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Autore: auroroma    21/12/2012    2 recensioni
Elisabetta è una normale ragazza di quindici anni e mezzo che, a metà della sua vita da adolescente, cambierà completamente tenore di vita.
Il padre, sempre in viaggio per lavoro, riceverà un importante richiesta di lavoro che accetterà immediatamente.
Così, assieme ai genitori ed al fratellino si trasferirà dalla bellissima Roma, alla fredda California del Nord.
Nuova casa, nuova scuola, e che scuola! La classica high school americana che si vede nei telefilm... con enormi palestre, piscina, campi da Football e Lacroose, aule di chimica che esploderanno... senza scordarci ovviamente dei bellissimi ragazzi e delle zucche vuote delle Cherleader.
Quindi, tra nuovi spazi, ragazzi, finte amiche, intrecci vari, esperienze piccanti e pericolose, la nostra protagonista arriverà ad una conclusione: La sua vita è diventata una vera e propria Telenovela!
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Cambiamenti.
Tutti  nella vita li affrontano.
Chi con timore, chi con coraggio, chi ansiosamente. A chi non gliene frega niente, e a chi invece non fa altro che aspettarli.
Cambiamenti.
Ciò, che in fondo, mette brio alla tua vita.
 
Io non so esattamente se posso dire di averlo voluto, o se poter dire che non me lo aspettavo. Non so neanche se ne ho paura, ansia o angoscia. Non so se sarò triste, felice od altro.
So solo che per me inizialmente era un sogno, il classico sogno.
Un sogno che più della metà della popolazione terrestre ha; e cosa può essere se non: il sogno americano?
 
 
Abitavo in Italia, o meglio, abito ancora in Italia, o meglio ancora, tra meno di quarantadue secondi  (tempo che mio padre chiuda il bagagliaio, si metta alla guida, accenda la macchina e si giri a raccomandarsi per le cinture)  lascerò completamente la mia casa.
Ho sempre desiderato andare a vivere in America.
E tutto questo ovviamente si deve ai telefilm, attori, artisti musicali ec.ec.
Ho sempre sperato di poter girare in mezzo a quei grandi edifici (pieni di ragazzi/e di ogni tipo, con armadietti, aule enormi, giardini, palestre, parcheggi ed altro ancora) chiamato High School.
Ho sempre sperato di poter vivere negli U.S.A. , per mille ed altri motivi.
Forse perché credo che il centro del mondo si trovi li, perché si può avere una vita più facile, perché possa trovare cose che in Italia non potrei mai trovare…
Non esiste un solo perché, ma tanti, tanti, tanti e tanti. Una serie di fattori che continuano a farti sperare, sognare… che ti diano una giusta motivazione per provare, apprendere, conoscere.
Però ora è differente.
Ora è reale.
Non so, però forse anche nei più bei sogni ci sono incubi, o forse bisognerebbe soltanto lasciare che i sogni siano così come sono: sogni. Sennò perdono tutta la loro magia…
Perché adesso dico così?
Per un’ altra decina di ragioni.
Ad iniziare con i miei amici, la mia vita sociale, le mie abitudini, la mia routine, i posti dei mie ricordi, la lingua…. Insomma, il mondo che mi ero creata dopo quindici anni di vita.
Ed ora? Ed ora niente, vado avanti accogliendo il futuro, vivendo il presente, e ricordandomi il passato.
Questa è il mio sogno diventato realtà, la mia storia più sorprendente.
Una storia, che comincia da ora!
 
 
Eravamo finalmente arrivati dopo dieci ore e mezzo.
 Il viaggio non poteva essere più terribile!
Credo che possiamo dire di essere le uniche persone al mondo che hanno davvero vissuto il diluvio universale in prima persona… c’è cacchio! Non smetteva mai di piovere! E manco a dire che era una di quelle snervanti pisciatine di cane che può esserci mentre attraversi il regno unito…. No…. Deve essere una tempesta coi fiocchi! Munita di accompagnamento orchestrale da parte di fulmini e saette!
Ma, mai più. MAI PIU’!
Non vedo l’ora di potermi sgranchirmi tutta e sdraiarmi comodamente sul letto della nuova casa e… << Ola quanto ci mettiamo con quest’ altlo aeleo ? >> chiese ingenuamente il mio fratellino che da poco si era svegliato (solo lui poteva dormire in quel casino)
<< Non lo so, quattro cinque ore forse >>rispose tranquillamente mio padre.



Aspettate un attimo…
Altro aereo? Scalo? Quattro cinque ore?
<< NOOOOOOO! >>
Mia madre mi strattonò << ma sei impazzita?!! >> mi guardò tra il male e lo stranita. << Non attirare l’attenzione che questi sai come sono… Facci fare questi diecimila lunghi controlli in pace, senza farci rompere dagli agenti. Così magari riusciamo a non perdere il prossimo aereo grazie. >>
Controlli… aereo… tempo…
Ma a me scappa la pipì!!!!!!
 
