si accorse però che altre cavie prima criogenate avevano inspiegabilmente ripreso conoscenza.
Imbracciò la magnum e agevolato dal fatto di essere disteso sulla schiena, sparò contro di loro, eliminandoli l’uno dopo l’altro.
Spostò lo sguardo verso Jill, non vedendola ancora al suo fianco.
“Occupati tu dei pesci piccoli.” le ordinò, ma ella non accorse.
Si voltò dunque di nuovo, costatando che lei fosse ancora stesa a terra, con i gomiti poggiati sul pavimento e lo sguardo vago.
Strinse gli occhi, adirato da quella disobbedienza.
Tuttavia il suo istinto si mise in allarme. Quello sguardo assorto di Jill non gli piacque per nulla.
Osservando il suo viso, si accorse che la sua espressione era diversa, era più umana, era…cosciente?
Gli occhi di lei avevano ripreso un bagliore intelligente, e sembravano afflitti, sconvolti, persi nel vuoto non perché incosciente, ma proprio perché paralizzati dai propri sentimenti.
Wesker setacciò con lo sguardo il laboratorio, e solo in quel momento si accorse che il telecomando con il quale controllava le dosi del P-30 nel corpo di Jill si era frantumato a terra poco distante da lui.
Allarmato, portò la mano sulla tasca dei pantaloni, ovviamente vuota. Dedusse che l’oggetto doveva essergli cascato a terra durante la colluttazione con la BOW.
Digrignò i denti e velocemente si rimise in piedi per intervenire prima che la ragazza prendesse consapevolezza di ciò che era accaduto.
Fu un attimo.
Uno sguardo fugace in cui Jill rivolse i suoi occhi sgomentati verso di lui…
Wesker rimase ammaliato da quegli occhi consapevoli… che in seguito sparirono, annebbiati da un’improvvisa coltre di fumo.
Infatti, la donna si era messa velocemente in piedi, e aveva frantumato un tubo accanto a lei, per avvantaggiarsi nella fuga.
Wesker si ritrasse portando un braccio sul viso, cercando comunque di non perderla di vista.
“Jill!!”
Urlò forsennato, per richiamarla all’ordine. Oramai, però, il P-30 non era più nel suo corpo.
La donna, infatti, scappò via, lasciandolo solo in balia delle BOW, che presto presero ad attaccarlo.
Intanto Jill Valentine corse via dal laboratorio con tutte le sue forze, mentre il suo cuore riprendeva a palpitare alle sue emozioni, mentre la sua mente si scioglieva dal vincolo di quella sostanza, mentre poteva tornare a correre, a muoversi, a pensare con la sua mente.
Nonostante il contesto catastrofico alle sue spalle, ella sentì delle trepidazioni bellissime pervadere il suo corpo.
Si destreggiò fra le sedie capovolte, i vetri frantumati, macchinari a terra e il vapore, sospirando affannosamente, non fermandosi un attimo di correre.
Tutto sembrava rallentarsi, mentre godeva di ogni passo che riuscì ad avanzare frettolosamente in quel putiferio.
Gli occhi si inumidirono impercettibilmente, mentre, ancora in corsa, sfilò via il mantello che nascondeva la sua figura, lasciandolo cadere a terra.
Aprì poi la tuta all’altezza del petto, continuando a procedere senza fermarsi. Buttò l’occhio sul solco fra i suoi seni e potette finalmente guardare dall’alto il dispositivo che l’aveva condannata a quell’inferno.
Strinse i denti con rabbia, poi afferrò con violenza il diabolico marchingegno rosso. Nonostante il dolore, ella non si fermò, e continuò a tiralo via strappandoselo dalla carne.
“Aaah!!” urlò, non fermandosi un attimo, tirando fino all’ultimo filamento ancora attaccato alla sua pelle.
Il sangue gocciolò appena sul suo petto, deturpato dai segni che le aveva causato il dispositivo. Quando ebbe quel ragno rosso fra le sue mani, sporco del suo sangue, la rabbia la pervase.
