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Autore: CowgirlSara    21/12/2012    3 recensioni
Sarebbe complicato spiegare i legami di lealtà, affetto, comprensione, orgoglio, rispetto che ci hanno legati tra noi e con il resto dell’equipaggio, ma è in essi che va cercato il significato di questo mio gesto apparentemente illogico, del viaggio che ho intrapreso.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Spock | Coppie: Kirk/Spock
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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The journey end
Sono contenta che per me sia un periodo fecondo su questo fandom che io adoro con tutta me stessa, ma… è stato deleterio regalarmi la serie di fumetti “Spock: Riflessioni”, prima di tutto perché mi ha commosso fino alle lacrime e poi, perché mi ha ispirato questa storia malinconica e forse non troppo adatta al periodo natalizio. Ma eccoci qua!

L’universo di Star Trek e tutti i suoi meravigliosi personaggi appartengono agli aventi diritto, questa storia è scritta senza scopo di lucro.

Ah! Mi rendo conto che questo fandom non è esattamente il posto dove cercare commenti, ma è stato impegnativo scrivere questa storia, quindi mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate. Grazie in anticipo.

Vi lascio alla lettura!

- The Journey’s End -

Il viaggio sta per avere termine. Il capitano della nave che ci ha trasportato mi sta annunciando che siamo in orbita attorno alla Terra, ma io ho lo sguardo su questo freddo contenitore a fianco del quale ho raggiunto la meta.

Durante questi lunghi spostamenti ho avuto modo di ripensare alla mia vita, alle scelte che ho fatto, alle esperienze accumulate ed anche, perché no, ai rimpianti.

Ho tenuto il pensiero lontano da te più che ho potuto. Sono vecchio, ormai, è tenere sotto controllo le emozioni più forti è quanto mai difficile.

Sei stato il fulcro della mia vita così a lungo, Jim…

Ringrazio la mia logica vulcaniana, perché chiunque altro si sarebbe inevitabilmente smarrito davanti ad una così grande perdita.

Ho sofferto molto, non potrei negarlo, ma sono passati settantotto anni – di cui ho debitamente contato ogni giorno – ed ho metabolizzato la tua assenza, ho dato un senso logico alla tua morte e sono andato avanti.

Ho trovato nuovi e imprevedibili scopi nella mia vita e non so se sarei stato così impavido senza aver subito la tua influenza per così tanto tempo.

Tu, però, sei riuscito a sorprendermi di nuovo.

Sei sempre stato imprevedibile, mio meraviglioso Capitano.

