Fanfic su artisti musicali > Conor Maynard
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Autore: Alessandra S    22/12/2012    1 recensioni
«Sono io che devo decidere se dargli un'altra possibilità o no, non tu, io, e non lo farò, sai perché ? Perché doveva pensarci prima che stava facendo una cazzata, non pentirsi dopo, doveva pensarci prima ! Come posso io provare a costruire una relazione stabile con una persona che prima agisce e poi pensa ? Quando avrò un mutuo, le bollette da pagare, la spesa da fare... come potrò fidarmi di una persona che potrebbe sperperare tutti i miei guadagni perché aveva voglia di giocare alle slot machine e lo ha fatto senza pensarci due volte ? Come posso ? Non posso, non posso, e io voglio una relazione stabile, ho quasi venticinque anni, John, voglio un fidanzato da baciare la sera, prima di andare a dormire, voglio sposarmi, voglio un bambino, voglio cose che Conor, con la sua immaturità, non può darmi, o cresce, oppure non è lui l'uomo per me»
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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«Will you stay for the night ?» «Sure, my little flower»

 

Aveva nevicato.

Aveva nevicato tutta la notte.

La città era coperta da un elegante manto bianco che copriva anche il più piccolo pezzo di strada.

La città era coperta da una fredda coperta bianca che, con il suo gelo, anestetizzava tutto.

Tutto era fermo.

L'aria fredda era l'unica cosa che correva. Correva tra i palazzi, sbatteva sulle finestre, s'infilava nelle giunture e ti ghiacciava le ossa.

La televisione trasmetteva un vecchio film di Natale, i colori erano sbiaditi, la definizione dell'immagine bassa e l'audio rimbombava e gracchiava.

L'acqua per il the bolliva sul fornello, bolliva già da un po', ma non avevo voglia di spegnere il gas.

I termosifoni schioccavano rumorosamente e alcune assi del parquet cigolavano.

Tra le mani tenevo ancora stretto il cellulare, lo tenevo ancora saldo nel pugno. Era ancora caldo sull'auto-parlante e vicino al microfono, lo schermo era ancora appannato dal mo fiato e rigato da piccole strisce di sudore.

Appoggiata allo stipite della porta-finestra, con una coperta buttata sulle spalle, vagavo con gli occhi sull'orizzonte, li lasciavo scivolare liberi su quel manto nevoso che ricopriva il balcone, che ricopriva la ringhiera, che ricopriva il mobiletto con l'acqua e con le birre. Trovavano sollievo, trovavano sostentamento i miei occhi rossi e gonfi nella dolce frescura della neve.

Dal salotto arrivava il bagliore dei piccoli led intermittenti che avevo appeso all'abete, difondevano il luccichio degli addobbi in tutto il salotto.

Le statuette del presepe sembravano guardarmi con pena attraverso la vetrata opaca che divideva la cucina dal salone.

Un allegro Babbo Natale danzava "Jingle bells" sul tavolino da the tra i due divani.

Avrebbero dovuto mettermi allegria tutte quelle decorazioni, ma non ci riuscivano, mi mettevano solo rabbia, rabbia e tristezza.

Me lo sarei dovuta aspettare da Conor, d'altronde lui era quel tipo di ragazzo.

Lui non era in grado di stare con una sola ragazza per volta, lui ne voleva sempre di più, due, tre, quattro... tutte insieme.

Gli piaceva da morire... tradire.

Gli dava un senso d'onnipotenza.

Se più di due ragazze urlavano il suo nome sotto le lenzuola a distanza di poche sere lui si sentiva Dio.

Era fatto così.

Avrei dovuto capirlo.

Avrei dovuto capirlo dai suoi occhi bassi quel giorno, avrei dovuto capirlo dalle telefonate sempre meno frequenti , avrei dovuto capirlo dai baci sempre più sporchi, con sempre meno passione.

Ero diventata la sua puttana, una delle tante, nulla di più.

Ed ero incazzata, ero incazzata perché io, invece, ero innamorata, ero incazzata perché a lui avevo dato il cuore, ero incazzata perché me l'aveva detto a pochi giorni da Natale, con una telefonata alle undici di sera.