Così lo buttò violentemente sul pavimento, con una veemenza così forte che questo si spaccò a metà, mettendo fine a quell’agonia sofferta da Jill, finalmente libera di tornare se stessa.
Il congegno a terra, ormai rotto, riflettette sulla sua superficie lucida l’immagine di Jill che correva, raggiungendo finalmente l’uscita del laboratorio.
Ella scaraventò all’aria gli scienziati appostati sul pianerottolo vicino l’ingresso della porta, Excella Gionne compresa, non potendo oramai più essere fermata da nessuno tanta era la forza, la rabbia e l’adrenalina che le scorreva in corpo.
Salì frettolosamente le scale, consapevole che non sarebbe riuscita a sfuggire a Wesker per sempre, ma almeno poteva fare l’unica cosa ancora in suo potere.
La sua occasione, quella che aspettava da mesi, era giunta.
Excella la guardò percependo che qualcosa non quadrava, ma la sua attenzione tornò dentro il laboratorio, dove Wesker era ancora dentro.
Intanto, il cuore di Jill palpitava sempre più forte.
Nonostante non potesse permettersi quell’attimo di abbandono alle sue emozioni tornate vive e palpitanti dentro di lei, un sorriso si disegnò appena sulle sue labbra. Un sorriso soave, reale, meraviglioso…
Contemporaneamente, Wesker si scaraventò oltre la porta del laboratorio, ferito appena sulla fronte.
Si rivolse furente verso Excella, che gli si avvicinò tempestivamente contenta di rivederlo.
“Albert! Stai ben…”
“Dov’è?!” gridò lui furente.
La donna sbandò, ritraendosi subito. Arricciò le labbra e rispose spaventata dai suoi occhi rabbiosi che la trafissero violentemente.
“L-lei…intendi Jill Valentine…?” chiese tentennando, al che Wesker le si mise a un dito di distanza e l’afferrò stringendole il viso fra due dita con prepotenza.
“Excella, non mettere a dura prova la mia pazienza…!” disse a denti stretti trattenendosi a stento. Gli occhi della donna tremarono e per una volta fu disturbata dalla vicinanza dell’uomo da lei amato.
Mosse le labbra più per divincolarsi da lui, più che per la volontà di rispondergli.
“L’ho vista salire le scale, ma…”
L’uomo lasciò la presa, ignorando il continuo di quella frase, e si lanciò all’inseguimento di Jill, certo ormai che lei avesse ripreso coscienza.
Qualunque cosa sarebbe potuta accadere se la lasciava a piede libero in quel posto. Doveva riuscire a precederla a tutti costi.
Affacciandosi per le scale, la vide arrivata oramai quasi in cima.
Dal canto suo, Jill Valentine si girò appena, avvertendo come un sesto senso. Si sorprese di vedere, diversi piani al di sotto, Wesker che la trafiggeva con i suoi occhi.
Rimasero qualche istante a guardarsi l’uno negli occhi degli altro, come consapevoli di quella resa dei conti. Poi Jill si voltò e riprese la sua fuga con determinazione.
Aveva un discreto vantaggio rispetto a lui, doveva approfittarne. Non avrebbe mai più avuto quell’ occasione.
Arrivata sul pianerottolo, si chiuse dentro un ufficio, girando velocemente la chiave.
Questo non avrebbe certo fermato Wesker, ma non avendolo alle calcagna, era difficile che lui la scoprisse subito chiusa li dentro.
Aveva bisogno di almeno un minuto di tranquillità.
Si sedette dietro una scrivania e accese il computer che vi era poggiato. La fortuna girò per una volta a suo favore. Trovò un pendriver lasciato incustodito sul tavolo. Lo prese e lo utilizzo per appuntarvi sopra tutto il materiale che poteva trasmettere alla BSAA.
Cominciò a scrivere frettolosamente, battendo le dita sulla testiera, combattendo contro i suoi nervi e appellandosi alla sua mente fredda.
Tuttavia, mentre era a buon punto della stesura di quel rapporto, il computer si imballò.
“Cos..?!” esclamò, in seguito si adirò violentemente. “Merda!!”
Non aveva fatto in tempo.