Come quella volta in cui…

Il turbo ascensore li stava portando dalla sala teletrasporto fino alla plancia e Spock osservava perplesso il suo Capitano. Non si spiegava come potesse avere quell’espressione soddisfatta con la casacca strappata, un sopracciglio sanguinante e svariati danni collaterali; eppure i suoi occhi nocciola brillavano orgogliosi e compiaciuti.
“Andiamo, Spock, chieda.” Esordì improvvisa la voce decisa di Kirk. “Sento un interrogativo sfrigolare nel suo cervello.”
“La sua affermazione è del tutto illogica, Signore.” Gli fece notare il vulcaniano. “Il mio cervello non è una padella e gli interrogativi non sono uova fritte…”
Jim rise di cuore, quella sua bella risata calda che, come sempre, provocò un inspiegabile calore anche all’interno del corpo di Spock.
“Era solo una similitudine divertente, Spock.” Gli disse poi, appoggiandosi alla sua spalla. “Lei sembra così impaziente di chiedermi qualcosa che ho voluto provocarla!”
“È insensato.” Proclamò infastidito il vulcaniano, ma Jim gli sorrise con tenerezza e lui fu costretto ad alzare gli occhi al cielo. “Volevo solo sapere perché è così soddisfatto, pur essendo tornato dalla missione in precarie condizioni fisiche.”
Jim si guardò: la giacca strappata che gli scopriva una spalla e parte del petto, le nocche arrossate per i pugni dati, si tastò la mascella dolorante ed il sopracciglio rotto, poi sorrise più di prima.
“Beh…” Fece poi. “…ho dato una lezione al cattivo, la nave è salva, tutti i miei uomini sono tornati sani e la pace cosmica è ristabilita… perché non dovrei essere contento?”
“Lei è tornato ferito e dolorante, abbiamo perso i dati degli esperimenti e siamo andati molto vicino alla sconfitta.” Replicò serio il comandante.
“Ma non è successo, Spock!” Ribatté Jim, stringendogli la spalla. “Andiamo, qual è il problema?”
Si guardarono per un lungo attimo. Gli occhi scuri di Spock in quelli più chiari di Jim. Il vulcaniano aveva sempre ritenuto le iridi del suo comandante un pregevole corredo genetico. E Jim pensava che nessuno aveva occhi intensi come Spock.  
“Trovo del tutto illogico il suo scarso attaccamento all’incolumità personale, Capitano.” Affermò infine il vulcaniano, osservando il sangue che scendeva lungo la tempia di Kirk, fino a bagnargli il colletto dell’uniforme. “Tanto più che il regolamento…”
“Oh, la prego, non mi parli del regolamento!” Sbottò Jim alzando le mani.
“È mio compito, come primo ufficiale…” Tentò l’altro.
Kirk, però, si voltò e lo inchiodò con uno dei suoi sguardi magnetici. Aveva un sorriso strano, misterioso, che Spock non seppe interpretare: troppo emotivo, troppo umano.
“Sa perché non mi preoccupo più di tanto?” Gli chiese quindi, Spock negò col capo. “Perché so che c’è già chi lo fa per me.”
“Non capisco cosa vuole dire…” Mormorò il vulcaniano.
Jim, nel frattempo, lo aveva intrappolato contro la paratia grigia del turbo lift. Sapeva perfettamente che Spock avrebbe potuto spingerlo via con un solo dito, se avesse voluto, ma si compiaceva del fatto che non lo stesse respingendo. L’altro ufficiale lo fissava un po’ stranito, ma non sembrava intenzionato ad annullare il contatto tra i loro toraci.
“C’è qualcuno a cui sto a cuore, vero?” Domandò dolcemente Jim, scrutando gli occhi dell’altro.
“Capitano… Jim, io…” Provò l’ufficiale.
Jim sorrise un’ultima volta, con comprensione, poi, improvviso come solo lui sapeva essere, annullò la distanza tra le loro labbra e lo baciò. Piano, succhiando appena le sue labbra calde, con ruvida dolcezza.
Spock pensò che era illogico. No, non il fatto di stare baciando il suo capitano, quanto perché era del tutto inopportuno farlo in un turbo ascensore che, da un momento all’altro, si sarebbe aperto sulla plancia. Cominciò a contare i secondi che mancavano all’apertura. Erano sufficienti. Posò una mano sulla nuca di Jim e rispose al bacio. Farsi cogliere di sorpresa non significava essere impreparati, non sarebbe stato da lui.
Si lasciarono un attimo prima che le porte si aprissero. Kirk aveva uno sguardo allegro e malizioso, se possibile più soddisfatto di prima. Spock alzò un sopracciglio con aria complice, poi entrambi si voltarono verso la plancia.
Si trovarono davanti il dottor McCoy, che fissò torvo prima Spock, poi Kirk e spalancò gli occhi con espressione furente.
“Oh, santo Dio, Jim!” Esclamò quindi. “Non ti permetterò di sedere su quella poltrona prima di essere passato dall’infermeria!” Aggiunse, spintonando il capitano di nuovo nell’ascensore.
Jim guardò Spock con un sorriso indulgente e paziente. “A lei la plancia, Signor Spock.” Gli disse. “Parleremo dopo…” Mormorò poi, allusivo, mentre le porte si richiudevano.

E parlammo, sempre molto.

Non quella prima notte, perché furono i nostri sensi a parlare per noi, a dare voce a qualcosa che ci portavamo dietro da troppo tempo.

Ma ricordo conversazioni infinite, mentre giocavamo a scacchi, nudi sul letto. E le tue riflessioni tra le mie braccia, dopo una missione troppo dura. I silenzi, quando parlare non serviva e ci bastava guardarci negli occhi per capire tutto.

E ricordo la tenerezza con cui accoglievi la mia logica a volte ingombrante. E le mie perplessità quando ti dimostravi troppo umano.