Sospira forte, per cercare di dissolvere quel peso ce sentivo sul cuore, ma l'unica cosa che ottenni furono le lacrime, amare e salate, che gocciolavano sulla ferita appena aperta.

Ricominciai a piangere, la terza volta dopo quella telefonata, le spalle scosse da forti singulti la vista appannata.

Mi accasciai piano, fino a toccare le piastrelle, accarezzandole con le dita, mi sdraiai su quel pavimento freddo, strinsi la coperta sulle spalle e chiusi gli occhi.

 

«Ciao Corine, buon Natale ! Conosci Conor ?» mi chiese John indicando il ragazzo che mi aveva aperto la porta e che ora mi guardava con un sorriso affabile.

«No. Piacere Conor, sono Corine, la sorella di John...» «John, non mi pare avessi accennato alla natura angelica di tua sorella...» commentò il ragazzo guardando mio fratello e stringendomi la mano, interrompendomi «Invece a me non pare avessi accennato alla natura da casca-morto del tuo amico... anzi, non hai proprio accennato al tuo amico» ribattei entrando in casa di mio fratello, mentre John rideva e mi sfilava il cappotto per riporlo nell'armadio.

Riservai a quel ragazzo un bruciante sguardo di sfida prima di raggiungere la sala da pranzo dove ci attendevano tutti i nostri amici che ogni vigilia io e mio fratello invitavamo a casa o dell'uno o dell'altro per passare una serata di festa insieme.

L'atmosfera era calda e rilassante, c'erano tutti, e tutti chiacchieravano allegramente, appena mi videro mi sorrisero e mi salutarono, scambiai qualche parola con qualcuno poi, con la scusa di controllare la cottura del pane, raggiunsi mio fratello in cucina.

«Chi è Conor ? Perché è qui ? Non mi aspettavo invitassi qualcuno di nuovo...» «Lo so, mi dispiace, avrei dovuto avvisarti. Comunque l'ho conosciuto durante il viaggio studio in Francia, sul treno Parigi-Strasburgo, era seduto vicino a me e poi ho scoperto che sarebbe stato anche il mio compagno di stanza al campus universitario. Quando ho saputo che era di Brighton ci siamo scambiati numeri, mail, indirizzi, facebook, insomma tutto lo scambiabile. Qui siamo usciti spesso insieme; è simpatico !» «E' un donnaiolo» «Sì, effettivamente non si può definire un bravo ragazzo, ma ho visto che ti sai difendere»mi rispose John soffocando un risolino e cingendomi le spalle con un braccio.

Sospirando presi il cesto del pane e tornai in sala.

 

24 Dicembre; vigilia di Natale

 

Esitai prima di suonare il campanello con sopra scritto in lettere blu e luminose "HUNKAS". Le immagini della vigilia scorsa invasero la mia mente, ripensai a quegli occhi azzurri che mi scrutavano curiosi sulla soglia di casa di mio fratello, ripensai alle sue labbra sottili che s'incrinavano in un sorriso leggero come la spuma del mare di Brighton.

Suonai sperando di non vedere quegli occhi azzurri sulla soglia, sperando di non incontrare il suo sorriso.

La porta scricchiolò e si aprì, era lui. La prima cosa che notai fu il rossore che circondava le sue iridi azzurre e venava i suoi occhi di sangue, aveva appena finito di piangere, era evidente.

Abbassai lo sguardo ed entrai in casa superandolo.

Feci appena in tempo a sbottonarmi che sentii le sue mani afferrare il mio giubbotto per aiutarmi a sfilarlo; lo prese e lo infilò nell'armadio.

«Grazie» sussurrai piano e mi allontanai lasciandolo solo.

La stufa in salotto emanava un calore dolce e familiare, il chiacchiericci sommesso dei nostri amici di vecchia data rallegrava l'atmosfera e i canti natalizi di sottofondo l'alleggerivano, ma io mi sentivo pesante.