Non era riuscita neanche a completare di scrivere quel maledetto documento per inviarlo, almeno in parte, al canale della BSAA.
Batte i pugni sulla scrivania, sconfortata, mentre la sua mente andò in panne, non potendo accettare di essere stata sconfitta anche questa volta.
Di colpo, un’idea si accese nella sua mente.
La radio…
Era una possibilità molto remota, ma poteva accedere al canale della BSAA da lì. Magari loro avrebbero captato il segnale e…
Era azzardato, ma al momento era l’unico piano che aveva. Doveva agire in fretta.
Fece mente locale per ricordare dove avesse visto in quel palazzo una stanza provvista delle strumentazioni adeguate per trasmettere il suo messaggio.
Ricordò che, oltre un’impalcatura, un giorno aveva intravisto un ufficio isolato dove Excella aveva trasmetto un rapporto a Ricardo Irving. Quello era proprio ciò di cui aveva bisogno! Un collegamento radio tecnologico!
Così si rimise in piedi.
Formattò il pendriver per cancellare la sua testimonianza, ma non potette seguire il processo di eliminazione in quando qualcuno cominciò a battere incessantemente sulla porta.
Dalla veemenza di quei colpi, comprese che l’avevano scoperta.
Dovette dunque correre via, e di fretta.
Ruppe il vetro della finestra, oltrepassandola. Utilizzò poi il cornicione per passare dall’altra parte degli uffici posti di fronte.
Si addentrò dunque nella palazzina di fronte, continuando la sua fuga disperata.
Intanto la porta della stanza dove era stata in precedenza si spalancò.
Entrarono dei soldati, seguiti dall’autorevole figura di Albert Wesker. Egli scrutò il luogo, accorgendosi subito che Jill doveva essere stata lì di recente.
Si affacciò dalla finestra rotta che lei aveva scavalcato. Al suo posto, anche lui avrebbe proseguito in quella direzione.
La sua attenzione fu poi attirata dalla luminosità dello schermo del computer.
Si avvicinò e interruppe il processo di formattazione.
Eseguendo un’indagine, per lui fu semplice risalire a cosa la donna aveva redatto sul pendriver. Sorrise, divertito dalla caparbietà della sua ex sottoposta.
“Hai fatto i tuoi compiti, mia cara Jill. Ma questa è stata una mossa incauta da parte tua. Rappresentando però che sei stata sotto il controllo del P-30 per tutto questo tempo, ammetto che hai conservato una certa razionalità per riuscire a fare tutto questo in meno di un quarto d’ora. Era stato un buon piano.”
Disse indispettito e compiaciuto allo stesso tempo.
Essere dato del filo da torcere da Jill Valentine era irritante ed interessante allo stesso tempo.
Era qualcosa che lo smuoveva in entrambi i sensi, stuzzicandolo visibilmente.
Sorrise, poi si staccò dal monitor.
“Ora posso immaginare dove sei diretta.”
Disse infine, poi sparì oltre la porta di quell’ufficio, come un cacciatore che si preparava a cogliere di sorpresa la sua preda in fuga.
Intanto l’agente della BSAA corse per le impalcature, atterrando dentro un secondo ufficio, collocato in disparte rispetto agli altri.
Per fortuna non vi era nessuno.
Era finalmente arrivata alla stazione radio della TriCell.
Tremante, cercò di accendere l’apparecchiatura. Per una come lei non fu difficile.
La sua attenzione fu tuttavia distorta da delle urla alle sue spalle.
Cosa diavolo stava succedendo nei laboratori? Le BOW dovevano star creando più inconvenienti di quel che credeva.
Non poteva tuttavia demordere. Nonostante il suo istinto la portasse prima di tutto a salvare gli altri, in quel momento doveva ignorare quelle disperate invocazioni di aiuto, e concentrasi invece sul mettersi in contatto con la radio della Bioterrorism Security Assessment Alliance.
Un brusio accese la sua speranza. Forse era riuscita davvero a mandare un segnale in qualche modo.
“BSAA? Mi ricevete? Passo! Rispondete!” disse con decisione scandendo bene le parole, sperando con tutta se stessa di non perdere il segnale.
