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Autore: Sophie Hatter    07/07/2007    12 recensioni
Addison Montgomery Shepherd, in genere, non è una persona che si fa umiliare con facilità.
Non è una persona che si piega ad implorare pietà.
Non è il tipo che permette che qualcuno calpesti apertamente il suo orgoglio.
Ma in questo caso si trattava di una questione importante. Anni e anni di matrimonio, che non poteva permettersi di gettare via così, lasciando andare l’uomo che ama senza fare nemmeno un tentativo per riprenderselo.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Addison Montgomery Sheperd
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
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Addison Montgomery Shepherd ha appena sentito pronunciare da suo marito, per l’ennesima volta nella sua travagliata vita coniugale, la frase “Puoi scusarmi un momento”

Nota di inizio fanfic: questa one-shot è incentrata sui pensieri di Addison Shepherd durante la puntata 2x27, “Losing My Religion”. Ho voluto cimentarmi nel dare voce a un personaggio che apprezzo molto ma di cui non ho mai letto nessuna fanfiction, in italiano perlomeno. Non sono spoilerata e non ho idea di quello che succederà nella terza serie, per cui tutto ciò che ho scritto è frutto di una pura interpretazione personale.

Buona lettura.

 

 

I sintomi del fallimento

 

 

I thought I lost you somewhere, but you were never really ever there at all.

(Goo Goo Dolls, “Here Is Gone”)

 

Addison Montgomery Shepherd ha appena sentito pronunciare da suo marito, per l’ennesima volta nella sua travagliata vita coniugale, la frase “Puoi scusarmi un momento”.

 

Ma certamente, Derek, nessun problema. Abbandonami qui in compagnia di un bicchiere di champagne dopo avermi trascinata a questo stupido ballo per riuscire ad occhieggiare indisturbato la tua amante abbigliata in un provocante vestito nero, io me ne starò qui in disparte senza dire una parola e cercando il modo migliore per rendermi invisibile.

 

Addison non è una donna particolarmente ottusa o cieca. È un chirurgo abile ed è dotata di un certo intuito, ma è anche straordinariamente brava a selezionare il suo sguardo sulla realtà e, di conseguenza, a scegliere che cosa ignorare deliberatamente e cosa no.

 

Non sono una stupida. Soltanto uno stupido potrebbe non accorgersi che anche Meredith è sparita dalla circolazione, oppure, in caso qualcosa contribuisse a farglielo notare, non riuscire a fare due più due e intuire che cosa sta accadendo, mentre tutti qui intorno, nella più completa indifferenza, ridono e conversano seguendo alla perfezione il copione di questo rito mondano.

 

Addison ha scelto di accantonare l’inequivocabile dato di fatto che la rende oggetto di compassione o, peggio ancora, di pena, agli occhi di tutti i suoi colleghi e sottoposti: il fatto, cioè, che suo marito non la ama.

L’ha sempre fortemente sospettato, fin da quando ha ricominciato a lottare per riaverlo. Certo, l’illusione non ha potuto fare a meno di nascere dentro di lei e di donarle la speranza di poter ricostruire il rapporto più importante della sua vita, ma è sempre stata accompagnata ed attenuata da una sottile e spietata consapevolezza, frutto della sua inestinguibile attitudine all’osservazione razionale dei fatti nudi e crudi.

 

Del resto, è quello che un chirurgo è o dovrebbe essere abituato a fare, data la natura della sua professione. Se il polso è inesistente, il respiro nullo e le labbra cianotiche, si è chiaramente in presenza di un arresto cardiaco, e si può tentare disperatamente di rianimare il paziente o scegliere di dare un’occhiata all’orologio e dichiararne il decesso. Se le estremità degli arti si anneriscono e si decompongono, si sta verificando una cancrena, pertanto o si tenta di rimuoverne tempestivamente la causa con un’operazione rischiosa o ci si rassegna e si procede con l’amputazione. Ma quando i sintomi sono evidenti, non possono sfuggire all’occhio attento di un medico esperto, e la formulazione di una diagnosi è praticamente immediata. Si è talmente abituati a ragionare osservando e traendo le conclusioni logicamente più sensate, che nemmeno ci si domanda quanto queste possano essere motivo di sofferenza.

 

La dottoressa Montgomery Shepherd non ha fatto altro che analizzare lo stato delle cose seguendo l’impostazione mentale conferitale dalla sua professione, e ormai profondamente radicata in lei, tanto da essere applicata anche nello studio di fenomeni esistenziali quali per esempio il suo fallimentare matrimonio.

 

Non è stato difficile, del resto.

 

Posa il bicchiere vuoto sul bancone con un lieve sospiro, mentre le labbra le si increspano in una smorfia disillusa che sembra, nel contempo, voler scoraggiare qualsiasi impeto di compassione nei suoi confronti. Perché Addison Montgomery Shepherd aborrisce essere compatita.

 

Sintomo numero uno: il sesso.

Disastroso, a dir poco.

Abbiamo avuto i nostri momenti, provocati da chissà quale agente afrodisiaco d’occasione, ma la maggior parte delle notti trascorse da quando ci siamo rimessi insieme sono state teatro di uno spettacolo pietosamente ripetitivo: lui si infila sotto le coperte, mi dà la schiena, mormora un “Buonanotte” a fior di labbra che sembra costargli una fatica immane e spegne la luce, attendendo immobile e chiuso dentro di sé che il sonno lo raggiunga, per donargli la pace di un oblio temporaneo. A me non resta altro che lasciarmi ricadere inerte sul materasso, ingoiare la delusione, girarmi dall’altra parte e rimanere a fissare il buio.