Mi sedetti nella sedia a dondolo vicino al caminetto accesso, di fianco a Tilda, Hanne e Lisa che stavano parlando di un vestito visto in qualche vetrina in centro, indossai il mio miglior falso sorriso e mi unii alla conversazione, ignorando Conor, che era a qualche metro da me e mi osservava insistentemente. Feci così per tutta la sera, lo ignorai e parlai con i miei amici, mi nascosi e scappai dal suo sguardo per tutto il tempo.

Non avevo voglia di infilarmi in una conversazione da cui non sarei uscita tutta intera.

Erano circa le nove, ed eravamo a metà della cena, mio fratello aveva avuto la geniale idea di mettermi esattamente di fronte a Conor e io avevo bisogno di alzarmi per qualche minuto, avevo bisogno di smettere di sentire il suo sguardo sporco e appiccicoso sulla mia pelle. Provavo disgusto quando mi guardava. Presi i piatti sporchi e seguii mio fratello in cucina.

Appena fui lontano abbastanza da Conor da non sentire più i suoi occhi sulla mia schiena ricominciai a respirare.

«Perché mi hai messa di fronte a Conor ? - chiesi allibita a mio fratello - Lo sai cosa mi ha fatto, te l'ho raccontato... in questo momento non ho neanche voglia di vederlo, quando mi ha aperto la porta avrei voluto sputargli in un occhio» «Mi dispiace per quello che ti ha fatto, lo sai. Quando me lo hai raccontato sarei andato a picchiarlo personalmente, nessuno può far star male la mia sorellina, - rispose John abbracciandomi forte - ma è anche vero che Conor è mio amico, abbiamo parlato prima, sai ? Mi ha raccontato tutto quello che è successo... stavo per strangolarlo, però poi mi ha detto che è stato un errore, che lui ti ama da morire e che si è pentito di non avertelo mai detto, perché te lo saresti meritata. All'inizio non gli ho creduto però poi è scoppiato a piangere... non hi mai visto un ragazzo piangere, mai. Qualcosa vorrà pur dire, quindi ho voluto darli un'altra possibilità».

Sentii la rabbia farmi ribollire il sangue nelle vene «Sono io che devo decidere se dargli un'altra possibilità o no, non tu, io, e non lo farò, sai perché ? Perché doveva pensarci prima che stava facendo una cazzata, non pentirsi dopo, doveva pensarci prima ! Come posso io provare a costruire una relazione stabile con una persona che prima agisce e poi pensa ? Quando avrò un mutuo, le bollette da pagare, la spesa da fare... come potrò fidarmi di una persona che potrebbe sperperare tutti i miei guadagni perché aveva voglia di giocare alle slot machine e lo ha fatto senza pensarci due volte ? Come posso ? Non posso, non posso, e io voglio una relazione stabile, ho quasi venticinque anni, John, voglio un fidanzato da baciare la sera, prima di andare a dormire, voglio sposarmi, voglio un bambino, voglio cose che Conor, con la sua immaturità, non può darmi, o cresce, oppure non è lui l'uomo per me» «Fidati Corine, lui ti ama, dagli un'altra possibilità» «No, doveva pensarci prima di infilarsi in un corpo che non era il mio !» dissi trattenendomi dall'urlare.

Mi girai e tornai in sala da pranzo.

 

Erano le dieci, presi il giubbotto dall'armadio e me lo infilai, salutai mio fratello che mi aveva raggiunto nell'ingresso.

«Te ne devi proprio andare ? Rimani ancora un po'...» «No grazie, sono stanca e non ho più voglia di vedere Conor, comunque grazie per la serata, ci vediamo domani da mamma» «Ok, ciao, buonanotte» mi baciò sulle guance e mi aprì la porta.

Scesi i due gradini e i miei piedi affondarono nello spesso strato di neve.

Era da tre giorni che nevicava a Brighton, e continuava a nevicare. Le strade venivano pulite e spazzate mattino, pomeriggio e sera, ma non bastava, la neve cadeva copiosa e attecchiva velocemente al suolo creando muri alti, bianchi e freddi.

Mossi qualche passo, ogni volta sprofondavo fino alla caviglia, i brividi mi scuotevano violentemente, la fermata della metro non era molto lontana da casa di mio fratello, però lo era abbastanza da ghiacciarsi dalla testa ai piedi.