Tant’era concentrata, però, che non si accorse di un’ombra alle sue spalle.
Anima e corpo erano fiduciosi in quella folle impresa, che era la sua unica speranza in quel momento.
Se i suoi compagni avessero anche solo registrato un piccolo segnale, avrebbero potuto comunque intendere qualcosa dall’eco disturbante che proveniva da quell’edificio.
Cominciò a giocare con l’apparecchiatura, sperando di sistemare la ricezione, quando all’improvviso una mano l’afferrò per i capelli raccolti nel codino, strattonandola via.
“Aah!” urlò lei, accecata dal dolore di quel gesto violento ed improvviso.
Aprì gli occhi e cadde nello sgomento più tortuoso quando vide davanti a lei il viso canzonatorio di Albert Wesker,
Wesker la lanciò via, facendola cadere a terra. La donna però si rimise in piedi, poggiandosi con le mani sull’apparecchiatura alle sue spalle.
“Wesker…” sussurrò digrignando i denti.
L’uomo intanto premette un pulsante, che chiuse definitivamente i contatti radio.
In seguito tornò a lei, rivolgendole quel suo crudele e maligno sorriso.
“Hai avuto un comportamento sconsiderato, mia cara Jill.”
La donna a quel punto si buttò contro la porta sperando di riuscire a scappare, ma aveva sottovalutato ancora una volta le capacità sovraumane di Wesker, che infatti premette con forza sulla porta ancora prima che lei la raggiungesse.
Jill si voltò verso di lui, sorpresa dalla sua velocità inconcepibile.
Lui le sorrise di nuovo, poi l’afferrò per il polso e la portò verso di se.
“Ancora non so dire se tu sia incredibilmente audace, oppure irrimediabilmente stupida.”
Disse inclinando il viso verso il suo, parlando a meno di due dita di distanza dalle sue labbra con fare intimidatorio.
La ragazza non si lasciò sopraffare e fece per divincolarsi dalla sua presa. Tuttavia Wesker non la lasciò fare. La buttò sul pavimento e la bloccò sedendosi sopra di lei.
“Figlio di puttana!! Tutto quel che mi hai fatto fare! Tutti i tuoi esperimenti e le tue macchinazioni..!” urlò cercando di colpirlo nonostante lui la tenesse ferma saldamente per i polsi.
L’uomo vestito di nero si piegò completamente su di lei.
“Sai, mi sono mancate queste tue sfuriate.”
Jill inorridì e lo trafisse con i suoi occhi azzurri finalmente tornati liberi di esprimere la sua rabbia e la sua disperazione.
Ella gli sputò sul viso, in risposta all’atteggiamento derisorio che lui continuava ad avere.
Wesker rimase immobile a quella reazione.
Si asciugò col dorso della mano, apparendo del tutto impassibile, mentre lei continuava a guardarlo fastidiosamente con la collera negli occhi.
Di improvviso poi, quasi in contraddizione con quella pacatezza che lo contraddistingueva, le mollò uno schiaffò, che finalmente cancello dal viso di Jill quello sguardo sprezzante.
“Impertinente come sempre.” disse, mettendole subito dopo una mano alla gola.
La ragazza si sentì soffocare e prese ad agitarsi muovendosi col corpo per scacciarlo.
“Non comprendi? Non puoi nulla contro di me. Non iniziare cose che non puoi finire, non generare situazioni che non puoi controllare. Sarebbe una mossa davvero incosciente da parte tua. Te lo garantisco.”
Seppur soffocata da quella presa, Jill corrucciò la bocca e gli rispose a denti stretti.
“Vai all’inferno!!”
Wesker le fece battere la testa violentemente sul pavimento, ma Jill non si diede ancora per vinta. Nonostante il dolore alla gola e alla nuca, trovò dentro di se la forza necessaria per capovolgere la situazione.
Roteò col busto e con una forza inaspettata riuscì a mettere Wesker di spalle sul pavimento, protraendosi adesso lei sopra di lui.