Ho finito finalmente ( e davvero questa volte) di volare.
Non-potete-capire, quanto cavolo sono diventati paranoici dopo l’undici settembre! Avrò oltrepassato tipo dieci metal detector, fatto guardare nella mia borsa a mano almeno quindici volte, dato il mio passaporto una ventina, preso le impronte digitali tre, risposto a piccole domande ai posti di controllo quaranta, e smistati per residenza duemila.
Non ce la facevo più!
Ora eravamo in macchina, quella affittata perché mio padre deve andare a  prendere quella nuova o domani o dopodomani. Mancavano solo due ore, tre, e sarei davvero andata a riposare.
Non me ne fregava niente della casa l’avrei vista domani. Mi sarei fregata anche del fatto che dovevo andare a farmi una doccia, o mettermi in pigiama, o che erano solo le quattro del pomeriggio…  non me ne fregava niente avrei finalmente pisciato e dormito!
… che belle parole dopo tutto questo inferno….
<< Eli, amore…. Siamo arrivati. >> una bella voce calda familiare mi chiamava e mi alzava.
<< Mmgnn >>
<< Dai, ti aiuto io, basta che mi dai una mano >>
Ancora dormente mi feci guidare da mia madre dentro la casa che dal poco che avevo percepito e salvato era grande.
<< Bagno >> riuscii a dire. Mi portò in bagno e mi lasciò sola.
 Ero in versione zombi.
Feci la pipì mi lavai distrattamente le mani e senza capire nulla andai nella prima porta che trovai e mi buttai sul letto.
L’unica cosa che avevo capito ora, della casa o del resto era questo: Il letto era davvero grande e comodo.
 