Tutte le sfumature di una vita insieme, cangianti e imprevedibili come il colore dei tuoi occhi.

L’amore è qualcosa di troppo potente perché si possa logicamente rifiutarlo. Dobbiamo essere consapevoli che, per tutta la vita, quella persona sarà speciale.

Tu lo sei stato per molti, James Kirk e sono fiero che tu lo sia stato particolarmente per me.

Ti ho dato la parte più nascosta e fragile di me e so che non avrei potuto metterla in mani migliori.

So che mi hai amato quanto io ho amato te.

Spero che tu sia sempre stato certo dei miei sentimenti, con la fiducia incrollabile e così umana che aveva mia madre verso mio padre.

Il Legame ci ha sempre uniti con una purezza particolare, mio caro, caro Jim.

Quando si è spezzato, ho potuto percepirlo anche a mondi di distanza…

Spock spalancò gli occhi all’improvviso, nell’oscurità della stanza, le mani che stringevano convulsamente le lenzuola. La sensazione che lo aveva attraversato lo lasciò senza respiro per qualche secondo. Era stata come una lama gelida che avesse tagliato in due il suo caldo cuore verde.
“Jim…” Mormorò, passandosi una mano sul viso.
Si alzò dal letto dirigendosi alla finestra. La notte di Qo’noS(1) era piena di rumori: voci per le strade, risse e urla, mezzi di trasporto. Il cielo purpureo disegnava ombre sinistre tra gli imponenti palazzi scuri. Le luci di segnalazione brillavano sopra il palazzo del Consiglio Imperiale.
Qualcosa era successo, lontano da lì, oltre i confini dell’Impero Klingon. Molto vicino all’anima di Spock. E sapeva che presto non sarebbe stato l’unico a conoscere la realtà.
Bussarono alla porta, diede il permesso di entrare, anche se non aveva voglia di farlo. Conosceva già la notizia che gli stavano portando.
“Spock…” Chiamò timidamente la voce del dottor McCoy. “È sveglio?”
“Sì.” Rispose semplicemente il vulcaniano.
“Deve per forza stare al buio come un fantasma?” Sbottò burberamente il vecchio amico.
Io sono un fantasma… pensò, ma non lo disse. “Luci, intensità due.” Ordinò invece al computer. “Cosa voleva da me, Dottore?” Gli chiese poi, una volta che una tenue luce giallastra ebbe illuminato la stanza.
“Una cosa assurda…” Esordì McCoy avvicinandosi alla scrivania. “Un messaggio di priorità uno da parte di Montgomery Scott, non capisco cosa possa volere da noi…”
“Qualcosa riguardante il varo dell’Enterprise B.” Dichiarò freddo Spock, sedendosi al tavolo con le mani giunte sul piano. Bones notò distrattamente che le stringeva un po’ troppo forte.
“Non può essere successo niente di grave, quell’astronave è il vanto della Flotta!” Sbottò quindi, mentre inseriva la scheda nel comunicatore. “E c’erano a bordo Scotty, Checov e il Capitano Kirk, suvvia, alcuni dei migliori ufficiali della storia!”
Al nome di Jim il cuore di Spock perse un battito e si ritrovò impaziente di sentire il messaggio e quindi tornare alla sua solitudine. Attivò il comunicatore, mentre McCoy si posizionava dietro di lui, in piedi accanto alla sedia.
Pochi secondi ed il volto serio di Montgomery Scott apparve sullo schermo; i suoi baffi sembravano più spioventi del solito e l’espressione era vaga, gli occhi lucidi.
“Scotty, santo cielo, che diavolo succede?” Chiese immediato il dottore, con tono allarmato.
“Dottor McCoy, Signor Spock, ho voluto contattarvi personalmente, perché ritenevo che un freddo messaggio del Comando di Flotta sarebbe stato… inopportuno…” Esordì titubante l’ingegnere.
“Scotty, cosa è successo?” Stavolta la voce di Bones fu drammaticamente urgente, mentre il vulcaniano fissava lo schermo con espressione impassibile, il volto come scolpito nella pietra.
“Durante il volo inaugurale dell’Enterprise B uno strano fenomeno ha colpito l’area di spazio in cui ci trovavamo, abbiamo soccorso una nave di coloni che stava per essere distrutta, ma gli equipaggiamenti della nave non erano ancora del tutto operativi e…” (2)
“Scott.” Lo interruppe il dottore. “Dov’è il Capitano Kirk?”
Videro gli occhi scuri dell’ingegnere abbassarsi dopo essersi fatti ancora più lucidi; Scotty si mosse a disagio per qualche istante, poi rialzò lo sguardo sullo schermo.