In verità, fu più Wesker che la lasciò fare, volendosi ancora divertire un po’ con lei.
Jill Valentine gli era davvero mancata, in tutti suoi aspetti. Forse soprattutto per il suo odio verso di lui.
Quei sentimenti ribollenti erano veri e lo ammaliavano pur nella loro negatività.
Una storia di antagonismo, intrigante e devastante, che confondeva i loro sensi e le loro convinzioni, attratti inevitabilmente l’uno all’altro in quel rapporto malato e proibito.
In tutto questo… ora lui sapeva che, da qualche parte, ella era ancora affezionata a lui, nonostante tutto.
“Non mi sembravi tanto contrariata quando invece ti sei concessa alle mie attenzioni.” disse con tono placido, infierendo su di lei.
La donna dai capelli biondi inorridì.
“Dimmi Jill, non ti è forse piaciuto?” aggiunse lui, e a quel punto fu lei a colpirlo in pieno viso, facendogli volare via gli occhiali da sole.
“Ti diverte giocare con le vite degli altri, non è vero?!” disse tremante, coinvolta nei sentimenti, lacerata dal suo cuore che si struggeva.
“Eppure…” bisbigliò, mentre affondava nei suoi tormenti, mentre dovette riconoscere suo malgrado l’uomo da lei odiato negli occhi di quello da lei amato. “Eppure…anche tu sei stato usato, Wesker!”
Wesker fu stranamente divertito da quella risposta.
“Oh…vedo che cominci anche tu a ragionare a modo mio.”
Jill sbandò a quella constatazione.
Anche lei aveva infatti cercato di ferirlo utilizzando informazioni che aveva appreso su di lui. Inorridì, ma cercò di non farsi ingannare da Wesker che amava torturare le menti delle persone conducendole alla pazzia.
Lui intanto si sollevò verso di lei, approfittando di quell’attimo di smarrimento.
“A me questa situazione sa di dejà vu. Non ricordi?” pronunciò soavemente, specchiandosi nei suoi occhi.
Jill ricordò perfettamente quell’immagine.
Il momento in cui erano caduti nella foresta e si erano dati quel primo bacio che l’aveva straziata e stregata.
Erano nella stessa posizione di allora, soltanto che stavolta non vi era quell’irrazionale desiderio nei loro occhi.
“Tu…” sussurrò Jill. “…tu hai saputo ingannarmi a tal punto da indurmi a credere in te ancora adesso.” disse con le lacrime agli occhi, le quali caddero sul viso di Wesker.
Egli la guardò perplesso, in silenzio, mentre quelle gocce bagnarono appena il suo viso.
Non si era accorto che i sentimenti di Jill bruciassero ancora così vivi dentro di lei.
Aveva voluto turbarla intenzionalmente con quella frase, eppure adesso era stata lei a sconvolgere lui, con quei suoi occhi colmi di lacrime.
Fu una visione che lo paralizzò completamente, nonostante il suo viso di marmo non fece trapelare nulla di quel curioso ed inspiegabile stato d’animo.
Jill Valentine accendeva quel qualcosa di umano che gli era rimasto. Quel soffocante senso di colpa che non lo aveva mai scalfito, e che irrazionalmente lo scombussolava quando si specchiava in quei bellissimi e tremendi occhi azzurri.
“Wesker…” continuò intanto lei in preda alle sue emozioni. “Lasciami…andare….”
Disse soffocata dal dolore, abbandonandosi poi sul suo petto.
“Non ce la faccio più…”
L’uomo rimase immobile, sdraiato sul pavimento, con la donna che lo odiava che piangeva sopra di lui, mentre i frastuoni provenienti dall’esterno facevano tremare quella stanza.
Tuttavia i due furono estranei a tutto questo, concentrati unicamente su quel qualcosa di oscuro che dilaniava l’animo di entrambi.
Wesker guardò verso di lei, osservando la sua testa abbandonata su di lui, sconfortata.
Distaccò lo sguardo, che divenne vago ed indefinito.
“Jill…” disse lui, con fare assorto.