Mi ero allontanata di una decina di passi dalla porta quando sentii una mano afferrarmi la spalla.

Mi voltai di scatto, spaventata dal contatto improvviso, ma quando mi girai non vidi nessuno di pericoloso, solamente Conor imbacuccato nel suo piumino e con il cappello calato sulla fronte.

Presi un respiro profondo, cercando di calmarmi, il mio cuore ancora martellava nel petto dallo spavento.

«Sei un cretino...» «Lo so, mi dispiace, scusa» «Di cosa stiamo parlando ? Dello spavento che mi hai fatto prendere o del fatto che hai scopato con un'altra ?» «Di tutte e due le cose» «Per lo spavento sei perdonato, per l'altra cosa no, non lo sei, ora scusa, ma perdo la metro delle dieci e dieci» mi afferrò per un braccio, impedendomi di camminare oltre «Ti amo, ti amo da morire, ti amo e mi dispiace, scusa, ho fatto una cazzata lo so... ho perso il controllo un attimo e ho combinato un casino, scusami, ti amo, scusami, è bastato un drink di troppo e... mi dispiace» «Se mi amassi davvero non mi avresti tradito, ci avresti pensato due secondi di più. Se ci tenessi davvero a me...» Sentii le sue labbra sulle mie, le sue braccia mi circondavano e mi tenevano stretta al suo corpo, non mi davano l'opportunità di muovermi. Avrei voluto oppormi, avrei voluto spingerlo via, dargli uno schiaffo, insultarlo, ma il suo sapore era così buono, le sue labbra erano così morbide e la sua bocca così calda...

Quel contatto ancora mi provocava i brividi, il mio corpo schiacciato contro il suo.

Nonostante tutto ero senza fiato.

Nonostante tutto le gambe ancora mi tremavano, come la prima volta che mi aveva baciato, come la prima volta che avevamo fatto l'amore.

 

Non mi ricordo che giorno fosse, mi ricordo solo fosse agosto, e mi ricordo un gran caldo allietato dal venticello fresco che tirava sempre a Brighton.

Mi ricordo il sole alto nel cielo e il mare particolarmente agitato.

Conor mi aveva invitato a uscire il sabato prima e io avevo rimandato ogni giorno per una settimana.

Ero nervosa e basita.

Lui aveva diciannove anni e io ventiquattro, lui era appena maggiorenne mentre mia nonna già mi chiedeva quando mi sarei sposata.

Presi un grosso respiro, afferrai la mia borsa che avevo appoggiato sul mobile all'ingresso e uscii.

Iniziai a camminare verso la spiaggia, Brighton Beach. Dovevamo vederci davanti al Pier alle quattro, erano le tre e mezza e per arrivare al Pier, da casa mia, ci volevano circa dieci minuti a piedi, camminando lenti, e io camminai lentamente, estremamente lentamente, e a ogni passo dovevo combattere contro il mio istinto per non tornare indietro di corsa.

Quando arrivai erano le quattro meno un quarto e Conor era già lì, mi aspettava su una panchina di fianco al molo, la schiena retta e il collo teso, i suoi occhi esaminavano il volto di ogni passante di sesso femminile con attenzione, passò una ragazza con i capelli corti, come i miei, lo vidi fremere, ma quando notò che non aveva le lentiggini, la mia carnagione pallida e i miei occhi neri come la pece sospirò e s'ingobbì leggermente. Un sorriso tinse il mio volto, illuminandolo, mi venne naturale, e nel momento in cui sorrisi, in quel preciso momento capii che mi ero presa una cotta per lui, una cotta insensatamente immensa, e mi sentii di nuovo una ragazzina di quindici anni.

Mi avvicinai alla sua panchina piano, lui non si accorse di me e, quando mi sedetti al suo fianco, sussultò.

«Ciao» lo salutai sorridendo «Ciao - rispose lui - come va ? Tutto bene ?» chiese gentile ed interessato «Benissimo, facciamo due passi ?» chiesi alzandomi di nuovo, lui annuì schiudendo le labbra in un sorriso, si alzò e mi porse il braccio che io cinsi aggrappandomi a lui.