“Ha permesso che si salvassero centinaia di persone, l’intera nave, l’equipaggio e tutti i coloni …” Deglutì e poi tossì col pugno davanti alle labbra. “Se n’è andato come l’eroe che è sempre stato…”
Spock, durante tutto il discorso, era rimasto in silenzio, immobile e senza espressione, come fosse una statua. Lui sapeva già tutto questo, sapeva che era successo qualcosa di irreparabile perché aveva sentito il Legame spezzarsi. Jim era morto e non aveva bisogno di comunicazioni per saperlo.
McCoy, invece, a quella notizia si lasciò sfuggire un gemito, fece un passo indietro e urtò un mobile, facendo pericolosamente oscillare un vaso che vi era sopra.
“Come… com’è potuto succedere?!” Sbottò poi, incredulo. “Non è… non è possibile…”
“Lei lo conosceva, Dottore, si è sacrificato per tutti noi…” Spiegò rammaricato Scott.
Spock, a quel punto, si alzò dalla sedia, l’espressione ancora impassibile. “La ringrazio Signor Scott, è stato leale a volerci comunicare personalmente la notizia.”
Sia Scott attraverso lo schermo, che McCoy dal vivo, lo guardarono basiti, non pensavano che, anche in quell’occasione dolorosa, il vulcaniano si sarebbe dimostrato all’altezza della sua fama, tanto più che erano a conoscenza di cosa lo legava al capitano.
Spock, però, non aggiunse altro e si allontanò dalla scrivania, preferendo tornare alla finestra ad osservare l’alba color sangue di Qo’noS.
Bones lo seguì con lo sguardo, non sapendo bene se doveva arrabbiarsi per quell’atteggiamento freddo, o cercare di capire cosa si nascondeva dietro l’austerità impassibile del vulcaniano. Da quando aveva avuto dentro il suo katra doveva ammettere di capirlo un po’ meglio, ma la sua assenza di emozioni non finiva mai di sconvolgerlo.(3)
Il dottore scambiò ancora qualche parola con Scott, poi chiuse il collegamento e raggiunse il vulcaniano vicino alla grande finestra. Il cielo rosseggiava e una nebbia grigia danzava tra le cime dei palazzi. La cupa e decadente bellezza della capitale Klingon aumentava la tristezza.
“Non c’è un corpo.” Il medico si sentì in dovere d’informare l’altro ufficiale. “Gli tributeranno tutti gli onori, naturalmente vogliono che siamo presenti.” Spock annuì. “Credo che essere disperso nello spazio dopo un atto eroico si avvicinasse molto al suo ideale di morte.”
“Ne sono certo.” Confermò il vulcaniano.
“Spock, io…” Tentò il dottore sollevando una mano.
“Non si aspetti di vedermi piangere o strapparmi i capelli, Dottore.” Replicò immediato l’altro.
“Qualche reazione in più, ad ogni modo…” Spock lo guardò: Bones era pallido, come invecchiato di colpo, i suoi occhi erano tristi e non lo guardavano.
“Un cuore spezzato presenta forse qualche lesione, ad un esame patologico?” Chiese serio al vecchio amico, che negò col capo. “Allora non mi chieda di mostrare il mio dolore, sappia solo che la cosa più preziosa che avevo mi è stata tolta e non riavrò mai più metà della mia anima, non c’è manifestazione emotiva che possa compensare questo.” Mise le mani dietro la schiena e rivolse di nuovo lo sguardo al cielo rosso. “Necessito di solitudine, ora.”
“Hm…” Fece McCoy con una smorfia amara. “E io avrei bisogno di un buon bicchiere di bourbon, ma temo che dovrò accontentarmi di quella densa e aspra brodaglia klingon!” Posò una mano sulla spalla del vulcaniano, tremava appena. “Brinderò in onore di Jim, se vorrà unirsi a me, mi troverà in salone.” Gli diede una leggera pacca e si allontanò.
Leonard aveva dentro un dolore che, anche per un uomo emotivo come lui, era difficile da esprimere. Il magone gli fece tremare la mandibola e inumidire gli occhi proprio mentre metteva la mano sulla maniglia; trattenne le lacrime con un lungo respiro, poi si girò a guardare l’amico.
Spock era immobile nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato: le mani giunte dietro la schiena, il volto imperscrutabile rivolto all’esterno, mentre la luce si faceva più chiara. E c’era qualcosa di terribilmente triste in quella sua staticità che lo addolorò più di quanto già non fosse successo. Quel giorno, forse, li perdeva entrambi.