A quel punto si sollevò e si mise in piedi, scostando Jill da se. Avanzò nella stanza guardando oltre il vetro della finestra, portando le mani dietro la schiena.
La ragazza seguì la sua figura, alzandosi anche lei da terra.
Lui sospirò, continuando a rivolgerle le spalle.
“Cosa vorresti dunque?” pronunciò serio. La donna lo osservò attentamente.
“Vorresti che mi fermassi, che ti chiedessi perdono…che tutto tornasse come un tempo?” chiese a tratti sarcastico, ma in parte anche malinconico.
Jill conosceva bene la risposta a quella domanda, e il suo animo si strusse ancora una volta.
Wesker si voltò, rimanendo placido e controllato, avanzando a passi lenti verso di lei.
“Non accadrà nulla di tutto questo. Lo sai bene. Suppongo continueremo a puntarci le armi contro in una battaglia senza fine, finché uno dei due avrà inalato l’ultimo respiro. Nessuno di noi due poserà l’arma per primo, vero, Jill?”
Disse, puntandole la pistola contro.
Nonostante l’atmosfera, quella scena trasmetteva un che di simbolico più che di terrore.
Quell’arma posta fra di loro era la metafora di tutto ciò cui entrambi non sarebbero mai potuti passare oltre. Erano su versanti opposti che non avrebbero mai potuto unirsi, nonostante entrambi ammettessero che qualcosa fosse cambiato fra loro.
Qualcosa di impercettibile, di irrazionale, ma che aveva profondamente toccato dentro di loro.
“Una scelta c’è sempre, Wesker.” disse lei inaspettatamente.
L’uomo sorrise, e questa volta la sua espressione non fu più celata dalle lenti scure. Jill potette finalmente parlare con lui, specchiandosi nei suoi occhi.
Non lo diede a vedere, ma fu felice di poter veder per la prima volta il reale Albert Wesker, spogliato dalla sua immagine irraggiungibile ed incomprensibile.
L’espressione sarcastica sul suo volto le fece intendere chiaramente che lui non aveva alcuna intenzione di fare un passo indietro.
Oramai il dado era tratto.
Abbassò il viso e dunque riprese parola.
“Ebbene…anche io non tornerò indietro.” disse ferma. “Uccidimi dunque qui, se vuoi. Non mi importa. Non tornerò in quell’inferno.”
Wesker avanzò ancora verso di lei, abbassando lentamente la sua arma. Quando le fu di fronte, poggiò la mano sul muro alle spalle della ragazza, e abbassò il capo verso di lei.
“Sei cocciuta, Jill.”
Jill sorrise.
“Mai quanto te.”
Quella risposta lo divertì.
I due si guardarono dritto negli occhi. Stavolta Jill non provò terrore nel cercare le iridi rosse dell’uomo che aveva dannato e, allo stesso tempo, dato un senso profondo alla sua vita.
In fin dei conti… era lui il motivo della sua sopravvivenza in quel mondo infernale.
Una visione piuttosto paradossale, ma che tuttavia era reale.
Quell’abominio l’aveva condotta fin li, di fronte al suo antagonista. Ma era ora di finirla.
“Puoi ancora fermarti, Wesker.” disse la donna, con tono serio e soave, sperando che lui potesse leggere la sincerità dei suoi occhi. “Finiamola qui.” aggiunse infine.
L’uomo vestito di nero rimase in silenzio, non potendo assecondare la volontà della ragazza di fronte a lui. Egli non poteva abbandonare ciò che da sempre aveva caratterizzato la sua vita.
Da tutta la vita pianificava quel momento, quello in cui sarebbe divenuto lo scrittore della storia del mondo. Non avrebbe abbandonato tutto.
Non era più in suo potere la possibilità di scelta. Il dado era tratto, e lui conosceva già bene la sua strada da intraprendere.
Nessuno avrebbe mai potuto comprendere cosa significava questo piano per lui.
Quel lungo momento di silenzio mise a nudo l’amarezza che si celava nel suo cuore.
Un’amarezza che non era attribuita ad una sola cosa, ma che nell’insieme aveva fatto vacillare quell’Albert Wesker ingabbiato nel suo stesso mondo.
