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Autore: Somewhere in Neverland    21/12/2012    4 recensioni
Una vecchia storia diceva che gli abitanti del distretto avevano l’acqua del mare mescolata al sangue,che il loro cuore pulsante spingesse nelle vene l‘acqua salata,che la sabbia fosse l‘elemento che costituiva i loro muscoli allenati da pescatori. Ognuno di loro veniva battezzato in acqua,consacrato alle onde e alla schiuma. Ognuno di loro sentiva quel richiamo potente,quella presenza incantevole nella sua vita,come un eterna,dolce canzone.
A nessuno di loro era mai stato insegnato a nuotare. Era naturale,come camminare,come respirare,o aprire gli occhi la mattina appena svegli. Nessun’altro distretto era legato con tanta forza alla sua attività. Per nessuno di loro quello era soltanto un lavoro. Era qualcosa che sin da bambini cresceva e gli dava forza,come un albero che avidamente succhia alla terra gli elementi che servono alla sua vita e gli permettono di crescere.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Cresta, Finnick Odair
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il sole si stava alzando pigro nel cielo quella mattina sulle acque calme del distretto 4.
L’acqua brillava come se fosse stata di diamante purissimo.
Le sue sfumature andavano dal blu intenso al verde cristallino, creando un meraviglioso contrasto con il cielo, spirale di vivi colori. Rosso, giallo, arancione, rosa si amalgamavano alla perfezione, mentre il giovane sole sorgeva accompagnando il cammino dei pescatori, decine di uomini che avanzavano silenziosi verso le loro piccole imbarcazioni per non disturbare la quiete dell’alba.
Le loro barche erano bianche, blu, azzurre, con i vecchi colori che si andavano lentamente scrostando dal legno e che scivolavano via, e con loro scivolava via la loro vecchia grazia.
Finnick osservava in silenzio la scena,appoggiato alle assi di legno che tenevano in piedi una vecchia casupola dove abitava un anziana donna che probabilmente a quell’ora del mattino si trovava ancora tra le braccia amorevoli di Morfeo, l’unico uomo che le era rimasto alla sua veneranda età.
Il ragazzo sorrise quando gli uomini cominciarono a depositare le reti sulle imbarcazioni, sbrogliando in fretta e furia le matasse per poter finalmente riunirsi al loro elemento naturale : il mare. 

 
Una vecchia storia diceva che gli abitanti del distretto avevano l’acqua del mare mescolata al sangue, che il loro cuore pulsante spingesse nelle vene l‘acqua salata, che la sabbia fosse l‘elemento che costituiva i loro muscoli allenati da pescatori.
Ognuno di loro veniva battezzato in acqua, consacrato alle onde e alla schiuma.
Ognuno di loro sentiva quel richiamo potente, quella presenza incantevole nella sua vita, come un eterna, dolce canzone.
A nessuno di loro era mai stato insegnato a nuotare. Era naturale, come camminare, come respirare, o aprire gli occhi la mattina appena svegli. Nessun’altro distretto era legato con tanta forza alla sua attività. Per nessuno di loro quello era soltanto un lavoro. Era qualcosa che sin da bambini cresceva e gli dava forza, come un albero che avidamente succhia alla terra gli elementi che servono alla sua vita e gli permettono di crescere. 
Quando finalmente le barche furono sospinte in mare e gli uomini presero il largo Finnick estrasse le mani dalle tasche, avanzando verso la spiaggia a piedi nudi e carezzandosi il braccio sinistro con la mano destra, come se la brezza fresca penetrasse nelle sue ossa,come a ripararsi da un gelo che si era stanziato da mesi ormai nel suo cuore.
 
Ricordava quel giorno. Il giorno in cui la sua vita era cambiata,per sempre.
Il giorno in cui il suo nome era stato estratto alla mietitura.