Leonard era un caro amico, più sensibile e profondo di quanto lui stesso volesse ammettere. La sua presenza mi è stata di conforto e temo che non lo abbia mai capito.

Il tempo è passato, ad ogni modo, ed ho visto i vecchi compagni andarsene uno alla volta, finché sono rimasto soltanto io.

Solo col tuo incancellabile ricordo, Jim.

Ma è qualcosa con cui convivo e non sempre è spiacevole. Ci sono miriadi di ricordi belli che amo coltivare e che mi hanno aiutato.

È la tua forza che è sempre dentro di me.

Forse è venuta da lì, la decisione di andare su Romulus.

Una nuova vita, un nuovo scopo, su un pianeta ostile e nemico.

Ma considero i Romulani come miei fratelli e, per me, è logico che anche essi possano giovare degli insegnamenti di Surak e diventare un popolo migliore.

Tutto mi sarei aspettato, tranne il messaggio arrivatomi da un nuovo amico, che ha rischiato molto pur di avvertirmi di ciò che era successo.

Il mio malessere di quei giorni lo avevo attribuito all’età ormai avanzata, invece era il Legame.

Ritornato insieme a te dai meandri dello spazio-tempo.

E, infine, sei morto davvero.

Non c’ero io al tuo fianco durante l’ultima avventura, ma Jean-Luc è un brav’uomo, un uomo saggio e sono certo che è stato una valida spalla per te.

Ma io non c’ero. Sei morto due volte e in nessuna delle due ti ero accanto.

Per questo ho affrontato il viaggio che mi ha riportato sulla Terra.

Per te e per l’ultima promessa che ci siamo scambiati.