Mi svegliai su un letto matrimoniale. La stanza era bella e grande , cassettiera, comodini, poltroncina, bagno e cabina armadio. La tappezzeria era marrone, con il pavimento rivestito di moquette beige. Era tutto abbinato, pure le tendine della finestra, era una camera molto bella, ma sicuramente non mia.
Infatti sarà quella dei miei genitori.
La casa da fuori sembrava la classica villetta americana: piccolo giardino, stradina che lo percorre per far entrare l’auto nel garage. Garage spazioso con vari scatoloni, la porta interna invece sfocia in un corridoi che ti porta o in casa, o nel seminterrato.
Il seminterrato di questa casa mi faceva abbastanza paura.
Aprivi la porta e dovevi scendere delle scale di legno, la stanza non era grande, ma neanche piccola. Era di forma perfettamente quadrata.
 L’odore sapeva di muffa, e c’era solo una piccola lampadina calda che faceva luce dentro. Nel seminterrato c’erano le solite cose: vini e liquori di mio padre, circuito elettrico della casa e altre cose. Le scale non occupavano tanto volume visto che non appoggiavano a terra se non all’ultimo gradino, infatti sotto di esse vi era altro spazio dove poter mettere varie cose.   Ed era proprio quella piccola rientranza che mi faceva paura.
La dimora invece era costituita così.
Entravi e ti ritrovavi in un ingresso aperto al soggiorno, delimitato solo da un gradino che segnava anche il perimetro tra soggiorno-cucina.
Nell’ ingresso (alla fine di questo) vi erano le spaziose, ma non tanto lunghe, scale (anche queste di legno) che portavano alle camere.
Da che a sinistra vi era prima il salotto e dietro la cucina, a destra aveva un corridoio spazioso rivestita dal lato sinistro di una libreria che percorreva tutto quel lato di muro, ed a destra due camere, uno per la camera degli ospiti, ed un altro per un bagno. A fine di questo corridoio c’era una sala aperta: la sala da pranzo, che attaccava alla cucina ed era divisa anche questa dalla cucina solo da un piccolo gradino.
L’arredamento mi piaceva molto. Ne troppo chic, ne troppo moderno, e neanche troppo retrò, un classico arredamento tipico.
Il pavimento era per la stragrande maggioranza rivestito di parquet, oppure di moquette.
I colori erano abbinati tra loro. Era una bellissima casa. Una casa da sogni.
Salite le scale che portavano alle camere c’era un corridoio molto spazioso per larghezza, e un po’ di meno per lunghezza.
Due erano le porte dal lato destro, ed erano tutte e due camere da letto (una quella dei miei genitori, e l’altra di mio fratello)
E dall’altro lato un bagno (oltre a quello che già avevano i miei).
A fine di questo corridoi c’era(ovviamente più lontani di tutti) la mia stanza.
Era bellissima.
Già mi ci sentivo a mio agio.
Era di forma irregolare, pavimento con parquet ed al centro un grande tappeto a tinta unica. I muri erano viola rosato (non che mi piacesse tanto il colore, ma stava davvero bene).
Avevo anche il mio bagno personale, sarebbe sembrato più grande se non avessi avuto quella fantastica vasca enorme che occupava quasi tutto lo spazio.
Al contrario dei bagni tipicamente esteri il mio aveva il bidet. Un lavandino piccolino con sopra una piccola mensola cubica a sportello, che fuori aveva uno specchio, e dentro tre mensoline dove poterci mettere le mie varie cose.
Una appendi asciugamani e un penzolo attaccato alla porta per l’ accappatoio, e un tappetino in mezzo al bagno.
In camera avevo varie mensole dove poterci mettere pupazzini, porta oggetti ed altro. Una scrivania con sopra una libreria a rombo, dove potevo mettere tutti i miei adorati libri.
Due comodini accanto ai lati del mio favoloso, altissimo, comodissimo, morbidissimo lettone matrimoniale ( che aveva anche un ).
Un armadio piatto che occupava tutto, anche se corto, lato della stanza (appena entravi, a destra) dato che la mia camera si estendeva per lungo.
Avevo anche un piccolo divanetto basso ad elle con un motivo strano di tutti i colori. Una finestra abbastanza ampia che affacciava alla strada nonché al bosco. Era perfetto perché sotto di questa c’era un rialzo a mo’ di mini divanetto perché era praticamente una sorta di panchina-cassetto rivestita sopra da un cuscinetto.
Potevo sedermi sopra e guardare il panorama, mentre assorta nei miei pensieri più profondi riporto la mia squallida ed orribile vita nel mio adorato diario, l’unico mio vero amico….
Seeee ahahahahahahhaha ! Oddio!  Ahahah, tranquilli, non sono una di quelle sfigate. A dir il vero non ho mai neanche avuto un diario…
La casa era molto bella, e il vicinato molto accogliente, eravamo già stati invitati ad una cena ed un pranzo; due donne ci avevano portato un dolce di benvenuto e un uomo era venuto a fare conoscenza assieme a sua moglie e quattro orribili, detestabili, implacabili, ragazzini di sette, cinque e quattro anni.
I più piccoli erano addirittura gemelli! E se per caso mi sbagliavo e li confondevo, uno strillava e dava calci ai miei polpacci, ed un altro invece piangeva disperatamente offeso…. pensare che questi potrebbero essere gli amici di mio fratelli mi spaventa molto…. Spero per lui che riesca a mantenere la propria identità e che non si trasformi in un pazzo serial killer psicotico e depresso come quei bambini…
Quello che piangeva per qualsiasi cosa si chiamava Henry, il gemello assatanato invece Pit
Il più grande era invece insopportabile! Anche antipatico. Era il classico sapientino so tutto io che ti fa duecento mila domande sul senso della vita, il perché del avanzamento asiatico nell’ economia e su il teorema di Kronecker, che poi, che cosa ne posso sapere io??