Genitori,figli,nonni. Tutti sentivano le mani gelide della morte avvolgerli mentre il giorno della mietitura si avvicinava,pronta a strappargli chi più amavano al mondo. Tutti temevano l’avvento di quel terribile demone, ma nessuno pensava di poter essere davvero carpito da quelle spire infernali.
Era come l’inferno di cui tanto si predicava. Lontano, finchè non ci finivi dentro.
E accadde.  
A volte sentiva ancora quella voce stridula che risuonava per la piazza chiamando il suo nome.
La sentiva nei sogni, rimbombare e farsi fredda e metallica, distorta, e allora i sogni diventavano incubi e le sue mani si aggrappavano disperate ai lenzuoli madidi di sudore.
Poi, nella sua mente si confondeva un turbinio di colori.
Il treno, Capital City, la folla adorante, gli sponsor.
Milioni di parole che non voleva ascoltare, milioni di bugie che gli bruciavano in gola. L’arena, la vittoria. La morte. La morte della sua anima. Nessuno tornava veramente a casa dall’arena. Ogni anno vi era un vincitore e ventitrè morti, ma erano ventiquattro le anime che per sempre sarebbero rimaste intrappolate in quel cimitero di ossa e lacrime che era l’arena.
E così era accaduto a lui, poco più di tre anni prima. La terra si era aperta in due,i demoni si erano riversati su di essa,impadronendosene. O era solo la sua mente…?
Si tolse la maglia, poi i pantaloni, lasciandoli ricadere sulla sabbia ancora umida a causa della brina notturna, sorridendo al pensiero dei vestiti caldi che l’avrebbero atteso all’uscita dall’acqua. Poi avanzò. Come un equilibrista, un passo dopo l’altro, uno avanti all’altro, veloci, leggeri, per non violare quella pace perfetta. Chiuse gli occhi, e un istante dopo era già in acqua. Si immerse, un lieve ronzio che disturbava appena la quiete e il silenzio dell’oceano. Le sue braccia e le sue gambe si muovevano in perfetto sincrono, sospingendolo verso le profondità del mare. Voleva la pace, e quel luogo era l’unico dove era sempre riuscito a trovarla, sin da quando non era altro che un bambino. Ricordi, ancora. Immagini perfette, dolorose e allo stesso tempo incantevoli. 
Il giorno in cui finalmente era potuto tornare a casa,e tutto era diverso. La sua vecchia baracca di famiglia era ormai dimenticata, e lui si trovava solo in un enorme casa vuota, nel villaggio dei vincitori. Una casa fredda e statica che di suo non aveva nulla, così aveva cominciato a correre. Con tutte le sue forze,aveva corso. Ignorando le urla di chi lo chiamava,di Mags che provava a fermarlo, di coloro che volevano dirgli che era il bentornato. Ignorando qualunque anima viva per non essere costretto a vedere nei loro occhi quelli di chi era morto per mano sua. Aveva corso, fino a rimanere senza fiato. Fino a immergersi nel mare,fino a raggiungere quella piccola grotta dimenticata. 
E respirare finalmente il profumo di casa sua.
Era passato tanto tempo da quella corsa disperata. Ora il suo respiro era regolare,i suoi battiti tranquilli, i suoi movimenti fluidi. Non era la paura, non c’era un passato dal quale fuggire ad inseguirlo. L’acqua si faceva sempre più blu man mano che scendeva. Il fondale era impossibile da vedere, e i riflessi del sole che si scontrava e riappacificava centinaia di volte con il mare e che facevano risplendere l’acqua in determinati punti come uno dei tanti riflettori di Capital City. Riflettori che sempre erano stati puntati unicamente su di lui.
Quando i suoi polmoni stavano cominciando ad avere un disperato bisogno d’aria finalmente scorse la grotta, e velocemente si addentrò in essa.