Spock tornò in soggiorno e vide la scacchiera tridimensionale pronta per l’ennesima partita, ma Jim non era seduto al tavolo e non stava preparando un drink. Alzò gli occhi e lo vide sul terrazzo affacciato sulla baia. Lo raggiunse lentamente, le braccia incrociate e infilate nelle ampie maniche della tunica.
“Non dovresti indugiare sul balcone.” Disse al capitano. “È una notte fredda.” Aggiunse pacato.
“Non così fredda.” Rispose Kirk sorridendo.
Il vulcaniano si stupiva sempre considerando quanto poco, nel corso degli anni, fosse cambiato il sorriso di Jim: era sempre così caldo, accogliente, seducente e dolce.
“Riflettevi su qualcosa in particolare?” S’informò il vulcaniano.
“Il tempo che passa.” Spock sollevò un perplesso sopracciglio. “Credo di poter sopportare il diventare una vecchia leggenda vivente buona solo a tagliare nastri e svezzare novellini, ma tu mi conosci, non saprei essere un uomo inutile.”
“Non potresti mai esserlo.” Sostenne l’altro, fermandosi accanto a lui, gli occhi rivolti al mare.
“Ma adesso ci sarà una nuova Enterprise, con un nuovo Capitano, nuove avventure, senza di noi…” Spock scrutò il suo profilo chiaro contro la notte, era sempre un bell’uomo Jim.
“Ci sono infinite possibilità.” Dichiarò quindi, continuando ad osservarlo. “Milioni di cose che potresti fare…”
“Ho pensato di diventare Capitano di una nave cargo.” Lo sorprese Kirk, il sopracciglio di Spock scomparve sotto la sua frangia. “Oppure di aprire un locale su una stazione spaziale – l’avventura non manca mai in certi posti – o anche…”
“Un incarico di comando nella Flotta.” Lo interruppe l’amico. Jim lo guardò divertito.
“Sai che non me lo offrirebbero mai.” Replicò poi, sarcastico. “Tu, cosa pensi di fare?” Gli chiese.
Spock indugiò qualche istante, posando le mani sul cornicione; i suoi occhi seguirono la scia delle luci lungo il ponte, fino al familiare profilo delle costruzioni dell’Accademia della Flotta Stellare.
“Credo che la carriera diplomatica mi sia consona.” Affermò infine; Jim sorrise.
“È fatta apposta per te, credimi.” Gli disse dolcemente. “Anche se, molto umanamente speravo che mi proponessi un luogo tranquillo dove ritirarci insieme e vivere in pace, proposta che avrei dovuto a malincuore rifiutare.”
“Come al solito fai pensieri del tutto illogici, oltre che contrastanti.” Commentò tranquillo Spock. “Sapendo che l’avresti rifiutata, speravi comunque in una mia proposta in tal senso… è senza ragione perfino per te, Jim.”
Lui rise, mentre il compagno rispondeva con la sua solita luce ironica negli occhi; poco dopo, però, Kirk si fece più pacato, posò la mano su quella del vulcaniano e lo guardò negli occhi con intensità.
“Se io fossi capace di vivere così, non vorrei altro che una casa con un bel panorama e te che mediti sul mio divano.” Ammise con tenerezza, stringendo piano la sua mano calda; Spock fece per dire qualcosa. “E non dirmi che non mediti sui divani!”
“In effetti, no.” Concluse lui.
Lo sguardo di Jim, però, si fece ancora più intenso, mentre fissava gli occhi scuri del suo primo ufficiale. Il vulcaniano non parlò, ma aspettò che l’altro finisse il discorso.
“Devi sapere che, se fossi un uomo diverso, sarebbe tutto ciò che vorrei.” Dichiarò deciso Kirk.
“Ma tu sei James Tiberius Kirk ed appartieni alle stelle.” Affermò Spock, con una dolcezza che solo Jim gli conosceva. “E non vorrei mai che tu fossi un uomo diverso, T’hy’la.”
Jim sorrise con amore al suo adorato vulcaniano. Perché dopo trent’anni vissuti fianco a fianco, riusciva a fargli ancora trovare un motivo per amarlo un po’ di più, nonostante il tempo che passava, la lontananza, gli eventi che li dividevano.
“Adesso tu e Bones tornerete su Qo’noS?” Domandò quindi Kirk, senza lasciare la mano di Spock. Lui annuì. “Quanto durerà ancora la missione?”
“Qualche altro mese, probabilmente.” Rispose l’altro.
Jim gli lasciò la mano e si rimise ad ammirare le luci di San Francisco, mentre una luna particolarmente luminosa faceva capolino dietro un paio di nuvole, proprio sopra il ponte.
“Mi mancherete.” Ammise infine il capitano.
“Sono certo che il Dottore sarebbe lusingato da questa tua dichiarazione.” Fece ironico il vulcaniano, Jim ridacchiò. “Ci vedremo appena tornati.” Aggiunse allora Spock.
“Certo…” Confermò con un cenno Kirk, ma il suo tono sembrava incerto.
Spock gli toccò una spalla, costringendolo a guardarlo negli occhi. Tra loro, anche quando erano solo amici, non era mai stato necessario parlare troppo, si capivano al volo – qualcosa che i vulcaniani avrebbero potuto definire come una sorta di empatia preferenziale, ma che Kirk preferiva chiamare magia. I loro occhi si parlavano più forte delle parole.
“È un mondo che finisce, Spock.” Gli disse con emozione. “E noi siamo ciò che resta di quello vecchio.”
“Il meglio.” Soggiunse il vulcaniano.
“Il meglio, sì.” Annuì Kirk. “Presto anche noi saremo solo un ricordo.” Aggiunse però.
“Non sei mai stato spaventato dal futuro.” Gli disse l’altro, con la sua tipica espressione interrogativa.
“Non quando ero sulla plancia della mia nave, con te accanto.” Replicò amaro Kirk.
“Ma io…” Fece Spock, posando una mano sulla sua spalla. “…io sono sempre qui, Jim.” Gli garantì quindi, con quella luce fiera ed appassionata che da sempre gli brillava negli occhi.
Il capitano gli sorrise, poi alzò una mano e gli carezzò il viso. Era un gesto che Spock aveva sempre amato, perché trasmetteva l’affetto, la cura, che Kirk aveva sempre avuto per lui.
“Quando tornerò, vorrei fare un viaggio nell’Iowa.” Confessò poi il capitano, mentre circondava la vita di Spock e gli si faceva più vicino. “Promettimi che verrai con me.”
“Te lo prometto.” Annuì solenne il vulcaniano. “Andremo insieme nell’Iowa e mi mostrerai le praterie che ho visto solo nei tuoi occhi.” Aggiunse dolcemente, stringendo a se l’umano.
“Resta, stanotte.” Supplicò Jim contro il suo collo.
“Se desideri veramente la compagnia di un vecchio Vulcaniano che non può più garantire le prestazioni di un tempo…” Mormorò Spock con una punta di malizia.
“Mi accontenterò!” Scherzò il capitano ridendo.
Si guardarono negli occhi per un lungo momento, poi si presero la mano e rientrarono in casa.