 

Addison è sempre stata incapace di piangersi addosso. Non l’ha fatto nemmeno quando suo marito l’ha sorpresa a letto con il suo migliore amico, e il giorno dopo è sparito dalla circolazione senza lasciare nemmeno un biglietto. Ha affrontato la cosa con il maggior pragmatismo possibile, dopo aver capito di aver fatto una sciocchezza il cui rimorso l’avrebbe perseguitata fino alla fine dei suoi giorni: si è concessa il suo periodo di nera depressione sforzandosi di ignorare la ferita che la fine del suo matrimonio le aveva aperto nel cuore e, dopo aver appurato di non esserne capace, ha cominciato a pianificare la sua lotta all’ultimo sangue. Mettendo da parte la notizia della nuova relazione amorosa di suo marito, è andata a cercarlo, gli è ricomparsa davanti a sorpresa e l’ha affrontato a testa alta, sottoponendogli le sue condizioni. Tutti l’hanno squadrata dall’alto in basso come se fosse la nuova incarnazione di Cerbero, ma lei è andata avanti per la sua strada; tutto quello che voleva era una risposta definitiva, che fosse un sì o un no non aveva importanza. Una volta avutala, avrebbe reagito di conseguenza nella maniera più dignitosa possibile.

 

Sintomo numero due: il dialogo.

Non mi racconta mai che cosa fa al lavoro, che cosa ha fatto mentre io non ero con lui, che cosa gli passa per la testa.

Ed è questo che dà origine al secondo dei nostri patetici scenari: io che con gentilezza e tatto gli chiedo se c’è qualcosa che non va, lui che risponde che va tutto bene, senza neanche sforzarsi di nascondere quella faccia da funerale dietro un sorriso forzato e innaturale. So fin troppo bene che non c’è modo di costringerlo a parlare se non desidera farlo, perciò lo spettacolo si conclude sempre con la mia uscita di scena o il mio rassegnato silenzio.

 

All’inizio, nonostante si fosse attirata addosso l’ostilità di mezzo ospedale e fosse stata descritta fra sussurri cospiratori come una perfida strega, irrimediabilmente contrapposta all’angelica e innocente Meredith Grey, aveva creduto davvero che tutto potesse sistemarsi per il meglio. Derek aveva scelto di riprovarci, non aveva firmato quelle carte, e Satana aveva inaspettatamente trionfato. Ma il suo momento di gloria era durato decisamente poco.

 

Sintomo numero tre: i litigi.

Qualsiasi pretesto è buono, anche se palesemente assurdo. Non importa per cosa si discute, basta discutere. Basta avere una scusa per poter tirare nuovamente fuori i vecchi rancori, anche se ormai tutta questa farsa non mi incanta più. Mi si potrà anche accusare di aver compiuto un gesto imperdonabile a prescindere dalle circostanze, ma ho veramente fatto tutto il possibile per farmi perdonare. Mi sono inginocchiata e ho implorato, io, Addison Shepherd. Quella che chiamano Satana. Satana che supplica, davvero un’immagine esilarante. Ma il motivo per cui tutto è andato a catafascio, stavolta, non è perché Derek non mi ha perdonato. Probabilmente non l’ha fatto, semplicemente perché non lo desidera. È molto più conveniente giustificarsi dicendo “Mia moglie mi ha tradito con il mio migliore amico”, piuttosto che “Amo un’altra che non è mia moglie”.

 

Addison non era solita rileggere le sue esperienze a posteriori individuandovi una possibile lettura provvidenzialistica.

Non riusciva a vedere il fallimento del suo matrimonio come una punizione nei suoi confronti per aver tradito Derek; quello era semplicemente il modo in cui doveva andare. I loro problemi coniugali erano iniziati molto prima del suo tradimento, e se anche lei non fosse andata a letto con Mark, prima o poi sarebbe finita lo stesso. Lei non aveva fatto altro che anticipare il momento della rottura, quel momento in cui la sopportazione giunge al limite e si rinuncia a resistere ancora, perché ormai tirare la corda con cieca ostinazione non sembra avere più alcun senso.

 

Sintomo numero quattro: il modo in cui la guarda.

È inutile. Non si preoccupa neanche di contenersi. Se ne sono accorti perfino gli infermieri; e io sto diventando sempre più ridicola, agli occhi di tutti.

Non ha senso domandarsi che cos’abbia lei che io non ho; è così, e basta.

Non ha senso domandarsi perché un’operazione conduce un paziente alla morte, seppure condotta da uno dei chirurghi più celebri per la sua bravura.

 

Addison Montgomery Shepherd, in genere, non è una persona che si fa umiliare con facilità.

Non è una persona che si piega ad implorare pietà.

Non è il tipo che permette che qualcuno calpesti apertamente il suo orgoglio.

Ma in questo caso si trattava di una questione importante. Anni e anni di matrimonio, che non poteva permettersi di gettare via così, lasciando andare l’uomo che ama senza fare nemmeno un tentativo per riprenderselo.

Ha avvertito i segni dell’incrinatura provocata da Meredith Grey fin dall’inizio, e per tutto questo tempo si è sforzata di ignorarli. Solo qualche giorno fa è esplosa, annunciando esplicitamente a suo marito che non è così stupida come lui crede.

Non è riuscita nemmeno a fargli pietà.

Si fa riempire di nuovo il bicchiere, nel pallido tentativo di ricercare un misero conforto nell’alcol, almeno per un momento. Anche se ubriacarsi non le è mai servito a sentirsi meglio. In qualche modo, riesce sempre a conservare intatta la sua lucidità: perché la consapevolezza di ciò che le accade intorno è l’unica cosa che è in grado di non farla sentire una povera sciocca raggirata da tutti.

 

Alla luce dei sintomi esaminati, la diagnosi possibile è una sola, signora Shepherd.

Fallimento.

 

 

   
 
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