Stavamo camminando avanti e indietro da cinque ore e mezza quando il tramonto ci colse.

Brighton Beach era magnifica sotto quella luce rossastra e il cielo purpureo si scontrava con quello azzurro proprio sulle nostre teste, mentre le nuvole interrompevano la compattezza di quel manto colorato.

Ci fermammo su una panchina a guardare, non avevo mai visto il tramonto a Brighton, mai.

E fu in quel momento, mentre ero stretta al suo petto, mentre avevo gli occhi spalancati dalla meraviglia, che sentii le sue labbra premere contro le mie e la felicità farmi esplodere il cuore, e il suo sapore era buono, le sue labbra morbide e la bocca calda.

 

Sentii le lacrime spingermi contro la gola e uscire dagli occhi bagnandomi le guance, mi strinsi a lui forte e, appena una piccola goccia cadde rumorosamente sulla sua pelle, la sua presa si fece più salda dietro alla mia schiena.

Affondai il viso nell'incavo del suo collo, come facevo da una anno a questa parte quando ero triste, il suo corpo mi faceva sentire protetta, mi faceva sentire sicura, lui c'era sempre quando avevo bisogno di piangere, e io davanti a lui piangevo, senza vergogna.

«Mi dispiace Corine, mi dispiace da morire, ti prego non piangere, non voglio che tu pianga, tu meriti solo di sorridere» «Sei un cretino, sei un fottuto cretino, sei talmente cretino che un troglodita, in confronta a te, è Eintstein. Voglio dire... hai una minima idea di come mi sia sentita quando me l'hai detto ? Hai idea di come mi sia sentita quando mi hai detto che hai trombato allegramente con un'altra ragazza ? Non lo sai, non puoi saperlo, a te nessuna ti tradisce mai... non glie ne dai il tempo, prima che possa farlo lei lo fai tu ! Sei un deficiente, sei un cretino, sei un coglione di merda ! Mi sono sentita uno straccio sporco, abbandonato sul pavimento, mi sono sentita una puttana di quarta categoria, mi sono sentita una merda pestata, mi sono sentita un cane abbandonato, ho pianto tutta la notte e tutto il giorno dopo, tutto. Ora la mia casa invasa da fazzolettini smoccolati, ho rialzato le sorti della cleenex tanti ne ho usati, e tutto questo per colpa tua» «Mi dispiace amore mio, mi dispiace, lo so che sono un coglione, l'ho sempre saputo, sempre, mi dispiace» «Sei un coglione» lo sentii sospirare sulla mia nuca e sorrisi, perché sapevo di averlo perdonato, e mi diedi della cretina perché non avrei dovuto.

«Ti accompagno a casa ?» «Sì, grazie».

 

«Perché hai del rosmarino appeso sopra la porta ?» «Perché non ho trovato il vischio» «E quindi hai pensato di mettere il rosmarino...» «E' praticamente la stessa cosa...» «Ovviamente...» commentò Conor scendendo dalla macchina e venendomi ad aprire la portiera.

Afferrai la mano che mi porse e uscii, «Attenta, c'è del ghiaccio» mi fece notare indicando una parte del marciapiede liscia e lucida.

Salii i tre gradini e arrivammo sotto il portico e, mentre stavo aprendo la porta, le campane suonarono la mezzanotte, le sue mani mi afferrarono per le spalle e le nostre labbra s'incontrarono di nuovo e mi baciò sotto il rosmarino, sostituto momentaneo del vischio.

Mi allontanai da lui e gli sorrisi «Buon Natale» gli dissi «Buon Natale anche a te» «Ti fermi da me stanotte ?» «Certo, mio piccolo fiore».

 

***

 

Dio mio, che obbrobrio, mi potrete mai perdonare per aver pubblicato una schifezza del genere ?

Solo che ci tenevo a postare qualcosa per Natale, per augurarvi buone feste, buon Natale e buon anno !

Spero che per voi questo sarà un periodo meraviglioso !!

Auguri a tutti !

Un bacio e buon Natale ancora !

 

Emy McGray


   
 
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