Non ci siamo più visti.

Te ne sei andato tra le stelle, nel posto a cui apparteneva il tuo cuore, molto più di quanto sia mai appartenuto a me.

Ma dovevo sapere che non poteva essere semplicemente finita così.

No, non per James T. Kirk.

Il messaggio del Capitano Picard mi ha sorpreso, soprattutto per il suo contenuto. E mi ha addolorato, perché ancora una volta non ero con te.

Hai ancora fatto la differenza, Jim? Anche tre le rocce di Veridian III? Sono certo che è così.

E io non potevo di nuovo lasciarti solo. Dovevamo fare insieme il tuo ultimo viaggio.

Ho guardato quella tomba fatta di rocce ambrate, che ricordavano un po’ il colore dei tuoi occhi, mentre il vento di Veridian colpiva il mio viso ed il dolore lacerava di nuovo la mia anima, come la prima volta che te ne sei andato.

Avevo già deciso – prima di partire – che ti avrei portato a casa, sulla Terra, nel tuo Iowa. Ti avevo promesso che ci saremmo andati insieme, al tuo ritorno.

E tu sei tornato.

Prima di andare al teletrasporto, sfioro un’ultima volta il feretro di metallo. La mia ultima carezza per te, T’hy’la…

Metà della mia anima. Mio Capitano. Amico, fratello mio. Mio amore.

Sei stato così tante cose per me, Jim.

Sarebbe complicato spiegare i legami di lealtà, affetto, comprensione, orgoglio, rispetto che ci hanno legati tra noi e con il resto dell’equipaggio, ma è in essi che va cercato il significato di questo mio gesto apparentemente illogico, del viaggio che ho intrapreso.

Non l’ho fatto solo per me e per il nostro amore.

Quando avrai preso posto in quella tomba rimasta vuota troppo a lungo, io sarò in pace non solo con me stesso, ma anche con la memoria delle persone che sono state la mia vera famiglia.

Riporto a casa colui che ci ha tenuti uniti, il nostro Capitano.

Riporto a casa il mio Jim.

FINE


NOTE:
  1. La presenza di Spock e McCoy nell’Impero Klingon è riferita al romanzo “L’ultimo raduno” di Christie Golden dove i due svolgono una missione diplomatica in seguito al trattato che aveva sancito la pace tra Federazione e Impero; nello stesso periodo Kirk, dopo un’ultima avventura, decide di presenziare al varo dell’Enterprise B.
  2. Tutta la scena è riferita al prologo del film “Generazioni” in cui Kirk “muore” per salvare la nave dal Nexus.
  3. Riferimento al finale di “L’ira di Khan” ed al successivo “Alla ricerca di Spock” in cui il dottore si ritrova con tutta l’essenza e la conoscenza di Spock dentro di se, passata dal vulcaniano al momento della morte (non spoilero nulla a nessuno, son film degli anni 80…)

Beh, spero davvero di non avervi annoiato troppo, casomai prendetevela con Spock, lui incassa bene ^_^
Lunga vita e prosperità.





   
 
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