No perché veramente, quel ragazzino risveglia in me la voglia di uccidere. Il “piripitillo” come diceva la mia vecchia prof.
Vi racconto, ad esempio, un momento in cui davvero avrei voluto andare in cucina, aprire un cassetto, prendere un coltello degli affettati e smembrarlo piano piano, pezzo per pezzo….
FLASHBACK
Avevo chiamato Henry Pit…. Mai lo avessi fatto!
Pit ha cominciato a scalmanare, urlare, mi accerchiava correndo e dicendo << PERCHE’ NESSUNO SI RICORDA! IO SO PIT!!!!! NON HENRY!!!! PITTTTTTTT!!!!  >>
Io molto sconvolta guardai il gemello che non aveva detto niente. Mi chiedevo perché avessi fatto anche questo…! Aveva il broncetto, con gli occhi rossi piene di lacrime che sarebbero scoppiate tra poco.               << Pecchè non ti ricordi il suo nome? >> disse scoppiando poi a piangere << SIAMO TANTO INUTILI?? >> scoppiò singhiozzando.
Nel panico più assoluto cominciai a fare segno di fare silenzio e mi piegai cercando di far calmare il piccolino << Eih, eih… voi non siete inutili, anzi, siete… siete… emh, molto importanti… Si. Importanti, quindi non dovres…. MINCHIA!!!! >> Pit mi diede un feroce calcio al polpaccio. << MA cosa CACCHIO hai nella testa ?!! >> gli chiesi piegata con la gamba in mano.
<< Uhhh! Hai utilizzato un linguaggio non adatto all’ udito di noi esseri umani d’ età inferiore ai dieci anni… >>  Scherzi? Ringrazia il cielo che era solo cacchio e che non sono una volgare brutto pezzo di jfvnfeklanep….
<< Lo vado a dire alla mamma!!! >> disse Matt.
Mi ero scordata di dirvi di Matt?
Ecco, lui era il classico spione. Era muto, perennemente, ma l’udito gli funzionava più che bene!
Utilizzava la voce solo per riferire cose che non dovrebbero andate riferite. Quando fu il momento per loro di tornare a casa assieme ai loro genitori (Mr e Mrs Whitemore ) lui mancava all’appello. Tornai in camera mia ( dato che per tutto il tempo in cui i miei e i signori Whitemore erano in cucina a prendere un caffè,  io e i pampini eravamo sopra in camera mia )e lo ritrovai nel suo silenzio più totale con in mano la testa di uno dei miei pupazzi preferiti, e nell’ altra il corpo smembrato…. Mi vennero le lacrimucce agli occhi… era un ricordo importante della mia vita! Me lo aveva regalato il mio primo fidanzatino all’elementari per natale, era un orsacchiotto ambiguo e con uno strano cappello di natale rosa ( cioè, avete mai visto un cappellino natalizio rosa? ) il corpo giallo fluorescente e un orribile ed enorme cuore marrone ( la scelta dei colori era stata ottima… ) cucito sopra.
La madre dei piccoli demoni  mi aveva detto che poteva comprarmele uno nuovo. Gli risposi che non c’era bisogno. Avevo pur sempre un po’ di contegno ancora.
Ma tornando a noi c’era un ragazzino che mi faceva la predica, uno che stava uscendo di camera mia per andare a fare la spia, un bambino che scalciava e girava intorno a noi correndo ed urlando, uno che piangeva perennemente ed infine c’era mio fratello che in centro, zitto zitto col suo peluchetto , e si gustava innocentemente la scena.
<< Adesso basta ! >> me ne uscii. << Guardate che Babbo Natale poi si arrabbia, vi scrive nella lista nera e vi porterà solo carbone! >> improvvisai.
D’un tratto il silenzio, tutti si fermarono. << Da- davvelo? >> chiese il frignone tenero.
Mentre stavo per annuire il “sottuttoio Jonathan” rispose ovviamente << Ma certo che no, non può esistere “Babbo Natale”. Come lo spiegate possibile che un umano riesca in dodici ore a fare il giro di tutte le dimore del mondo portando con se tutto il peso di quei regali da distribuire a tutti i bambini nel mondo…. E poi mi sono informato, non esiste nessuna posta al polo nord. >>
-Silenzio assoluto…
<< é…è veo? >> chiese il mio fratellino già stracolmo di lacrime. << No. Ma noo… >> dissi intenerita, prendendolo in braccio.
Mi voltai verso il sapientino e lo guardai in cagnesco. << Povera illusa. All’età di quindici anni ancora crede a certe immaginazioni infantili. La stupidità nei giovani di oggi lascia sempre più di stucco. >>
Questo era davvero troppo! << Senti ragazzino, io sono molto intelligente! Lo so benissimo che babbo natale non esiste! Pff, l’ho scoperto alla dolce età di sei anni >> (non è vero, me l’hanno detto a dodici ed ho pianto per tre giorni consegutivi)
<< Io a quattro >> rispose lui.
<< Io a due della befana >>
<< Io non ci ho mai creduto. >>
<< Io anche! >>
<< Ma hai detto a due! >>
<< Mi sono confusa con la fatina dei denti! >>
Senza più saper come continuare mi accorsi che i bambini ci stavano fissando. Oh,oh… << Non esiste pliù niente? >> chiese il mio fratellino cominciando a piangere. Seguito a ruota da i due gemelli. << Cazzo. >> imprecai.
<< Ah! Ora hai detto un’ altra parolaccia più grandeee. Corro a dirlo a mamma! >>.
<< Ti pareva! >> dissi rivolta al cielo. Intanto lo spione era già sceso.
 
Meglio non dirvi come continuò, diciamo solo che non credo che i signori Whitemore ci rifaranno visita al più presto… beh, meglio così.

 
 
 

Salve a tutti! In anzitutto volevo ringraziare tutti quelli che stanno leggendo tutto questo per aver fatto un passo in questa storia. E' la prima volta che mi cimento nel scrivere questa storia, è tutto partito da un telefilm che sto seguendo e che mi ha preso un sacco, da storie che sto vivendo realmente, ma ovviamente sarà tutto romanzato nella storia ;)... Spero che vi piaccia, ed essendo una prima esperienza mi piacerebbe molto se mi lasciaste un recensione, ho tanta voglia di migliorare. :)) Scritto questo un bacione e buon proseguimento. <3
  
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