Si trovava molto sotto il livello del mare ed era accessibile da quell’unico punto. Eppure,risalendo,si arrivava a un enorme spazio fuori dall’acqua,completamente nascosto agli occhi di tutti,ma con aria pura e luce che proveniva da quelle che probabilmente erano crepe nascoste. Quello era il suo nascondiglio. Il suo segreto.
Risalì fino alle alla superficie dell’acqua, tirandosi su sul pavimento della grotta facendo pressione sulle braccia e trovandosi davanti qualcosa che lo fece quasi mollare la presa e precipitare nell’acqua senza aver neppure avuto il tempo di prendere fiato.
Un corpo era steso sul pavimento della grotta,il vestito ancora umido,i capelli castani che incorniciavano la pelle bianchissima fino a un punto indefinito ben oltre le spalle. 
Finnick si tirò su velocemente,avvicinandosi con uno scatto silenzioso. 
Mille pensieri gli ronzavano in mente,e i suoi occhi stanchi mandavano strani impulsi,un bruciore lancinante che sembrava urlare “Basta.Basta morte,basta cadaveri,corpi freddi. Basta.” Perché i suoi demoni non poteva lasciarli nell’arena?
Si avvicinò al corpo della ragazza finchè non fu sopra di lei,chiedendosi come fosse arrivata,come fosse morta. Cercando di rievocare quel nome,mentre i capelli sul viso nascondevano parte dei suoi tratti. Poi, due occhi verdi come la foresta si puntarono su di lui,e lui,il famoso Finnick Odair,il ragazzo che a soli quattordici anni aveva vinto gli Hunger Games sobbalzò, facendo un passo indietro e rischiando di cadere malamente in una pozza d’acqua. La ragazza sorrise, seguendolo con lo sguardo senza però alzarsi, sforzandosi di trattenere una risata.
-Che ci fai tu qui?
Il ragazzo sbuffò, passandosi una mano tra i capelli per cercare di darsi un contegno.
La conosceva, frequentavano la scuola insieme e gli era capitato di scorgerla mentre rideva in cortile, o mentre scambiava quattro parole gentili nei corridoi, o ancora quando correva sulla spiaggia più veloce e più leggera di tutti, e nuotava più a lungo e più lontano di qualunque ragazzo o ragazza del distretto. Forse c’era stato un tempo in cui anni prima aveva giocato con lei e un’altra ventina di bambini intorno al fuoco,a una festa di paese,ma non ne era sicuro. Era solo l’ennesimo volto visto e rivisto, solo una ragazzina del suo distretto che faceva girare gli anziani e scuotere la testa alle donne del paese, quando il suo sguardo si perdeva nel mare, quando a pochi anni scappava da casa e correva in spiaggia, e nuotava, nuotava per ore finchè non era stanca e si addormentava sulla spiaggia, e i pescatori che la trovavano il mattino dopo sorridevano e la coprivano con i loro giacconi. Era una bambina speciale che tutti amavano, una bambina diversa, originale, una bambina che sembrava nata dal mare e non poter stare lontano da esso.
Doveva avere uno, due anni meno di lui. Cercò di rievocare il suo nome nella sua memoria, tra le chiacchiere delle donne del paese origliate anni prima mentre sorridevano e stendevano i panni al sole mormorando che quella bambina era davvero originale. Che la piccola Annie aveva il mare negli occhi.
Ecco chi era.
Annie. Annie Cresta.
Lei si tirò su, appoggiandosi sui gomiti e guardandolo con aria appena divertita.
-Potrei porti la stessa domanda
Lui sbuffò,facendo un gesto con la mano come a zittirla.
Aveva invaso il suo rifugio,rotto la sua quiete.