Tuttavia, proprio nel momento nel quale i due avevano instaurato quella sorta di intesa, un’esplosione al di fuori di quella stanza distrusse inaspettatamente la parete sulla quale i due erano appoggiati.
La stanza ben presto si pervase di fumo, graffiando Wesker e Jill che ripararono il viso protraendo le braccia in avanti.
Wesker alzò lo sguardo dirigendolo oltre la parete esplosa, ricordando solo in quel momento delle BOW sfuggite al suo controllo. Quella distrazione non era da lui.
I suoi occhi tornarono su Jill, come risvegliatosi da quello stato di calma.
Infatti cercò il suo sguardo severamente, pronto suo malgrado a usare le maniere forti pur di rimetterla in riga.
Vide poi inaspettatamente le mani della ragazza allungarsi delicatamente sul suo viso, sfiorandogli appena le labbra, non riuscendo tuttavia ad arrivare a lui.
Wesker lì per lì non comprese.
Mentre il fumo alzatosi dopo l’esplosione si dissipava, vide la donna che l’aveva fatto vacillare graffiata e sporca di sangue.
Ella arricciò le labbra in una smorfia di dolore. Lentamente poi i suoi occhi si spensero sotto lo sguardo vigile di Wesker, mentre neanche lei comprendeva cosa fosse effettivamente successo.
Solo in quel momento l’uomo si accorse del sangue che scendeva dalla sua bocca sporcando il suo viso delicato.
Wesker sgranò gli occhi allibito, e notò che un pezzo di ferro aveva trafitto l’addome della ragazza.
Preso alla sprovvista, cercò di ristabilire la sua sanità mentale per concentrarsi sulla gravità della situazione.
Jill intanto riuscì a toccargli il viso, al che anche lui alzò gli occhi verso di lei.
“Wes…ker…” sussurrò, poi perse definitivamente conoscenza. Le sue mani scivolarono verso il basso e il suo corpo si abbandonò completamente, sorretto unicamente perché impinzata in quel ferro.
Wesker si pietrificò, dovendo vedere di fronte a se quella donna spegnersi, mentre il sangue sporcava il suo corpo.
A quel punto, con fermezza spezzò il tubo ancora attaccato alla parete, poi lo sfilò via da Jill, attento a non allargare la ferita.
Era impossibile denotare in Wesker gesti di disperazione, ma i suoi occhi in quel momento trasmettevano il sentimento che in gergo suo poteva più avvicinarsi.
Prese la ragazza fra le sue braccia, portandola velocemente in laboratorio.
Mentre camminava a passo deciso, diede l’ordine ai soldati di eliminare tutte le BOW fuori controllo.
Per fortuna la situazione era più sottocontrollo di quel che credeva. Doveva tuttavia risalire a cosa aveva scaturito quell’esplosione che aveva ferito Jill.
Anche lui era graffiato e sporco di polvere, ma non si curò di se stesso essendo le sue ferite per nulla dolorose. Doveva invece soccorrere Jill al più presto. Ella stava perdendo molto sangue, avrebbe potuto non farcela.
Mentre la appoggiò su un tavolo operatorio, vide i suoi stessi abiti oramai imbrattati di rosso.
Questo lo mandò in escandescenza, facendogli perdere il controllo.
Era in uno stato di agitazione che lo rese irrefrenabile, proprio perchè egli non accettava di essere sconfitto in quel modo.
Persino l’inaspettato, o la morte, non potevano avere la meglio su di lui che era il vero padrone del mondo. Il delirio di onnipotenza di Wesker l’aveva reso folle, tanto da non poter accettare che Jill stesse morendo non per opera sua.
“Sopravvivrai, Jill…” disse, e si mise subito ad operare.
Il contrasto di quel liquido rosso che macchiava la pallida figura della giovane dai capelli biondi lo turbò. Notò poi i segni lasciati dal dispositivo sul suo petto. La carne in quel punto era lacerata.
Aveva torturato Jill a tal punto…
Non stette a pensarci ulteriormente, comunque, e continuò l’operazione.


***


Passò circa una settimana dall’incidente nel laboratorio della TriCell.
Wesker camminava per il corridoio, con il suo consueto aspetto perfettamente ordinato. Aveva addosso un camice bianco e dei moduli in mano. Gli si avvicinò un dottore, che lo aggiornò sugli ultimi sviluppi dei loro esperimenti, poi si allontanò.
L’uomo con gli occhiali scuri continuò a leggere la cartella che aveva in mano, completamente assorto nelle sue ricerche.
Avanzò per quel corridoio illuminato e moderno, e si fermò soltanto quando giunse di fronte a lei.
Wesker guardò nella capsula ove era tenuta rinchiusa Jill Valentine, criogenata.
Era passata già una settimana…
Ripensò a quel giorno.
L’operazione era riuscita perfettamente, tuttavia per assicurarle la vita, aveva optato per sottoporla ad un trattamento speciale. L’aveva dunque criogenata, per permetterle di guarire e ristabilizzarsi completamente. Per tornare, anzi, più forte.
Wesker osservò attentamente i delicati lineamenti del viso della ragazza, perdendosi nei suoi tratti.
Il suo sguardo cadde poi sul dispositivo impiantato nuovamente sul suo petto.
Quell’immagine rievocò in lui qualche tempo prima.
I lavoratori della Tricell avevano ideato un nuovo macchinario per controllare il P-30, questa volta più forte, resistente, al quale il soggetto avrebbe potuto solo sottomettersi.
Ancorato perfettamente sulla sua carne, Jill non avrebbe più potuto ribellarsi.
Wesker abbassò il viso.
Alla fine, abbandonato a se stesso ancora una volta, avevano preso il sopravvento i suoi scopi, che venivano per lui sempre prima di ogni cosa. I suoi sentimenti semplicemente non esistevano per lui, abituato a ragionare come una macchina infallibile, e così l’aveva ridotta di nuovo a questo…
Presto la sua Crow Lady sarebbe rinata, cancellando per sempre la Jill Valentine che si celava sotto il suo mantello.
Un’insolita sensazione pervase l’animo di Wesker, tuttavia egli scacciò via quel sentimento, che però lo costrinse a guardare dentro di se, seppur per qualche secondo.
Alzò il viso verso di lei.
“Mi dispiace.” sussurrò infine. Distaccò poi gli occhi e si allontanò da lei.
Sul viso di Jill addormentato, si distinse una lacrima, che era rimasta casualmente criogenata assieme al suo corpo. Ignara che al suo risveglio, ella si sarebbe ritrovata ancora nell’inferno.





Africa, Kijuju, 2009






“Non sei affatto cambiato.”

“Wesker, allora sei vivo?”

“L’ultima volta ci siamo incontrati alla residenza degli Spencer, non è così?
Beh, questa è proprio una bella rimpatriata familiare. Mi aspettavo fossi più felice di rivederci.”





“Rivederci?”





“Jill…Jill! Sono io, Chris!”
“Jill, andiamo! Sono io, Chris. Reagisci!”
“Smettila, Jill! Ritorna in te! Svegliati! Jill Valentine!”



“Chr…Chris…”




“Chirs…mi dispiace così tanto.
Ascoltate.
Io mi riprenderò, ma voi due dovete fermarlo. Se il piano di Wesker avrà successo, Uroboros si diffonderà in tutto il mondo. Milioni di persone moriranno!
Dovete fermarlo! Chris, solo tu puoi riuscirci, prima che sia troppo tardi! Non ti fidi della tua compagna? Sei la nostra unica speranza di sopravvivenza.”







Un mese dopo…






[Epilogo…]

















L’epilogo è stato staccato dall’ultimo capitolo per una questione di ordine.
Ma preferirei lo leggeste assieme a questo capitolo per un fatto di completezza! *.*
Grazie per aver letto la mia fan fiction!!!!!!!
Andata a leggere l’epilogo, forza!

  
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