Quello era il posto dove si rifugiava quando aveva bisogno di non ascoltare nient’altro se non il suo stesso respiro,e lo vedeva violato da una ragazzina di cui a fatica ricordava il nome. Strinse un pugno,prendendo un respiro e sedendosi sul bordo della pozza, pronto a immergersi per la seconda volta e a tornarsene da dov’era venuto. Era arrabbiato, furioso. Quel posto era suo da quando non era altro che un bambino. Da quando,quando…
Suo padre gli aveva insegnato ogni segreto del mare. Lo portava a pesca da quando aveva memoria. I nomi dei venti, dei pesci, gli orari migliori per prendere il largo, riconoscere le tempeste in arrivo. Ormai era per lui più naturale e semplice perfino di proferire parola. 
Ma quel giorno l’equilibrio s’era spezzato. I pescatori erano usciti per una pesca notturna, con le lanterne, le matasse e le mogli che dolcemente li baciavano sulla nuca e gli consegnavano fagotti pieni di stufato caldo e morbido pane. 
Finnick aveva pregato, imprecato, battuto i piedi. Suo padre si era rifiutato di portarlo. Gli aveva detto di essere un bravo ometto, gli aveva ripetuto che non potevano lasciare la mamma da sola una notte intera e che doveva rimanere con lei. 
Poi le barche avevano preso il largo nella notte scura, e nessuno di loro era più tornato. 
Suo padre, l’uomo dagli occhi verdi come la foresta che gli aveva insegnato a sentire il profumo delle nuvole colme di pioggia, come aveva potuto non accorgersi di ciò che sarebbe accaduto?
Se n’era accorto. La tempesta era in arrivo e l’uomo aveva alzato gli occhi al cielo, correndo velocemente dall’altro capo della sua barca rischiando di rovesciarla e cominciando a urlare con tutto il fiato che aveva in petto. I pescatori si erano voltati, avevano cominciato a raccogliere le masse, a remare. Le onde si innalzavano con violenza, i venti soffiavano forti e burrascosi.
Poi, un uomo in mare.
L’amico di una vita che spariva tra le onde, e il padre di Finnick si lanciò nelle acque nere.
Tutti si bloccarono.
Un folle tentativo di salvataggio, pochi minuti che furono abbastanza per distruggere ogni cosa.
Il cielo e il mare si fusero in un tutt’uno, e divenne troppo tardi.
E quando delle navi avevano fatto ritorno soltanto vecchie assi riverniciate, lui era scappato.
Si era tuffato in mare mentre le persone dietro di lui gridavano, e aveva nuotato finchè non aveva sentito le membra doloranti e stanche.
Ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva quelli di suo padre, così s’immerse, il viso nell’acqua gelida in modo che i pensieri lo liberassero finalmente da quella dolorosa catena d’immagini.
E mentre nuotava verso le profondità sconosciute del distretto aveva trovato l’ingresso di quella grotta, e da allora vi era sempre tornato.
E ora quella ragazzina era lì. A infrangere la quiete, muri che vanno in pezzi e non possono tornare ciò che erano.
Nulla di ciò che si spezza può.
Sentì una mano fresca poggiarsi sulla sua spalla, trattenendolo con delicatezza.
La ragazza si sedette accanto a lui, immergendo le gambe toniche nell’acqua fredda e muovendo appena i piedi, lo sguardo basso, i capelli bagnati incollati sul collo, sulla schiena, sul seno. 
-Ti senti protetto, qui
Finnick non seppe interpretare quelle parole.
Era una domanda? Era una costatazione su quel luogo perfetto in cui il tempo si fermava, e le pareti erano striate di ombre verdacee che seguivano dolcemente i movimenti dell’acqua? Dove l’unico suono era quello delle onde che si infrangeva contro gli scogli, dove sentivi te stesso, ogni tua particella riempirsi di vita e il sangue scorrere centimetro dopo centimetro nelle tue vene.
-Non ho intenzione di sforzarmi di capire i tuoi discorsi strambi
Quella risposta era sicura. Non ammetteva,non negava. Rimaneva protetto nella sua ampolla cristallina, quella che nessuno avrebbe distrutto. Perché quando tocchi il fondo non puoi più precipitare.
Annie sorrise, continuando a tenere gli occhi fissi davanti a sé.
-Non dobbiamo parlare per forza
-No,non dobbiamo.
Lei scosse appena la testa,muovendo i piedi nell’acqua,creando dei piccoli cerchi,piccoli inizialmente,che si andavano ingrandendo e diventavano più profondi.
Finnick strinse i pugni, cercando qualcosa di logico,qualcosa con cui avrebbe potuto pungerla nel profondo e farla andare via, lontano dal suo tempio e dai suoi occhi. Ma non trovò nulla.
In lei non c’era da scavare, non c’erano terre sconosciute che portavano errori nei loro venti, c’era soltanto un viso pulito e una pelle coperta di pensieri che disordinatamente si rincorrevano.
Non c’erano segreti, neppure quell’accenn0 di stranezza che le aleggiava intorno veniva nascosto.
Tutto in lei era così puro da suscitare fastidio nel ragazzo, che da tempo aveva dimenticato cosa quella parola significasse.
Alzò la mano facendo un movimento infastidito, come a cercare di allontanarla.
-Vattene via,Cresta
Annie si stiracchiò socchiudendo gli occhi e buttando indietro il capo con naturalezza, i capelli scuri che le solleticavano la schiena. 
-Mi chiedo se sono i tuoi modi garbati a conquistare le donzelle d’ogni dove. Come resistere a cotanta galanteria? 
Alzò lo sguardo, lanciandogli un occhiata tanto profonda da farlo rabbrividire, come se il gelo fosse penetrato direttamente nelle sue ossa. 
E solo in quel momento,appena un istante prima che la ragazza s’immergesse,Finnick notò qualcosa che prima era sfuggito alle sue occhiate stizzite.
Gli occhi della ragazza erano cerchiati da scuri solchi, le pupille arrossate tanto da apparire impregnate di sangue.
La seguì con lo sguardo,facendo scattare istintivamente una mano come a tirarla indietro, senza però osare sfiorarla. 
La guardò nuotare verso le profondità dell’oceano, e si chiese perché quegli occhi verdi sembrassero così intirsi di dolore. Poi scosse la testa e spinse via quel pensiero scomodo.
Perché Finn sapeva.
Sapeva che quando la tua vita è una guerra, tu non devi mai abbassare la guardia. Aveva imparato quella dura lezione con i piedi immersi nel sangue dell'arena, e mai l'avrebbe dimenticata.
Ma in quell’istante, mentre vedeva i suoi muscoli tendersi e gli arti che si muovevano in perfetto sincrono,gli parve di capire perché tutti ritenessero quella ragazza una creatura secolare, figlia di quelle donne che abitavano i mari e dei pesci avevan sembianza.
 
 
 
 
 
Annie si avvolse tremante nei suoi abiti,gocce salate che le scorrevano lungo la schiena scuotendola profondamente, come se il gelo potesse scivolarle sotto la carne e dentro ogni arteria.
La sabbia sembrava incollarsi alla sua pelle,il vento appariva troppo gelido. Tutto era sbagliato, e neppure nuotare sembrava averla calmata quella  volta. Si lasciò scivolare nella sabbia, che si incollò prontamente alle sue braccia, al suo volto, insinuandosi tra i capelli e bruciando come fuoco. 
Non era in collera con il giovane Odair: Annie non riusciva a provare collera nei confronti di nessuno.
Ma ogni altro sentimento sembrava godere di quella mancanza e amplificarsi, come appropriandosi dello spazio del fratello mancante. 
Gioia, dolori le scorrevano nelle vene, e la ragazza cominciò a correre verso casa con tutte le forze che aveva, senza badare ad alcun dolore, senza prendere respiro.
Ripetendosi che quelle paure sarebbero scomparse se solo avesse corso più forte.




 
 
recensioni critiche e non sempre gradite :3
Nev

  
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